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LA CONGIURA DEI CONDANNATI

Antonio Di PietroAntonio Di Pietro  E’ in atto il tentativo di riscattare la classe politica della prima Repubblica, quella che Tangentopoli ha consegnato alla storia come corrotta, affarista e ladra. Quella che ha messo in ginocchio un intero Paese, regalandogli il più pesante debito pubblico mai visto, di cui paga ancora oggi le conseguenze. Per riscattare quella classe politica e i suoi epigoni, serve riscrivere la storia e far passare i ladri per santi e le guardie per mascalzoni. Così, dopo il tentativo di santificazione di Craxi, che abbiamo denunciato dalle colonne di questo blog pochi giorni fa, arriva ora puntuale la seconda parte dell’operazione studiata a tavolino, ovvero il castello di bugie, calunnie e veleni che i soliti quattro pennivendoli al soldo del padrone stanno costruendo ad arte. L’obiettivo è quello di continuare a denigrare, come stanno facendo ormai da vent’anni, non solo il lavoro ma anche l’onorabilità di chi ha fatto il suo mestiere, ovvero, i magistrati di allora, Antonio Di Pietro per primo ed il pool di Mani Pulite.Tutto ciò mi indigna perché io so. Per questo, sento il bisogno di raccontarvi un episodio, al di là di tante parole o frasi. E’ accaduto un anno e mezzo fa circa, protagonisti me e Di Pietro. Sono nel mio ufficio a lavorare e sento bussare alla porta. E’ lui che, con un’aria quasi timida, che stupisce anche me che conosco bene il fiero cipiglio del leader del mio partito, mi si avvicina con alcuni,  tanti per la verità, fogli in mano. Mi spiega che quei fogli altro non sono che la vecchia sentenza che lo scagiona completamente dalle accuse che allora lo avevano indotto alle dimissioni dalla magistratura e che, ovviamente, lo assolve da ogni addebito a suo carico. Per intenderci, parliamo dei 100 milioni di lire e della Mercedes di Gorrini. Altrettanto timidamente mi chiede di dare un’occhiata alla sentenza, di leggerla se ne avessi voglia, in particolare quelle 30 pagine sui cui egli stesso ha messo il segno, aggiungendo, infine, che è molto importante per lui sul piano della nostra amicizia che io legga quelle pagine.Sebbene fossimo amici da nove anni, con Di Pietro non avevo mai parlato dei dettagli di quei momenti e di quelle vicende. La sua richiesta mi inorgoglì.Ebbene, non solo lessi quelle trenta pagine, ma l’intera sentenza e, ad ogni riga, cresceva la mia rabbia ed il senso frustrazione per la vera storia che, mai nessuno in questo Paese, aveva avuto ed ha il coraggio di raccontare. Emergono fatti, circostanze, intercettazioni, dichiarazioni che, in un paese normale, avrebbero cambiato il corso della storia. Vi racconto qui, in sintesi, sempre che non abbiate voglia di leggervi la sentenza, quello che emerge e che, badate bene, non sono opinioni ma fatti interamente ed incontrovertibilmente ricostruiti da confessioni, dichiarazioni dei diretti interessati, documenti ritrovati e intercettazioni telefoniche effettuate. Non teorie, dunque, ma fatti.Il signor Giancarlo Gorrini, che nel ’94 era un imprenditore sull’orlo del fallimento e che rischiava di essere travolto da una serie di indagini giudiziarie, al fine di cercare di salvare se stesso, il suo patrimonio e le sue aziende dall’imminente tracollo, decise di fare mercimonio dei suoi pregressi rapporti di amicizia con Di Pietro, di alterare fatti, circostanze, significati e gravità di tali rapporti di amicizia, al fine di riversare questo cumulo di menzogne in un dossier da vendere al miglior offerente tra i tanti indagati o arrestati di Mani Pulite, che non difettavano certo né di soldi né di rancore verso il magistrato. Per primo, si reca da Paolo Berlusconi e gli offre un dossier esplosivo per incastrare Antonio Di Pietro. Paolo Berlusconi accetta, prende il dossier e, temendo perquisizioni, lo fa nascondere a casa del fidanzato della figlia. Qui, un giorno, si presenta una persona di fiducia dello stesso Paolo Berlusconi che si fa consegnare il dossier e lo porta alla Lega Nord, proponendolo anche a loro. La Lega, invece, denuncia quella persona che, fermata ed identificata dalle forze dell’ordine, racconta tutto. Nel frattempo, Gorrini e Paolo Berlusconi si recano dal capo degli ispettori del ministero della Giustizia, portando l’esplosivo dossier che inchioda l’ex pm. Ma le accuse di Gorrini contenute nel documento sono talmente sciocche che il magistrato le archivia all’istante.A quel punto, Gorrini si rivolge a Cusani, proponendo a lui l’affare. Si presenta con un nuovo dossier, visto che il primo è un totale flop, dove gli stessi fatti sono stati riscritti e stravolti per tentare di farli diventare quello che oggettivamente non sono, ovvero, penalmente rilevanti. Cusani e Gorrini decidono di andare direttamente alla procura della Repubblica per dare inizio ad un procedimento penale contro Di Pietro e il pool di Mani Pulite.Gorrini si mette d’accordo a tavolino con testimoni, familiari ed amici nel negare che in tutta la vicenda ci sia dietro Paolo Berlusconi. Omette questa circostanza e decide di raccontare che la sua decisione di andare dal pm scaturisce dal moto di indignazione suscitatogli dalla notizia, pubblicata dal Corriere delle Sera, di prossime indagini a carico di Silvio Berlusconi da parte del pm Di Pietro.Questa volta, di fronte a Gorrini e Cusani, c’è il giudice Fabio Salamone di Brescia, scelto ad hoc dai denuncianti, il cui fratello è stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta di Tangentopoli per corruzione e cui non difetta, dunque, rancore nei riguardi del pm. Da questo secondo assurdo dossier, capolavoro di menzogne artatamente costruite, partono le accuse ed i procedimenti contro Di Pietro che, nel frattempo, si dimette dalla magistratura per affrontare i processi e tutte le accuse a suo carico, da cui verrà interamente e totalmente prosciolto. Il Csm, qualche tempo dopo, ammonì il pm Fabio Salamone perché non si astenne dal processo su Di Pietro, riconoscendolo colpevole di aver violato il dovere di correttezza e di aver pregiudicato il prestigio dell’ordine giudiziario.Nella sentenza il giudice scrive che, all’epoca, c’era un vero e proprio partito degli indagati che aveva costruito un castello di falsità e che aveva tessuto una rete di calunnie per mettere Di Pietro ed il Pool definitivamente in trappola.Questo è ciò che accadde e questa è la verità, non la mia o quella di Di Pietro, ma la verità dei fatti e tentare di stravolgerla ancora una volta, è da vili e disonesti. Il tempo mi auguro posso aiutare a cancellare il dolore. Ma non può e non deve cancellare la verità.