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La Commissione dell'acqua calda

Tre giorni fa, Giovannini, presidente dell’Istat, a capo della Commissione sui costi della politica, si è arreso. Un fallimento totale quello della commissione istituita per comparare i costi delle nostre istituzioni con quelli di altri stati membri dell’Unione Europea.

Perché Giovannini ha gettato la spugna? La comparazione non si può fare perché la nostra situazione è troppo difforme da quella di Francia, Germania, Inghilterra e via discorrendo. Tanto per capirci, all’estero, ha detto il presidente, non ci sono strutture analoghe a quelle italiane. Su 30 tipologie di enti esistenti in Italia, solo in 9 casi esistono strutture analoghe. Questi nove enti, continua a spiegare Giovannini, sarebbero l'Agenzia del Farmaco, l'Antitrust, l'Autorità delle Comunicazioni, quella per l'Energia elettrica, la Consob, il garante della Privacy, Regioni, Comuni e la Camera dei Deputati. Il Senato no, perché in altri Paesi i senatori non sono eletti direttamente dal popolo.

Per farla breve, la Commissione ha alzato le mani: “Le situazioni sono diverse, non si possono paragonare. Suggeriamo al Governo e al Parlamento di rivedere la legge sui costi della politica”. Insomma, come nel Monopoli si riparte dal via, grazie a tutti abbiamo scherzato.

Roba da matti. Con tutto il rispetto, solo in Italia capita che si istituisca una commissione sui costi della politica che lavora quasi un anno, comparando i dati e i numeri per scoprire l’acqua calda. Non ci voleva una Commissione per dirci che in Italia c’è una proliferazione esagerata di enti inutili. Non ci voleva Giovannini per dirci che in Italia c’è una macchina burocratica elefantiaca che rappresenta un unicum in Europa. In Italia serve darci un taglio. Non serve comparare tabelle, squadernare libelli, fare i conti in tasca agli altri paesi per capire dove è il marcio. E’ sotto gli occhi di tutti. In un momento di straordinaria drammaticità per il Paese occorre usare il rigore e la scure anche nei confronti della politica. L’obiettivo è disegnare un’Italia più snella, più moderna, liberale, meno burocratica, in cui i sacrifici non passino solo attraverso la riduzione del potere di acquisto delle famiglie o una patrimoniale per i redditi bassi.

Salva Italia, Cresci Italia, Liberalizza Italia, Riforma del Lavoro. Tradotto: tasse, poche e insignificanti liberalizzazioni, articolo 18. E i costi della politica? Che fine hanno fatto nel programma del governo “tecnico” targato Monti? Riposti nel cassetto. Lì giacciono in pace. Eppure le risorse che si libererebbero dando una bella sforbiciata ai costi della politica sarebbero ingenti. Ma nulla si muove, solo timidi tremolii di foglie, poi subito la quiete. Se la politica non è matura per un passaggio così epocale, lo sono i cittadini.

MONTI, "SU LA TESTA" CON GLI EVASORI!

 

Ha ragione il presidente del Consiglio Mario Monti. “Chi evade le tasse offre pane avvelenato ai figli. Consegnerà loro qualche euro in più ma li renderà cittadini di un paese non vivibile”. L’evasione fiscale è una piaga, fa più danni di un’invasione di cavallette. Gli ultimi dati, emersi dall’incrocio dei dati della Commissione Giovannini, della Corte dei Conti e della Uil, sono allarmanti. La tassa che toglie più all’erario è l’Irpef: all’appello mancano 49.5 miliardi di euro. Al secondo posto, c’è l’evasione sull’Iva: 44.7 miliardi di euro. Al terzo posto, l’Ires, 15.5 miliardi di euro evasi, al quarto l’Irap, con 7.1 miliardi di euro. E poi, in fondo a questa classifica, tasse meno importanti ma ugualmente dribblate dagli italiani: canone Rai, 623.3 milioni di euro e bollo auto, 449.7 milioni di euro. Faccio il totale: 119.6 miliardi di euro, una cifra da capogiro. Da Nord a Sud, con picchi in Calabria, dove il tasso di irregolarità sfiora quota 24 per cento, fino all’insospettabile Bolzano, con 14.7 per cento, l’Italia si conferma paese di naviganti, poeti ed evasori.

Per questo, avanti tutta con le liberalizzazioni, soprattutto quelle che avvantaggiano le tasche dei cittadini, ma lotta dura, senza tregua agli evasori fiscali. Lo diciamo da tempo al governo.

Rimettere in piedi il Paese e rilanciare l'economia si può. Tre sono le strade principali per uscire dalla crisi e restituire dinamismo alla nostra economia: avviare una lotta senza quartiere all'evasione fiscale e recuperare quei 119.6 miliardi di euro che bruciano e contrastare in ogni luogo la corruzione. Si proceda, dunque, spediti verso piene liberalizzazioni, che non devono riguardare solo taxi e farmacie, ma le vere lobby di questo paese ed i settori strategici per la crescita, a partire da energia, trasporti, reti e sistemi finanziari, ma non si usi il guanto di velluto con gli evasori fiscali.