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LE SFIDE DI RENZI NON SONO UN TABU’

 Di Matteo Renzi si può dire quello che si vuole. Troppo poco di sinistra, secondo un certa ortodossia. Troppo berlusconiano, secondo altri. Però, di alcune gli va dato atto e merito. Innanzitutto, di aver portato una ventata di novità, di aver rimescolato le carte. In secondo luogo, di aver avuto il coraggio di porre temi scomodi con i quali la sinistra deve e dovrà fare obbligatoriamente i conti nei prossimi anni. Per quanto mi riguarda, condivido in larga misure le cose che ha detto, in particolare sulle politiche economiche e sociali e sulla necessità, improcrastinabile, di rimettere in discussione nel centrosinistra tanti tabù ideologici. Credo, anzi, sono convinto che un partito come Italia dei Valori, che giustamente si definisce post-ideologico, più degli altri debba sapere cogliere l’occasione per ridefinire un’idea e un sistema di valori di stampo progressista che parta da una rielaborazione delle ideologie dell’Ottocento e del Novecento. Certe culture politiche sono armi spuntate di fronte al mondo di oggi così profondamente mutato e le forze politiche attuali devono saper accettare e coglierne la sfida. Non so se Matteo Renzi è o sarà l’uomo della provvidenza. Confesso che ad un certo leaderismo mediatico non sono particolarmente affezionato. Credo, infatti, che il leaderismo mediatico, abbia mostrato tutti i suoi limiti, tanto a destra quanto a sinistra e credo, ancor di più che l’Italia non abbia bisogno di ulteriori iniezioni di leaderismo ma di ben altro. Ma ben vengano uno, dieci, cento Renzi per il centrosinistra se serve a rompere schemi e strutture, se servono ad aiutare il centrosinistra a farsi interprete di quel mondo e di quella società così profondamente cambiati. Se proprio devo muovere un appunto a Renzi, è quella sensazione di voler continuare ad agire ispirato ad una sorta di autopromozione di se stesso. Le sue idee non sono un tabù ma per realizzarle non bastano le gambe e le spalle di una persona sola. Per andare nella direzione giusta, per realizzare quella rivoluzione culturale di cui abbiamo bisogno per stare al passo coi tempi e non rincorrerli affannosamente servono molte gambe e molte spalle, intelligenze vive e capaci, tempi lunghi, confronti e ragionamenti. Altrimenti, anche la Leopolda sarà stato un fuoco di paglia e non coglieremo la sfida che ci attende.

MATTEO RENZI, IL ROTTAMARCORE

E così il rottamatore Renzi, il giovane, è andato ad Arcore e su Facebook è scoppiato il caso Renzi. Molte e molto dure le critiche in casa Pd al sindaco di Firenze, 'reo' di aver preso parte ad un pranzo con Silvio Berlusconi nella di lui dimora privata. Lui, dal canto suo, non ha mancato di sottolineare le sue ragioni in difesa del suo gesto. Ha raccontato che hanno pranzato assieme ed erano solo loro due, lui ed il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, non c’erano né Emilio FedeLele Mora. Dice di essere andato ad Arcore per perorare la causa di Firenze e sostenere la legge speciale per la città. A chi lo ha attaccato duramente ha ribadito che non c’erano altri scopi segreti. Solo in un paese malato, ha detto il sindaco di Firenze, si può pensare che ci sia qualcosa sotto. Premesso che ho sempre guardato a Renzi e ai rottamatori con grande simpatica, perchè in questo paese di inamovibili rappresentano la volontà di dare una scossa per liberare gli alberi dai frutti troppo maturi, questa volta non condivido del tutto il suo gesto. Io faccio il sindaco di Firenze, ha detto Renzi, lui il presidente del Consiglio. Appunto. E’ proprio qui che avverto una nota stonata. Un sindaco quando incontra un presidente del Consiglio non lo fa nella sua residenza privata, ad Arcore, ma a palazzo Chigi, nella sede istituzionale del Governo. E soprattutto, non lo fa pochi giorni prima il voto di sfiducia, quando tutte le opposizioni stanno sostenendo uno sforzo titanico per chiudere definitivamente l’epoca del berlusconismo che ha fatto danni inenarrabili a questo povero Paese. Non ho dubbi che il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che ha provocato più di qualche mal di pancia al segretario del Pd Pierluigi Bersani e a tutta la nomenclatura del Partito democratico, abbia avuto motivi nobili e finalità altamente istituzionali ma scegliere di andare ad Arcore, in questo momento, significa scendere sul piano di quel berlusconismo che ha il suo motore e credo nella confusione dei ruoli, delle istituzioni che confonde pubblico e privato. Sicuramente, come scrive oggi Massimo Gramellini su la Stampa, Renzi appartiene all'attualità e gli altri al museo del Novecento ma, non sarà politicamente sexy dirlo, lo stile come rispetto delle regole e della distinzione dei ruoli è una condizione imprescindibile in politica, è la regola aurea e se l'attualità del centrosinistra passa attraverso il modello Berlusconi, allora vorrebbe dire che abbiamo trovatomagari un nuovo leader ma non siamo riusciti ad uscire dalle secche del leaderismo e personalismo in politica. Per questo, pur ribadendo la mia stima ai rottamatori, stavolta la scelta di Matteo Renzi di andare ad incontrare il presidente del Consiglio nella sua residenza privata e non nella più opportuna sede di palazzo Chigi è un segnale bruttissimo. E' una questione non secondaria di stile e se questo è quello dei rottamatori, spiace dirlo ma viene voglia di dire "niente di nuovo sotto il sole". Cambiano le generazioni ma lo stile resta lo stesso, anzi peggiora. Perché, almeno fino ad oggi, mai nessun alto esponente del Partito democratico avevano varcato i cancelli della residenza privata del presidente del Consiglio.