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CON CERTA GENTE NEANCHE UN CAFFE'

ULTIM’ORA. MALINCONICO SI E’ DIMESSO. SIAMO CONVINTI CHE LE DIMISSIONI ERANO E SONO UN ATTO DOVUTO IN CIRCOSTANZE DEL GENERE. PER QUESTO, APPREZZIAMO IL SENSO DI RESPONSABILITA’ DIMOSTRATO DAL SOTTOSEGRETARIO, AUGURANDOCI CHE POSSA CHIARIRE AL PIU’ PRESTO TUTTI GLI ASPETTI DI QUESTA VICENDA.

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 Non so a voi, ma a me non è mai capitato che qualcuno mi pagasse un conto da 20.000 euro. Ammetto di aver talvolta accettato che mi si offrisse un caffè, alle volte addirittura un pranzo al ristorante. Ma sempre e solo da amici e non senza una disputa per avere il privilegio di pagare il conto. Il caso del sottosegretario Malinconico forse non ha nulla di penalmente rilevante. Anzi sicuramente. Ma è rilevantissimo dal punto di vista politico e morale. E’ superfluo ricordare che chi ricopre importanti incarichi pubblici e ruoli di particolare responsabilità non può avere comportamenti men che lineari e trasparenti. Dovrebbe essere superfluo, ma in quest’Italia non lo è, purtroppo. La ‘superficialità’, chiamiamola così, del sottosegretario, è un simbolo di quest’italietta deteriore, quella dei furbi e dei furbetti, quella magnificamente descritta in chiave comica in tante commedie. Ma i ruoli di governo mal si addicono a chi ha troppo in comune con un personaggio di Alberto Sordi. In ogni caso su questa vicenda è in gioco la credibilità del governo Monti. Solo pochi mesi fa all’ombra di Palazzo Chigi proliferavano e prosperavano le ‘cricche’, ora speriamo che il vento sia cambiato davvero e che si prendano decisioni conseguenti. Per rispetto nei confronti dei cittadini e dell’intero Paese. Nel momento in cui scrivo questo post, Malinconico è a colloquio con Monti. Io penso che le dimissioni del sottosegretario siano un atto dovuto. Ci auguriamo che lo stile sia diverso dal governo Berlusconi. Non ho parlato sin qui di quella squallida figura che alla notizia del terremoto a L’Aquila se la faceva sotto dalle risate. Non lo voglio neanche nominare, ma una cosa voglio dirla: con certa gente neanche un caffè.

STOP AGLI SPRECHI DI PALAZZO CHIGI

Sono i dipendenti del premier ad aver percepito il maggior rialzo di stipendio tra il 2009 e il 2010". Il dato emerge dalle tabelle dell'Istat sulle retribuzioni contenute nell'annuario statistico. I lavoratori di Palazzo Chigi, tra il 2009 e il 2010, hanno visto aumentare la loro retribuzioni contrattuali del 15,2% (+9,9% se si tiene conto delle retribuzioni orarie), staccando di gran lunga tutte le altre categorie, sia pubbliche che private. Al secondo posto i servizi a terra negli aeroporti (+5,2%), seguiti dai giornalisti, per i quali l'incremento è stato del 4,7%. Sotto il 4% gli aumenti delle retribuzioni di categorie come i portuali, gli impiegati nel settore delle tlc e nella ricerca (+3,7% per tutti). Non si suona la stessa musica in altri settori del pubblico impiego: ad esempio, nei ministeri, l'aumento tra il 2009 e il 2010 rilevato dall'Istat è stato solamente dello 0,7%, come anche nelle agenzie fiscali e nei monopoli. Per le forze dell'ordine l'aumento è stato dello 0,9%, nella pubblica istruzione dello 0,6%, mentre per i vigili del fuoco l'aumento delle retribuzioni non è andato oltre lo 0,4%”. Lo dice l’Istat.
Questi dati sgombrano il campo da qualsiasi dubbio sull’operato di Silvio Berlusconi, che, se da un lato ha portato al collasso i conti pubblici, dall’altro ha fatto lievitare i costi della struttura di diretta competenza, utilizzandola come fosse un bene a sua esclusiva disposizione. I tempi son cambiati, non c’è più Belrusconi al comando e per questo tralascio volutamente gli episodi ‘pecorecci’ degli ultimi anni, dai voli di Stato con Apicella agli eccessi pruriginosi che hanno coinvolto Palazzo Chigi. Ce ne sarebbe da ricordare, ma abbiamo già riempito pagine e pagine per denunciare quei fatti ed ora è tempo di voltar pagina.  Faccio considerazioni più generali: l’impennata dei costi e degli stipendi di Palazzo Chigi sono lo specchio di una gestione dissennata e piegata ai suoi interessi privati o politici delle casse dello Stato. Basti pensare che negli ultimi otto anni di governo Berlusconi, si è accumulato circa un quarto dell’intero debito pubblico italiano. Una cifra enorme che pesa come un macigno sulla nostra economia. Questo dissesto lo stiamo scontando tutti, soprattutto i più deboli ed il ceto medio e medio-basso, che pagano il peso di una manovra pesantissima. Noi abbiamo votato no alla fiducia ed alla manovra, perché la riteniamo iniqua, ma dobbiamo riconoscere che il nuovo governo è formato da persone che con lo stile di Berlusconi non hanno nulla a che fare. Per questo chiediamo in modo forte e pressante al premier Monti di dare anche lui il buon esempio, tagliando i costi di gestione di Palazzo Chigi. Dimostri di essere diverso da chi l’ha preceduto.

MATTEO RENZI, IL ROTTAMARCORE

E così il rottamatore Renzi, il giovane, è andato ad Arcore e su Facebook è scoppiato il caso Renzi. Molte e molto dure le critiche in casa Pd al sindaco di Firenze, 'reo' di aver preso parte ad un pranzo con Silvio Berlusconi nella di lui dimora privata. Lui, dal canto suo, non ha mancato di sottolineare le sue ragioni in difesa del suo gesto. Ha raccontato che hanno pranzato assieme ed erano solo loro due, lui ed il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, non c’erano né Emilio FedeLele Mora. Dice di essere andato ad Arcore per perorare la causa di Firenze e sostenere la legge speciale per la città. A chi lo ha attaccato duramente ha ribadito che non c’erano altri scopi segreti. Solo in un paese malato, ha detto il sindaco di Firenze, si può pensare che ci sia qualcosa sotto. Premesso che ho sempre guardato a Renzi e ai rottamatori con grande simpatica, perchè in questo paese di inamovibili rappresentano la volontà di dare una scossa per liberare gli alberi dai frutti troppo maturi, questa volta non condivido del tutto il suo gesto. Io faccio il sindaco di Firenze, ha detto Renzi, lui il presidente del Consiglio. Appunto. E’ proprio qui che avverto una nota stonata. Un sindaco quando incontra un presidente del Consiglio non lo fa nella sua residenza privata, ad Arcore, ma a palazzo Chigi, nella sede istituzionale del Governo. E soprattutto, non lo fa pochi giorni prima il voto di sfiducia, quando tutte le opposizioni stanno sostenendo uno sforzo titanico per chiudere definitivamente l’epoca del berlusconismo che ha fatto danni inenarrabili a questo povero Paese. Non ho dubbi che il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che ha provocato più di qualche mal di pancia al segretario del Pd Pierluigi Bersani e a tutta la nomenclatura del Partito democratico, abbia avuto motivi nobili e finalità altamente istituzionali ma scegliere di andare ad Arcore, in questo momento, significa scendere sul piano di quel berlusconismo che ha il suo motore e credo nella confusione dei ruoli, delle istituzioni che confonde pubblico e privato. Sicuramente, come scrive oggi Massimo Gramellini su la Stampa, Renzi appartiene all'attualità e gli altri al museo del Novecento ma, non sarà politicamente sexy dirlo, lo stile come rispetto delle regole e della distinzione dei ruoli è una condizione imprescindibile in politica, è la regola aurea e se l'attualità del centrosinistra passa attraverso il modello Berlusconi, allora vorrebbe dire che abbiamo trovatomagari un nuovo leader ma non siamo riusciti ad uscire dalle secche del leaderismo e personalismo in politica. Per questo, pur ribadendo la mia stima ai rottamatori, stavolta la scelta di Matteo Renzi di andare ad incontrare il presidente del Consiglio nella sua residenza privata e non nella più opportuna sede di palazzo Chigi è un segnale bruttissimo. E' una questione non secondaria di stile e se questo è quello dei rottamatori, spiace dirlo ma viene voglia di dire "niente di nuovo sotto il sole". Cambiano le generazioni ma lo stile resta lo stesso, anzi peggiora. Perché, almeno fino ad oggi, mai nessun alto esponente del Partito democratico avevano varcato i cancelli della residenza privata del presidente del Consiglio.

QUESTION TIME DI FUOCO

MaroniMaroni

Sarà un question time di fuoco, altro che bunga bunga. Mercoledì presenteremo un’interpellanza urgente al ministro Maroni sulla vicenda di Ruby. E’ vero che la sfera privata di qualsiasi cittadino va tutelata, ma è altrettanto vero che se questa sfera riguarda il capo del governo, interessa tutti gli italiani. Il capo politico di un paese dovrebbe essere anche una guida etica, un esempio per tutti i cittadini. Berlusconi non lo è. Un premier che ha legami equivoci, che ha frequentazioni con prostitute e ragazze minorenni senza essere in grado di chiarire la natura dei rapporti è ricattabile. Con grave danno per il Paese. Ma il punto più grave di tutta  questa vicenda non è questo. E’ l’abuso di potere commesso per tirar fuori dalla questura una delle sue predilette, in stato di fermo per furto. Maroni deve spiegare e chiarire con la massima puntualità quel che è successo. Deve dire agli italiani se è vero che un uomo della sua scorta ha telefonato in questura per poi passare la telefonata direttamente al capo del governo, che avrebbe chiesto al capo della questura di rilasciare Ruby e affidarla nelle mani di persone di sua fiducia. E vogliamo sapere se è vero che sarebbe arrivato al punto di mentire sull’identità della ragazza marocchina minorenne arrivando al punto di definirla la nipote di Mubarak. Vogliamo anche capire anche perché il questore in servizio fino a tre settimane fa in via Fatebenefratelli a Milano è stato nominato 'ispettore generale di amministrazione del Consiglio dei Ministri’. E’ solo un caso? Se tutto questo fosse vero – la telefonata di Berlusconi, la bugia sull’identità della ragazza, le pressioni sulla questura – Berlusconi avrebbe compiuto un fatto politicamente gravissimo e commesso un vero e proprio reato. Maroni in Aula dovrà fare chiarezza e sarà molto difficile. Nel caso le risposte non fossero soddisfacenti, siamo pronti a presentare una mozione di sfiducia nei confronti del premier. A quel punto si segnerà davvero una svolta politica nel nostro Paese. Quella mozione sarà uno  spartiacque: da una parte chi sta con il Paese e l’interesse pubblico, dall’altra chi continua a ingoiare fango per coprire le mascalzonate di certe persone. E allora si vedrà se per Fli il concetto di legalità esiste in politica o è solo uno slogan. E si vedrà anche se la Lega continuerà ad appoggiare un presidente del Consiglio che ha ridotto l’Italia a postribolo. All’ipotesi che le opposizioni non votino compatte non voglio neanche pensare.

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GHEDDAFI, SPETTACOLO OLTRE OGNI LIMITE

In una Roma ancora assopita dalle ferie estive che volgevano al termine, è andato in scena ieri lo spettacolo semiserio della visita di Gheddafi. Non mancava nulla rispetto alla pagliacciata cui il leader libico è abituato. Dal codazzo di amazzoni, alla portentosa auto bianca, la tenda, le centinaia di cavalli, il pubblico di sole donne, pagate per star lì ad ascoltare i vaneggiamenti di chi ieri ha davvero superato se stesso e ogni limite. "L'Islam deve diventare la religione di tutta l'Europa" ha avuto l'ardire di affermare nel cuore più vivo del cattolicesimo, scatenando le reazioni niente di meno che della stessa maggioranza di governo. Qualcuno, tra i berlusconiani più fedeli, si è sentito talmente oltraggiato dal fanatismo del leader libico, che ha addirittura avuto il coraggio di esprimere pubblicamente la propria disapprovazione, con Palazzo Chigi che si affrettava a minimizzare dicendo che "non c'è nessun oltraggio, è solo folklore " e, soprattutto, che "le commesse che il governo ha concordato con i libici hanno aiutato le imprese italiane a fronteggiare la crisi". Di fronte a ciò che l'accordo con la Libia rappresenta per il nostro paese, insomma, ogni cosa passa in secondo piano per il governo, addirittura quel rapporto con il Vaticano cui tanto tiene. Anche la Lega trova i propri buoni motivi per restare in silenzio, a parte poche, flebili, voci di dissenso che rimangono in secondo piano. Il Carroccio ha l'obbligo di restare zitto perché grazie ai libici è stato possibile bloccare gli sbarchi dei clandestini sulle coste italiane. E' la solita coerenza del governo, quella cui questo esecutivo ci ha abituati, quella che funziona al contrario. Niente di cui stupirsi, dunque, nelle mancate reazioni allo sfoggio di onnipotenza fornito ieri da Gheddafi, anche nel parlare della libertà delle donne in Libia, con la stessa faccia tosta con cui il cavaliere di casa nostra invoca l'amore che vince sempre sull'odio. Ora, posso capire che in un momento di crisi economica come quello attuale, un governo, spinto da doveroso spirito di responsabilità nazionale, debba tentare il tutto per tutto pur di aprire nuovi scenari alle imprese del proprio paese. Resta però un limite da rispettare, un livello etico oltre il quale un governo serio non dovrebbe andare e l'impressione è che quel limite ieri sia stato ampiamente oltrepassato.

LA CORTE DEI MIRACOLI

 Le folli spese di Palazzo ChigiLe folli spese di Palazzo Chigi  Sono anni che ci fa credere che con lui a palazzo Chigi si spende meno. Più di una volta, il presidente del Consiglio, il miliardario Silvio Berlusconi, ha detto che quando vola, anche per ragioni di stato, usa i suoi jet privati, spendendo di tasca sua, che le guardie del corpo se li paga da solo, con i soldi suoi. Poi, si scopre la verità, ovvero, che il presidente del Consiglio avrà pure usato qualche volta i suoi aerei privati per ragioni di Stato ma gli è anche capitato, e non proprio raramente, di usare gli aerei dell’aeronautica militare, personale e carburante pagati con i soldi pubblici, per trasportare i suoi amici alle sue feste private in Costa Smeralda. Per non parlare delle sue guardie del corpo private, ex addetti alla sicurezza Fininvest, fatti assumere in blocco dai nostri servizi segreti per garantire loro stipendi alti a carico di Pantalone.  Insomma, il mito del miliardario generoso che fa risparmiare i soldi al suo paese e ce ne mette di suoi più passa il tempo e più si sta rivelando per quello che è, ovvero, una bufala.A completare il quadro, arriva oggi un’inchiesta de L’Espresso che, rivela fatti, circostanze, comportamenti ma soprattutto spese, imbarazzanti. Palazzo Chigi, da quando siede alla tolda di comando Silvio, è diventata la corte dei miracoli, dove si moltiplicano dipendenti (1.600 persone in più del previsto) e sprechi (5 milioni di euro solo per allestire i set televisivi del premier). Non colpiscono solo le cifre folli spese (un miliardo di euro l’anno a quanto rivela l’inchiesta de L’Espresso) ma soprattutto l’arroganza ai limiti del lecito con la quale segretarie e addetti all’Ufficio del Presidente vengono promossi generali con tanto di galloni e stipendi favolosi. La segretaria del presidente del Consiglio, ad esempio, è stata assunta con la qualifica di direttore generale. Stessa sorte è toccata alle segretarie particolari dei sottosegretari alla presidenza del Consiglio, alla famiglia e allo sport. Gli addetti all’immagine del presidente, addetti alla preparazione dei set televisivi, fatti assumere come direttori generali. E molto di più.Quando i soldi sono pubblici il presidente del consiglio non bada a spese. Quando i soldi sono i suoi la musica cambia. E mi vengono in mente, tanto per fare un esempio fulgido di questa doppia morale, le truccatrici Mediaset, in sciopero qualche giorno fa davanti agli studi del Biscione, che rischiano il posto di lavoro perché le aziende di Silvio devono risparmiare. Le aziende di Silvio, appunto. L’azienda Italia può sprecare. Tanto paga Pantalone, cioè i cittadini.