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MARIA STELLA NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE

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Oggi m’improvviso cuoco come Brunetta. La ricetta del potere berlusconiano: prendete delle menzogne e spargetene in quantità nello studio televisivo; naturalmente assicurandovi prima la presenza di un conduttore compiacente, ribaltate la realtà, impedite agli interlocutori di dire verità scomode et voilà, il gioco è fatto. Semplice no? La puntata di ieri sera di porta a Porta (guarda il video), in cui mi confrontavo col ministro Gelmini, è esemplificativa. Il ministro dell’Istruzione (mah…) Maria Stella Gelmini, che per cultura e competenza non potrebbe neanche insegnare in una scuola, è invece una vera campionessa nell’arte della mistificazione. Di fronte alle critiche puntuali sulla riforma universitaria e alla valutazione politica di quanto pubblicato da WikiLeaks ha reagito mentendo con una disinvoltura straordinaria. Veramente in maniera imbarazzante. Ha descritto una realtà che non esiste, manco fosse Alice nel paese delle meraviglie. In maniera ammirevole ha cercato di negare l’evidenza, parlando con slogan e frasi fatte (scritte chissà da chi) e con tono monocorde ha illustrato i pregi di una riforma universitaria pessima che riporta il Paese a trent’anni fa. L’ha descritta come una legge contro i baroni e gli sprechi. E perché, noi per caso siamo favorevoli a baroni e sprechi? Ha screditato le rivelazioni di wikileaks affermando che erano false, dette da funzionari di terz’ordine sfigati, repressi e magari pure un po’ invidiosi. Peggio di un Capezzone qualunque ha impedito una discussione sullo stato di salute del premier e sulla scarsa considerazione che hanno di lui gli altri paesi. Insomma il ministro ha agito come un automa messo lì a fare la testa di legno. Io non penso che lei possa davvero credere a quello che dice. A meno di voler pensare che sia completamente incapace di intendere e di volere, sa benissimo cos’è la sua riforma, perché è stata fatta e quali gravi conseguenze ha sull’università e la ricerca. Ha recitato una parte E’ evidente che il governo ha paura e che non vuole che si parli di certe cose, neanche nei talk show. Forse è un segno che siamo già in campagna elettorale e questo è stato solo un assaggio. Se è così, dovremo prendere provvedimenti affinché la competizione elettorale si svolga nel rispetto delle regole democratiche, perché una vittoria di Berlusconi consegnerebbe il Paese al declino e all’ingovernabilità.

GELMINI, TUTTA TAGLI E… MANGANELLI

GelminiGelminiLa nave Gelmini, dunque, va, con buona pace dell’Università. Una cosa sia chiara: questo sciagurato provvedimento che il Parlamento ha approvato non è una riforma. Chiamiamola per quello che è, una presa per i fondelli agli studenti, ai professori e ai ricercatori, in una parola al futuro del Paese. Maria Stella, la mediocre maestrina, ha fatto il suo modesto compitino. L’ha infarcito di titoli altisonanti, che parlano di lotta alle baronie, di meritocrazia, di incentivi per l’eccellenza, di lotta al precariato dei ricercatori, di diritto allo studio e di modernizzazione. Balle colossale. Quando si passa dai titoli ai contenuti la verità viene a galla. La riforma prevede esattamente l’opposto di quanto pomposamente annunciato.
Lotta ai baroni: falso. Invece di introdurre un sistema stringente per cancellare la piaga dei concorsi fasulli o pilotati e di introdurre quello che noi chiedevamo, ovvero,  un sistema trasparente nella selezione del personale docente, da oggi servirà solo un’abilitazione nazionale senza alcuna selezione, comparazione di titoli o graduatoria. Era così prima nella forma, ora è così anche nella sostanza. Non bisogna essere veggenti per predire ciò che accadrà: baroni vecchi e nuovi potranno procedere con una chiamata diretta di chi vorranno loro, all’interno di questo albo, senza alcun vincolo o controllo, consentendo i più sfrontati favoritismi, clientelismi o familismi. Le migliaia di giovani ricercatori meritevoli, che finiranno all’interno di questo albo nazionale, senza parenti in alto o raccomandazioni che contano, non verranno mai chiamati.
Incentivi a università meritevoli: falso. La riforma stabilisce, sulla carta, incentivi  e maggiori contributi pubblici agli istituti più virtuosi: è solo una promessa da campagna elettorale. Vogliono fare le nozze con i fichi secchi perché per l’università non c’è il becco di un quattrino, non c’è un solo centesimo, Tremonti ha tagliato tutto. I maggiori contributi, che ribadisco  non ci sono, non verranno assegnati in base ai risultati dei singoli docenti o dipartimenti virtuosi, ma in base ai risultati di un’intera università dove, come è evidente, i buoni e i cattivi risultati si cancellano a vicenda di modo nulla cambierà in concreto.
Lotta al precariato dei ricercatori: falso. I sei anni previsti come durata massima dell’incarico di ricercatore avrebbe un senso se nel corso di questi anni lo Stato accantonasse le risorse necessarie per l’assunzione quali professori ordinari dei giovani più meritevoli ma non è stato stanziato un centesimo neanche in questo caso. Non c’è alcuna previsione di accantonamento di risorse, come succede nel modello anglosassone, che pure, a parole, vogliono imitare. Finirà così che i giovani verranno sfruttati per sei anni e poi messi in mezzo ad una strada e a venire assunti saranno pochi e rigorosamente raccomandati.
Diritto allo studio: falso. Maria Stella Gelmini si è riempita la bocca con il “diritto allo studio”, ma ha tagliato il 90 per cento dei fondi per le borse di  studio.
Fondo per il merito: falso. Il fondo per il merito tanto decantato, per i prossimi tre anni prevede zero, ripeto, zero euro di finanziamento. La realtà è che il ministro Gelmini si è comportato come una marionetta nelle mani di Tremonti, il cui unico imperativo è tagliare, tagliare, e ancora tagliare.
La maggioranza ha approvato una legge completamente priva di copertura finanziaria, che non dà ma promette ed anche quello che promette è soltanto di restituire una piccola parte dei tagli drammatici che questo governo ha fatto negli ultimi tre anni, mettendo in ginocchio le università italiane.
Lotta alla parentopoli: falso. Italia dei Valori aveva proposto un emendamento affinché non venissero assunti negli atenei parenti ed affini entro il terzo grado. Il Governo ha stravolto il senso del nostro emendamento, rendendolo di fatto un’arma spuntata. Con una semplice e finta lettera di dimissioni temporanee del professore, forme di nepotismo e di familismo continueranno ad essere la regola d’oro degli atenei, con buona pace del merito e delle capacità. L’emendamento di Italia dei Valori intendeva spezzare le redini a questo sistema, non lasciando scampo ai furbi. La riforma finge di combattere la parentopoli negli atenei, in realtà rimarrà tutto come era prima.
Questa è una riforma che la scuola e l’università e le nuove generazioni, che rappresentano il futuro di questo paese, non meritavano e non meritano. Così come non meritavano e non meritano l’ipocrisia del Fli e di Fini che ha protestato insieme agli studenti e ai ricercatori, è salito sui tetti dell’università e, alla fine, non solo ha votato questa burletta di riforma ma l’ha definita una delle cose migliori della legislatura. I giovani, gli studenti, i ricercatori e tutto il mondo dell’università hanno chiesto, in questi mesi, di bloccare i tagli e di procedere ad una riforma vera e seria. Come tutta risposta, sono stati traditi due volte.

MARONI BLINDA MONTECITORIO

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Oggi in Aula c’è il voto finale sul Ddl Università. Abbiamo detto ampiamente quello che pensiamo sulla riforma Gelmini, in una sola parola pessima. Le Università sono occupate. Gli studenti sono sui tetti, insieme a ricercatori e professori. Ma fuori dal palazzo sta accadendo qualcosa che non si era mai vista prima. Decine camionette di carabinieri, poliziotti e guardia di finanza (guarda il video)hanno circondato Montecitorio e Palazzo Chigi per impedire agli studenti di avvicinarsi, con un dispiegamento di forze impressionante. Il ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha ordinato alle forze dell’ordine di predisporre un rigido blocco di tutte le strade che circondano piazza Montecitorio. Il sit in degli studenti era stato autorizzato dalla questura ma le  strade sono state chiuse e piazza Montecitorio è irraggiungibile, off limits. Una scelta sbagliata quella del ministro Maroni, una scelta che, siamo i primi a scongiurarlo, potrebbe far accendere gli animi ed avere conseguenze, Dio non voglia, ben più gravi. In Aula, Valentina Aprea del Pdl, relatrice del provvedimento Gelmini, ha invitato nell’Aula tutti i partiti al senso di responsabilità, a mantenere toni bassi nel confronto politico per evitare che fuori dal palazzo possa accadere il peggio. Parole condivisibili ma la scelta del governo di porre un blocco rigidissimo, e che le forze dell’ordine sono state costrette ad attuare, seppure vogliamo sperare assunta in buona fede per scongiurare possibili scontri, rischia di apparire come una provocazione per centinaia di studenti in protesta pacifica. C’è un silenzio assordante in queste ore intorno ai palazzi, un silenzio che colpisce ferisce la nostra democrazia. Guardata le immagini che abbiamo fatto per voi. Un muro umano di carabinieri, di ferro e acciaio delle camionette delle forze dell’ordine è il segnale di un palazzo che si chiude a riccio, che si fa sordo alle istanze degli studenti, dei professori, dei ricercatori, degli insegnanti avviliti ed umiliati da questa riforma. Le forze dell’ordine hanno l’obbligo di salvaguardare l’integrità degli edifici delle sedi istituzionali e di evitare scontri fisici ma, al contempo il ministro Maroni ha il dovere di garantire il diritto di manifestare degli studenti. Bisognava ottemperare alle due esigenze, con uguale rispetto, perché non c’è democrazia se cala il silenzio sulla piazza.

SOLO I RICCHI ANDRANNO A SCUOLA

GelminiGelminiArticolo 34 della Costituzione: “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. Non è più così, non sarà più così in futuro. I ministri Tremonti e Gelmini, come scrive oggi la Repubblica, hanno decretato la fine dell’istituto delle borse di studio universitarie, nato nel 1946, negando di fatto un diritto sacrosanto garantito dalla Costituzione a tutti i cittadini. Il fondo per le borse di studio, ad ottobre di questo anno, per volere dell’ineffabili Giulio e Maria Stella, è passato da 246 milioni di euro a 25,7, con un taglio di circa il 90%. Hanno lasciato le briciole, quel tanto che basta per non perdere completamente la faccia. Nel 2012 sarà anche peggio: il fondo sarà tranciato di un’altra abbondante metà arrivando a scarsi 13 milioni di euro. Cosa vuol dire questo? Che dal prossimo anno, per otto studenti su dieci, meritevoli e con famiglie dal reddito basso – che sono sempre di più vista la crisi - non ci saranno più soldi, acuendo ancora di più le distanze tra Nord e sud Italia. Sì perché essendo il nostro sistema universitario molto regionalizzato, mentre alcune regioni del Nord come Piemonte, Toscana ed Emilia Romagna potranno garantire ancora tale diritto, le altre saranno brutalmente colpite. Alla faccia di un federalismo equo e solidale. Nasce così la scuola ai  tempi di “Berlusconi, Tremonti e Gelmini”, quella dove il merito non conta niente, dove la Costituzione è un libro per nostalgici, ed ogni principio e diritto sacro e inviolabile non segue più lo spirito dei padri costituenti del buon padre di famiglia che si prende cura dei più deboli ma il nuovo dio indiscusso, Re denaro, che a tutto vede e provvede. Ha fatto di tutto la Gelmini pur di assecondare le esigenze di cassa di Tremonti fregandosene del ruolo di ministro per l’Istruzione della Repubblica: ha tagliato i fondi alla scuola, ha ridotto il tempo pieno, ha fatto una riforma che riforma non è, ha cancellato le graduatorie di ricercatori e soppresso alcuni atenei. Proprio oggi, si alza forte nel Paese il lamento del rettore del Politecnico di Torino, un fiore all’occhiello della nostra istruzione universitaria, che rischia di finire in ginocchio per colpa dei tagli.  Non paga, supinamente ai voleri del ministro dell’Economia, cancella un diritto fondamentale che, dal 1946 ad oggi, ha accompagnato l’evoluzione democratica e scolastico di questo Paese. Molti degli scrittori, degli scienziati, degli artisti, dei medici che danno lustro oggi al nostro Paese non avrebbero mai potuto studiare senza borse di studio. Se questo è il Paese che vogliono, noi diciamo no. E chiediamo al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, massimo garante della Costituzione, di fermare queste mani scellerate.

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CRITICHI LA GELMINI? UN MESE A PANE E ACQUA!

GelminiGelminiIl 31 ottobre 2009 è entrata in vigore la riforma Brunetta, che ha lo scopo di aumentare ed ottimizzare la produttività del lavoro pubblico e l’efficienza e trasparenza della pubblica amministrazione. Il 21 ottobre di quest’anno, il Codice Brunetta è stato recepito, masticato, digerito e risputato fuori dal ministro Gelmini che, sul sito del ministero dell’Istruzione, ha pubblicato “Il Codice disciplinare” per i dirigenti scolastici e gli insegnanti, contenuto nel contratto di lavoro dei dirigenti scolastici per il quadriennio 2006/2009, il quale rinvia al Codice di comportamento dei pubblici dipendenti. Nascosto tra le pieghe del nuovo codice in vigore per gli operatori della scuola c’è un insidia velenosissima, in virtù della quale non si potrà più criticare pubblicamente la riforma Gelmini pena “la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre mesi”. Non siamo la solita opposizione menagrama che mena il can per l’aia. Il clima che si sta creando nella scuola è preoccupante. Qualcuno già parla, e non a vanvera, di Codice nazista. Già sta accadendo. Un dirigente scolastico, al quale era stata richiesta un’intervista, ha comunicato il tutto al suo superiore e il direttore dell’ufficio scolastico regionale gli ha rammentato i vincoli cui è sottoposto il capo d’istituto: non pronunciare il nome della Gelmini invano. Dunque, non solo dirigenti ed insegnanti sono tenuti a comunicare eventuali interviste ma devono stare pure attenti a come parlano,altrimenti zac, scatta la punizione e l’ammenda. Non è una questione di lana caprina. Criticare la riforma Gelmini è da considerarsi lesivo dell’immagine della pubblica amministrazione o manifestazione della libertà di pensiero? Stiamo arrivando al punto che una semplice intervista ad un giornale o ad una televisione, magari per denunciare la mancanza di carta igienica nelle scuole, conseguenza gravissima dei tagli di Tremonti-Gelmini che riguarda un’altissima percentuale di scuole in tutt’Italia, finirebbe per mettere un dirigente scolastico o un insegnante nei guai?  In base all’articolo 11 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici pare proprio di sì: “salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei cittadini, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche che vadano a detrimento dell’immagine dell’amministrazione. Il dipendente tiene informato il dirigente dell’ufficio dei proprio rapporti con gli organi di stampa”. La questione in ballo è gravissima. Se dall’alto, qualcuno decide cosa un dirigente scolastico o un insegnante possa e debba dire alla stampa, come dirla, quanto e quando dirla siamo di fronte ad una violazione palese della libertà di pensiero. Siamo al regime. E per capire meglio che aria tira, basta dire che il ministro Gelmini ha recentemente ideato e varato un decreto ministeriale con il quale da oggi gli ispettori ministeriali possono essere inviati “a sopresa” nelle scuole. “Giuro che sarò fedele al Re ed ai suoi Reali successori; che osserverò lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato; che non appartengo e non apparterrò ad associazioni o partiti;- che adempirò ai doveri stessi con diligenza e con zelo, ispirando la mia azione al fine di educare i fanciulli affidatimi al della Patria ed all'ossequio alle istituzioni dello Stato”. Nel 1929, i maestri elementari erano obbligati a pronunciare questo giuramento. Due anni più tardi sarà imposto anche ai professori universitari. Oltre 1.200 docenti giurano. Solo dodici si rifiutano. Furono i coraggiosi “maestri del no”.

IL CAPOLAVORO DELLA GELMINI

Com’è solerte Maria Stella Gelmini. E’ bastato un articolo pubblicato sul giornale di famiglia – famiglia Berlusconi, s’intende- per far scattare gli ispettori. C’erano simboli politici in una scuola pubblica. No, no - che avete capito? - non sto parlando di Adro, ma di Livorno.  Questi i fatti. Ieri il Giornale ha pubblicato in prima pagina ‘Altro che Adro, a scuola sventola la bandiera rossa’. E poi, nelle pagine interne, la foto del vessillo comunista su un vecchio muro. Immediato l’intervento del ministro, che ha ‘ordinato un’ispezione nella scuola dell’infanzia San marco di Livorno. Il provvedimento – recita il comunicato del dicastero- si è reso indispensabile per verificare la notizia per cui sarebbe presente nell’istituto una bandiera del Partito dei Comunisti Italiani. La scuola è un’istituzione pubblica che deve garantire a tutti un’educazione imparziale ed autonoma rispetto a qualsiasi orientamento politico”. Quest’ultima parte è un capolavoro. Di comicità naturalmente. Se fosse vera la metà delle cose scritte, se la Gelmini le pensasse davvero così, il caso Adro non sarebbe mai esistito. Avrebbe mandato gli ispettori con la stessa immediatezza e la faccenda sarebbe stata risolta in un batter di ciglia. La prima considerazione da fare è quasi banale: ci sono due pesi e due misure per la Gelmini. I simboli leghisti possono restare dove sono, i simboli di altri partiti vanno rimossi. In ogni caso il ministro ha fatto una bella gaffe. I simboli comunisti non erano affissi sulla scuola, ma su un edificio poco distante, precisamente sul vecchio muro del teatro dove nel 1921 nacque il Partito Comunista Italiano. Il sindaco, Alessandro Cosimi, le ha risposto in modo impeccabile e tra le altre cose ha detto ‘al posto degli ispettori ci mandi i soldi’. Una figuraccia non da poco. Ecco cosa succede a fidarsi delle notizie pubblicate dal duo Feltri-Sallusti, gli agit prop di Berlusconi. Il ministro ha mostrato il suo vero volto ed ha confermato che vuole fare del ministero una succursale del Pdl. Mai nella storia della Repubblica il ministero dell’istruzione era sceso così in basso. Del resto nessun presidente del Consiglio si sarebbe mai sognato di nominare un ministro come la Gelmini. Un altro effetto perverso del berlusconismo.

UNIVERSITA’, LA CONTROPROPOSTA IDV

 

Nell’Italia paralizzata dalle beghe interne al governo, almeno una riforma vedrà la luce e sarà quella dell’Università. Niente da dire. Un paese che mette al centro l’istruzione è un paese che sceglie di puntare al domani. Peccato soltanto che la riforma in questione, che pure pone problemi legittimi, li affronti nella maniera sbagliata, dal primo all’ultimo. L’Italia dei Valori darà voto negativo al testo e proverò a spiegarvi perché. L’università, insieme con la scuola, è il luogo dove si crea il futuro. Per creare una società culturalmente valida, alla base degli organi d’istruzione deve esserci la qualità degli insegnanti, che deve essere valutata e premiata, perché è la sola variabile che determina il rendimento degli studenti, come comprovato ormai da innumerevoli ricerche condotte in tutto il mondo. La riforma Gelmini va in direzione esattamente opposta a tale obiettivo. Già, perché il testo peggiora ulteriormente l’attuale situazione, già di per sé grave, in termini di vantaggio per le baronie locali. E’ fondamentale, invece, liberalizzare la scelta degli insegnanti da parte degli istituti, vincolando al tempo stesso parti cospicue dei finanziamenti pubblici a oggettivi criteri di valutazione della qualità sia degli insegnanti che dell’insegnamento. Di modo che ogni università abbia la responsabilità delle proprie scelte ma venga penalizzata, e pesantemente, se non sceglie nel senso della qualità e della competenza. E’ inoltre necessario affiancare alle borse di studio tradizionali, che intervengono principalmente con funzione redistributiva a favore di figli di famiglie poco abbienti, una nuova fascia di “premi economici” assegnati esclusivamente in base alle capacità ed al merito particolare dello studente. E’ su questo che punta essenzialmente la controproposta che Italia dei Valori presenterà in termini di emendamenti, oltre, naturalmente, che sul capitolo risorse. La proposta Gelmini prevede fondi senza coperture, motivo per il quale, oltretutto, non passerà l’esame della commissione Bilancio. Le proposte di Italia dei Valori  prevedono invece importanti risorse per le quali indichiamo una serie di possibili coperture, riducendo alcuni vantaggi fiscali, in particolare per le banche. Tra l’altro dalla razionalizzazione delle sedi che proponiamo potrebbero venire sostanziosi risparmi. Sono fermamente convinto che, se prendesse vita la riforma Gelmini, così com’è attualmente, il Paese si avvierebbe verso un sicuro degrado, ulteriore rispetto a quello già in corso, che priva la società degli anticorpi necessari rispetto al ruolo dell’informazione televisiva, che sempre più prepotentemente si impone con valori discutibili. L’indebolimento dell’università, così come della ricerca e della scuola pubblica, la drastica riduzione del numero di insegnanti e operatori, l’impoverimento della didattica e tutto il resto che di negativo questo governo ha fatto finora nel settore, servono sicuramente a creare un popolo sempre meno attrezzato culturalmente e sempre più facilmente plasmabile.

SCUOLA MARCHIATA LEGA, QUANDO IL RANCORE DIVENTA POLITICA

 

La parola “folklore” che la Gelmini usa per definire la scelta del sindaco leghista del bresciano, di marchiare i banchi ed ogni arredo della scuola con il simbolo della Lega, ha una valenza decisamente troppo positiva. Il ministro dell’istruzione liquida con un commento grave e colpevole di complicità  un episodio che rientra nel rischio tribalismo cui il partito del Carroccio sta esponendo il Nord questo Paese. Da venti anni a questa parte, in modo sempre più preoccupante, la Lega dà un vestito politico al peggio della gente, a tutti quei veleni che in ogni cultura esistono, ma che normalmente vengono mantenuti sotto traccia perché le società hanno ogni interesse ad occultarli. Ebbene la Lega non fa altro che rendere legittimi questi inconcepibili veleni, questi sentimenti vergognosi che, con spavalderia, incoraggia per farne un sistema di rancori. Quello del sindaco di Adro, che fa comparire ossessivamente su finestre, ingressi, sugli arredi e persino sui contenitori dell’immondizia, il Sole delle Alpi, ne è solo l’ultimo, inquietante, esempio. Ma nel disegno del Carroccio c’è ben di peggio. Ho potuto farmene un’idea durante l’estate, visto che, non spostandomi dalla mia regione, ho avuto modo di leggere meglio la stampa locale. Quello che campeggia sulle prime pagine dei giornali veneti non è degno di un paese civile. Ogni parola, ogni sillaba, ogni pronome, ogni aggettivo, sembra appartenere ad un paese talebano, tribalizzato o a rischio tribalizzazione, dove ogni cosa, persona, giudizio che non faccia parte della tribù, è da considerare niente. Questo del sindaco del Bresciano è solo un episodio, che rientra, però, non a caso, in una serie di vicende che si moltiplicano e che rientrano in un fenomeno culturale pericolosissimo, ben più del berlusconismo, che finirà col finire di Berlusconi. Un fenomeno del genere rischia di prender piede e di trasformare definitivamente il Paese. L’atteggiamento non adeguatamente indignato della Gelmini di fronte a quest’ultimo episodio rientra nell’errore più grande di questo governo nei confronti di un fenomeno che avrebbe dovuto essere fermato sul nascere. Il Paese non avrebbe dovuto acconsentire a fare della Lega un partito di governo. La cultura dell’intolleranza, del diverso da eliminare e schiacciare a tutti i costi, avrebbe dovuto essere stigmatizzata immediatamente come cultura dei disvalori. Ma Berlusconi non avrebbe potuto fare a meno del partito del Carroccio, così, come sempre fa, ha messo il proprio tornaconto davanti agli interessi del Paese. E questo rappresenta forse la più grave responsabilità che il Cavaliere porterà con sé, forse più dell’utilizzo delle leggi ad personam, quella di aver consentito che le farneticazioni della Lega diventassero una cultura vera e propria, che resterà probabilmente radicata nel Paese. Le critiche alla Lega non mettono minimamente in discussione alcune legittime istanza che la gente porta avanti, come lo sperpero di denaro pubblico da parte di amministratori disonesti o la quantità d’immigrati clandestini che continuano ad arrivare sulle coste italiane. Questi sono problemi reali e di grande portata, cui vanno date delle risposte, ma sempre all’insegna di valori democratici, e mai permettendo alla Lega d’ingigantirli inserendoli in un sistema di disvalori. La colpa della non risoluzione di questi problemi è anche del centrosinistra, che non solo non li ha risolti, ma ha continuato a tapparsi gli occhi, facendo finta che non esistessero.

SCUOLA: UN’ITALIA IGNORANTE DA PLASMARE

GelminiGelminiUn’Italia ignorante, da plasmare a proprio piacimento: ecco il disegno della maggioranza, che si staglia purtroppo sempre più chiaramente, nel totale buio in cui va precipitando la scuola pubblica. Il grande Pietro Calamandrei, in un convegno sulla scuola pubblica a cui prese parte nel lontano 1950, avendo ancora fresca la memoria del fascismo, disse che, ove mai si fosse ripresentata nel nostro paese una forma di autoritarismo, non avrebbe certo fatto ricorso al manganello o all’olio di ricino, ma avrebbe piuttosto operato sul piano della cultura, della formazione del pensiero e quindi sull’orientamento dell’opinione pubblica e della classe dirigente del Paese. Per questa ragione, riteneva Calamandrei, un ipotetico “partito dominante” avrebbe progressivamente impoverito la scuola pubblica fino a lasciarla morire di inedia e avrebbe contestualmente investito sulle scuole private che sarebbero diventate lo strumento di diffusione della sua “cultura”. Calamandrei non poteva certo immaginare, nel 1950, che per creare una propria visione culturale al cosiddetto “partito dominante”, non sarebbe stato necessario dar vita a una rete di scuole private, in quanto a questo avrebbe ampiamente pensato la televisione. Sta di fatto, comunque, che, come tutti i grandi uomini, ha saputo vedere lontano. I 7 miliardi di euro tagliati alla scuola pubblica, i quasi 100 mila insegnanti e operatori licenziati, l’impoverimento della didattica, la diminuzione del numero di ore di insegnamento, serve sicuramente a creare un popolo sempre meno attrezzato culturalmente e sempre più facilmente plasmabile con messaggi televisivi. Ormai le scuole pubbliche sono alla fame, dalla città di Crema, passando per Roma e per finire a Catania, gli istituti devono chiedere contributi alle famiglie dei ragazzi per comprare carta igienica, saponi, piatti e bicchieri di carta. A Catania una scuola ha dovuto chiedere un contributo di 100 euro alle famiglie per banchi, lavagne e cattedre. A Milano una scuola media ha dovuto chiedere un contributo di 40 euro per garantire lezioni pomeridiane. E l’elenco non avrebbe mai fine. Ma, a rendere veramente inquietante la situazione, è il fatto che non solo si sta cercando di lasciar morire di fame e inedia la scuola pubblica, ma che, addirittura, è ormai la cultura dei disvalori propagandati da questa maggioranza di destra che sta facendo breccia nella stessa istruzione. Una scuola pubblica di Pordenone ha organizzato una gita scolastica degli allievi sulla base del loro reddito: i benestanti a Londra in buon albergo, i più poveri a Monaco in una pensione con i pidocchi. In un comune del Vicentino, due giorni fa, alla scuola materna il sindaco e l’assessore, entrambi giovani donne, hanno deciso di lasciare a digiuno 9 bimbi dell’asilo nido perché i genitori non avevano ancora pagato la retta. Ma cosa ci sta succedendo? Stiamo assistendo al calpestamento di ogni sensibilità e del significato stesso di scuola pubblica e, come dice oggi Massimo Gramellini sulla Stampa, “spaventa il pensiero di come cresceranno i discriminati di Vicenza e di Pordenone. Ma spaventa ancora di più come cresceranno i privilegiati: privi dei vincoli minimi di solidarietà, per insegnare i quali la scuola pubblica era nata”.