Taggati con: scuola pubblica

SCUOLA, DALLA PARTE DEI PRECARI

"I precari non li incontro, sono militanti politici". Quest'esempio di democrazia e' una perla, una delle tante, del ministro Gelmini. Decine di migliaia di questi 'militanti politici' saranno buttati fuori dalla scuola grazie alla riforma del ministro che in molti cominciano a chiamare Attila. Secondo Gelmini i precari sono troppi e non possono essere assorbiti tutti. Certo, quando si tagliano i fondi alla scuola pubblica e' proprio cosi'. Ma il ministro sa bene che nessuno ha chiesto l'assunzione immediata e permanente di tutti i precari. Affermando quello, bara, trucca il confronto politico. I dati dei sindacati sono chiari: dal 2008 hanno perso il posto 67.000 insegnanti, pari a due Alitalia all'anno. E' chiaro che il sistema dell'istruzione pubblica in Italia non così non regge, ma il governo con la sua politica di tagli sta affrontando il problema nel modo peggiore. Si sta, peraltro, massacrando la scuola pubblica a tutto vantaggio di quella privata. Un'altra brutta pagina per questo governo. L'istruzione e' un pilastro del sistema sociale di qualsiasi paese moderno ed avanzato, ma in Italia sembra che questo concetto non sia valido. Il corpo docente e' stato troppo spesso mortificato, quando invece andava valorizzato ed incentivato. E' a queste persone che affidiamo l'istruzione dei nostri giovani, sono loro a formare la futura classe dirigente del paese. Ed invece che succede? Tagli drastici e favori alle scuole private. Chiacchierare con i precari in questi giorni di protesta e' utile e da' la dimensione di quanto siano motivati e quanto tengano a questo lavoro. Il potenziamento della scuola, della scuola pubblica, e' una priorità nel nostro programma. Siamo vicini agli insegnanti che protestano e siamo pronti ad accogliere suggerimenti utili.

SCUOLA: UN’ITALIA IGNORANTE DA PLASMARE

GelminiGelminiUn’Italia ignorante, da plasmare a proprio piacimento: ecco il disegno della maggioranza, che si staglia purtroppo sempre più chiaramente, nel totale buio in cui va precipitando la scuola pubblica. Il grande Pietro Calamandrei, in un convegno sulla scuola pubblica a cui prese parte nel lontano 1950, avendo ancora fresca la memoria del fascismo, disse che, ove mai si fosse ripresentata nel nostro paese una forma di autoritarismo, non avrebbe certo fatto ricorso al manganello o all’olio di ricino, ma avrebbe piuttosto operato sul piano della cultura, della formazione del pensiero e quindi sull’orientamento dell’opinione pubblica e della classe dirigente del Paese. Per questa ragione, riteneva Calamandrei, un ipotetico “partito dominante” avrebbe progressivamente impoverito la scuola pubblica fino a lasciarla morire di inedia e avrebbe contestualmente investito sulle scuole private che sarebbero diventate lo strumento di diffusione della sua “cultura”. Calamandrei non poteva certo immaginare, nel 1950, che per creare una propria visione culturale al cosiddetto “partito dominante”, non sarebbe stato necessario dar vita a una rete di scuole private, in quanto a questo avrebbe ampiamente pensato la televisione. Sta di fatto, comunque, che, come tutti i grandi uomini, ha saputo vedere lontano. I 7 miliardi di euro tagliati alla scuola pubblica, i quasi 100 mila insegnanti e operatori licenziati, l’impoverimento della didattica, la diminuzione del numero di ore di insegnamento, serve sicuramente a creare un popolo sempre meno attrezzato culturalmente e sempre più facilmente plasmabile con messaggi televisivi. Ormai le scuole pubbliche sono alla fame, dalla città di Crema, passando per Roma e per finire a Catania, gli istituti devono chiedere contributi alle famiglie dei ragazzi per comprare carta igienica, saponi, piatti e bicchieri di carta. A Catania una scuola ha dovuto chiedere un contributo di 100 euro alle famiglie per banchi, lavagne e cattedre. A Milano una scuola media ha dovuto chiedere un contributo di 40 euro per garantire lezioni pomeridiane. E l’elenco non avrebbe mai fine. Ma, a rendere veramente inquietante la situazione, è il fatto che non solo si sta cercando di lasciar morire di fame e inedia la scuola pubblica, ma che, addirittura, è ormai la cultura dei disvalori propagandati da questa maggioranza di destra che sta facendo breccia nella stessa istruzione. Una scuola pubblica di Pordenone ha organizzato una gita scolastica degli allievi sulla base del loro reddito: i benestanti a Londra in buon albergo, i più poveri a Monaco in una pensione con i pidocchi. In un comune del Vicentino, due giorni fa, alla scuola materna il sindaco e l’assessore, entrambi giovani donne, hanno deciso di lasciare a digiuno 9 bimbi dell’asilo nido perché i genitori non avevano ancora pagato la retta. Ma cosa ci sta succedendo? Stiamo assistendo al calpestamento di ogni sensibilità e del significato stesso di scuola pubblica e, come dice oggi Massimo Gramellini sulla Stampa, “spaventa il pensiero di come cresceranno i discriminati di Vicenza e di Pordenone. Ma spaventa ancora di più come cresceranno i privilegiati: privi dei vincoli minimi di solidarietà, per insegnare i quali la scuola pubblica era nata”.