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IMPUTATO BERLUSCONI, SI ACCOMODI!

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Non c’è due senza tre. 2003, 2009, 2011: stessa spiaggia stesso mare. Chissà se le mosche cocchiere del premier, gli ineffabili onorevoli avvocati, si daranno finalmente pace. Il legittimo impedimento è incostituzionale, Berlusconi è parzialmente impedito, a rimediare la parzialità ci penserà il referendum di Italia dei Valori. La Consulta, a larga maggioranza, boccia l’autocertificazione di palazzo Chigi e, Silvio dà fuoco alle polveri. E’ stupefacente, grottesco e per certi versi patetico, come ad ogni sonora bocciatura, Silvio Berlusconi metta in scena lo stesso identifico armamentario linguistico e prepari i cannoni mediatici di Navarone. Il 7 ottobre 2009, qualche secondo dopo la bocciatura del Lodo Alfano, aveva gridato: “Andiamo avanti a governare. Con undici giudici di sinistra, eletti da tre capi dello stato di sinistra, era impossibile che lo approvassero. Il 72 per cento della stampa è di sinistra. Abbiamo tutte le trasmissioni di approfondimento della tv pubblica, pagata con i soldi di tutti, che sono di sinistra. Gli spettacoli comici ci prendono in giro. La Corte costituzionale non è un organo di garanzia ma un organo politico”. E poi, non pago, aveva sparato ancora: “I processi a mio carico sono autentiche farse. Io sottrarrò qualche ora alla cosa pubblica per andare a sbugiardare tutti i giudici”. E poi aveva argutamente concluso: “quale è la sintesi? Meno male che Silvio c’è! Queste cosa qua a me mi caricano. Viva l’Italia, viva Berlusconi!”. Poi sappiamo come è andata. Si è guardato bene dall’andare a sbugiardare i giudici. Di tempo alla cosa pubblica ne ha sottratto eccome, ma per trascorrerlo con le sue Ruby rubacuori, Noemi, Patrizie D’Addario, e via discorrendo. E’ di oggi la notizia che Silvio Berlusconi è indagato per prostituzione minorile e concussione, nell’ambito della vicenda Ruby. Nel frattempo, ha ordinato alle sue mosche cocchiere di darsi da fare, sfornandogli una altra bella leggina. Un anno e qualche mese dopo, ahimé, ci risiamo. 14 gennaio 2011. La Consulta boccia di nuovo lo scudo stellare e puntuale riparte l’assalto, un po’ più composto ma sempre gagliardo. L’età e le delusioni d’altronde sono quelle che sono. “I processi a mio carico sono ridicoli”. “Da quando sono sceso in campo lo sanno tutti che è in atto una persecuzione politica da parte dei magistrati di sinistra”. “Andrò in televisione e sui giornali a spiegare di cosa si tratta, ossia di accuse infondate”. “L’ho giurato sui miei figli e sui miei nipoti: non si possono trovare giudici che oseranno dare una condanna su fatti che non esistono”. “Il governo va avanti perché l'Italia ha bisogno di tutto tranne che di elezioni anticipate. Io sono un perseguitato”. Il ritornello è sempre lo stesso, una melodia trita e ritrita, incupita da qualche anno e qualche fantasma in più. Si sia pace Berlusconi. Si rassegnino le sue mosche cocchiere. Che i processi riprendano e che la giustizia faccia finalmente il suo corso.

FLI: F(ottono)L’I(talia) … MA SENZA ENFASI!

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Dunque sarà sì ma senza enfasi. Un sì diverso, di portata rivoluzionaria, che “ spezzerà le reni” a questi ultimi 15 anni di dittatura berlusconiana. I finiani, per bocca di Maurizio Saia, hanno annunciato il loro sì al lodo costituzionale ma lo faranno senza enfasi. Ecco svelato il quarto mistero di Fatima, il significato profondo della svolta di Mirabello: il Fli, dopo la diaspora dal Pdl, la nascita di un nuovo partito, la guerra a colpi di dossieraggio, voterà l’ennesima legge ad personam di Berlusconi, quello che mette al riparo il presidente del Consiglio dai suoi processi, ma lo farà poco poco, piano piano, come Veltroni nell’arguta e geniale imitazione di Maurizio Crozza. Io non so cosa ne pensiate voi ma per me la svolta di Mirabello è una sonora presa per i fondelli. Mi arrovello da ieri per capire come sia “un sì senza enfasi”. Le ho pensate tutte. Forse si tratta di un sì ma sfiorando il tasto della propria postazione in parlamento delicatamente, in maniera soft, leggero come una piuma. O forse si tratta di un sì ma con la smorfia, magari che ne so con la bocca storta, come quando un amico ci pesta un piede vorremmo urlare ma ricacciamo l’urlo in gola per non umiliarlo. O forse, mi suggerisce un’amica, trattasi di un sì ma con il naso arricciato, come quando nell’aria arriva un odorino non proprio gradevole e dobbiamo fare buon viso a cattivo gioco. O forse, sparo l’ultima ipotesi,  è un sì buddista, mistico ed ascetico, come quello di Siddhartha Gautama in meditazione sotto l’albero della bodhi, nel momento del risveglio spirituale. Per quanti sforzi faccia, e non sono di stretta osservanza manichea, in politica esiste solo sì e no, ed il sì ma senza enfasi di Fini e del Fli, perdonate la personale licenza poetica, è una colossale stronzata. Un sì è un sì e quella del Fli è ipocrisia, di maniera e di sostanza: stanno servendo, su di un piatto d’argento, l’unica cosa che sta a cuore a Berlusconi, il proprio personale salvacondotto. Ma non è tutto. Anche sui temi etici scricchiolano le granitiche certezze. Ieri, Benedetto della Vedova, radicale, passato dal Pdl al Fli, parlando di fecondazione, ha detto che il Fli su questo tema “non si pone come gruppo”. Ah no? Ecco la svolta di Mirabello: sofismi gattopardeschi, sì senza enfasi, prese per i fondelli di chi annuncia di voler spezzare le reni a Berlusconi, in senso figurato s’intende, ma lo farà senza enfasi, “poco poco, piano piano”. Fottono l'Italia, ma senza enfasi.

COSI’ IL RE DEGLI APPALTI COMPRO’ CASA A SCAJOLA

ScajolaScajola

E’ di oggi la notizia che, il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, ha ricevuto in regalo da Anemone, il manovratore dei grandi eventi, il costruttore che ha fatto affari con gli appalti del G8, membro onorifico della cricca Balducci&Della Giovampaola, un appartamento di prestigio. Il fatto risalirebbe a quando Scajola era ministro dell’Attuazione del programma, dopo essere stato ministro dell’Interno fino al luglio 2002, quando si era dimesso aver pronunciato la vergognosa frase contro Marco Biagi, il giuslavorista assassinato a Bologna dalle Brigate Rosse. Secondo gli inquirenti, sarebbe stato provvidenziale per l’acquisto della casa un assegno, anzi 80 assegni che, il costruttore Anemone, attraverso il suo architetto di fiducia Zampolini, avrebbe messo a disposizione del ministro. L’architetto avrebbe versato sul suo conto 900 mila euro che poi avrebbe trasformato in 80 assegni circolari intestati alle proprietarie dell’appartamento che il ministro Scajola avrebbe poi acquistato. All’architetto fu ordinato di fare così dallo stesso Anemone. Sostiene davanti agli inquirenti di non aver fatto domande sul perché un costruttore dovesse contribuire per i tre quinti all’acquisto della casa di un ministro. La vicenda è parecchio ingarbugliata ma una cosa è chiara ai magistrati che stanno indagando: per l’acquisto della casa di Scajola, 600 mila euro ce li ha messi direttamente lui – accendendo un mutuo si difende il ministro – il resto ce li ha messi Anemone. Il Pdl, o quel che ne rimane, ha aperto le danze, ovvero, la difesa d’ufficio del ministro Scajola. Parlano di sconcertante attacco, di una famiglia come gli Scajola onesta lavoratrice, di una casa comprata con i risparmi di una vita, di manovre mediatiche per intimidire l’avversario, insomma, il solito armamentari del centrodestra. Lui, Scajola, dice di non lasciarsi intimidire, che nella vita possono capitare cose incomprensibili, di un attacco infondato, di oscuri manovratori e disegni preordinati. Lo ha detto anche oggi al Tg1, senza che però si capisse bene quali accuse vengano mosse al ministro. Si è capita solo la difesa. Se corruzione c’è stata sarà la magistratura a dirlo. Certo è che la circostanza non è più un’ipotesi investigativa ma un’evidenza confermata dalle dichiarazioni dell’architetto coinvolto nella vicenda.  Noi chiederemo al ministro Scajola di chiarire in Parlamento la sua posizione. Se non è in grado di farlo o non vuole, o non può. E allora dovrebbe avere la dignità di dimettersi. Ma non c’è problema. E’ tutto sotto controllo. Entrano i ministri, come nel legittimo impedimento, escono i presidenti di Camera e Senato. Lo prevede il nuovo lodo Alfano, o lodo Gasparri, o Gasparri-Quagliariello. Obiettivo, fermare, quando saranno scaduti i 18 mesi del legittimo impedimento, i processi Mills, Mediaset e Mediatrade. Ma non serve solo a lui, all’epuratore Silvio. Il lodo Alfano costituzionale potrà tornare utile, all’occorrenza, anche a qualche ministro.

NAPOLITANO UNICO E ULTIMO ARGINE

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Con l’approvazione definitiva della legge sul legittimo impedimento, abbiamo assistito all’ennesima sciagura istituzionale. La maggioranza ha approvato un’altra legge illegale ancor più che incostituzionale. Questo provvedimento è l’ennesimo schiaffo alla Corte Costituzionale che, con precise motivazioni, nemmeno due mesi fa, ha sonoramente bocciato il Lodo Alfano che aveva sostanzialmente gli stessi effetti: istituire uno scudo per impedire che Berlusconi e i suoi ministri venissero processati. Un Lodo Alfano Bis, insomma, con valenza temporanea. L’Italia dei Valori continuerà a dare battaglia. Proseguiremo con l’opposizione dura e decisa, in tutti i modi e con tutti i mezzi a nostra disposizione, a cominciare dalla piazza di sabato a Roma. Per il resto rimane solo un altro passaggio decisivo: la firma di Napolitano. Non voglio tirare per la giacchetta il presidente della Repubblica, ma davvero, dal profondo del cuore, mi domando: in questo paese, dove ormai tutte le istituzioni e gli organi di garanzia sono stati delegittimati e travolti dal presidente del Consiglio, chi altri, se non Napolitano, può restare a difendere e tutelare i valori della Costituzione? Mi rendo conto che i poteri del presidente della Repubblica sono parziali e limitati. Che Napolitano è una sorta di Davide con la sua fionda contro un Berlusconi, Golia, violento e spregiudicato. Ma, quando in un paese c’è un governo che viola le leggi e le istituzioni, che approva norme incostituzionali, deve pur esserci qualcuno che si alza e dice: “Questo è troppo”. Bisogna tenere presente che un rifiuto, una bocciatura proveniente dal presidente della Repubblica avrebbero un valore istituzionale altissimo. In questi anni di governi Berlusconi tante sono le leggi che non sono state controfirmate dai presidenti della Repubblica. Ogni loro rifiuto è sempre stato un atto tutt’altro che formale, che ha creato diversi problemi politici alle maggioranze che in quel momento erano in Parlamento, tanto che nessuna di esse ha mai potuto esimersi dal cambiare la propria rotta. Io credo che questo sia il momento in cui Napolitano è chiamato ad una scelta decisiva. Credo debba affrontare anche il rischio di restare travolto dalla macchina da guerra berlusconiana, tenendo ben presente che la fionda di cui egli dispone è un’arma minuta ma formidabile. Spero che questa volta si comporti diversamente da quanto fece in Campania in occasione dell’approvazione dello scudo fiscale (guarda il video), quando disse ad un cittadino: “Se io non firmo oggi il Parlamento approva un’altra volta quella legge e io sono obbligato a controfirmarla”. Ci rendiamo conto che chiediamo a Napolitano di andare a un confronto durissimo, ma il Presidente della Repubblica non può ignorare il fatto che i valori costituzionali non sono comprimibili o negoziabili e il suo ruolo gli impone di difenderli a qualunque costo. Ora abdicare significherebbe cedere alle prospettive di conflitti e tensioni sociali, piegarsi al degrado di un confronto civile e politico. Napolitano è l'ultimo ed unico argine alle tentazioni antidemocratiche e autoritariste di questo Governo.
 

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IL PARTITO E IL MINISTERO DELL'AMORE

 George Orwell, 1984George Orwell, 1984  Mi spiace, sarò cattivo in questo Natale alla melassa, ma quando ho sentito il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, invocare il partito dell’amore, un brivido mi è corso lungo la schiena. Mi è venuto in mente quanto ha ricordato oggi anche Lucia Annunziata su "La Stampa": il terribile Ministero dell’Amore di George Orwell in 1984…“Fra tutti il ministero dell’Amore era quello che incuteva un autentico terrore. Era assolutamente privo di finestre. Accedervi era impossibile, se non per motivi ufficiali, e anche allora solo dopo aver attraversato grovigli di filo spinato, porte d’acciaio e nidi di mitragliatrici ben occultati.Anche le strade che conducevano ai recinti esterni erano pattugliate da guardie con facce da gorilla, in uniforme nera e armati di lunghi manganelli…”.Il ministero dell’Amore è uno dei quattro ministeri che coadiuvano il Grande Fratello nel governo dell’Oceania. Si occupa di reprimere ogni sintomo di dissenso contro il Grande Fratello e contro il Socing, il partito che governa dispoticamente l’Oceania.Il suo nome è paradossale, così come paradossale è il partito dell’amore di Berlusconi. Da una parte, infatti, il premier invoca il partito del “volemose bene” come base per la ricostruzione di un clima di concordia nazionale, humus ideale per le riforme istituzionali. Dall’altra, con una strategia precisa e dagli obiettivi inequivocabili, ovvero tirarsi fuori dai suoi guai giudiziari, piega il Parlamento, ormai ridotto a Zittamento. Basta guardare il calendario dei lavori parlamentari di gennaio. Ecco le priorità del governo: legittimo impedimento, processo breve e lodo Alfano per via costituzionale. Il tutto coadiuvato dai “portavoci a vario titolo” del partito dell’amore, che dicono chiaramente e senza mezzi termini che sulla giustizia andranno avanti anche da soli.Allora, mi domando, di cosa stiamo parlando, a cosa dovrebbe servire questo ruffiano ed ipocrita partito dell’amore, quali siano le basi sulle quali dovrebbe germogliare l’amore tra maggioranza ed opposizione. Qui c’è una maggioranza che vuole farsi da sola la riforma della giustizia, per mettere il premier al riparo dai suoi guai, ma che poi vuole dialogare con l’opposizione su non si sa bene quali riforme. Le chiacchiere, come dice qualcuno, stanno a zero e Berlusconi, si sa, non è uno statista. Le riforme che ha in testa sono solo quelle a suo uso e consumo ed il partito dell’amore è solo un atto di cesarismo. Con l’amore non si ottiene uno stato più efficiente. Con l’amore non si restituisce ai cittadini assistenza e beni all’altezza delle tasse pagate. Con l’amore i cassintegrati, i disoccupati, gli operai licenziati non arrivano alla fine del mese. Di questo vogliamo parlare e di queste riforme vogliamo discutere in Parlamento. Ma nella famigerata stanza 101, nelle segrete del ministero dell’Amore, l’obiettivo è un altro e solo gli ingenui possono pensare che si tratti del bene del Paese.    

I POTERI DEL PRESIDENTE VANNO E VENGONO

Ciampi-NapolitanoCiampi-NapolitanoPoche settimane fa il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha controfirmato la legge sul condono fiscale, una legge profondamente sbagliata perché favorisce ladri, evasori, mascalzoni e criminalità organizzata.Rispetto a quella firma,  Di Pietro si indignò  perché la ritenne un atto di abdicazione e di resa, un atto di svilimento delle prerogative costituzionali e presidenziali, proprio in virtù delle spiegazioni che lo stesso presidente ebbe a dare ad un ignaro cittadino, durante una visita ufficiale in quel di Matera. “Chiedermi di non firmare non significa niente – disse Napolitano – nella costituzione c’è scritto che il presidente promulga le leggi. Se non firmo oggi il Parlamento rivota un’altra volta la stessa legge ed è scritto che a quel punto io sono obbligato a firmare”. Fu questa l’affermazione che Di Pietro contestò giustamente ma con toni forse eccessivi, tanto da pentirsene qualche tempo dopo pubblicamente. Nei giorni successivi alla promulgazione dello scudo fiscale, molti commentatori illustri intervennero a sostegno di Napolitano. Il presidente della Repubblica non ha potere di veto, scrissero tutti. Come a dire, è la solita Italia dei Valori che le spara grosse.Oggi, alla vigilia dell’ennesima legge ad personam, la sfascia-processi, è un ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, a dire che “se una legge non va, non si firma”. E che “non si deve usare come giustificazione il fatto che il presidente poi comunque è costretta a firmarla”. “Respingere una legge sbagliata è un modo per lanciare un segnale forte a chi vuole alterare le regole”. Arriva addirittura a citare Francesco Saverio Borrelli “Oggi l’unica regola per chi ha a cuore le istituzioni è resistere”. Parole pesanti, di alto spessore politico, proprio perché giungono da un presidente emerito e che, come a nessuno può sfuggire, ribadiscono la stessa critica avanzata a suo tempo da Di Pietro.Improvvisamente, però, illustri “commentatori pret a porter”, quegli stessi che ebbero a dirne di tutti i colori a Di Pietro, oggi riscoprono il valore del potere del presidente della Repubblica. E allora, tutti giù a scrivere che bocciare una legge non è inutile, che il rinvio non è un gesto vano e che va fatto a prescindere dalla possibile riapprovazione del Parlamento. Insomma, tutti improvvisamente danno ragione a Ciampi.Viene da chiedersi come mai la stessa identica critica susciti opinioni così diametralmente opposte. Viene forte il dubbio che i fatti o le opinioni non vengano giudicati con lo stesso metro, per via di irragionevoli ed inespugnabili pregiudizi.In questo Paese, ahimè, la verità in politica è un lusso che non tutti si possono permettere e la verità è l’unico vizio per il quale si paga sempre dazio.