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  • Digitale extraterrestre
  • Se la finiana Angela Napoli dice che alcune parlamentari del Pdl si sono prostituite in cambio del seggio, tutte le parlamentari del Pdl la querelano. Se invece il turboberlusconiano Giorgio Stracquadanio dice che è cosa buona e giusta prostituirsi in cambio del seggio, tutto va ben madama la marchesa. Dipende da chi lo dice. Se un’esagitata di un centro sociale lancia un fumogeno contro Bonanni alla festa del Pd, non si parla d’altro per una settimana, il Pd è costretto a scusarsi e viene accusato di “squadrismo” dal ministro Brunetta. Se invece orde di ultras leghisti dell’Atalanta lanciano decine di fumogeni contro il ministro dell’Interno Maroni alla “Berghem Fest” della Lega, il giorno dopo non ne parla più nessuno, nessuno si scusa con nessuno e Brunetta zitto. Dipende da chi li lancia, i fumogeni, e alla festa di chi.Appena un giornalista gli fa una domanda, il ministro Bossi estrae il dito medio: anche lui è passato al digitale terrestre, anzi extraterrestre. L’altro giorno, per cambiare un po’, ha fatto una pernacchia (a quando un bel ruttino o una graziosa scoreggina? Comunicazione anal-ogica). E tutti giù a ridere: che simpaticone, il nonnetto sta guarendo. Figurarsi se uno del centrosinistra (o peggio ancora un finiano) si permettesse qualcosa del genere. Mesi fa, al Parlamento portoghese, il ministro dell’Economia Manuel Pinho ha fatto le corna a un deputato dell’opposizione: il premier José Socrates ha subito parlato di “gesto inaccettabile” e l’ha dimissionato su due piedi. Da noi, dipende. Se il centrosinistra prende i voti da qualche parlamentare eletto con l’opposizione, ma anche dei senatori a vita, è “ribaltone” e “tradimento”. Se il centrodestra compra venti parlamentari dell’opposizione, si chiama “gruppo di responsabilità nazionale”. Per stabilire chi è voltagabbana e chi no, dipende da chi la volta, la gabbana. “La sinistra ha un’insopprimibile attrazione verso i dittatori”, disse B. l’8 aprile 2003. Poi definì Putin “dono di Dio”, elogiò il tiranno bielorusso Lukashenko, baciò la mano a Gheddafi e gli regalò motovedette e munizioni per sparare ai nostri pescherecci (a quando qualche bel missile ad alta precisione?). Ma c’è dittatore e dittatore: dipende. Per B. vale la regola di un vecchio spot del dentifricio Chlorodont: con quella bocca lui può dire ciò che vuole. Lui e i suoi. L’altro giorno ha così sintetizzato la sua concezione della democrazia: “Il dissenso dev’essere positivo, costruttivo. Non deve diventare quotidiano attacco all’immagine del governo, della maggioranza, del primo ministro”. Il famoso dissenso-assenso. Quando la Meloni ha osato ipotizzare l’incandidabilità dei condannati, ha replicato: “Sono assolutamente d’accordo, ma a patto che il giudizio non lo dia una certa magistratura, ma un organo interno al nostro partito”. Il partito auto-pulente. Quanto a Gheddafi, “ho chiesto perdono per quel che han fatto i nostri predecessori in Libia, così abbiamo trasformato il 30 agosto da festa della vendetta a festa dell’amicizia”.   Ecco cos’erano le mitragliate italo-libiche sui pescatori italiani: i fuochi d’artificio della festa dell’amicizia. Stampa e tv di regime vigilano occhiute su questa impar condicio, disperdendo con gli idranti chi osa criticare il governo e minimizzando le sparate del governo. Ieri, sul solito Pompiere, il solito Pigi Cerchiobattista conciava per le feste il mite Nicola Zingaretti, reo di aver dichiarato che, grazie alla Gelmini, “la scuola italiana vive uno dei giorni più brutti del dopoguerra”. Parole che Pigi, tutto spettinato, definisce “lessico apocalittico”, “oltranzismo”, “demagogia”, “esasperazione”, “grillismo di maniera”, “invettive e insulti che ammorbano la politica italiana”. E manca poco che chiami la forza pubblica. Silenzio invece sulla lucida difesa della Gelmini per la scuola statal-leghista di Adro: “Chi polemizza con il sindaco di Adro dovrebbe farlo per coerenza anche quando sono simboli della sinistra a entrare in classe”. Si ignora quali simboli della sinistra abbia in mente la poveretta: probabilmente, i libri.     (Marco Travaglio)

 

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