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ALLE LEGGI IMMORALI SI DICE NO E BASTA

Oggi, su molti giornali, si è scatenata la bufera legata ad un emendamento del Pd al cosiddetto lodo Alfano costituzionale. In particolare, su alcuni mezzi di informazione, si scrive che questo emendamento “incomprensibilmente” estenderebbe i confini dello scudo penale già garantito nella versione del lodo Alfano predisposta dall’ineffabile coppia Ghedini-Alfano. Comprendo, e sono il primo a sostenere, che le antenne dell’opposizione devono essere sempre all’erta per contrastare le mille perfidie e perversioni legislative di Berlusconi e dei tanti berluschini di ritorno. Nella foga, però, bisogna stare attenti a non prendere fischi per fiaschi, sparando nel mucchio. Il dubbio mi è venuto leggendo che tra gli autori dell’emendamento vi è il senatore Felice Casson, della cui onestà intellettuale e correttezza sono pronto a mettere la mano sul fuoco, e della cui amicizia mi onoro da tanti anni. Per questa ragione, sono andato ad esaminare in dettaglio la questione. Va detto, innanzitutto, che questo emendamento non amplia di un millimetro l’ambito dello scudo previsto dal lodo Alfano costituzionale – che riguarda in entrambi i casi tutti i processi penali sia nuovi che vecchi - ma si limita a prevedere che per il capo dello Stato la sospensione dei processi sia automatica e non, come per il presidente del Consiglio e per i ministri, previamente autorizzata dal voto delle Camere. La logica di questo emendamento è evidente. Si vuole evitare che il capo dello Stato possa essere messo sotto scacco dalla minaccia della maggioranza parlamentare di autorizzare o meno la sospensione di un processo penale, non per ragioni di giustizia, ma solo con finalità di ricatto politico. Il problema dunque non è il contenuto dell’emendamento, che ha una sua logica, ma la strategia della cosiddetta “riduzione del danno” che i dirigenti del Pd adottano sempre, anche quando il parlamento è chiamato a ratificare leggi intrinsecamente e irrimediabilmente illegali, immorali e criminogene. E mi riferisco al lodo Alfano, al ddl intercettazioni e alle mille altre leggi ad personam che Berlusconi ci ha propinato in tutti questi anni. Il punto è che si può ridurre il danno di una brutta legge, allo scopo di migliorarla, ma che una legge immorale ed illegale tale è e resta, a prescindere dagli sforzi e da tutte le buone intenzioni di chi pensa di ridurre il danno. Insomma mai come in questo caso vale il detto che “di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno”. Ci sono leggi talmente inemendabili che le opposizioni dovrebbero avere solo il coraggio di dire no. E basta.

GOVERNO TECNICO: SI O NO?

Le fibrillazioni all’interno della maggioranza aumentano giorno dopo giorno. Ormai tra Berlusconi e Fini è guerra aperta. La maggioranza, intesa come coesione e condivisione di un progetto, non c’è più ma non per questo il governo cadrà, o comunque, cadrà subito, perché il governo Berlusconi non è mai stato tenuto insieme da un progetto politico ma solo da interessi e ricatti reciproci tra Berlusconi e Bossi. Per questa ragione, anche se una caduta del governo è, a questo punto, possibile non la ritengo all’ordine del giorno. Tuttavia, l’ipotesi che questo governo cada e che ad un certo punto della legislatura si profili il bivio tra l’immediato ritorno alle urne ed un governo “tecnico a tempo”, non può più essere esclusa. Come io la penso sui governi tecnici e sulle maggioranze trasversali lo dico, credo, con chiarezza, nell’intervista rilasciata ieri a “Il Fatto quotidiano” che riporto di seguito. Credo tuttavia che tra un principio generale ed astratto e la valutazione di un caso concreto ci debba stare in mezzo un’attenta valutazione. Lo chiedo dunque a voi: tra elezioni immediate, con questa legge elettorale e con questa Rai, e con Berlusconi dall’altra parte,  ed un governo tecnico che, in un anno e mezzo cambi la legge elettorale, approvi una seria legge sul conflitto di interessi, cancelli le leggi ad personam e deberlusconizzi la Rai (come auspicava ieri Flores d’Arcais dalle colonne de il Fatto) cosa dovrebbe fare Italia dei Valori, sapendo che un simile, per quanto ipotetica, maggioranza non potrà mai fare a meno dei numeri dell’Udc e dei finiani? Fatemi sapere cosa ne pensate.

Ecco l'intervista al "Fatto Quotidiano".

Nessun Governo tecnico e nessun accordo con pezzi dell’attuale maggioranza. Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera, non è d’accordo con la proposta del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani (“Se il Governo non ce la fa, dobbiamo pensare a qualche altra ipotesi”).

Onorevole Donadi, il governo è arrivato al capolinea? Non credo, anche se il conflitto tra Fini e Berlusconi è vero e profondo. Il premier è un corruttore a tutti i livelli, e quindi anche della politica. Dunque, se dovesse rompere con Fini, userebbe le armi della persuasione per ridurre le perdite dei parlamentari. Non vedo crisi dietro l’angolo.

Allora la maggioranza tiene? Non vedo una sua deflagrazione. Ma è evidente che si sta avvitando su se stessa ed è in uno stato sempre più confusionale. Ma la crisi di questa maggioranza  non significa crisi di governo.

Bersani ha dichiarato che bisogna pensare  a qualche altra ipotesi se il governo non ce la fa, tendendo la mano a Lega e finiani. Voi siete d’accordo? Crediamo che oggi il centrosinistra farebbe bene a ricostruire il suo fronte, che è sfrangiato e frantumato. Individuiamo la nuova leadership del centrosinistra, ma senza inseguire Fini, l’Udc o altri. Con le manovre di Palazzo il consenso che si ottiene è inesistente. Per questo c’è una grande perplessità dell’IdV di fronte a questo tipo di progetti.

Quindi non entrereste in un governo tecnico? I governi tecnici, per quanto ci riguarda, spesso sono antidoti peggiori del male. Oggi pensiamo che si debba rimettere in campo un progetto vincente, invece di inseguire progetti di maggioranze alternative che noi oggi non vediamo. Solo il voto è un principio per stabilire una maggioranza.

Sono possibili le elezioni anticipate? E’ uno scenario che esiste sempre in questa legislatura, visto che si basa su un doppio e reciproco ricatto tra Berlusconi e Lega. Casomai venisse meno, il voto è dietro l’angolo.

Franceschini ha dichiarato che il Pd è pronto a votare gli emendamenti dei finiani al ddl sulle intercettazioni. Potreste farlo anche voi? Noi faremo una valutazione di merito. Crediamo che questa legge sia inemendabile, sia un tale obbrobrio che non si può migliorare. Ma se ci sono singoli emendamenti per limitare il danno ben vengano.

Anche in questo caso, l’apertura di Franceschini ha una valenza politica più generale… Ma per noi ci sono e ci saranno in Parlamento solo questioni di merito.

Cosa dovrebbe fare Napolitano? Sta facendo le cose giuste: ha richiamato la maggioranza al rispetto del principio costituzionale su manovra e intercettazioni. Poi però è evidente che le scelte tecniche spettano alla maggioranza: il Presidente valuta in merito alla congruità alla Costituzione.

Che tipo di opposizione farete allora? Continueremo con la nostra opposizione. Al di là del mare di sciocchezze interessate che vengono dette sull’opposizione dell’IdV, noi non facciamo sconti. E sulle intercettazioni faremo una guerra senza confine in Parlamento.

da "Il Fatto Quotidiano" - di Wanda Marra - 4 luglio

LA STANGATA DI SILVIO SUI PENDOLARI

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Bugiardi. Sulle vere ragioni della nomina del neoministro Brancher – a tal proposito vi segnalo il concorso  a premi indetto da Idv “indovina la delega” – e sulla promessa solenne che non ci sarebbero state nuove tasse. Venti giorni fa Berlusconi ha detto “le tasse non aumenteranno”. Meno di una settimana fa, gli ha fatto eco il ministro Tremonti “Se aumentiamo le tasse facciamo una cosa storta”. Ebbene, Tremonti e Berlusconi l’hanno fatta storta, grossa e storta per la verità. La manovra del governo, infatti, introduce un aumento del 5 per cento sulle tariffe autostradali – anche per quelle che più che autostrade sembrano mulattiere con lavori in corso perenni – e mette a pagamento percorsi stradali che fino a ieri erano gratuiti, tangenziali, raccordi e anelli che girano intorno alle grandi città. Per entrare a Torino e Roma, tanto per fare due esempi, si pagherà dazio: ad accogliere pendolari e lavoratori, che hanno scelto di vivere fuori città per ragioni economiche e vengono in città per lavorare, ci saranno i nuovi terribili e famelici “caselli piovra” i nuovi mostri partoriti dalla fervida mente di Tremonti. Hanno scelto di vivere in periferia non per vezzo, ma perché acquistare o prendere in affitto una casa in città è impossibile, visti i prezzi alle stelle degli immobili. La neo tassa non è questione di pochi spiccioli, di una manciatina di euro. Andata e ritorno, cinque giorni alla settimana, costeranno ad un lavoratore 120 euro al mese, 1.440 euro l’anno. Insomma, uno stipendio intero se ne andrà per venire a lavorare. E’ qui la vera schifezza. Con questa mossa che definire odiosa è poco, il governo introduce una tassa d’accesso per venire a lavorare e si accanisce sui lavoratori a stipendio fisso, sui pendolari, su chi le tasse le paga da sempre. E’ la riprova non solo che mettono eccome le mani in tasca agli italiani, ma le mettono sempre nelle tasche dei soliti, i meno abbienti, le famiglie, quelli che in un anno si ritroveranno a pagare più di tassa al casello piovra che di Irpef, mentre gli evasori fiscali continueranno a far festa. Ovviamente, su questo Italia dei Valori darà battaglia. Tra ddl intercettazioni e manovra economia sarà un luglio di fuoco per il governo e la maggioranza.

CONDANNA DELL'UTRI GETTA OMBRE OSCURE

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Anche la Corte d’Appello, dopo il tribunale di Palermo, ribadisce la condanna di Marcello dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. L’amico della prima ora di Silvio Berlusconi, collega in affari, in tutti gli affari: quelli di Fininvest e quelli di Forza Italia - perché anche questi ultimi, per Berlusconi, sono stati sempre e solo affari - è un sostenitore della mafia. Questo dicono oggi i giudici della Corte d’Appello di Palermo. E ancora una volta un’ombra lunga e buia, un brivido lungo le schiene degli italiani si avverte legittimo. Marcello dell’Utri, nell’universo berlusconiano, non è una persona qualunque. E’ l’uomo che ha dato vita ai primi circoli di Forza Italia, è la persona  che con Berlusconi ha condiviso tutto, dall’ascesa economica alle relazioni politiche, per finire con la nascita del partito di Forza Italia. La condanna in Appello a Marcello dell’Utri è, in sostanza, la condanna ad un sistema di relazioni, ad un impianto di contiguità tra politica affari e mafia di una certa Sicilia, della quale attraverso Marcello dell’Utri lo stesso Berlusconi, volente o nolente, è stato coinvolto. A questo punto ancora più di prima resta l’esigenza di fare luce sui tanti episodi oscuri e ancora irrisolti della storia italiana. In particolare su quella stagione delle bombe della mafia: dalla strage di via dei Georgofili a Firenze, nel maggio del 93, all’attentato a Maurizio Costanzo, che, come ripetono da anni tanti pentiti, sarebbero state strumento e mezzo per creare in Italia un nuovo equilibrio politico, per l’ascesa di nuovi protagonisti sulla scena politica italiana. Oggi, più che mai, si pone la necessità di fare chiarezza su quella sorta di testamento morale lasciato da Paolo Borsellino. Nell’ultima intervista concessa ad una televisione francese, disse che le indagini per tarpare le ali ai vertici di Cosa Nostra si stavano spostando dalla Sicilia a quel sistema di relazioni che la mafia aveva intessuto con una certa imprenditoria milanese. In quella stessa intervista, Borsellino, nel ricordare il ruolo del famoso stalliere Mangano, rinviava alla figura di Berlusconi e di Mediaset. L’Italia non può più essere il paese dei misteri irrisolti, il paese delle ombre, dei poteri occulti. Deve a pieno titolo diventare una grande democrazia occidentale, trasparente, una casa di cristallo. La sentenza dell’Utri potrebbe essere il primo passo verso una nuova stagione di verità non più celate.

FINI ADDIO. E SILVIO RINGRAZIA GIORGIA

 La prossima settimana comincerà in Aula alla Camera la discussione sul disegno di legge del governo in materia di riconoscimento e sostegno alle comunità giovanili. E’ il disegno di legge voluto fortemente da Giorgia Meloni, giovane ministro per le politiche giovanili del governo Berlusconi, e tutt’oggi presidente di Azione Giovani, il movimento che, dopo la svolta di Fiuggi, ha raccolto in sé l’eredità del Fronte della Gioventù, di Fare Fronte e del Fuan, ovvero le organizzazioni giovanili storiche del Msi. Il provvedimento è stato presentato alla Camera più di un anno fa. E’ stato poi dimenticato per otto mesi ma all’improvviso, dopo solo due sedute in sede referente, senza alcuno straccio di dibattito e di approfondimento serio in Commissione, è stato spedito in fretta e furia in Aula per l’approvazione finale. Un accelerazione alquanto sospetta. Diceva qualcuno che a pensar male si fa peccato ma qualche volta ci si azzecca. L'improvviso "avanti tutta", infatti, è avvenuto dopo lo strappo clamoroso tra Fini e Berlusconi, e al riposizionamento politico del giovane ministro Meloni che ha rinnegato il padre politico Gianfranco scegliendo Silvio. Qualcuno a palazzo Chigi deve essersene ricordato, oppure sarà stata Giorgia a rinfrescare le memorie. Tant'è che, all'improvviso, le è stato servito su di un piatto d’argento un provvedimentino ad hoc, con un bel gruzzoletto, giustappunto a misura del suo incarico di ministro e di presidente di Azione Giovani, ruolo che tra l’altro la pone in evidente conflitto di interessi. A chi destinerà i fondi Giorgia? Anche qui il sospetto è forte. I criteri fissati dal disegno di legge per ricevere fondi, infatti, sono talmente vaghi e generici che pure mio nonno, purché missino, potrebbe avanzare legittima richiesta. Un modo furbo e scaltro per avere le mani libere e distribuire soldi a pioggia, o, peggio ancora, in maniera clientelare e discrezionale.Sarebbe stato più utile e di buon senso sostenere le politiche regionali del settore giovanile, ovvero, dare i soldi a quelle realtà che fanno capo alle regioni e che già si occupano in maniera proficua di giovani. Invece no. Giorgia ha accentrato tutto a sé. Decide lei chi, come, dove e quanto. Per la cronaca, la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha espresso parere contrario a questo disegno di legge perché tocca una materia che è di competenza legislativa delle regioni. Ma Giorgia non sente ragioni. Va avanti come un treno. Come darle torto, d’altronde. E’ il sogno degli ex missini che si realizza, il riscatto dell’ex Fronte della Gioventù che finalmente, sotto la sua égida, vedrà nasce, crescere e fiorire le tanto amate  “comunità giovanili”, spazi di aggregazione dove poter fare musica, cinema, teatro, ovviamente a destra. Ovviamente sarà battaglia. 

BERLUSCONI E' L’INFERNO. LA COSTITUZIONE IL PARADISO

A Silvio Berlusconi non piace la nostra Costituzione. Dice che è un inferno governare con la nostra architettura istituzionale. Sarebbe superficiale liquidare la questione alla solita manfrina delirante cui ci ha abituati il presidente del Consiglio. Anche oggi, all’assemblea di Confartigianato, ha dato il meglio di sé. Lasciamo perdere le sparate sul suo consenso che sarebbe a quanto pare ormai al 60 per cento e quello del governo al 50 per cento. Stendiamo un velo pietoso sulla vicenda dell’interim allo Sviluppo economico che ormai il presidente del Consiglio sta riducendo in barzelletta, nonostante l’importanza di un settore così strategico e fondamentale per il rilancio del sistema economico del Paese. Chiudiamo un occhio, anzi tutti e due, sulla storiella del viaggio-soggiorno in Cina come premio post-laurea della figlia e della considerazioni della pulzella sull’economia cinese di cui l’umanità fa volentieri a meno. Oppure sull’impostazione catto-comunista della nostra Costituzione che frenerebbe il libero mercato e le imprese. Sono vent’anni che il liberista e liberale Berlusconi promette la rivoluzione liberista e liberista ma poi quando sta al governo pensa solo ai fatti suoi. Vicenda interim a parte, siamo di fronte ai soliti deliri berlusconiani. Ma dire che la nostra Costituzione è un inferno è un attacco gravissimo e senza precedenti. A memoria mia, mai un presidente del Consiglio ha sferrato un attacco tanto grave nei confronti della Costituzione italiana che conferma due cose. Da un lato, se ce ne fosse bisogno, l’animo profondamente e intimamente antidemocratico e anticostituzionale di Berlusconi, perenne aspirante dittatore da repubblichina delle banane. Dall’altro, è sintomo palese della frustrazione del presidente del Consiglio per la sua ennesima opaca esperienza di governo che si avvia, come le altre, a chiudersi in un fallimento totale.Ma c’è di più ed è il peggio. C’è un risvolto feroce in questo attacco. Berlusconi odia la democrazia, i magistrati, le istituzioni, il parlamento, le opposizioni, financo la presidenza della repubblica. Vuole essere l’uomo solo al comando. Ma di un uomo, di Mussolini e della dittatura fascista, questo Paese ha già fatto esperienza e pagato il suo tributo di sangue.Se a Berlusconi la Costituzione italiana non piace, si trasferisca alle Bahamas. Magari lì gli fanno fare anche il dittatore a vita. Qui non c’è trippa per gatti.

BERLUSCONI HA MENTITO. ECCO LE PROVE

Silvio BerlusconiSilvio Berlusconi

Vi ricordate la pubblicità della Porche 911, quella della reclame da 0 a 100 in 3,4 secondi? Potrebbe essere lo spot di questo governo che, in meno di 24 ore, è passato da “va tutto bene madama la marchesa” al “rischio Grecia” annunciato dal sottosegretario Letta. Una accelerata, anzi una brusca sterzata, che la dice lunga sulla credibilità, sulla competenza e serietà di questo governo. La verità è finalmente venuta a galla. La situazione è drammatica, i conti sono allo sfascio. Per reperire i 24 miliardi dell’anticipo della manovra economica il governo annuncia sacrifici per tutti, almeno sulla carta. Poi si sa che con Berlusconi i furbi la faranno franca e gli onesti pagheranno per tutti. Per due anni e mezzo ci siamo dovuti sorbire il falso e retorico ottimismo del presidente del Consiglio, quello che “va tutto bene”, “la crisi non ci sfiora”, “l’economia italiana è in ripresa”, insieme agli insulti nei confronti dell’opposizione, a suo dire menagrama, disfattista  e affetta da pessimismo cosmico. Ora si scopre che avevamo ragione, che loro erano i grilli e noi le cicale, che per due anni e mezzo hanno raccontato balle al Paese. Per due anni e mezzo sono rimasti a guardare, mettendo in campo ridicole misure tampone, senza interventi strutturali e di ampio respiro. Ora, se la responsabilità politica avesse ancora un senso e fosse ancora di moda in questo Paese, chi ha mentito, chi ha raccontato bugie colossali e chi oggettivamente ha fallito, dovrebbe andare a casa. Ma siccome questo, politicamente parlando, è il paese del sole e del mare, governo e maggioranza fanno l’unica cosa che sanno fare: appellarsi al senso di responsabilità dell’opposizione. E’ chiaro che Italia dei Valori ci sarà, per senso di profonda responsabilità e per risparmiare ai cittadini e alle famiglie ulteriori indicibili sacrifici. Presenteremo le nostre proposte, la contromanovra dell’IdV, basata su una seria lotta alla speculazione e all’evasione fiscale, che faccia pagare finalmente chi non ha mai pagato, chi ha usato lo scudo fiscale di Tremonti per arricchirsi ulteriormente, e risparmi le fasce medie e più deboli di questo paese. Ma prima di ogni altra cosa, siccome il presidente del Consiglio ha mentito al Paese, gli chiediamo di venire in Parlamento, di metterci la faccia e di dire che la crisi c’è e che il governo ha sbagliato. Altrimenti, vadano a casa!

BOCCHINO INFILZATO, SCAJOLA INCENSATO

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Nel Pdl, oltre al tiro degli stracci, va di moda la pantomima delle dimissioni. Funziona così. Il ministro, il sottosegretario o il coordinatore nazionale in odore di guai, per associazione mafiosa o corruzione è solo un dettaglio, va dal presidente del Consiglio e gli consegna la sua bella lettera di dimissioni. Il premier le rifiuta e l’indagato di turno ringrazia. Scajola oggi, Cosentino ieri e Verdini l’altro ieri, il copione non cambia. D’altronde, come si dice, se non la lascia il premier la poltrona, che in quanto a guai giudiziari vanta indiscutibili primati, perché dovrebbero farlo i suoi seguaci o adepti?L’indagato, ringalluzzito dalla pantomina delle dimissioni mancate, torna alla sua poltrona e più gagliardo che mai comincia a sparare a zero su tutti, avversari politici, magistrati e giornalisti complottisti. Mai uno che dicesse “mi faccio da parte per fare completa chiarezza sulla vicenda che mi riguarda”. Oppure, lascio la poltrona “per non infangare le istituzioni che rappresento”. E mai una volta, mai, che il presidente del Consiglio dicesse “dimissioni accettate”. Se sei indagato perché hai relazioni pericolose con la mafia, se sei indagato perché risulterebbe che l’imprenditore amico ti ha comprato casa con vista sul Colosseo, o perché avresti fatto indebite pressioni per favorire il costruttore amico, non ti devi dimettere per permettere alla magistratura di fare chiarezza. No, devi andare avanti, con rinnovata energia e virulenza. Devi rimanere saldo alla tolda di comando, perché non infanghi le istituzioni che rappresenti, no. Dai loro lustro, esporti una bella immagina della classe politica che ci governa all’estero. Se, invece, presenti le dimissioni perché hai osato dire che il re è nudo, allora dimissioni accettate, neanche si discute. Un esempio fulgido di democrazia interna nel partito di maggioranza, di alto senso delle istituzioni e di etica della responsabilità, non c’è che dire. Le uniche dimissioni che il premier accetta sono quelle dei dissidenti, servite su di un piatto d’argento. Ne sa qualcosa Italo Bocchino, il vicepresidente del gruppo Pdl alla Camera, cui Berlusconi ha promesso di infilzarlo. Tanto ha detto, tanto ha fatto. Non è finita qui. Altri coperchi di altrettante pentole del malaffare tra corruzione e politica salteranno nei prossimi giorni. Nella mani della Guardia di Finanza ci sono 240 conti correnti bancari che fanno tremare in queste ore i palazzi del potere. Noi continueremo a chiedere le dimissioni del ministro Scajola. E di tutti quelli che, coinvolti in vicende giudiziarie, invece di farsi da parte, rimarranno seduti sulla poltrona.

ENTRO UN ANNO SCEGLIAMO LEADER

Pubblico la mia intervista di oggi sul quotidiano l'Unità.

“La maggioranza, finché c' è, ha il dovere politico e, più ancora, etico e morale di governare e risolvere i problemi del paese.  Non di fare chiacchiere, come è stato finora. L' opposizione ha il dovere altrettanto politico ma anche etico e morale, di rimettersi insieme, prendendo atto che in questo momento non c' è una coalizione avversa a quella del Pdl e Lega". Questo in estrema sintesi il pensiero di Massimo Donadi, capogruppo dell' Italia dei valori alla Camera, che però avverte: "Se questa maggioranza implodesse ci potremmo trovare di fronte a un' emergenza nazionale, di fronte al problema di creare una maggioranza diversa o andare alle elezioni".

Cosa si dovrebbe fare in questo caso? "Ci sono questioni gravi legate alla crisi economica ma, poiché si vota in tre mesi, io penso che sia meglio avere un governo che sia espressione della volontà degli elettori con un mandato chiaro, piuttosto che uno pseudo governo tecnico. Però, prima di andare a votare, bisognerebbe fare, in tre o al massimo sei mesi, una riflessione sulle regole, perché in Italia c' è una democrazia taroccata.In una democrazia dell' informazione non si può andare alle elezioni quando forze economico-editoriali, che fanno riferimento al presidente del consiglio, condizionano alla radice la trasparenza e l' obiettività del formarsi del pensiero politico nel paese".

E cosa propone? "Tre leggi fondamentali: una sulla libertà dell' informazione che stabilisca l' informazione libera ma anche la politica libera dall' informazione, ci deve essere incompatibilità fra chi fa una cosa e chi fa l' altra. Secondo: servirebbe una riforma delle legCosa si dovrebbe fare in quel caso? E cosa propone? ge elettorale che ridia pienezza del diritto di voto ai cittadini e, tre, una riforma dei regolamenti parlamentari perché non si accampino pretesti sulle leggi che non vengono approvate, passando stancamente da un ramo all' altro dal parlamento".

Si dovrebbe creare una maggioranza diversa, quando Bersani parla di patto repubblicano anche con Fini, lei pensa che dovrebbe servire a questo? "Esattamente, ma senza perdere di vista che sono due i profili su cui lavorare. Il primo è quello di lunga prospettiva, della costruzione di una coalizione che si candidi a governare con una visione riformatrice del paese. L' altro è essere pronti a fronteggiare il rischio che questa maggioranza imploda e, in questo caso, ci si deve dare il compito di riscrivere due o tre regole per restituire veridicità a una democrazia taroccata e, al tempo stesso, fare fronte alle urgenze economiche e sociali prodotte dalla crisi".

Quale opposizione? "Sono un po' stufo dell' etichetta di centro sinistra. Nella politica italiana destra e sinistra sono concetti da radare al suolo e da ricostruire sulla base di progetti nuovi. Abbiamo bisogno di passione e generosità e di pochi calcoli politici fatti a tavolino, di quelli che hanno visto indulgere il Pd su pallottolieri magici che gli elettori hanno rifiutato. E abbiamo bisogno di trovare presto, sulla base di valori trainanti, un leader, poiché nelle democrazie moderne non si può fare a meno di incarnare il progetto in una leadership".

Un leader non si compra su e bay. "E' vero ma va riconosciuto al Pd il merito di avere imposto un metodo di grande partecipazione come le primarie. Bisognerebbe avere il coraggio di trasformarle in qualcosa di ancora più americano di quanto non siano state fino adesso. Diamoci tempo un anno in cui candidati della società civile e dei partiti si confrontino sulle idee, poiché l' unico modo di fare emergere una leadership è il confronto delle idee. Se aspettiamo le segreterie dei partiti, non dico un Obama ma nemmeno un Tony Blair verrà mai fuori”.

di Jolanda Bufalini, dal quotidiano l'Unità

FUGA PER LA VITTORIA

La rottura tra Fini e Berlusconi segna una crisi politica evidente. Il governo è a pezzi, la maggioranza di fatto non esiste più. Bossi minaccia addirittura il voto anticipato. E’ chiaro a tutti che dopo due anni di legislatura sono allo sbaraglio. Come, del resto, il Paese, afflitto da una crisi economica che continua a bruciare posti di lavoro. Oggi, però, non voglio parlare del governo, preferisco parlare dei centrosinistra, che deve farsi trovare pronto ad affrontare una eventuale tornata elettorale. Con una premessa: nessuno si illuda che la crisi del Pdl si trasformi automaticamente in una vittoria del centrosinistra. Per battere Berlusconi non servono strane alchimie politiche, ma un’alleanza salda, una leadership riconosciuta ed un progetto chiaro. In questi anni il centrosinistra ha dilapidato un patrimonio di consenso e di voti. Ora è il momento di recuperare la credibilità e di ritrovare l’entusiasmo. La via è quella del riformismo radicale, costruito attorno ad un programma  forte, che c’è già, almeno per quanto ci riguarda. Con il Pd e con le altre forze politiche e civili pronte ad aderire al progetto, si può, anzi, si deve costruire l’alternativa di governo. Le ultime elezioni regionali impongono una riflessione a tutti: il centrodestra ha vinto in molte regioni perché non siamo stati in grado di rappresentare il cambiamento e le aspettative dell’elettorato. Ora dobbiamo rimboccarci le maniche per ricostruire questo Paese. Ricostruire, sì, perché 15 anni di Berlusconi e berlusconismo hanno prodotto macerie istituzionali, sociali, economiche, culturali. Dobbiamo partire da una rinnovata etica politica e dalla difesa della Costituzione per costruire una nuova Italia e fare le vere riforme che servono ai cittadini, non ad una sola persona.