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SUA MAESTA’ MARINA NEL REGNO DI BUNGA BUNGA

Marina BerlusconiMarina BerlusconiIn questa povera Italia scossa da venti di crisi c’è una notizia che fa davvero accapponare la pelle: la discesa in campo di Marina Berlusconi. E’ un ipotesi tra le tante, per carità. Fininvest ha già prontamente smentito la notizia – una smentita è una notizia data due volte -  ma, come si dice, a pensar male si fa peccato ma qualche volta ci si azzecca. Nel regno di Bunga bunga, dunque, la successione al trono sembra diventare dinastica, proiettando l’Italia… nel medioevo. Nel dibattito su chi sarà il successore di Silvio, con Angelino Alfano in pole position - altro brivido di terrore lungo la schiena - prende corpo l’idea di Marina, ovvero, il familismo al potere, nella più logica delle mentalità italiota del “tengo famiglia”, che in politica è da sempre di gran moda. Dai discendenti di Bettino Craxi, Bobo e Stefania che, nel pieno rispetto della par condicio, stanno uno a destra e uno a sinistra, a Renzo Bossi, il trota che a furia di cercarsi una strada nella vita l’ha trovata ricalcando le orme di babbo Umberto, l’Italia, non solo quella parlamentare, pullulla di “figli di”. Ma questa è un’altra storia, vecchia quanto il mondo. Tornando a Marina, finché papà Silvio la mette a capo della Mondadori o piuttosto dello shuttle di famiglia, fatti loro. Ma ritrovarsela presidente del Consiglio per successione dinastica, sono fatti anzi fattacci amarissimi per il Paese e per la democrazia. Si badi bene che nulla ho contro le donne, anzi se ce ne fossero di più al potere forse le cose non andrebbero così male. Nulla contro neanche l’inesperienza, anzi in qualche caso può avere un senso. Ma nel caso di Marina, la sua eventuale successione per via dinastica ed incoronazione mi ricorderebbe tanto quella di Carlo Magno che, il 25 dicembre dell’anno del signore 800 d.c., fu incoronato da Papa Leone III imperatore, titolo mai più usato in Occidente dall’abdicazione di Romolo Augustolo nel 476 dc. E pure lì, le analogie tra il padre di Carlo Magno, Pipino il breve, per ovvie ragioni metriche, ed il padre di Marina, Silvio Berlusconi, sono lapalissiane ed inquietanti. Ma allora, se successione dinastica ha da essere, mi domando perché Marina e non Piersilvio, oppure, Eleonora, Barbara e Luigi?  Forse perché figli di un dio minore, della reietta Veronica? Perché Marina ha l’immagine giusta e vincente e l’immagine, si sa, per Silvio è tutto. Ma siamo seri, per favore. Se di successioni al trono si deve parlare, riguardino gli affari loro e non quelli del Paese. Di beghe, a quanto si legge, non ne mancano a Silvio nelle divisioni dell’impero di famiglia. I figli di Veronica già scalpitano e bramano. Ci mancherebbe solo che Silvio, fatta fuori  Marina per ragioni dinastico-aziendali dalla Mondadori, ce la appioppi in politica. L’Italia ha già dato.

LA MILANO DA BERE E' TORNATA

 Craxi - BerlusconiCraxi - BerlusconiPiù passa il tempo e più ne ho la certezza. Silvio Berlusconi è l’erede naturale di Bettino Craxi. Indifferenza verso la buona amministrazione, consenso conquistato spendendo soldi che non ci sono, nessuna politica di contenimento della spesa pubblica, delegazioni faraoniche inviate all’estero.Qualche anno fa, furono in mille ad accompagnare Ghino di Tacco nell’ormai celebre viaggio in Cina. Oggi, sono in 100 ad accompagnare Silvio nel suo viaggio in Israele. Un po’ troppi per celebrare la tre giorni d’amicizia tra il premier e Netanyahu.Ma i parallelismi più inquietanti vengono fuori guardando alla politica economica di Bettino e Silvio e al debito pubblico di allora e di oggi: spesa pubblica senza freni per accontentare tutti creando facile consenso e un aumento senza controllo del debito pubblico.I due governi Craxi (1983 – 1987), in soli quattro anni, raddoppiarono il debito pubblico. In quegli anni, infatti, l’indebitamento passò, in termini assoluti, da 234 a 522 miliardi di euro e il rapporto tra debito pubblico e Pil passò dal 70 al 90%. Gli anni del craxismo più esasperato e della Milano da bere portarono l’Italia sull’orlo della  bancarotta. Oggi ci risiamo. La Milano da bere è tornata.Nei sette anni e due mesi dei tre governi del Cavaliere, dal ’94 al 2009, lo rivela un’inchiesta su Affari e Finanza de la Repubblica di oggi, lo Stato ha accumulato un indebitamento per circa 430 miliardi, più o meno 7.500 euro per ciascun cittadino italiano.I dati BanKitalia riportati nell’inchiesta rivelano infatti che, i governi Berlusconi hanno creato un enorme debito pubblico, mentre quelli di centrosinistra sono stati più virtuosi. Dini, Prodi I, D’Alema e Amato, hanno ridotto di 13 punti percentuali il debito pubblico in sei anni, portandolo nel 2001 al 108,8%. Prodi, che successe a Berlusconi nel 2006, in appena un anno, lo ridusse di ulteriori 3 punti. Con Berlusconi al governo, dunque, gli italiani ci stanno rimettendo e di brutto. La verità è che a Berlusconi non frega niente delle generazioni future e alla pesante eredità che lascia. A lui interessa solo il facile consenso. E tenere inchiodato il parlamento a risolvere i suoi guai giudiziari. E tutto il resto è noia.

7 PAGINE IMBARAZZANTI: IL PROGRAMMA ECONOMICO DI GIULIO TREMONTI

Tremonti bondsTremonti bonds Pubblico un interessante articolo del prof. Michele Boldrin, apparso sul sito www.noisefromamerika.org. Un sarcastico e formidabile saggio sulla politica economica del ministro Giulio Tremonti.

"A mezzo d'un mirabolante un-due-tre, l'incipit riassume tutta la politica economica tremontiana: socialismo populista + monopoli nazionali simbiotici al potere politico + rovesciamento della realtà:

1. Son anni che GT annuncia il "rientro della politica" senza che agli annunci seguano altro che condoni, o fallimenti. La lista di quest’ultimi è nota: Tremonti bonds, Banca del Sud, cartolarizzazione del patrimonio edilizio pubblico, richieste di dazi europei, vendita dell’oro della Banca d’Italia, social cards della miseria, riforme fiscali mai avvenute ...

2. Il barattolo di pelati Cirio: Tremonti rieccheggia la linea difensiva di Cragnotti. In realtà le frodi maggiori avvennero mentre Tremonti era ministro dell'economia, le tecniche finanziarie usate furono elementari e la legislazione che permise a Cragnotti di frodare e scamparla venne mantenuta in vigore (e in parte promulgata) mentre il nostro sedeva a quella medesima scrivania. La "finanza disinvolta" c’entra come i cavoli a merenda. C’entra, invece, la "politica disinvolta" che GT pratica sin da quando lavorava per Craxi, maestro della medesima.

3. La tassa di Obama: ennesimo attacco al libero mercato e ai piccoli risparmiatori. Tassa populista a suggello del patto mefistofelico fra Washington e Wall Street: il supporto della dirigenza bancaria (i cu ingiustificati redditi vennero e vengono preservati) a cambio della tosatura degli azionisti. A questo modello Tremonti s'ispira, il suo unico cruccio essendo quello che le banche italiane non hanno ancora ceduto alle sue, per niente timide ma senz'altro pelose, offerte d'aiuto.

Il resto dell'intervista si sviluppa quindi in una realtà parallela, farcendosi d'insensatezze (def: sequenza di parole prive di senso compiuto e/o riscontro nella realtà). Documentarle tutte richiederebbe un altro libro ... in fondo all'articolo elenco le peggiori, lasciando ai lettori il piacere di discuterle.Nei meandri di questo mondo capovolto, ho comunque rinvenuto tre importanti messaggi al popolo:

A. L'ennesima promessa, con scadenza a tre anni e mezzo, di riforma fiscale. Poiché sulla medesima non dice nulla di preciso, nulla possiamo commentare. Alla promessa di riforma non si accompagna la promessa d’una riduzione della spesa pubblica, il che implica (visto il debito e lo squilibrio di bilancio esistenti) che Tremonti sta promettendo di non ridurre il carico fiscale aggregato ma, al più, di redistribuirlo. L’affermazione secondo cui la spesa si ridurrà spontaneamente per effetto del federalismo fiscale è priva d’alcuna sostanza. In sintesi: carico fiscale e spesa pubblica invariati.

B. Nessun’altra riforma viene promessa: "riforma della pubblica amministrazione, della scuola, dell'università e delle infrastrutture sono in atto", afferma Tremonti. Si parva licet, mi ricorda Bob Lucas che, nel suo articolo del 1978 su Asset Prices in an Exchange Economy, affermava che sia il problema della dinamica dei prezzi (tâtonnement) che quello delle dinamiche di accumulazione (convergenza o meno alla crescita bilanciata) erano stati risolti. Bob fantasticava allora, Giulio Tremonti lo imita oggi nel suo piccolo. Il messaggio politico è chiarissimo: immobilismo totale. Guai a toccare i delicati equilibri che, sino ad ora, hanno permesso al suo capo ufficio d’essere eletto. Che il paese decada è poca cosa a fronte della rielezione del batka nostrano.

C. Il grande rientro della politica consiste nell'offrire sicurezze verbali, ossia fantasie. Il declino italiano non esiste, perché l'ha detto Tremonti. Non importa che i dati gli diano torto, lui continua a dichiarare che la crescita degli altri paesi, durante gli ultimi dieci-quindici anni, era falsa e drogata. Quindi non siamo rimasti indietro: abbiamo fatto solo a meno di drogarci ... Che il reddito pro-capite di Irlanda, Spagna e svariati altri sia tutt'ora superiore al nostro non va menzionato: essi devono affrontare squilibri non ben specificati e stanno quindi peggio di noi. Il loro essere andati avanti era apparente, come apparente era ed è il declino del reddito delle famiglie italiane. Chi lo nega è disfattista e anti-italiano, come la Banca d'Italia che non la smette di dire cose scarsamente coerenti con le fantasie che il ministro dell'economia ritiene necessario gli italiani credano. Se Giulio Tremonti dice che gli altri stanno peggio di noi, non importa che i dati dicano l'opposto: i dati sono probabilmente drogati da qualche economista determinista. La realtà non esiste, le statistiche non esistono, il declino italiano non esiste. Esistono solo le favole che raccontano le TV di stato e di Berlusconi. Favole che Giulio Tremonti sogna di notte e spiattella di giorno a giornalisti ossequiosi, perché le copino e le diffondano fra il popolo. Ecco, la nuova e grande politica economica di Giulio Tremonti che "rientra" è tutta qua, va da A. a C.

SU NAPOLITANO LE VERITA' NASCOSTE

video: 
Tra ieri ed oggi si è avuta riprova che i media  italiani non sono al servizio della corretta informazione. I lettori dei quotidiani e i telespettatori dei tg nazionali, si sono trovati di fronte a una sorta di paradosso.  Giornali e tv hanno, infatti, dato ampio risalto alla risposta che il presidente Napolitano ha voluto inviare alla mia lettera aperta, in cui dissentivo sul messaggio mandato dal Capo dello Stato ai familiari di Craxi, senza, però, riportare una sola parola della stessa. Lettori e spettatori, in pratica, non sono stati messi in grado di formarsi una propria opinione.La verità è sempre la stessa: l’Italia dei Valori dà fastidio a tutti indistintamente. Non importa se moltissimi italiani la pensano come noi. L’informazione continua a incasellarci in vecchi cliché, a descriverci come esagitati, esaltati, come quelli che dicono sempre no e che insultano il capo dello Stato. La lettera che io ho mandato a al presidente della Repubblica era, forse, inenarrabile, perché troppo in contrasto con tale modello di partito. Era, infatti, un insieme di riflessioni, spunti culturali e valutazioni economiche e politiche, ben lontani da insulti e contestazioni. Su questo blog è stata pubblicata la mia lettera e la risposta di Napolitano.Ora guardate il video e traete voi le libere conclusioni.

RINGRAZIO MA CONFERMO DISSENSO

Oggi, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha risposto alla mia lettera aperta pubblicata su questo blog. Questa è la risposta del presidente della Repubblica:

"Ho letto la sua lettera e prendo atto del totale dissenso da lei liberamente espresso. Desidero solo farle presente - avendo lei voluto contestare anche il mio riferimento a una sentenza della Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo (che lei confonde con la Corte di Giustizia europea, che e' cosa diversa) - che ho l'abitudine di documentarmi e di fare affermazioni precise.

Lei  non ha evidentemente letto la sentenza a cui mi riferisco, che sul punto da me indicato così recita: 'Non e' possibile ritenere che il ricorrente abbia beneficiato di un'occasione adeguata e sufficiente per contestare le dichiarazioni che hanno costituito la base legale della sua condanna'".

Ringrazio sentitamente il presidente della Repubblica per l’attenzione e la sensibilità che ha avuto nel rispondere alla mia lettera. Prendo atto delle sue precisazioni in punto di diritto che, però, lasciano immutato il significato politico del mio dissenso.

Detto questo, e ad onore del vero, ritengo opportuno linkarvi il testo tradotto in italiano della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo,  dalla cui lettura potrete trarre le vostre considerazioni e che comunque stabilisce due cose:

1) Di tutti i processi, con relative condanne ricevute da Craxi, solo in uno di questi la Corte Europea rinviene violazioni dei principi dell'equo processo.

2) Anche con riferimento a questa sentenza accoglie un'unica doglianza della difesa di Craxi e cioè di non aver potuto controinterrogare i testimoni o coimputati che hanno accusato Craxi. La Corte, tuttavia, riconosce che ciò avvenne nel pieno rispetto della legge italiana allora vigente, correttamente applicata dai giudici.

A voi ogni giudizio.

CARO PRESIDENTE STAVOLTA DISSENTO

video: 


 

Pubblico il testo della lettera che ho inviato oggi al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

***


Caro Presidente,

rispettosamente, ma totalmente, dissento dal contenuto della lettera da Lei inviata ai familiari dell’on. Craxi.

Innanzitutto, perché constato che le sue parole non stanno servendo affatto ad una serena e più condivisa considerazione della figura di Craxi e di quel periodo della storia repubblicana ma, semplicemente, stanno dando un’insperata forza a quelle mille interessate voci che tentano oggi, unilateralmente e strumentalmente, di riscrivere la storia “a senso unico”.

Come si può immaginare, Signor Presidente, di giungere ad una memoria condivisa fino a quando a definire i contorni di questa memoria sono, Lei compreso, i protagonisti politici di quel tempo, protagonisti ancora oggi, e in tanti, della vita politica?

La serenità di una visione condivisa non potrà nascere altrimenti che dall’analisi distaccata di chi quegli anni non li ha vissuti in prima persona. Lasciamo, quindi, alla storia questo compito. Per questo, la mia sensazione, leggendo la Sua lettera è che, forse non intenzionalmente, in Lei per un giorno sia prevalsa la memoria di chi di quei giorni è stato autorevole testimone, piuttosto che il giusto distacco necessario per raggiungere il pur nobile obiettivo che Lei si è proposto.

Non si spiega, altrimenti, come del Craxi politico e uomo di governo Lei possa ricordare soltanto le innegabili positive intuizioni, dimenticando totalmente ed incomprensibilmente, di ricordarne anche il ruolo di assoluta primaria grandezza nel consentire e realizzare quel “sacco” della ricchezza pubblica che, in quindici anni, portò il debito pubblico dal 60 al 120%, togliendo a due generazioni future di italiani la speranza di un futuro migliore.

Un vero e proprio assalto alla diligenza, con il quale una classe politica già screditata e compromessa cercò di mantenere il consenso spendendo soldi che non c’erano. In quegli anni scellerati si mandarono in pensione quarantenni, si aumentò di un milione il numero dei dipendenti nelle pubbliche amministrazioni, si diede vita ad un sistema assistenziale di matrice clientelare e di illegalità diffusa che misero il paese in ginocchio. Caro Presidente, Le chiedo, come si può tacere tutto questo?

Non ho condiviso, Signor Presidente, nemmeno la parte nella quale Lei, oggettivamente, ribadisce il fatto che non si possono cancellare le responsabilità penali ma, ciò nondimeno lascia intendere, con le Sue parole, che anche quelle furono frutto di un clima che portò a far pagare a Craxi un prezzo più alto che a chiunque altro e La spinge ad evocare possibili ingiustizie, nei limiti in cui gli fu negato “un processo equo”, come stabilirebbe una sentenza della Corte di Giustizia Europea.

No, Signor Presidente, la mia memoria dei fatti, e quella di milioni di italiani che ieri non si sono ritrovati nelle sue parole, è diversa.

Craxi pagò oggettivamente più degli altri grandi leader di partito, ma solo perché soltanto Craxi risultò inequivocabilmente aver fatto ampio uso personale dei proventi di reati, compiendo quindi atti di corruzione e non semplice finanziamento illecito.

Quanto all’allora sentenza della Corte di Giustizia Europea questa si limitò a giudicare negativamente non il processo a Craxi ma una norma del diritto italiano. Norma che si applicò a tutti gli italiani imputati in processi penali, fino alla sua riforma.

Anche da questo punto di vista mi pare quindi che si rischi, ancora una volta, di avallare l’idea che la giustizia che vale per i cittadini comuni non debba essere la stessa che vale per i potenti.

Credo, Signor Presidente, che sia una china davvero pericolosa.

Conclusivamente, Signor Presidente, Le voglio dire che da Lei mi sarebbe piaciuto sentire un discorso diverso, che potesse contribuire a riedificare moralmente questa martoriata Repubblica. Un discorso che dicesse con chiarezza, una volta per tutte, che il politico, tanto più se uomo di governo, presta un giuramento solenne verso il popolo che rappresenta. Un giuramento di onestà, di trasparenza e di lealtà. E che quando vìola, così gravemente e durevolmente, questo giuramento, come fece Craxi, tradisce il suo Paese ed il suo popolo e niente, nemmeno il tempo, lo può riscattare.

Purtroppo, per la riedificazione morale del nostro paese, dovremo aspettare ancora a lungo.

Con rispetto,

                                                           Massimo Donadi

LA CONGIURA DEI CONDANNATI

Antonio Di PietroAntonio Di Pietro  E’ in atto il tentativo di riscattare la classe politica della prima Repubblica, quella che Tangentopoli ha consegnato alla storia come corrotta, affarista e ladra. Quella che ha messo in ginocchio un intero Paese, regalandogli il più pesante debito pubblico mai visto, di cui paga ancora oggi le conseguenze. Per riscattare quella classe politica e i suoi epigoni, serve riscrivere la storia e far passare i ladri per santi e le guardie per mascalzoni. Così, dopo il tentativo di santificazione di Craxi, che abbiamo denunciato dalle colonne di questo blog pochi giorni fa, arriva ora puntuale la seconda parte dell’operazione studiata a tavolino, ovvero il castello di bugie, calunnie e veleni che i soliti quattro pennivendoli al soldo del padrone stanno costruendo ad arte. L’obiettivo è quello di continuare a denigrare, come stanno facendo ormai da vent’anni, non solo il lavoro ma anche l’onorabilità di chi ha fatto il suo mestiere, ovvero, i magistrati di allora, Antonio Di Pietro per primo ed il pool di Mani Pulite.Tutto ciò mi indigna perché io so. Per questo, sento il bisogno di raccontarvi un episodio, al di là di tante parole o frasi. E’ accaduto un anno e mezzo fa circa, protagonisti me e Di Pietro. Sono nel mio ufficio a lavorare e sento bussare alla porta. E’ lui che, con un’aria quasi timida, che stupisce anche me che conosco bene il fiero cipiglio del leader del mio partito, mi si avvicina con alcuni,  tanti per la verità, fogli in mano. Mi spiega che quei fogli altro non sono che la vecchia sentenza che lo scagiona completamente dalle accuse che allora lo avevano indotto alle dimissioni dalla magistratura e che, ovviamente, lo assolve da ogni addebito a suo carico. Per intenderci, parliamo dei 100 milioni di lire e della Mercedes di Gorrini. Altrettanto timidamente mi chiede di dare un’occhiata alla sentenza, di leggerla se ne avessi voglia, in particolare quelle 30 pagine sui cui egli stesso ha messo il segno, aggiungendo, infine, che è molto importante per lui sul piano della nostra amicizia che io legga quelle pagine.Sebbene fossimo amici da nove anni, con Di Pietro non avevo mai parlato dei dettagli di quei momenti e di quelle vicende. La sua richiesta mi inorgoglì.Ebbene, non solo lessi quelle trenta pagine, ma l’intera sentenza e, ad ogni riga, cresceva la mia rabbia ed il senso frustrazione per la vera storia che, mai nessuno in questo Paese, aveva avuto ed ha il coraggio di raccontare. Emergono fatti, circostanze, intercettazioni, dichiarazioni che, in un paese normale, avrebbero cambiato il corso della storia. Vi racconto qui, in sintesi, sempre che non abbiate voglia di leggervi la sentenza, quello che emerge e che, badate bene, non sono opinioni ma fatti interamente ed incontrovertibilmente ricostruiti da confessioni, dichiarazioni dei diretti interessati, documenti ritrovati e intercettazioni telefoniche effettuate. Non teorie, dunque, ma fatti.Il signor Giancarlo Gorrini, che nel ’94 era un imprenditore sull’orlo del fallimento e che rischiava di essere travolto da una serie di indagini giudiziarie, al fine di cercare di salvare se stesso, il suo patrimonio e le sue aziende dall’imminente tracollo, decise di fare mercimonio dei suoi pregressi rapporti di amicizia con Di Pietro, di alterare fatti, circostanze, significati e gravità di tali rapporti di amicizia, al fine di riversare questo cumulo di menzogne in un dossier da vendere al miglior offerente tra i tanti indagati o arrestati di Mani Pulite, che non difettavano certo né di soldi né di rancore verso il magistrato. Per primo, si reca da Paolo Berlusconi e gli offre un dossier esplosivo per incastrare Antonio Di Pietro. Paolo Berlusconi accetta, prende il dossier e, temendo perquisizioni, lo fa nascondere a casa del fidanzato della figlia. Qui, un giorno, si presenta una persona di fiducia dello stesso Paolo Berlusconi che si fa consegnare il dossier e lo porta alla Lega Nord, proponendolo anche a loro. La Lega, invece, denuncia quella persona che, fermata ed identificata dalle forze dell’ordine, racconta tutto. Nel frattempo, Gorrini e Paolo Berlusconi si recano dal capo degli ispettori del ministero della Giustizia, portando l’esplosivo dossier che inchioda l’ex pm. Ma le accuse di Gorrini contenute nel documento sono talmente sciocche che il magistrato le archivia all’istante.A quel punto, Gorrini si rivolge a Cusani, proponendo a lui l’affare. Si presenta con un nuovo dossier, visto che il primo è un totale flop, dove gli stessi fatti sono stati riscritti e stravolti per tentare di farli diventare quello che oggettivamente non sono, ovvero, penalmente rilevanti. Cusani e Gorrini decidono di andare direttamente alla procura della Repubblica per dare inizio ad un procedimento penale contro Di Pietro e il pool di Mani Pulite.Gorrini si mette d’accordo a tavolino con testimoni, familiari ed amici nel negare che in tutta la vicenda ci sia dietro Paolo Berlusconi. Omette questa circostanza e decide di raccontare che la sua decisione di andare dal pm scaturisce dal moto di indignazione suscitatogli dalla notizia, pubblicata dal Corriere delle Sera, di prossime indagini a carico di Silvio Berlusconi da parte del pm Di Pietro.Questa volta, di fronte a Gorrini e Cusani, c’è il giudice Fabio Salamone di Brescia, scelto ad hoc dai denuncianti, il cui fratello è stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta di Tangentopoli per corruzione e cui non difetta, dunque, rancore nei riguardi del pm. Da questo secondo assurdo dossier, capolavoro di menzogne artatamente costruite, partono le accuse ed i procedimenti contro Di Pietro che, nel frattempo, si dimette dalla magistratura per affrontare i processi e tutte le accuse a suo carico, da cui verrà interamente e totalmente prosciolto. Il Csm, qualche tempo dopo, ammonì il pm Fabio Salamone perché non si astenne dal processo su Di Pietro, riconoscendolo colpevole di aver violato il dovere di correttezza e di aver pregiudicato il prestigio dell’ordine giudiziario.Nella sentenza il giudice scrive che, all’epoca, c’era un vero e proprio partito degli indagati che aveva costruito un castello di falsità e che aveva tessuto una rete di calunnie per mettere Di Pietro ed il Pool definitivamente in trappola.Questo è ciò che accadde e questa è la verità, non la mia o quella di Di Pietro, ma la verità dei fatti e tentare di stravolgerla ancora una volta, è da vili e disonesti. Il tempo mi auguro posso aiutare a cancellare il dolore. Ma non può e non deve cancellare la verità.

LA STRATEGIA DELLA BEATIFICAZIONE

Bettino CraxiBettino CraxiIeri sera il Tg1, con un editoriale del direttore, ha riscritto la storia in diretta televisiva. Tre minuti sono bastati per beatificare Craxi, paragonandolo addirittura a Papa Wojtyla e per relegare negli inferi dell’odio e del rancore politico l’intera inchiesta di Mani Pulite. E’ ormai sotto gli occhi di tutti che il tentativo di riabilitazione della figura politica di Craxi non è un moto spontaneo, ma una vera campagna politica che per diffusione e capillarità è seconda soltanto a quella di santificazione di Berlusconi dopo l’aggressione di Tartaglia e dietro la quale si intravedono con chiarezza attori e finalità.E’ evidente che, in questa operazione studiata a tavolino, a parte ovviamente ai figli e alla famiglia, di Craxi non interessi un gran che a nessuno ma che si perseguano obiettivi che stanno tutti all’interno dell’odierna battaglia politica. E’ chiaro infatti che vi è un’intera classe politica che, scontati anni di purgatorio a seguito di Mani Pulite e dopo aver a fatica riconquistato in questi anni posizioni di prima fila nella politica o nel governo del paese, vede nella riabilitazione politica di Craxi una sorta di lavacro collettivo di un’intera epoca politica della quale sono stati sciagurati protagonisti. E’ il tentativo maldestro di far dimenticare agli italiani che in quegli anni la politica ha ceduto il posto a un sistema di ruberie malversazioni grazie alle quali il nostro paese si trova ancora oggi in ginocchio indebitato e impoverito.L’altro regista, senza la cui smisurata potenza mediatica questa campagna sarebbe impensabile ancora prima che impossibile, è Silvio Berlusconi, le cui fortune come imprenditore sono legate a doppio filo ai favori del Craxi ‘statista’,  cui si deve la prima legge ad personam della Repubblica italiana, ovvero quel decreto con il quale il governo Craxi permise a Berlusconi, in violazione delle norma all’epoca vigente, di trasmettere in diretta televisiva sull’intero territorio nazionale. Per non parlare della strada che l’ex leader socialista gli spianò nell’accaparrarsi le frequenze pubbliche televisive, per passare ancora alle tracce di tangenti passate dal conto estero di Fininvest All Iberian ai conti svizzeri di Craxi e per finire con quell’epoca oscura venata di tentazioni golpiste nella quale fu possibile la nascita di quella loggia P2 che vide coinvolti tanto Berlusconi quanto molti dei dirigenti socialisti. Noi non permetteremo che tutto questo accada, non per odio verso Craxi, non per giustizialismo, ma soltanto per amore della verità. Quell’amore di verità che mi fa dire che non vi è dubbio che dal punto di vista politico Craxi abbia avuto importanti intuizioni e una visione anticipatrice, sapendo ancorare una parte della sinistra al  riformismo europeo vent’anni prima che lo facesse il Pci-Pds. Sicuramente l’analisi e il giudizio della vita e delle azioni di un uomo politico sono articolate e complesse. Ma non possiamo dimenticare che ogni politico sottoscrive con i cittadini innanzitutto, e sopra ogni altra cosa, un solenne patto di verità, lealtà e trasparenza. Questo patto Bettino Craxi lo ha violato nel modo più grave possibile, sia con le plurime e gravi responsabilità penali, sia con le evidenti responsabilità politiche, per essere stato uno dei protagonisti di quel complessivo decadimento della politica che ha trasformato la corruzione e il sistematico sperpero del denaro pubblico in normale e ordinario metodo di gestione dell’azione politica e di governo.