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L'ICI ALLA CHIESA NON E' UN TABU'

Abbiamo sempre detto che avremmo valutato il governo Monti sulla base di fatti concreti. Lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo. Con serietà e concretezza, senza preconcetti certo, ma anche senza alcuna sudditanza. Prendiamo atto, con piacere, che c’è una novità importante nei rapporti tra Stato Italiano e Vaticano, negli ultimi anni fortemente condizionati dalla strumentalità del governo Berlusconi che ha fatto dei rapporti con le gerarchie cattoliche uno strumento di campagna elettorale.

La novità è che si sta pensando ad un nuovo regime fiscale per gli immobili ecclesiastici. E da nessuna parte si stanno alzando muri o costruendo barricate. Il governo sembra intenzionato a far pagare alla Chiesa l’Ici sugli immobili commerciali esentando naturalmente quelli di culto.

Siamo d’accordo. La nostra, chiaramente, non è una posizione ideologica, perché abbiamo grande rispetto per le attività sociali, solidaristiche e caritatevoli della Chiesa, che spesso svolge importanti compiti di supplenza alle mancanza del welfare statale. E’ una posizione di equilibrio e di buonsenso.

L’Europa ha aperto nel 2010 un’indagine sugli aiuti di Stato italiani alla Chiesa e alle sue attività imprenditoriali e commerciali. Per Bruxelles si tratta di privilegi che favoriscono attività che operano al di fuori del sistema della concorrenza. In ogni caso non si comprende per quale motivo delle attività imprenditoriali che generano profitto e che non hanno scopi benefici debbano essere privilegiate rispetto a tutte le altre.

Con l’attuale regime lo Stato italiano ha rinunciato a centinaia di milioni di entrate ogni anno. Miliardi non incassati che alla luce dell’attuale stato di crisi, rappresentano un buco nero difficile da giustificare, anche per la Chiesa. La nota politica più positiva di questo nuovo corso è stata il dialogo e il superamento di una fase in cui i rapporti tra Stato e Chiesa erano modulati sulla base di interessi economici e politici.

PAOLA HA DETTO SI. E IO LE DICO GRAZIE!

Oggi, sfioro un argomento diverso. Volutamente. Qualche giorno fa, Paola Concia ha sposato nel municipio di Francoforte, in Germania, Ricarda, la sua fidanzata. Le avrei fatto gli auguri in privato, così come merita un'occasione del genere. Invece, ieri, il quotidiano cattolico Avvenire, in un editoriale, ha bollato le nozze come un caso politico, più che un matrimonio. Una scelta, secondo Avvenire, fatta più per scatenare l'ennesimo sterile scontro. Pur rispettando il privato dell'onorevole Concia e i sentimenti in gioco, secondo il quotidiano dei Vescovi italiani, bisogna chiedersi per quale motivo debbano farsi pretesto per il solito polverone propagandistico e il solito caso ad orologeria. Paola e Ricarda hanno deciso di amarsi e di vivere insieme? In Italia non c'e' una legge che lo impedisce. Anzi, ci sono norme del diritto civile che tutelano e regolano i diritti dei singoli e i loro rapporti. E' davvero cosi' stravagante la nostra Costituzione che riconosce e regola la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna?. L'intromissione di Avvenire, secondo quanto è scritto nell'editoriale, è giustificata dal fatto che se l'onorevole Concia non avesse deciso di dare al suo gesto massima e ostentata visibilità. Addirittura attraverso la vendita dei diritti della cerimonia tedesca ad una rivista. Una scelta "aderente ai peggiori modelli mediatici e commerciali che, da parte di una donna di sinistra, alternativa e controccorente, francamente delude un po'. Ebbene, chi delude in questo caso non è l'onorevole Concia che, per quanto ne sappiamo e ne sa Avvenire, potrebbe aver devoluto i diritti di quelle immagini in beneficienza senza volerne dare di contro pubblicità. Detto questo, chi deve uscire dal ghetto, chi deve affermare un diritto ha bisogno di gesti eclatanti, ha bisogno di colpire l'opinione pubblica. Quelle foto del matrimonio, dunque, di Paola Concia e di Ricarda sono un segnale di libertà, un incitamento al coraggio per chi non ha la loro fortuna e ancora combatte tra mille pregiudizi e subisce atti di omofobia. Io non so a quale norme del diritto civile che tutelano e regolano i diritti dei singoli e i loro rapporti diritto si riferisca Avvenire. Il punto non è la spiegazione un po' ipocrita che a Paola e Ricarda non si impedisce in Italia di amarsi e di vivere insieme. Ci mancherebbe altro. Il punto è che in Italia si impedisce a Paola e Ricarda di potersi sposare, di estendere l'una all'altra i diritti di una coppia sposata, reversibilità della pensione e assistenza. Questo si impedisce in Italia. Per questo, dico grazie a Paola e Ricarda. Auguri di un sereno e felice matrimonio, con l'augurio che prima o poi anche in Italia sia possibile celebrare matrimoni come il vostro.

LIBERA CHIESA IN LIBERO STATO. MA DOVE?

 

In Italia la maggior parte delle scuole private sono cattoliche. Il governo ha tagliato i fondi alla scuola pubblica ma non ha toccato quella privata, vale a dire non ha toccato le scuole cattoliche. In Italia, la Chiesa detiene il 22% del patrimonio immobiliare nazionale. Oltre un quinto del patrimonio immobiliare italiano fa capo alla Chiesa: 200 mila posti letto sono gestiti da religiosi, con 3.300 indirizzi, tra case per ferie, hotel, centri di accoglienza per pellegrini. Il giro d’affari è stimato in 4,5 miliardi. Solo a Roma sono 5.000 i posti letto ufficialmente disponibili in ex conventi e collegi religiosi. Nulla contro la Chiesa e la sua funzione sociale svolta dalle parrocchie e dagli altri enti cattolici, nulla neppure con tante delle attività che molti soggetti cattolici svolgono in linea con lo spirito missionario. Ma bisogna fare delle distinzioni. Certamente non siamo contro l'agevolazione da parte dello stato alla Chiesa, ma il Governo non può saccheggiare risorse, già limitate come per esempio quelle del 5 per mille, e poi utilizzare i pochi fondi che ci sono continuando a deviarle alla Chiesa che attinge già da più parti. Un esempio è quello che è successo con l'Ici. Il Governo Berlusconi ha esentato la Chiesa dal pagamento dell’Ici sul patrimonio immobiliare del Vaticano cosa che non ha senso se tra quelli che non dovranno più pagare  ci sono anche esercizi commerciali o ristoranti. Inoltre, un conto è agevolare le scuole paritarie, un altro è tagliare le risorse alla scuola pubblica e lasciando intatti quelli alle scuole cattoliche, perchè, caro ministro Tremonti, se i soldi non ci sono non per tutti. Entro il 13 dicembre di quest’anno, poi, la Commissione bilancio deve esprime il suo parere sulla distribuzione della quota complessiva dell’8 per mille devoluto allo Stato che, per il 2010, è di circa 145 milioni di euro. I soldi sono stati così ripartiti: 5 milioni per 40 interventi a favore della lotta contro la fame nel mondo, 11 milioni per 13 progetti di assistenza ai rifugiati, 20 milioni per 22 interventi a favore delle popolazioni colpite da calamità naturali e, infine, 107 milioni di euro per 262 interventi volti a conservare beni culturali. Ma c’è un “ma” grande come una casa. Nella voce “conservazione dei beni culturali”, infatti, la maggior parte degli interventi concerne il restauro di chiese e conventi, spesso richiesto da parrocchie ed ordini religiosi. Si tratta di 105 interventi, pari al 40% degli totali. La somma impiegata è pari a circa 66 milioni di euro, ossia il 61% della somma destinata alla conservazione dei beni culturali e al 46% della quota complessiva riservata allo Stato. Non è una novità. Già nel 2009 la deviazione dei fondi spettanti allo Stato verso la Chiesa cattolica fu ingente. Silvio Berlusconi, reduce dall’incidente diplomatico del 28 agosto, dispose che i 10 milioni di euro assegnati al capitolo beni culturali fossero finalizzati a interventi in favore di 26 immobili ecclesiastici. Persino i deputati del centrodestra in commissione Bilancio di Montecitorio storsero il naso, contestando carenze ed incongruenze ma il copione sta per andare di nuovo in scena. Eppure Santa Romana Chiesa, proprio riguardo all’8 per mille, la fa già da padrone, in virtù del concordato del 1984 e anche grazie ad un’opzione che stabilisce che l’otto per mille di quei cittadini che non firmano viene ridistribuito secondo le percentuali calcolate in base a chi ha espresso la scelta. Con tutto il rispetto per Santa Romana Chiesa, già ampiamente beneficiata, perché lo Stato deve dare due volte? Perché con l’ingente somma che la Chiesa già introita grazie all’8 per mille non provvede da sola al restauro dei suoi beni culturali? Italia dei Valori, il prossimo 13 dicembre, in Commissione bilancio chiederà che, tali risorse siano destinate a ripristinare il fondo del 5 per mille al volontariato, brutalmente taglieggiato dal ministro Tremonti. Dalle parole ai fatti.

GHEDDAFI, SPETTACOLO OLTRE OGNI LIMITE

In una Roma ancora assopita dalle ferie estive che volgevano al termine, è andato in scena ieri lo spettacolo semiserio della visita di Gheddafi. Non mancava nulla rispetto alla pagliacciata cui il leader libico è abituato. Dal codazzo di amazzoni, alla portentosa auto bianca, la tenda, le centinaia di cavalli, il pubblico di sole donne, pagate per star lì ad ascoltare i vaneggiamenti di chi ieri ha davvero superato se stesso e ogni limite. "L'Islam deve diventare la religione di tutta l'Europa" ha avuto l'ardire di affermare nel cuore più vivo del cattolicesimo, scatenando le reazioni niente di meno che della stessa maggioranza di governo. Qualcuno, tra i berlusconiani più fedeli, si è sentito talmente oltraggiato dal fanatismo del leader libico, che ha addirittura avuto il coraggio di esprimere pubblicamente la propria disapprovazione, con Palazzo Chigi che si affrettava a minimizzare dicendo che "non c'è nessun oltraggio, è solo folklore " e, soprattutto, che "le commesse che il governo ha concordato con i libici hanno aiutato le imprese italiane a fronteggiare la crisi". Di fronte a ciò che l'accordo con la Libia rappresenta per il nostro paese, insomma, ogni cosa passa in secondo piano per il governo, addirittura quel rapporto con il Vaticano cui tanto tiene. Anche la Lega trova i propri buoni motivi per restare in silenzio, a parte poche, flebili, voci di dissenso che rimangono in secondo piano. Il Carroccio ha l'obbligo di restare zitto perché grazie ai libici è stato possibile bloccare gli sbarchi dei clandestini sulle coste italiane. E' la solita coerenza del governo, quella cui questo esecutivo ci ha abituati, quella che funziona al contrario. Niente di cui stupirsi, dunque, nelle mancate reazioni allo sfoggio di onnipotenza fornito ieri da Gheddafi, anche nel parlare della libertà delle donne in Libia, con la stessa faccia tosta con cui il cavaliere di casa nostra invoca l'amore che vince sempre sull'odio. Ora, posso capire che in un momento di crisi economica come quello attuale, un governo, spinto da doveroso spirito di responsabilità nazionale, debba tentare il tutto per tutto pur di aprire nuovi scenari alle imprese del proprio paese. Resta però un limite da rispettare, un livello etico oltre il quale un governo serio non dovrebbe andare e l'impressione è che quel limite ieri sia stato ampiamente oltrepassato.

PROPAGANDA FIDE NON FA RIMA CON FEDE

 

Cardinale Crescenzio SepeCardinale Crescenzio Sepe

E’ di questi giorni la notizia che il cardinal Sepe è indagato a Perugia in quanto si sospetta un suo coinvolgimento nel sistema gelatinoso della cricca, lo spaventoso intreccio tra affari e politica che sta delegittimando le istituzioni e la classe dirigente di questo Paese. Propaganda Fide non è, come qualcuno può aver erroneamente pensato leggendo i giornali in questi giorni, l’agenzia immobiliare del Vaticano, ma il dicastero che si occupa dell’attività missionaria e coordina l’opera di evangelizzazione dei popoli. Ed è proprio qui che ritengo indispensabile aprire una riflessione. Non voglio esprimere sentenze di condanna anticipate. Anzi, mi auguro che il Cardinale Sepe chiarisca al più presto e pienamente la correttezza dei suoi comportamenti. Resta comunque il fatto che, quando ruoli chiave ed importanti della Chiesa vengono affidati a uomini “più a vocazione temporale che pastorale”, in un Paese come il nostro dove i legami e gli intrecci tra Stato e Chiesa sono così numerosi e rilevanti, si creano delle distorsioni non solo pericolose per la legalità ma ancora più per l’immagine della Chiesa stessa. Che si tratti dello scandalo dello Ior e di Marcinkus, oppure della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e le relazioni pericolose del cardinale Sepe, è evidente che tanto lo Stato quanto la Chiesa devono compiere ogni sforzo di trasparenza perché queste degenerazioni non si ripetano e perché Stato e Chiesa restino realtà collaborative ma distinte e distanti. Da questo punto di vista, ritengo importanti le parole importanti e non rituali di papa Ratzinger pronunciate ieri, quando ha detto che il sacerdozio non è un mezzo per raggiungere il potere e per realizzare ambizioni personali. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole raggiungere un proprio successo sarà sempre  schiavo di se stesso e dell'opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare, dire quello che piace alla gente, dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità. Spero che il buon esempio, quello che lo Stato non riesce a dare nominando ministro Aldo Brancher per non mandarlo in tribunale, sia capace di darlo la Chiesa.

Difendiamo la vita, le donne e la laicita'

La verità sulla 194La verità sulla 194

Anatema anatema: non votate per chi difende l’aborto, votate per la vita. Così il cardinale Bagnasco è sceso in campagna elettorale a quattro giorni dal voto. Certo, il presidente della Cei ha tutto il diritto di esprimere la posizione della Chiesa sul tema, ma c’è una cosa che non mi convince. Cosa c’entra l’aborto con le elezioni amministrative per il rinnovo di comuni, province e regioni? Niente perché è materia di competenza nazionale. E’ evidentemente una mano tesa alle traballanti liste del centrodestra. Un inaccettabile attacco a due candidate in particolare: Merceds Bresso e soprattutto Emma Bonino, colpevoli soltanto di aver espresso oggi come in passato la loro opinione e di aver fatto sclete politiche conseguenti. Scelte che, perlatro, non entrano in nessun modo oggi in campagna elettorale. Proviamo, tanto per ristabilire un minimo di verità, a fare qualche considerazione al di fuori delle barriere ideologiche e religiose. Analizzando un po’ i dati emerge con chiarezza che difendere la vita significa difendere la legge 194 sull’aborto, entrata in vigore nel 1978. Checché ne dica Bagnasco. Fino ad allora, l’interruzione volontaria di gravidanza era vietata e le donne che intendevano abortire e che non potevano permettersi costosissimi interventi all’estero, dovevano ricorrere clandestinamente a medici compiacenti in strutture di fortuna o, peggio, alle cosiddette mammane. Il prezzo era altissimo: senza menzionare la mortificazione e la vergogna, in migliaia morivano ogni anno. Una vera tragedia, una pagina buia della nostra storia recente. Oggi, per fortuna, non è più così. E non dobbiamo tornare indietro per nessun motivo. I dati sull’andamento delle interruzioni di gravidanza sono chiarissimi e dimostrano che il trend dall’entrata in vigore della 194, è in costante diminuzione: dai 213.000 del 1980 ai 120.000 (80.000 donne italiane) attuali. In sostanza la legge sull’aborto ha drasticamente ridotto il ricorso all’interruzione di gravidanza. La vita si difende tornando al 1978? Io, caro Bagnasco, dico di no. Un paese civile e moderno difende la vita, tutela le donne e la loro dignità, non permette ai propri cittadini di tornare a pratiche medievali, a interventi sanguinolenti praticati con spilloni da mammane senza scrupoli. Allora difendiamo davvero la vita e diffondiamo la cultura della prevenzione per diminuire ancora di più il ricorso all’aborto. Interveniamo sulle cause socio-economiche, miglioriamo la 194, potenziamo i consultori e l’assistenza alle donne che devono sottoporsi ad un intervento traumatico che spesso lascia cicatrici permanenti. Spero di essere stato sufficientemente chiaro sul perché non si deve toccare una legge civile e moderna che ha migliorato l’Italia. Passo perciò a qualche considerazione più politica. Berlusconi è in difficoltà, le elezioni regionali non andranno bene per lui, non certo come si aspettava qualche mese fa. Questo intervento di Bagnasco così diretto e così plateale è l’ultima, ennesima dimostrazione della sua debolezza. Da solo non ce la fa più perché il governo è diviso, il Pdl, la sua creatura, è lacerato. La Lega del ‘fedele’ alleato Bossi lo insidia e pregusta il sorpasso nelle regioni del Nord. Per questo Berlusconi ha bisogno di stampelle. E questa rinnovata ‘santa alleanza’ col Vaticano capita a proposito. Come ogni cosa, però, ha il suo prezzo. E lo stabiliranno i vescovi, non Berlusconi, che tra l’atro ha parecchio da farsi perdonare: la separazione da Veronica, il caso Noemi, le feste a Palazzo Grazioli, la vicenda Patrizia D’Addario… Questo prezzo rischiamo di pagarlo noi italiani, con la perdita di un’altra quota di laicità dello Stato.

LA DISCESA IN CAMPO DI BAGNASCO

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   Ieri, il cardinal Bagnasco è sceso ufficialmente in campo in vista delle regionali e si è schierato in maniera inoppugnabile da una parte politica ben precisa. Anzi, è andato oltre. Con un discorso che non lascia spazio a dubbi o interpretazioni, ha separato le forme dai contenuti, stigmatizzando e condannando i toni duri di una parte politica, senza analizzare le ragioni o le cause che hanno determinato certe reazioni o parole. La sua dichiarazione di intenti politici ha operato una vera e propria rimozione dei fatti, per mettere la parole fine alle malefatte del premier.Il presidente della Cei, pastore di anime, monsignor Bagnasco, tra le pieghe di un finto appello alla politica ad abbassare i toni, ha colto lo spunto per additare “il pericoloso riaffiorare all’orizzonte di maestri nuovi del sospetto e del risentimento che, lanciando parole violente e ripetute, possono resuscitare mostri del passato”. Non ha rivolto un appello alle parti per invitare ad un clima e a un confronto politico più sereno e conciliante. Ha sposato la tesi di una parte politica, puntando il dito solo verso l’eccesso di toni di una parte, lasciando l’altra fuori da ogni responsabilità o addebito, come se fosse innocente od esente da colpe. E’ come se io, di fronte ad un omicidio, lanciassi un urlo di allarme e qualcuno, invece di prendersi la briga di fermare la mano assassina, sentisse primariamente l’urgenza di riprendere me che mi sono macchiato del grave delitto di aver urlato ad alta voce in pubblico.Non credo vi possano essere dubbi su chi siano i destinatari del messaggio di Bagnasco. E per capirlo, basta riascoltare l’intervento di Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera del Pdl, due giorni dopo il grave ed inqualificabile episodio di Milano. Colpisce come un pugno nello stomaco monsignor Bagnasco, presidente della Cei, che fa uso dello stesso modulo comunicativo del centrodestra, che parla con le stesse parole di Cicchitto, che sposa la tesi dei cattivi maestri, del partito dell’odio e del rancore, che evoca l’armamentario berlusconiano quando parla di responsabili politici dell’aggressione di Milano. Non si ferma qui, monsignore. Mette i puntiti sulle i anche per la corsa alla regione Lazio. Riporta, con astuzia e furbizia, al centro del dibattito per la corsa alla presidente della regione la pillola RU486 ed il testamento biologico. E la Bonino è servita.Speriamo di aver capito male. Nutriamo speranza che monsignore voglia chiarire il significato delle sue parole nei prossimi giorni, perché interventi come questi, alla fine dei conti, non favoriscono sereni rapporti tra Stato e Chiesa ma non aiutano neanche a rasserenare il clima tra maggioranza ed opposizione.

LA STUPIDA GUERRA SUL CORPO DELLE DONNE

Pillola RU486Pillola RU486 Sono, indignato, deluso, amareggiato. La decisione della maggioranza, Pdl e Lega, di bloccare l’utilizzo della pillola abortiva RU486 è insensata, sciocca, stupida per una serie infinita di ragioni. Indigna innanzitutto la motivazione “pseudoscientifica” che è alla base del respingimento, ovvero, perché non garantirebbe la salute delle donne. Prima colossale sciocchezza. La pillola RU 486 è stata approvata dall’Oms, dall’Ente europeo per il controllo dei farmaci e dall’Aifa e quindi introdotta progressivamente in quasi tutti i paesi europei, fatta eccezione per l’Irlanda ed il Portogallo. In Francia, dove è in uso da più di 20 anni, il numero degli aborti è diminuito.L’aborto per via farmacologia evita alla donna una serie di rischi per la salute che la strada chirurgica non le risparmia, per non parlare dell’aspetto psicologico. Ed arriviamo alla seconda ragione della mia indignazione profonda. Ancora una volta, la politica sceglie di non servire i cittadini ma altri padroni, quelli che stanno Oltretevere. Ancora un volta rinnega i suoi doveri di laicità e pianta bandierine ideologiche sul corpo delle donne le cui esigenze, bisogni, necessità e volontà vengono come sempre calpestate.Chi, come alcuni illustri esponenti di Governo, dice che la decisione parte dall’esigenza di tutelare la salute delle donne mente. La verità è che delle donne non gliene frega niente. Per loro, lanciare segnali antiabortisti a chi li attende è più importante di qualunque altra cosa ed è l’unica vera esigenza.Io credo che nessuna donna affronti con leggerezza un aborto e chi nega questo o è uno sciocco o non conosce le donne. Io credo che promuovere l’utilizzo di una tecnica alternativa di interruzione di gravidanza, ampiamente riconosciuta nella farmacologia dei paesi più avanzati, significhi rimettere alle donne e ai medici ogni decisione. Io credo che non sia mio dovere di legislatore passare al microscopio i sentimenti o le ragioni di chi si trova nella tragica necessità di dover abortire. Io credo che la tutela della salute dei cittadini attenga alla sfera del rapporto tra medico e paziente e che noi, come legislatori, abbiamo l’unico dovere di fornire ai cittadini gli strumenti più adeguati che la scienza mette a disposizione per le loro cure.Garantire l’uso della RU486 non significa promuovere l’aborto. Significa fare bene il proprio mestiere di legislatore al servizio dei cittadini, capace di mettere da parte i suoi valori e i suoi principi anche più profondi, ed indossare l’unica veste appropriata, quella della laicità.