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I DIRITTI NON SI TOCCANO MA I DOVERI NEANCHE

Pomigliano - FiatPomigliano - Fiat

La partita che si sta giocando a Pomigliano d’Arco è di straordinaria importanza e lo è innanzitutto per la Campania ed i lavoratori del comparto. L’impianto Fiat di Pomigliano d’Arco è uno stabilimento strategico sotto il profilo occupazionale.  Ai 5.000 dipendenti Fiat che lavorano a Pomigliano si sommano infatti circa 8.000 lavoratori dell’indotto, parliamo quindi di circa 13.000 posti di lavoro che, direttamente o indirettamente, sono garantiti  dall’esistenza di  quello stabilimento. Ma è strategico anche, e forse soprattutto, perché è localizzato in una regione nella quale immense sono le difficoltà del mercato del lavoro e nella quale estesa è la presenza delle organizzazioni criminali. Qualcuno in passato ha osservato, proprio per segnarne in positivo la differenza, che Pomigliano non è una cattedrale in un deserto, ma una “cattedrale in un cimitero”. In questi giorni la polemica divampa sul contenuto dell’accordo siglato tra Fiat e molte sigle sindacali, ma con la ferma opposizione della Fiom che contesta il fatto che l’intesa in questione mette i lavoratori di fronte alla scelta tra un accordo capestro e la perdita del posto di lavoro . Insomma, una finta scelta che cancella e calpesta diritti fondamentali dei lavoratori. Crediamo che dipingere in questo modo l’accordo di Pomigliano non sia però raccontare per intero la verità sulla vicenda. La verità, infatti, è che Fiat ha scelto la strada sbagliata di imporre un’intesa che cancella o limita fortemente diritti dei lavoratori non per avere una fabbrica “cinese” ma nella speranza di riuscire, almeno così, ad avere una fabbrica “normale”. Cioè una fabbrica che rispetti standard minimi di efficienza e produttività europei, non cinesi. Non si può tacere l’altra metà della verità su Pomigliano. Sulla fabbrica che ha una delle più bassa produttività del Paese, perché ha uno dei più alti tassi di assenteismo del paese. Dove in occasione di ogni sciopero indetto, il giorno successivo, per eludere la trattenuta sullo stipendio, gran parte dei lavoratori porta il certificato di malattia. Dove nei sabati lavorativi, previsti da anni per contrato, un lavoratore su tre non si presenta ai cancelli e porta poi il certificato di malattia. Dove in periodo di raccolta dei pomodori si verificano strane ed inspiegabili epidemie che costringono molti lavoratori in malattia. Dove si parla di secondi lavori e via dicendo. Dove, in occasione del giorno delle elezioni del 2008 su 4.600 dipendenti quasi 1.600 si sono messi in permesso perché dovevano stare presso i seggi elettorali come rappresentanti di lista o altro. Allora dobbiamo dire con forza che l’errore di metodo della Fiat si specchia in un errore almeno altrettanto grave di quelle forze sindacali che, in questi anni, hanno tollerato il menefreghismo, l’assenteismo, la mancanza di lealtà del lavoro, e che oggi salgono sulle barricate per difendere diritti sacrosanti, in astratto, ma dei quali si è in questi anni abusato al di là del lecito e anche di più. In questa partita si sommano due errori contrapposti, per questo speriamo che le parti trovino, entrambe, il coraggio di rimettere in discussione ciò che è indifendibile: da una parte la volontà di comprimere il diritto di sciopero o di colpire indiscriminatamente nel mucchio i lavoratori con sanzioni senza accertare le responsabilità individuali, dall’altra quella di pensare che si possa andare avanti senza isolare chi crede che un posto di lavoro comporti solo diritti e nessun obbligo. Perché anche questo è affermare un principio di legalità. Voi cosa ne pensate?

Massimo Donadi

Antonio Borghesi

Sandro Trento