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INFORMAZIONE: L'IMPORTANTE E' NEGARE

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L’importante, sempre e comunque, è negare. Chi non lo fa, si aspetti di tutto. E’ ciò che Silvio Berlusconi ha fatto dall’inizio di questa legislatura e continua a fare, come ha mostrato nei due giorni scorsi durante la sua “rappresentazione” parlamentare, nella quale ha raggiunto i massimi livelli. E’ quello che fa il primo giornale nazionale, o forse dovremmo dire l’”ei fu primo tg”, visto che gli ascolti precipitano rovinosamente, facendoci quasi sorgere il dubbio che la messa in scena stia per essere smascherata, nonostante la perfezione dell’intreccio. Già, perché bisogna dar atto al signor presidente del Consiglio di essere il perfetto regista di una sorta di soap opera che evidentemente convince molti, se, come è vero, l’Italia sembra semiaddormentata, come sedata, anche di fronte ai problemi gravissimi che l’attanagliano. Perché lui vuole che la realtà venga nascosta, ovattata da una verità rosea, come quella da lui stesso prospettata di fronte ai due rami del Parlamento. E così sia: questa è la verità che i mezzi d’informazione, ubbidienti e rispettosi, fanno arrivare ai cittadini e quando ciò non succede, è bufera. Come nel caso di Santoro, accusato di non rispettare il contraddittorio. Quel contraddittorio che il tg1 non manca mai di osservare, come nel caso del commento al discorso di Fini a Mirabello, quando c’erano Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri: più pluralismo di così! Ma non finisce qui, perché Santoro, per queste accuse, è finito nelle grinfie di un Ag-com giudicante, il cui nuovo commissario è Antonio Martusciello, guarda caso tra i fondatori di Forza Italia, eletto con Berlusconi e sottosegretario nei suoi governi. Tutto, dunque, è sotto controllo. Niente è lasciato al caso da questo signore che si è impossessato dell’Italia e dell’informazione. E’ un fatto di una gravità assoluta e io credo che sia questo il problema da risolvere al più presto, la battaglia da combattere, prima ancora della vergognosa legge elettorale. E’ necessario che un governo tecnico riesca a smantellare questo sottilissimo e pericolosamente efficace monopolio dell’informazione. E’ importante che il Paese si svegli dal torpore, perché ignorare i problemi non è mai servito a nessuno e questo paese, di problemi, è pieno, primo fra tutti un governo e un premier ipocriti e bugiardi, da mandare a casa al più presto.

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UNA (RISATA) RETATA LI SEPPELLIRA’

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IN OMAGGIO A MANLIO, IL TITOLO DEL POST DI OGGI E': UNA RETATA LI SEPPELLIRA'!

Urla ai piani alti di viale Mazzini. “Non posso nemmeno guardare una roba del genere!”. La “roba del genere” è il nuovo spot promozionale di Parla con me, la trasmissione di Serena Dandini, censurato perché irriverente contro il direttore Augusto Minzolini, nella strepitosa imitazione del comico Paiella. Chi ha visto il video riferisce: la Dandini chiede di essere intervistata sul nuovo ciclo di Parla con me. Lui, il direttorissimo, la tratta da velina e lei si arrabbia. “Allora vado da Mentana”. Trenta secondi di sferzante satira censurati da Masi che ha inaugurato il nuovo corso di Mamma Rai: niente applausi, spot censurati e contratti ancora in sospeso. “Non deve essere prevista in alcun modo – scrive Masi nella sua direttiva che trasuda libertà d’informazione da ogni artiglio – la presenza in studio del pubblico come ‘parte attiva’, in linea di principio neppure con applausi”. Questo accade nella Rai berlusconizzata. Quello di Parla con me è il secondo spot censurato. Stesso destino è toccato a quello promozionale del nuovo corso di AnnoZero che Michele Santoro ha mandato in rete. Così si lavora in Rai oggi, trasformata in una sorta di patetico Minculpop berlusconiano. Artisti, giornalisti, conduttori, autori, professionisti senza contratto, ad un giorno dalla partenza delle trasmissioni, colpevoli di essere scomode agli occhi del padrone, il presidente del Consiglio. Spot bruciati perché “come al solito, una trasmissione pagata con i soldi dei contribuenti, si diletta nell’avere come unico bersaglio il governo e si diverte ad aggredirlo” (Silvio Berlusconi, maggio 2010, ndr). Faccio mie le parole di un grande giornalista, Marco Travaglio. “Le vittime della censura non sono soltanto i personaggi imbavagliati per evitare che parlino. Sono anche, e soprattutto, milioni di cittadini che non possono più sentire la loro voce per evitare che sappiano”. Ma quando la censura colpisce la satira è come essere costretti a bere un bicchiere di olio di ricino. La satira è un’espressione artistica e vive di libertà di espressione, distanza dal potere, capacità di affrontare temi significativi in maniera ironica. La satira non ha mai risparmiato il potere da che il mondo è mondo che mai e poi mai deve rispondere con atteggiamenti censori. Perché la censura fa rima con intolleranza e soprattutto dilettantismo politico.

E' NATO UN NUOVO PARTITO: LA LISTA MINZOLINI!

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Dopo l’edizione serale del Tg1 di ieri è ufficiale: è nato un nuovo partito, la lista Minzolini, ovvero il Tg1 delle Libertà. Mai, nella storia politica di questo paese e nella storia della tv pubblica nazionale, un direttore è sceso così tanto “in campo”, trascinando l’informazione ed il primo tiggì nazionale nell’agone politico, schierando così apertamente il primo telegiornale nazionale e tradendo milioni di italiani, affezionati telespettatori del tg della prima rete pubblica nazionale, sempre contraddistintosi per imparzialità ed equilibrio tra tutte le forze politiche. Non ne faccio una questione di professionalità del direttore. Conosco il modo con cui, almeno fino a ieri, Augusto Minzolini faceva informazione, quando il suo obiettivo era lo scoop giornalistico e la notizia. Quello che trovo intollerabile ed ingiustificabile è come sia possibile che nel nostro Paese, nel ventunesimo secolo, nel silenzio generale, un direttore diventi l’organ house ufficiale del governo, si presenti davanti alla telecamere e come un politico di lungo corso parli alla nazione invocando il voto anticipato ed esprimendo il suo dissenso ai “governicchi”, senza che nessuno tra i tanti intellettuali, giornalisti, politici che albergano in questo Paese e che ogni giorno ci dispensano le loro pillole di saggezza, senta il bisogno di esprimere con forza e senza mezzi termini il suo profondo disagio culturale ed intellettuale. In un paese normale, l’editoriale di ieri sera sarebbe bastato al mondo civile, culturale, intellettuale e politico per chiedere a gran voce e unitariamente le dimissioni di un direttore che con disinvoltura smette le vesti di giornalista e indossa quelle del politico di parte. In questo senso, trovo ridicola ed anche un po’ patetica la letterina a che i finiani hanno inviato a Santa Claus affinché liberi il Paese da Minzolini. Si sono accorti solo ora dello stato in cui Berlusconi ha ridotto l’informazione in questo Paese? Solo ora percepiscono l’occupazione manu militari della Rai che ha messo in atto il presidente del Consiglio? Solo ora che i riflettori si sono spenti o stanno colpendo implacabili loro, i neo avversari di Silvio, invocano l’intervento di Babbo Natale? Due cose mi preme dire ai finiani. Babbo Natale non esiste. La dittatura mediatica di Silvio sì e non si contrasta con le letterine-strenna ma con il coraggio e la forza delle idee. In Inghilterra, è nato un caso quando hanno visto il direttore generale della Bbc al numero 10 di Downing street per incontrare il portavoce del premier Cameron. E ho detto tutto.

SU BUSI E GERMANO CENSURA DI STATO

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“Volevo ringraziare di cuore Daniele Luchetti, il mio regista, Rai cinema e Cattleya che hanno creduto in questo film. Siccome i nostri governanti in Italia rimproverano al cinema di parlare male del nostro paese, volevo dedicare questo premio all'Italia e agli italiani che fanno di tutto per rendere l'Italia un paese migliore nonostante la loro classe dirigente". Queste parole le ha pronunciare ieri sera Elio Germano, talento italiano, premiato come miglior attore a festival di Cannes per “La nostra vita”. Un j'accuse forte e chiaro nei confronti del governo che ha tagliato i fondi al cinema e del presidente del Consiglio Berlusconi che si è scagliato contro quegli artisti e cineasti che hanno il vizio di raccontare che le cose in Italia non vanno un granché bene, insomma, la verità. Ebbene, se aveste voluto sentire l’attore pronunciare queste parole in diretta, avreste dovuto sintonizzarvi su France1 o Canal plus. Perché al Tg1 di Minzolini, nel servizio di Vincenzo Mollica, Elio Germano è andato in onda muto come un pesce, come una spigola nell’acquario, con la bocca che si muoveva inutilmente, senza emettere un suono. Vincenzo Mollica, il giornalista autore del pezzo, aveva anticipato prima del collegamento come l’attore avesse accolto il premio con una frase polemica. Così, al momento di mandare in onda il servizio, guarda caso è scattato il problema tecnico sulla linea internazionale, neanche si fosse trattato di un collegamento dal Turkmenistan o dal Kazakhstan. Era solo Cannes, Francia, Europa, ragazzi! Da oggi, dunque, la censura al Tg1 si chiama problema tecnico. Ma a metterci una pezza ci ha pensato il conduttore dell’edizione serale del tg. Scusandosi per il problema tecnico ci ha tenuto ha completare il pensiero di Germano, facendo la censura della censura e cioè omettendo la prima parte del discorso dell’attore. Lasciando solo il finale che poteva passare per quello che non era, ovvero, una rampogna bipartisan urbi et orbi “dedico il premio all’Italia e agli italiani che fanno di tutto per rendere l'Italia un paese migliore nonostante la loro classe dirigente”. Al Tg1, dunque, vietato parlare male del governo e di Berlusconi. Basta l’intenzione, basta un sopracciglio alzato o una leggera smorfia della bocca per essere radiati dal direttorissimo. E’ accaduto a Maria Luisa Busi, rea  secondo Minzolini “di dare giudizi usando la mimica facciale”. E’ accaduto a Elio Germano, attore di talento, finito a fare la spigola in video. Siamo al fascismo mediatico.

ALFANO IL GUARDAGINGILLI DI FAMIGLIA

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E’ il ministro tuttofare, il Guardagingilli, come lo chiama Marco Travaglio, di famiglia aggiungo io. Suda sette camicie, annaspa su e giù tutto il giorno pur di arrivarle tutte. Impazza a via Arenula e straccia la Costituzione pur di mettere pezze a Silvio Berlusconi. E’ l’Alfano al quadrato, anzi, che si fa uno e trino, che briga e intriga disegni di legge vergognosi e lodi  imbarazzanti pur di salvare il suo presidente dai guai giudiziari. Se ne frega di occuparsi dei problemi veri della giustizia, cosa di cui come ministro della giustizia dovrebbe primariamente occuparsi, e sforna manicaretti su ordinazione del presidente del Consiglio, indigeribili in democrazia. Si mette la faccia sotto i piedi e, senza vergogna alcuna, sforna un ddl intercettazioni che mette la parola fine alla scoperta di crimini e criminali. Poi va in tv, sui canali di Stato e su quelli del presidente del Consiglio, a raccontare quanto sono buoni e bravi loro del governo a sbattere i criminali in galera. Non dice quello che, però, dovrebbe dire: che da oggi in poi, senza questo indispensabile strumento di investigazione, molti meno criminali finiranno in gattabuia. Saranno in giro a compiere crimini e a ringraziare il governo. Così come ci saranno molti meno giornalisti in giro a raccontare la verità, e molti, invece, a non raccontare, con tanto di cerone in faccia e telecamere di stato accese, che i potenti sono sotto processo. Qualcuno, per la verità, già lo fa. Per questo, oggi, siamo scesi in piazza con i giornalisti contro il ddl intercettazioni, una legge illiberale, contro i cittadini e per la casta. Non pago, non convinto di aver fatto già abbastanza il nostro Guardagingilli è riuscito a far rientrare dalla finestra quello che la Corte Costituzionale aveva cacciato dalla porta. Mi riferisco allo scudo giudiziario costituzionale, sonoramente bocciato dalla Consulta, e ripresentato oggi dal ministro Alfano, per mano degli altri due lacchè di corte, Gasparri e Quagliariello. Sono queste le riforme che hanno in mente? Con tutti i problemi che hanno gli italiani, sono queste le priorità della maggioranza? Queste si chiamano in un mondo solo: leggi ad personam. E sono la solita vecchia ricetta stantia berlusconiana che noi chiamiamo con il vero nome che ha: difesa degli interessi personali. A rappresentare gli italiani nelle istituzioni vogliamo persone che non hanno commesso reati, non chi non si vuole fare processare. E vogliamo che i magistrati e le forze dell’ordine possano intercettare i criminali. E vogliamo giornalisti liberi che possano raccontare la verità. E’ un delitto volere questo?

ITALIANI IN FUGA DAL TG DI MINZOLINI

Tag: Auditel , Minzolini , Tg1 , Tg5

MinzoliniMinzolini

Il Tg1 crolla vertiginosamente. Non è una previsione nefasta dovuta ad un personale risentimento legato a motivazioni politiche. Non è neanche una chiacchiera di corridoio attribuibile alle sempre più diffuse insoddisfazioni che pullulano tra i giornalisti che della testata fanno parte. E’ un dato, un documento Auditel. Ad un anno dalla nuova direzione, gli ascolti del giornale della prima rete Rai precipitano disastrosamente tanto da veder sgretolare addirittura il vantaggio sul Tg5. Un crollo verticale, che interessa principalmente l’edizione delle 20, ma coinvolge tutte le altre e che, dati alla mano, riguarda direttamente e indiscutibilmente la testata e non l’andamento generale delle trasmissioni della tv pubblica, i cui ascolti continuano, anzi, ad aumentare. Tenendoci alla larga da facili frasi come “noi l’avevamo previsto”, tentiamo di fare un’analisi oggettiva del perché questo sia successo, ricordando, però, che la perdita degli ascolti era stata già denunciata da volti storici dello stesso tg. Esiste una deontologia professionale nel giornalismo. Anche questa non è una mia riflessione, me ne guarderei bene, si tratta dei contenuti della legge che regola la professione, la numero 69 del 1963. Non solo, a sottolineare i criteri deontologici della professione c’è anche un documento più recente, la Carta dei doveri del giornalista, sottoscritta dall’Ordine Nazionale dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della Stampa italiana nel 1993. Entrambi i documenti parlano del “dovere di verità”,  che rappresenta un “obbligo inderogabile” del giornalista, nel rispetto del cittadino, che ha diritto ad una corretta informazione. Ora ci chiediamo quanto di questo sia stato rispettato nell’ultimo anno dal primo giornale della rete pubblica. Maria Luisa Busi, dall’interno della testata, qualche settimana fa ha detto che il giornale “non parla più della vita reale, dei problemi dei cittadini, di chi ha perso il lavoro”. Noi aggiungiamo che troppo spesso il tg1 ha tenuto il silenzio su determinate notizie, venendo meno inspiegabilmente, diciamo così, al dovere d’informazione. Altro aspetto fondamentale, nell’ambito della deontologia professionale del settore in questione, è l’autonomia del giornalista. Su questo basta ricordare che sono stati in molti, dai giornalisti della stessa testata agli esponenti  del sindacato dei giornalisti, a  parlare di un giornale schierato. Un Tg inginocchiato al potere, plasmato dalla volontà di un premier che, attraverso i mezzi d’informazione, non ha mai smesso di dare di sé l’immagine desiderata e non quella reale. Un tg basato su queste regole-non regole non poteva andare lontano. Già, perché se il nostro presidente del Consiglio e i suoi seguaci ritengono che il popolo italiano possa bersi qualunque somministrazione di briciole di verità filtrata, noi abbiamo una concezione un po’ più alta di esso e continuiamo, forse banalmente, a ritenere che la correttezza, la lealtà, il rispetto delle regole alla fine premino sempre. Per le stesse ragioni chi argina abitualmente le regole della correttezza e in questo caso della professionalità, prima o dopo paga. Ecco spiegato il crollo del Tg1.

INFORMAZIONE, DOVE ANDREMO A FINIRE?

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C’era una volta il primo telegiornale del servizio pubblico. C’era una volta un Tg1 il cui pane quotidiano era la dialettica tra le varie sensibilità. C’era una volta il primo giornale della Rai, che era patrimonio di tutti i professionisti che ci lavoravano per garantire ai cittadini la corretta informazione. Cosa rimane di tutto questo? Proverò a rispondere non con parole mie, ma con quelle di chi sta dentro alla macchina, con le affermazioni di quei giornalisti che hanno avuto il coraggio ed evidentemente hanno sentito il dovere morale, di dire pubblicamente la loro. Del primo giornale della Rai rimane “un clima insostenibile in redazione. Non più dialettica tra le varie sensibilità”. Un direttore che osa tanto “quanto nessuno aveva mai osato in 21 anni”. Un giornale “schierato quanto mai prima, dove non si parla più della vita reale, dei problemi dei cittadini, di chi ha perso il lavoro, di chi non ce la fa, dei cassintegrati, dei precari della scuola”. Sono testuali parole estratte da un’intervista rilasciata da Maria Luisa Busi e pubblicata da Repubblica il primo aprile scorso. Oggi abbiamo nuove informazioni esplicite e dirette di quanto sta accadendo all’interno della testata. A parlare, sempre in un’intervista a Repubblica, è Tiziana Ferrario,  nome e volto storico del Tg1: “Quello che sta accadendo da mesi in questo giornale, le emarginazioni di molti colleghi, i doppi e tripli incarichi di altri, le ripetute promozioni e le ricompense elargite sotto forma di conduzioni e rubriche, sono il frutto di una deregulation che viene da lontano ma che si è ulteriormente inasprita e che a mio parere non promette nulla di buono per il futuro e ci sta portando ad una perdita di credibilità". La Ferrario, dopo una serie di altre denunce molto pesanti, conclude Dicendo che "Il Tg1 è un patrimonio di tutti quelli che ci lavorano e non solo di alcuni giornalisti che vorrebbero appropriarsene facendo fuori professionalmente gli altri. Anche questo non porterà nulla di buono, perché la credibilità del Tg1 nel passato era data proprio dalla ricchezza delle tante sensibilità culturali presenti in redazione, e dalla sintesi delle riflessioni che ne nascevano". Mi esimo dal commentare, così come non ho voluto esprimere opinioni personali riguardo al Tg1, innanzitutto perché credo che le idee di chi ci lavora siano ben più autorevoli ed attendibili delle mie. In secondo luogo perché non voglio parlare oltre contro un sistema su cui più volte in passato mi sono già chiaramente espresso su questo blog. Vorrei che lo faceste voi, esponendo il vostro punto di vista al riguardo. Concludo con le parole dell’Usigrai, sindacato dei giornalisti Rai, che,  riferendosi a colui che da circa un anno è a capo della redazione del tg1, ha parlato di “delirio di un direttore”.

LA STRATEGIA DELLA BEATIFICAZIONE

Bettino CraxiBettino CraxiIeri sera il Tg1, con un editoriale del direttore, ha riscritto la storia in diretta televisiva. Tre minuti sono bastati per beatificare Craxi, paragonandolo addirittura a Papa Wojtyla e per relegare negli inferi dell’odio e del rancore politico l’intera inchiesta di Mani Pulite. E’ ormai sotto gli occhi di tutti che il tentativo di riabilitazione della figura politica di Craxi non è un moto spontaneo, ma una vera campagna politica che per diffusione e capillarità è seconda soltanto a quella di santificazione di Berlusconi dopo l’aggressione di Tartaglia e dietro la quale si intravedono con chiarezza attori e finalità.E’ evidente che, in questa operazione studiata a tavolino, a parte ovviamente ai figli e alla famiglia, di Craxi non interessi un gran che a nessuno ma che si perseguano obiettivi che stanno tutti all’interno dell’odierna battaglia politica. E’ chiaro infatti che vi è un’intera classe politica che, scontati anni di purgatorio a seguito di Mani Pulite e dopo aver a fatica riconquistato in questi anni posizioni di prima fila nella politica o nel governo del paese, vede nella riabilitazione politica di Craxi una sorta di lavacro collettivo di un’intera epoca politica della quale sono stati sciagurati protagonisti. E’ il tentativo maldestro di far dimenticare agli italiani che in quegli anni la politica ha ceduto il posto a un sistema di ruberie malversazioni grazie alle quali il nostro paese si trova ancora oggi in ginocchio indebitato e impoverito.L’altro regista, senza la cui smisurata potenza mediatica questa campagna sarebbe impensabile ancora prima che impossibile, è Silvio Berlusconi, le cui fortune come imprenditore sono legate a doppio filo ai favori del Craxi ‘statista’,  cui si deve la prima legge ad personam della Repubblica italiana, ovvero quel decreto con il quale il governo Craxi permise a Berlusconi, in violazione delle norma all’epoca vigente, di trasmettere in diretta televisiva sull’intero territorio nazionale. Per non parlare della strada che l’ex leader socialista gli spianò nell’accaparrarsi le frequenze pubbliche televisive, per passare ancora alle tracce di tangenti passate dal conto estero di Fininvest All Iberian ai conti svizzeri di Craxi e per finire con quell’epoca oscura venata di tentazioni golpiste nella quale fu possibile la nascita di quella loggia P2 che vide coinvolti tanto Berlusconi quanto molti dei dirigenti socialisti. Noi non permetteremo che tutto questo accada, non per odio verso Craxi, non per giustizialismo, ma soltanto per amore della verità. Quell’amore di verità che mi fa dire che non vi è dubbio che dal punto di vista politico Craxi abbia avuto importanti intuizioni e una visione anticipatrice, sapendo ancorare una parte della sinistra al  riformismo europeo vent’anni prima che lo facesse il Pci-Pds. Sicuramente l’analisi e il giudizio della vita e delle azioni di un uomo politico sono articolate e complesse. Ma non possiamo dimenticare che ogni politico sottoscrive con i cittadini innanzitutto, e sopra ogni altra cosa, un solenne patto di verità, lealtà e trasparenza. Questo patto Bettino Craxi lo ha violato nel modo più grave possibile, sia con le plurime e gravi responsabilità penali, sia con le evidenti responsabilità politiche, per essere stato uno dei protagonisti di quel complessivo decadimento della politica che ha trasformato la corruzione e il sistematico sperpero del denaro pubblico in normale e ordinario metodo di gestione dell’azione politica e di governo.