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Super stipendi, fatta la legge trovato l'inganno

 

Mi scuserete se, a distanza di pochi giorni, torno sullo stesso argomento: Rai e stipendi. Vi riporto un'agenzia Ansa di ieri. ++ SPENDING REVIEW: TETTO 300.000 EURO MANAGER, ANCHE RAI ++ APPROVATO EMENDAMENTO DELLA LEGA AL DECRETO. Bene! Macché...sentite qua.

E' dalla scorsa legislatura che portiamo avanti una battaglia per imporre un tetto agli stipendi dei manager pubblici e il governo Monti, grazie a un emendamento Idv al decreto Salva-Italia dello scorso dicembre, aveva fissato in circa 294 mila euro lo stipendio massimo di un manager pubblico, equiparandolo a quello di un primo presidente di Cassazione. Disposizione che avrebbe dovuto entrare in vigore entro il 31 maggio scorso ma che poi non ha visto la luce, anzi, è diventata carta straccia.

I fatti. Ieri la commissione Bilancio ha approvato un emendamento presentato dalla Lega Nord a firma del senatore Massimo Garavaglia, che pone un tetto di 300 mila euro agli stipendi dei manager e dei dipendenti delle società partecipate dallo Stato non quotate, Rai compresa. I supermanager, dunque, si "dovrebbero" adeguare. Dovrebbero appunto...

Il nuovo presidente Anna Maria Tarantola già nei giorni scorsi aveva annunciato un taglio del proprio stipendio da 448 mila a 366 mila euro l'anno rinunciando, di fatto, al compenso per le nuove deleghe assegnatele dal Cda. Come consigliere percepirà i 66 mila euro previsti per tutti (a seguito del taglio del 30% deciso di recente dall'azionista) e come presidente percepirà 300 mila euro. Tutto sotto controllo.

E il direttore generale Luigi Gubitosi? Dopo le polemiche ha chiesto il contratto a tempo determinato, visto che proprio lo statuto aziendale non prevedeva l'indeterminato. Ma sul suo stipendio fissato in oltre 600mila euro lordi è calato il silenzio.

Con questo emendamento dovrebbe essere dimezzato... E invece no perché una clausola della nuova norma prevede la sua entrata in vigore solo a partire dall'insediamento del prossimo Cda. Ecco il passaggio incriminato: le disposizioni "si applicano a decorrere dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore della lege di conversione del presente decreto". Come al solito, la norma c'è ma non è operativa. Fatta la legge trovato l'inganno.

 

IL TETTO C’E’ MA MONTI LO IGNORA

Ricordate la battaglia di IDV per imporre un tetto agli stipendi dei manager pubblici? E’ dalla scorsa legislatura che la portiamo avanti. Il governo Monti, grazie a un nostro emendamento al decreto Salva-Italia dello scorso dicembre, aveva fissato a 294 mila euro lo stipendio massimo di un manager pubblico, equiparandolo a quello di un primo presidente di Cassazione. Disposizione che avrebbe dovuto entrare in vigore entro il 31 maggio scorso, ma che poi non ha mai visto la luce, anzi, è diventato carta straccia.

Sì perché i nuovi vertici “supetecnici” della Rai ci costeranno un milione e 100mila euro. Il presidente, Anna Maria Tarantola, percepirà uno stipendio di 430mila euro l’anno – ha già annunciato che rinuncerà ad una parte di esso – mentre il nuovo direttore generale, Luigi Gubitosi, riceverà una ricompensa di 650mila euro. A ciò, si aggiunga che, a quanto risulta, il nuovo dg verrebbe assunto con un contratto a tempo indeterminato, circostanza che tra l’altro sarebbe contraria allo statuto dell’azienda Rai.

In tempi di grandi sacrifici e con una spending review lacrime e sangue, stipendi di questo tipo sono inaccettabili e intollerabili. Ma soprattutto, che fine ha fatto il tetto per i manager pubblici? Oltre al clamoroso caso Rai, che per ovvie ragioni è sotto i riflettori, quante e quali sono le società e aziende pubbliche dove si annidano vertiginosi stipendi ai supermanager? In parte, lo abbiamo scoperto da soli, per il resto attendiamo ancora la risposta del ministro dell’economia.

Se la norma c’è, e doveva entrare in vigore entro il 31 maggio scorso, perché il governo ha rinviato, perché fa il gioco delle tre carte, perché si continua a rinviare, a colpi di proroghe?

PAPERON DE’ PAPERONI… “DI STATO”

Razionalizzare i costi? Sì. Porre un tetto agli stipendi dei manager pubblici? Anche. Operazioni trasparenza sui redditi di ministri, sottosegretari e viceministri? Sì, d’accordo va tutto bene. Ma se si vuole davvero fare un’operazione di quelle chirurgiche, per porre un freno ai costi della pubblica amministrazione, serve il coraggio di squarciare il velo dell’ipocrisia e omertà su quei particolari sistemi e criteri che concedono in questo Paese mille eccezioni, legittime per carità, ma non di meno scandalose.

Accade oggi. Per ridurre i costi della Camera è stato di recente deciso di chiudere il ristorante di Montecitorio tre sere a settimana. Motivo? Il costo eccessivo del servizio rispetto al numero dei pasti erogati. Nell'ottica di contenimento delle spese intrapresa giustamente dalla Camera appare una scelta condivisibile: se un servizio costa più di quanto rende è giusto chiuderlo o rivederne orari e servizi erogati. Accanto a questo, però, serve agire concretamente su quanto accade nel mondo dorato e privilegiato delle retribuzioni dei boiardi di Stato che, grazie a mille cavilli, arrivano a percepire pensioni da capogiro e che, nonostante il pensionamento, continuano a svolgere il medesimo incarico percependo doppio stipendio: pensione e retribuzione. Detta in soldoni, vengono pagati due volte. Come pensionati e come dipendenti in effettivo servizio, mascherati da consulenti.

Non ne faccio una questione di nomi. E’ il principio che condanniamo e che sarebbe ora di rivedere. Chi sono? Il capo del cerimoniale di palazzo Chigi, quello di Capo dipartimento per le risorse strumentali – appalti, per intenderci – il Capo dell’Ufficio voli di stato, di governo e umanitari, il Direttore dell’unità tecnica di missione per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia e, infine, i cosiddetti dirigenti di prima fascia “estranei”.

Per non parlare delle cifre. In questo strano paese, capita che un alto funzionario dello Stato, ancora non sessantasettenne, si porti a casa una pensione – e chiedo scusa a tutti i pensionati italiani – di 519mila euro, un miliardo delle vecchie lire, pari al 90 per cento della sua ultima retribuzione e che supera del 76 per cento quel tetto agli stipendi dei manager pubblici di cui si parla tanto in questi giorni. Si dà il caso che l’alto funzionario in questione sia diventato sottosegretario non parlamentare e che percepisca, quindi, anche lo stipendio. Per onore di verità, ha rinunciato a quello che gli sarebbe anche toccato come consigliere di Stato. E tutto questo accade perché esistono regole che lo permettono. La domanda è: non sarà il caso di rivederle, prima di accanirci contro i dipendenti della mensa di Montecitorio? E’ quello che chiederemo al sottosegretario alla presidenza, Antonio Catricalà, e al presidente del Consiglio, Mario Monti.