febbraio 2008

Respingiamo al mittente l'accusa di essere giustizialisti. E vi spieghiamo il perchè

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Ad ogni campagna elettorale, arriva, puntuale, nei confronti di Italia dei Valori l'accusa di giustizialismo. In questi giorni, stiamo assistendo ad una vera e propria escalation di accuse iniziate con un corsivo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, nel quale Italia dei Valori viene definita quale "espressione dell'antipolitica" in chiave giudiziario-giustizialista" e che arrivano fino ad oggi (almeno per il momento) con le dichiarazioni di Berlusconi il quale afferma di provare orrore per Antonio Di Pietro definito un "campione di manette". Devo dire che, d'istinto, un simile fuoco incrociato e la durezza e l'asprezza degli attacchi mi fanno tornare in mente quella bellissima massima secondo la quale "le probabilità che una persona abbia ragione crescono in maniera direttamente proporzionale al numero delle persone che si affannano a dimostrare che ha torto". Ma mi rendo conto che cavarsela così sarebbe troppo comodo. E lasciamo anche stare il fatto che il giorno che qualcuno si prenderà la briga e ci farà il piacere di spiegarci cosa significhi giustizialismo ne prenderemo volentieri atto e potremo anche fare una sincera autocritica. Fino ad allora, resta forte in me il convincimento che quello che una parte importante della politica italiana (che trova sicuramente il suo epicentro in Berlusconi ma che travalica ampiamente i confini di Forza Italia e che non conosce distinzione di schieramento) ed un ampio settore dell'establishment giornalistico ed economico-finanziario del Paese, non perdonano a Di Pietro e, di conseguenza, ad Italia dei Valori è, ancora oggi, l'aver fatto piazza pulita di quel sistema di connivenza tra politici ed uomini d'affari corrotti che, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, stava mandando a gambe all'aria il Paese. Ma quella è un'altra storia (che pure rivendichiamo). Quello è il passato. Non è per quello che oggi un partito ed un leader politico, a quindici anni di distanza, possono essere giudicati. Vogliamo essere giudicati, soprattutto dai cittadini, per quello che siamo oggi, per le nostre idee, per il nostro programma e per i nostri valori. La cultura della legalità e della certezza del diritto, la cultura delle regole e della loro osservanza - che non stanno alla base di una visione giustizialista della vita ma che qualificano il concetto stesso di giustizia dai tempi di Beccaria ad oggi - non solo sono presupposti irrinunciabili di una società liberale e democratica ma sono, soprattutto, precondizioni etico - giuridiche perché ogni altro diritto civile possa trovare compiuta realizzazione: dalla libertà individuale alla sicurezza dei cittadini, alla crescita economica alla tutela dei più deboli. E' per questo che noi ci battiamo ogni giorno, e non ci interessa molto degli appellativi che ci affibbiano.