Partiti e legalità

 

Il nuovo sistema di valori, di cui abbiamo già parlato, va imposto anche alla politica che, solo rinnovandosi e ritrovando autorevolezza e capacità di innovazione, può essere una forza utile al rilancio del Paese.

Immagino due grandi linee di intervento.

La prima riguarda la democrazia interna ai partiti. E’ essenziale stabilire un sistema di regole imposto dall’esterno che renda la vita ed il confronto interno ai partiti più trasparente e democratico. Non è possibile che il livello di democraticità di un partito sia rimesso alle norme del proprio statuto interno o alla discrezionalità di una maggioranza.

La questione ruota intorno ad una fondamentale questione: come può produrre democrazia una struttura che non conosce piena democrazia nemmeno al proprio interno? Come può rinnovare il paese una struttura che non conosce rinnovamento al proprio interno?

I partiti sono un perno della nostra vita democratica e selezionano direttamente i rappresentanti che i cittadini, con il loro voto, possono mandare nelle istituzioni. Il loro ruolo è talmente fondamentale che la collettività non può rinunciare a porre dei vincoli esterni, di tipo giuridico, all’autonomia dei partiti, tali da garantire pienezza di vita democratica interna e trasparenza di azione.

E’ incredibile pensare che esistono partiti che hanno governato per decenni il Paese senza aver mai celebrato un congresso, senza prevedere alcuna tutela per chi esprime posizioni minoritarie o di dissenso.

Anche per questa mancanza di democrazia. Anche per questo rifuggire il confronto e la contaminazione delle idee, i partiti hanno smesso di svolgere una funzione fondamentale che la democrazia gli attribuisce: quella di essere valvola di interconnessione tra la società ed il governo del Paese.

Hanno smesso in altre parole di essere un luogo di selezione e di formazione continua della classe dirigente e di governo (a tutti i livelli di pubblica amministrazione), capace di attirare e selezionare le migliori energie attraverso un percorso virtuoso, per trasformarsi e ridursi in apparati immutabili ed autoreferenziali di burocrati che concepiscono il governo del paese come un loro privilegio piuttosto che come un servizio, come un diritto del loro rango piuttosto che il frutto di un merito acquisito per competenza e confronto.

Vi è solo un modo per imporre ai partiti di cambiare. Ed è quello di legare il cambiamento al loro finanziamento economico.

Il finanziamento pubblico dei partiti – non certo nelle spropositate dimensioni attuali – resta la modalità migliore di approvvigionamento economico degli stessi, in quanto riduce al minimo la tentazione che questi vadano a cercare i soldi che sono necessari alle loro attività, alla propaganda e al mantenimento delle loro strutture, presso quelle lobby o quei potentati economico finanziari che ben volentieri li foraggerebbero, salvo condizionarne poi scelte e libertà.

Molto meglio allora che lo Stato versi ai partiti il giusto ma che lo faccia pretendendo, in cambio, il rispetto di regole precise.

Basterebbe prevedere che al finanziamento pubblico accedano soltanto quei partiti che celebrano al proprio interno una piena vita democratica, svolgendo con regolarità, congressi dai livelli territoriali più bassi fino alla direzione nazionale.

Ugualmente, si dovrà stabilire che al finanziamento pubblico, accedano soltanto partiti che hanno, nel proprio statuto, la previsione di un limite massimo inderogabile di anni di mandato parlamentare (potrebbero esseri quindici anni, equivalenti a tre legislature intere) ed un limite ai mandati di governo, potrebbero essere due. Tanto, quello che uno ha da dare o da dire alla collettività, se non è riuscito a farlo in quindici anni da parlamentare oppure in dieci al governo, c’è da pensare seriamente che non lo farà mai più.

Il secondo tema è quello della questione morale all’interno dei partiti ed è un tema drammatico, purtroppo, in quanto gli episodi di malgoverno, di malversazione, di concussione o di corruzione di uomini politici nazionali e locali, a destra come a sinistra, non conoscono sosta, come dimostrano gli ultimi episodi...

Quella che si vede è una desolante omologazione per cui, in mezzo a persone perbene, di una parte politica o dell’altra, che purtroppo non hanno mai avuto il coraggio, la forza o, forse, l’opportunità di imporre un’etica ferrea del bene comune all’intero sistema della politica, si annidano, in modo ugualmente trasversale, tanti faccendieri che vivono la politica come una scorciatoia per l’arricchimento personale, che piegano il fine pubblico ad interessi privati oppure che confondono la funzione pubblica che sono chiamati a ricoprire per un certo tempo con un potere proprio e di natura personale.

La politica di cui oggi l’Italia ha bisogno non può non mettere in conto anche una lotta senza quartiere alla corruzione ed al malaffare.

Si deve quindi prevedere, anche in questo caso, una normativa che sottragga ai partiti ed ai loro statuti la discrezionalità della decisione sulla possibilità che persone che si sono macchiate di comportamenti riprovevoli possano continuare a ricoprire incarichi pubblici.

- Una prima norma dovrebbe riguardare l’incandidabilità dei condannati.

Chiunque commette un reato, definitivamente accertato, di grave natura o un qualunque reato contro la pubblica amministrazione o tale da recare preguidizio patrimoniale allo Stato, è interdetto, a vita, come pena accessoria, da ogni carica elettiva.

In altre parole chi ha già rubato una volta, dopo aver pagato il suo debito con la giustizia, faccia quello che vuole, gli auguriamo buona fortuna e tante soddisfazioni, ma eleggerlo ancora no. Abbiamo già dato!

- Una seconda norma dovrebbe riguardare l’assunzione di incarichi di governo. Tale norma dovrebbe stabilire che chiunque è stato rinviato a giudizio per reati contro la pubblica amministrazione oppure per gravi reati contro il patrimonio dello Stato, non può assumere incarichi di governo a qualsiasi livello, sia locale che di governo nazionale, fino alla positiva definizione del suo processo.

Ancora una volta il principio è chiaro. Il garantismo e la presunzione di innocenza sono valori assoluti, ma anche la fiducia che i cittadini devono avere nel fatto che chi li governa agisca con onestà e integrità e sia persona retta e proba è un valore assoluto e nel conflitto tra i due valori deve prevalere quello di interesse collettivo.