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PROPAGANDA FIDE NON FA RIMA CON FEDE

 

Cardinale Crescenzio SepeCardinale Crescenzio Sepe

E’ di questi giorni la notizia che il cardinal Sepe è indagato a Perugia in quanto si sospetta un suo coinvolgimento nel sistema gelatinoso della cricca, lo spaventoso intreccio tra affari e politica che sta delegittimando le istituzioni e la classe dirigente di questo Paese. Propaganda Fide non è, come qualcuno può aver erroneamente pensato leggendo i giornali in questi giorni, l’agenzia immobiliare del Vaticano, ma il dicastero che si occupa dell’attività missionaria e coordina l’opera di evangelizzazione dei popoli. Ed è proprio qui che ritengo indispensabile aprire una riflessione. Non voglio esprimere sentenze di condanna anticipate. Anzi, mi auguro che il Cardinale Sepe chiarisca al più presto e pienamente la correttezza dei suoi comportamenti. Resta comunque il fatto che, quando ruoli chiave ed importanti della Chiesa vengono affidati a uomini “più a vocazione temporale che pastorale”, in un Paese come il nostro dove i legami e gli intrecci tra Stato e Chiesa sono così numerosi e rilevanti, si creano delle distorsioni non solo pericolose per la legalità ma ancora più per l’immagine della Chiesa stessa. Che si tratti dello scandalo dello Ior e di Marcinkus, oppure della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e le relazioni pericolose del cardinale Sepe, è evidente che tanto lo Stato quanto la Chiesa devono compiere ogni sforzo di trasparenza perché queste degenerazioni non si ripetano e perché Stato e Chiesa restino realtà collaborative ma distinte e distanti. Da questo punto di vista, ritengo importanti le parole importanti e non rituali di papa Ratzinger pronunciate ieri, quando ha detto che il sacerdozio non è un mezzo per raggiungere il potere e per realizzare ambizioni personali. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole raggiungere un proprio successo sarà sempre  schiavo di se stesso e dell'opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare, dire quello che piace alla gente, dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità. Spero che il buon esempio, quello che lo Stato non riesce a dare nominando ministro Aldo Brancher per non mandarlo in tribunale, sia capace di darlo la Chiesa.

IDV NON FA AFFARI CON LA CRICCA

Una cosa che ho sempre trovato assolutamente rivoltante sono “le difese d’ufficio” che i politici dei più svariati partiti, ad ogni inchiesta o indagine della magistratura, si sentono sempre in dovere di fare, verso i loro colleghi inquisiti o indagati. Parlo di gente che nulla sa dei fatti di cui si indaga, ma che solo per vincolo di colleganza politica si sente in dovere di parlare di inchiesta politica, di giudici mascalzoni, di teoremi assurdi e via discorrendo. Oggi voglio parlare del presunto scandalo legato ai due appartamenti di proprietà di Propaganda Fide che, secondo l’architetto Zampolini, sarebbero stati trovati grazie all’intercessione di Balducci, restaurati da Anemone e dati poi in affitto ad Antonio Di Pietro, uno per sua figlia, l’altro per aprirvi la sede del giornale di IDV. Voglio intervenire su questa vicenda per difendere con passione e veemenza sia Antonio Di Pietro che Silvana Mura, non perché, come quei politici rivoltanti di cui parlavo prima, a questo mi spinga la colleganza di partito. Personalmente mi attengo sempre alla stessa regola etica. Quando non so taccio e quando parlo è solo perché sono cose che conosco per averle vissute in prima persona. Partirò dalla vicenda che riguarda l’appartamento che avrebbe ospitato la sede del giornale di IDV. Chiarisco subito una cosa: né  Di Pietro, né Italia dei Valori, né nessun altro in qualche modo collegato a lui o al partito, ha affittato quell’immobile per metterci la sede del giornale di IDV. Le cose stanno così. Avevamo deciso, come ufficio di presidenza del partito, di dar vita ad un nostro giornale, utilizzando il finanziamento pubblico specificamente previsto. La decisione era stata tutt’altro che facile per noi, visto che non ci entusiasmava ricorrere a quei fondi pubblici che sempre abbiamo criticato. Il punto era che ci sentivamo accerchiati. Allora (come oggi) i giornali ci ignoravano o quando parlavano di noi era per parlarne male. Sentivamo la necessità di un giornale che desse il nostro punto di vista. Poiché non avevamo né i mezzi nè le competenze né il know how, ci rivolgemmo ad un editore con il quale stipulammo un contratto per un giornale “chiavi in mano”. In pratica, a fronte del pagamento di un corrispettivo, questo editore avrebbe messo in piedi una piccola redazione, stampato il giornale e provveduto alla sua distribuzione nelle edicole. L’ufficio di cui oggi si parla era già allora la sede di questo editore e rimase la sua sede anche quando, dopo poco più di un anno, decidemmo di chiudere il giornale (sul blog di Di Pietro vi sono anche tutti i documenti che comprovano queste circostanze). L’affermazione di Zampolini che l’ufficio venne procurato per Di Pietro da parte di Balducci e restaurato da Anemone è quindi clamorosamente un patacca. L’affitto non era nostro. Ci stava da anni una casa editrice con la quale noi abbiamo avuto soltanto un breve rapporto commerciale. Per quanto riguarda l’altro appartamento, quello dove vive l’amica e collega Silvana Mura (sul suo blog Silvana Mura racconta come stanno le cose), ero lì quando tutto si svolse. Eravamo tutti seduti vicini nei banchi alla Camera. E ricordo che Di Pietro aveva chiesto una mano a Pedica, l’unico romano di noi, per trovare una casa a sua figlia che si sarebbe trasferita a Roma per ragioni di studio. Ricordo anche quando alcune settimane dopo Di Pietro disse a Stefano di lasciar stare perché sua figlia aveva cambiato idea e si era iscritta alla Bocconi a Milano. Proprio in quei giorni Silvana Mura aveva subito un’esperienza terribile. Nell’appartamento dove stava erano entrati i ladri con lei dentro casa. Ricordo che era ancora sotto choc e che non aveva più voluto mettere piede in quella casa da quel giorno. Ascoltando Di Pietro e Pedica parlare disse che l’avrebbe preso volentieri lei quell’appartamento visto che non voleva più tornare nell’altro. E così fu fatto. Tra l’altro, appena si trasferì, la andai a trovare nell’appartamento in questione. Era un appartamento di quelli tipici per affitti brevi dove il proprietario vuole ottenere il massimo risultato con la minima spesa. L’appartamento era arredato, con mobili dozzinali. Ritinteggiato, ma con finiture scadenti. Ricordo che c’era il linoleum per terra. Ci tengo a dire queste cose per onore di verità. E qui emerge la seconda patacca di Zampolini. L’appartamento non fu mai affittato da Di Pietro ma direttamente da Silvana Mura. Il tutto fu frutto della più assoluta casualità. Altro che cricca, altro che restauri eseguiti da Anemone. La morale di tutto questo è chiara. Zampolini non è un santo. E’ quello che, modello “spallone”, girava mezza Roma, per conto di Anemone, con le bustarelle di contanti con i quali pagava gli affitti o gli acquisti di immobili ai politici coinvolti nella cricca del suo datore di lavoro. E’ evidente che quella cricca della quale fa parte fino al collo oggi stia cercando di coprire i propri mandanti politici e di far passare il concetto che tutta la politica è uguale, e che viviamo nella notte nera in cui tutte le vacche sono nere. Ma non è così, e la verità, per le persone onorabili, si afferma con una forza irrefrenabile. Peccato che ai giornali questa verità non interessi.

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