Taggati con: Craxi
SUA MAESTA’ MARINA NEL REGNO DI BUNGA BUNGA
Marina BerlusconiIn questa povera Italia scossa da venti di crisi c’è una notizia che fa davvero accapponare la pelle: la discesa in campo di Marina Berlusconi. E’ un ipotesi tra le tante, per carità. Fininvest ha già prontamente smentito la notizia – una smentita è una notizia data due volte - ma, come si dice, a pensar male si fa peccato ma qualche volta ci si azzecca. Nel regno di Bunga bunga, dunque, la successione al trono sembra diventare dinastica, proiettando l’Italia… nel medioevo. Nel dibattito su chi sarà il successore di Silvio, con Angelino Alfano in pole position - altro brivido di terrore lungo la schiena - prende corpo l’idea di Marina, ovvero, il familismo al potere, nella più logica delle mentalità italiota del “tengo famiglia”, che in politica è da sempre di gran moda. Dai discendenti di Bettino Craxi, Bobo e Stefania che, nel pieno rispetto della par condicio, stanno uno a destra e uno a sinistra, a Renzo Bossi, il trota che a furia di cercarsi una strada nella vita l’ha trovata ricalcando le orme di babbo Umberto, l’Italia, non solo quella parlamentare, pullulla di “figli di”. Ma questa è un’altra storia, vecchia quanto il mondo. Tornando a Marina, finché papà Silvio la mette a capo della Mondadori o piuttosto dello shuttle di famiglia, fatti loro. Ma ritrovarsela presidente del Consiglio per successione dinastica, sono fatti anzi fattacci amarissimi per il Paese e per la democrazia. Si badi bene che nulla ho contro le donne, anzi se ce ne fossero di più al potere forse le cose non andrebbero così male. Nulla contro neanche l’inesperienza, anzi in qualche caso può avere un senso. Ma nel caso di Marina, la sua eventuale successione per via dinastica ed incoronazione mi ricorderebbe tanto quella di Carlo Magno che, il 25 dicembre dell’anno del signore 800 d.c., fu incoronato da Papa Leone III imperatore, titolo mai più usato in Occidente dall’abdicazione di Romolo Augustolo nel 476 dc. E pure lì, le analogie tra il padre di Carlo Magno, Pipino il breve, per ovvie ragioni metriche, ed il padre di Marina, Silvio Berlusconi, sono lapalissiane ed inquietanti. Ma allora, se successione dinastica ha da essere, mi domando perché Marina e non Piersilvio, oppure, Eleonora, Barbara e Luigi? Forse perché figli di un dio minore, della reietta Veronica? Perché Marina ha l’immagine giusta e vincente e l’immagine, si sa, per Silvio è tutto. Ma siamo seri, per favore. Se di successioni al trono si deve parlare, riguardino gli affari loro e non quelli del Paese. Di beghe, a quanto si legge, non ne mancano a Silvio nelle divisioni dell’impero di famiglia. I figli di Veronica già scalpitano e bramano. Ci mancherebbe solo che Silvio, fatta fuori Marina per ragioni dinastico-aziendali dalla Mondadori, ce la appioppi in politica. L’Italia ha già dato.



LA MILANO DA BERE E' TORNATA




7 PAGINE IMBARAZZANTI: IL PROGRAMMA ECONOMICO DI GIULIO TREMONTI
Tremonti bonds Pubblico un interessante articolo del prof. Michele Boldrin, apparso sul sito www.noisefromamerika.org. Un sarcastico e formidabile saggio sulla politica economica del ministro Giulio Tremonti.
"A mezzo d'un mirabolante un-due-tre, l'incipit riassume tutta la politica economica tremontiana: socialismo populista + monopoli nazionali simbiotici al potere politico + rovesciamento della realtà:
1. Son anni che GT annuncia il "rientro della politica" senza che agli annunci seguano altro che condoni, o fallimenti. La lista di quest’ultimi è nota: Tremonti bonds, Banca del Sud, cartolarizzazione del patrimonio edilizio pubblico, richieste di dazi europei, vendita dell’oro della Banca d’Italia, social cards della miseria, riforme fiscali mai avvenute ...
2. Il barattolo di pelati Cirio: Tremonti rieccheggia la linea difensiva di Cragnotti. In realtà le frodi maggiori avvennero mentre Tremonti era ministro dell'economia, le tecniche finanziarie usate furono elementari e la legislazione che permise a Cragnotti di frodare e scamparla venne mantenuta in vigore (e in parte promulgata) mentre il nostro sedeva a quella medesima scrivania. La "finanza disinvolta" c’entra come i cavoli a merenda. C’entra, invece, la "politica disinvolta" che GT pratica sin da quando lavorava per Craxi, maestro della medesima.
3. La tassa di Obama: ennesimo attacco al libero mercato e ai piccoli risparmiatori. Tassa populista a suggello del patto mefistofelico fra Washington e Wall Street: il supporto della dirigenza bancaria (i cu ingiustificati redditi vennero e vengono preservati) a cambio della tosatura degli azionisti. A questo modello Tremonti s'ispira, il suo unico cruccio essendo quello che le banche italiane non hanno ancora ceduto alle sue, per niente timide ma senz'altro pelose, offerte d'aiuto.
Il resto dell'intervista si sviluppa quindi in una realtà parallela, farcendosi d'insensatezze (def: sequenza di parole prive di senso compiuto e/o riscontro nella realtà). Documentarle tutte richiederebbe un altro libro ... in fondo all'articolo elenco le peggiori, lasciando ai lettori il piacere di discuterle.Nei meandri di questo mondo capovolto, ho comunque rinvenuto tre importanti messaggi al popolo:
A. L'ennesima promessa, con scadenza a tre anni e mezzo, di riforma fiscale. Poiché sulla medesima non dice nulla di preciso, nulla possiamo commentare. Alla promessa di riforma non si accompagna la promessa d’una riduzione della spesa pubblica, il che implica (visto il debito e lo squilibrio di bilancio esistenti) che Tremonti sta promettendo di non ridurre il carico fiscale aggregato ma, al più, di redistribuirlo. L’affermazione secondo cui la spesa si ridurrà spontaneamente per effetto del federalismo fiscale è priva d’alcuna sostanza. In sintesi: carico fiscale e spesa pubblica invariati.
B. Nessun’altra riforma viene promessa: "riforma della pubblica amministrazione, della scuola, dell'università e delle infrastrutture sono in atto", afferma Tremonti. Si parva licet, mi ricorda Bob Lucas che, nel suo articolo del 1978 su Asset Prices in an Exchange Economy, affermava che sia il problema della dinamica dei prezzi (tâtonnement) che quello delle dinamiche di accumulazione (convergenza o meno alla crescita bilanciata) erano stati risolti. Bob fantasticava allora, Giulio Tremonti lo imita oggi nel suo piccolo. Il messaggio politico è chiarissimo: immobilismo totale. Guai a toccare i delicati equilibri che, sino ad ora, hanno permesso al suo capo ufficio d’essere eletto. Che il paese decada è poca cosa a fronte della rielezione del batka nostrano.
C. Il grande rientro della politica consiste nell'offrire sicurezze verbali, ossia fantasie. Il declino italiano non esiste, perché l'ha detto Tremonti. Non importa che i dati gli diano torto, lui continua a dichiarare che la crescita degli altri paesi, durante gli ultimi dieci-quindici anni, era falsa e drogata. Quindi non siamo rimasti indietro: abbiamo fatto solo a meno di drogarci ... Che il reddito pro-capite di Irlanda, Spagna e svariati altri sia tutt'ora superiore al nostro non va menzionato: essi devono affrontare squilibri non ben specificati e stanno quindi peggio di noi. Il loro essere andati avanti era apparente, come apparente era ed è il declino del reddito delle famiglie italiane. Chi lo nega è disfattista e anti-italiano, come la Banca d'Italia che non la smette di dire cose scarsamente coerenti con le fantasie che il ministro dell'economia ritiene necessario gli italiani credano. Se Giulio Tremonti dice che gli altri stanno peggio di noi, non importa che i dati dicano l'opposto: i dati sono probabilmente drogati da qualche economista determinista. La realtà non esiste, le statistiche non esistono, il declino italiano non esiste. Esistono solo le favole che raccontano le TV di stato e di Berlusconi. Favole che Giulio Tremonti sogna di notte e spiattella di giorno a giornalisti ossequiosi, perché le copino e le diffondano fra il popolo. Ecco, la nuova e grande politica economica di Giulio Tremonti che "rientra" è tutta qua, va da A. a C.



SU NAPOLITANO LE VERITA' NASCOSTE



RINGRAZIO MA CONFERMO DISSENSO
Oggi, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha risposto alla mia lettera aperta pubblicata su questo blog. Questa è la risposta del presidente della Repubblica:
“"Ho letto la sua lettera e prendo atto del totale dissenso da lei liberamente espresso. Desidero solo farle presente - avendo lei voluto contestare anche il mio riferimento a una sentenza della Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo (che lei confonde con la Corte di Giustizia europea, che e' cosa diversa) - che ho l'abitudine di documentarmi e di fare affermazioni precise.
Lei non ha evidentemente letto la sentenza a cui mi riferisco, che sul punto da me indicato così recita: 'Non e' possibile ritenere che il ricorrente abbia beneficiato di un'occasione adeguata e sufficiente per contestare le dichiarazioni che hanno costituito la base legale della sua condanna'".
Ringrazio sentitamente il presidente della Repubblica per l’attenzione e la sensibilità che ha avuto nel rispondere alla mia lettera. Prendo atto delle sue precisazioni in punto di diritto che, però, lasciano immutato il significato politico del mio dissenso.
Detto questo, e ad onore del vero, ritengo opportuno linkarvi il testo tradotto in italiano della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, dalla cui lettura potrete trarre le vostre considerazioni e che comunque stabilisce due cose:
1) Di tutti i processi, con relative condanne ricevute da Craxi, solo in uno di questi la Corte Europea rinviene violazioni dei principi dell'equo processo.
2) Anche con riferimento a questa sentenza accoglie un'unica doglianza della difesa di Craxi e cioè di non aver potuto controinterrogare i testimoni o coimputati che hanno accusato Craxi. La Corte, tuttavia, riconosce che ciò avvenne nel pieno rispetto della legge italiana allora vigente, correttamente applicata dai giudici.
A voi ogni giudizio.



CARO PRESIDENTE STAVOLTA DISSENTO
Pubblico il testo della lettera che ho inviato oggi al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
***
Caro Presidente,
rispettosamente, ma totalmente, dissento dal contenuto della lettera da Lei inviata ai familiari dell’on. Craxi.
Innanzitutto, perché constato che le sue parole non stanno servendo affatto ad una serena e più condivisa considerazione della figura di Craxi e di quel periodo della storia repubblicana ma, semplicemente, stanno dando un’insperata forza a quelle mille interessate voci che tentano oggi, unilateralmente e strumentalmente, di riscrivere la storia “a senso unico”.
Come si può immaginare, Signor Presidente, di giungere ad una memoria condivisa fino a quando a definire i contorni di questa memoria sono, Lei compreso, i protagonisti politici di quel tempo, protagonisti ancora oggi, e in tanti, della vita politica?
La serenità di una visione condivisa non potrà nascere altrimenti che dall’analisi distaccata di chi quegli anni non li ha vissuti in prima persona. Lasciamo, quindi, alla storia questo compito. Per questo, la mia sensazione, leggendo la Sua lettera è che, forse non intenzionalmente, in Lei per un giorno sia prevalsa la memoria di chi di quei giorni è stato autorevole testimone, piuttosto che il giusto distacco necessario per raggiungere il pur nobile obiettivo che Lei si è proposto.
Non si spiega, altrimenti, come del Craxi politico e uomo di governo Lei possa ricordare soltanto le innegabili positive intuizioni, dimenticando totalmente ed incomprensibilmente, di ricordarne anche il ruolo di assoluta primaria grandezza nel consentire e realizzare quel “sacco” della ricchezza pubblica che, in quindici anni, portò il debito pubblico dal 60 al 120%, togliendo a due generazioni future di italiani la speranza di un futuro migliore.
Un vero e proprio assalto alla diligenza, con il quale una classe politica già screditata e compromessa cercò di mantenere il consenso spendendo soldi che non c’erano. In quegli anni scellerati si mandarono in pensione quarantenni, si aumentò di un milione il numero dei dipendenti nelle pubbliche amministrazioni, si diede vita ad un sistema assistenziale di matrice clientelare e di illegalità diffusa che misero il paese in ginocchio. Caro Presidente, Le chiedo, come si può tacere tutto questo?
Non ho condiviso, Signor Presidente, nemmeno la parte nella quale Lei, oggettivamente, ribadisce il fatto che non si possono cancellare le responsabilità penali ma, ciò nondimeno lascia intendere, con le Sue parole, che anche quelle furono frutto di un clima che portò a far pagare a Craxi un prezzo più alto che a chiunque altro e La spinge ad evocare possibili ingiustizie, nei limiti in cui gli fu negato “un processo equo”, come stabilirebbe una sentenza della Corte di Giustizia Europea.
No, Signor Presidente, la mia memoria dei fatti, e quella di milioni di italiani che ieri non si sono ritrovati nelle sue parole, è diversa.
Craxi pagò oggettivamente più degli altri grandi leader di partito, ma solo perché soltanto Craxi risultò inequivocabilmente aver fatto ampio uso personale dei proventi di reati, compiendo quindi atti di corruzione e non semplice finanziamento illecito.
Quanto all’allora sentenza della Corte di Giustizia Europea questa si limitò a giudicare negativamente non il processo a Craxi ma una norma del diritto italiano. Norma che si applicò a tutti gli italiani imputati in processi penali, fino alla sua riforma.
Anche da questo punto di vista mi pare quindi che si rischi, ancora una volta, di avallare l’idea che la giustizia che vale per i cittadini comuni non debba essere la stessa che vale per i potenti.
Credo, Signor Presidente, che sia una china davvero pericolosa.
Conclusivamente, Signor Presidente, Le voglio dire che da Lei mi sarebbe piaciuto sentire un discorso diverso, che potesse contribuire a riedificare moralmente questa martoriata Repubblica. Un discorso che dicesse con chiarezza, una volta per tutte, che il politico, tanto più se uomo di governo, presta un giuramento solenne verso il popolo che rappresenta. Un giuramento di onestà, di trasparenza e di lealtà. E che quando vìola, così gravemente e durevolmente, questo giuramento, come fece Craxi, tradisce il suo Paese ed il suo popolo e niente, nemmeno il tempo, lo può riscattare.
Purtroppo, per la riedificazione morale del nostro paese, dovremo aspettare ancora a lungo.
Con rispetto,
Massimo Donadi



LA CONGIURA DEI CONDANNATI




LA STRATEGIA DELLA BEATIFICAZIONE




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