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CENTRO DEMOCRATICO PER CRESCERE E INNOVARE

Centro Democratico è la forza liberal del centrosinistra che, nel rispetto del necessario rigore, punta sui temi dimenticati dal governo dei tecnici: la crescita, l’innovazione, la solidarietà. La coalizione di centrosinistra –Pd, Sel, Cd - esprime diverse sensibilità, ognuna delle quali è una ricchezza per il Paese. Non solo nel centrosinistra non si ‘silenzia’ nessuno, ma, al contrario, si ascoltano le proposte e le richieste dei cittadini, si presta attenzione ai problemi dell’economia reale, delle imprese e dei lavoratori. Solo il centrosinistra può rilanciare l’Italia dal punto di vista economico, sociale e culturale. Questo per quanto ci riguarda. Permettetemi altre brevi considerazioni. Ieri è stata una giornata nera dal punto di vista del rispetto dei principi democratici. Mario Monti ha chiesto a Bersani di silenziare  quelli che ritiene degli estremisti. Si può essere d’accordo o meno con Fassina, ma ritenerlo un estremista è tanto ridicolo quanto sciocco. Beppe Grillo, invece, quel sincero democratico, ha attaccato l’intera terza rete della Rai, auspicandone la chiusura. Perché? Per un servizio del tg3 che non gli era piaciuto. Complimenti mr. Beppe. Gli regalerò un libro di Voltaire, il filosofo che diceva ‘non condivido ciò che dici ma sono pronto a morire perché tu possa dirlo’. E finalmente, sempre, ieri, qualcuno si è accorto che Monti ci ha preso gusto ad andare in tv. Un po’ troppo spesso, come ha sottolineato la commissione di Vigilanza. Meglio tardi che mai.

Super stipendi, fatta la legge trovato l'inganno

 

Mi scuserete se, a distanza di pochi giorni, torno sullo stesso argomento: Rai e stipendi. Vi riporto un'agenzia Ansa di ieri. ++ SPENDING REVIEW: TETTO 300.000 EURO MANAGER, ANCHE RAI ++ APPROVATO EMENDAMENTO DELLA LEGA AL DECRETO. Bene! Macché...sentite qua.

E' dalla scorsa legislatura che portiamo avanti una battaglia per imporre un tetto agli stipendi dei manager pubblici e il governo Monti, grazie a un emendamento Idv al decreto Salva-Italia dello scorso dicembre, aveva fissato in circa 294 mila euro lo stipendio massimo di un manager pubblico, equiparandolo a quello di un primo presidente di Cassazione. Disposizione che avrebbe dovuto entrare in vigore entro il 31 maggio scorso ma che poi non ha visto la luce, anzi, è diventata carta straccia.

I fatti. Ieri la commissione Bilancio ha approvato un emendamento presentato dalla Lega Nord a firma del senatore Massimo Garavaglia, che pone un tetto di 300 mila euro agli stipendi dei manager e dei dipendenti delle società partecipate dallo Stato non quotate, Rai compresa. I supermanager, dunque, si "dovrebbero" adeguare. Dovrebbero appunto...

Il nuovo presidente Anna Maria Tarantola già nei giorni scorsi aveva annunciato un taglio del proprio stipendio da 448 mila a 366 mila euro l'anno rinunciando, di fatto, al compenso per le nuove deleghe assegnatele dal Cda. Come consigliere percepirà i 66 mila euro previsti per tutti (a seguito del taglio del 30% deciso di recente dall'azionista) e come presidente percepirà 300 mila euro. Tutto sotto controllo.

E il direttore generale Luigi Gubitosi? Dopo le polemiche ha chiesto il contratto a tempo determinato, visto che proprio lo statuto aziendale non prevedeva l'indeterminato. Ma sul suo stipendio fissato in oltre 600mila euro lordi è calato il silenzio.

Con questo emendamento dovrebbe essere dimezzato... E invece no perché una clausola della nuova norma prevede la sua entrata in vigore solo a partire dall'insediamento del prossimo Cda. Ecco il passaggio incriminato: le disposizioni "si applicano a decorrere dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore della lege di conversione del presente decreto". Come al solito, la norma c'è ma non è operativa. Fatta la legge trovato l'inganno.

 

IL TETTO C’E’ MA MONTI LO IGNORA

Ricordate la battaglia di IDV per imporre un tetto agli stipendi dei manager pubblici? E’ dalla scorsa legislatura che la portiamo avanti. Il governo Monti, grazie a un nostro emendamento al decreto Salva-Italia dello scorso dicembre, aveva fissato a 294 mila euro lo stipendio massimo di un manager pubblico, equiparandolo a quello di un primo presidente di Cassazione. Disposizione che avrebbe dovuto entrare in vigore entro il 31 maggio scorso, ma che poi non ha mai visto la luce, anzi, è diventato carta straccia.

Sì perché i nuovi vertici “supetecnici” della Rai ci costeranno un milione e 100mila euro. Il presidente, Anna Maria Tarantola, percepirà uno stipendio di 430mila euro l’anno – ha già annunciato che rinuncerà ad una parte di esso – mentre il nuovo direttore generale, Luigi Gubitosi, riceverà una ricompensa di 650mila euro. A ciò, si aggiunga che, a quanto risulta, il nuovo dg verrebbe assunto con un contratto a tempo indeterminato, circostanza che tra l’altro sarebbe contraria allo statuto dell’azienda Rai.

In tempi di grandi sacrifici e con una spending review lacrime e sangue, stipendi di questo tipo sono inaccettabili e intollerabili. Ma soprattutto, che fine ha fatto il tetto per i manager pubblici? Oltre al clamoroso caso Rai, che per ovvie ragioni è sotto i riflettori, quante e quali sono le società e aziende pubbliche dove si annidano vertiginosi stipendi ai supermanager? In parte, lo abbiamo scoperto da soli, per il resto attendiamo ancora la risposta del ministro dell’economia.

Se la norma c’è, e doveva entrare in vigore entro il 31 maggio scorso, perché il governo ha rinviato, perché fa il gioco delle tre carte, perché si continua a rinviare, a colpi di proroghe?

DOPO AVERLA GOVERNATA IL PDL VUOLE LA RAI NEL CAOS

Tag: Berlusconi , Monti , Pdl , Rai

Non è vero che il Pdl vuole governare la Rai, anzi, è vero il contrario: la vuole ingovernabile. Su questo assunto poggia il ricatto politico di Berlusconi che da mesi tiene in ostaggio la più importante impresa culturale del Paese.

Berlusconi non vuole governare la Rai anche perché già la governa di fatto. La destra, infatti, per quasi venti anni, grazie a una sapiente politica di occupazione di ogni singolo posto di potere, gestione e controllo, ha governato la radiotelevisione pubblica. Facendo gli interessi della concorrenza.

Ha indebolito economicamente l’azienda, ha parzialmente imbavagliato l’informazione, ha drasticamente abbassato la qualità dei palinsesti, ha ceduto le quote di pubblico più giovani (le più redditizie sul mercato pubblicitario) a Mediaset. Controllando il competitor, gli uomini del Cavaliere hanno favorito il Biscione e, già che c’erano, hanno fatto della radio e della televisione pubblica uno straordinario strumento di propaganda politica.

Ora, dopo aver cercato di bloccare le nomine dei consiglieri d’amministrazione, vorrebbero far saltare quelle di presidente e direttore generale, tenendo Annamaria Tarantola sulla graticola. E cercando un accordo che garantisca ancora a lungo lo status quo.

Oggi sui giornali si legge persino che è previsto un incontro Monti- Berlusconi per fare il punto sulla Rai. Vorrei sapere cosa succederebbe negli Stati Uniti se Obama incontrasse il magnate australiano Murdoch per fare il punto sul sistema radiotelevisivo americano. Immagino una sollevazione dell’ opinione pubblica prima ancora che politica, un’ondata di indignazione tale da costringere Obama alle dimissioni. Ma non potrebbe mai accadere perché un tycoon come Murdoch non potrebbe mai fare il politico mantenendo proprietà e controllo delle sue imprese.

Se davvero ci dovesse essere un incontro Monti- Berlusconi sulla Rai, sarebbe la conferma del fatto che il governo dei tecnici ha preso dimestichezza con certe pratiche della politica italiana di piccolo cabotaggio.

RAI, ALLA FINE SPARTIZIONE FU

E alla fine spartizione fu. “Viva la Rai che ci fa crescere sani”, cantava Renato Zero qualche anno fa. Svanita la sua funzione educatrice, la prima azienda culturale del Paese è finita nel tritacarne dei partiti, usata come “bancomat” per soddisfare bisogni ed esigenze, spolpandola fino in fondo.

Panta rei, tutto scorre. Nel caso della Rai, scorre sempre nello stesso verso, nella stessa, passatemi il termine, perversa direzione. Questa mattina sono stati nominati i nuove 7 consiglieri della Rai: 4 al Pdl, 2 al Pd e uno al Terzo polo. I nomi non sono importanti, potete leggerli ovunque. E’ la logica spartitoria che, nonostante gli annunci e le buone intenzioni, ha vinto ancora una volta.Ma la sconfitta più grande è che ancora una volta abbiamo un Cda che nasce sulle basi della Gasparri, legge matrigna di tutti i conflitti di interessi, un macigno che pesa sulle istituzioni democratiche di questo paese, cui nessuno ha mai pensato di mettere seriamente mano per smantellarla.

Nulla da ridire sui nomi, almeno non su tutti. Ad essere in ballo, qui, sono i principi. Principi ancora una volta stravolti,calpestati, irrisi in nome di altri interessi. Non solo. Per la prima volta, con un’arroganza inaccettabile, il presidente del Senato Renato Schifani è intervenuto a gamba tesa, modificando la composizione della commissione insediata in seggio elettorale durante le operazioni di voto. Ha sostituito un membro della commissione senza il suo consenso e senza nemmeno ascoltarlo. Caso senza precedenti. La commissione di Vigilanza Rai, infatti, è bicamerale per cui la decisione di sostituire un componente deve essere presa all'unisono da entrambi i presidenti.

Siamo di fronte ad una gravissima violazione della legittimità: roba che se fosse accaduta in un paese normale, avrebbe già fatto saltare ogni accordo. Ma siamo in Italia. Evviva l’Italia. Evviva mamma Rai.

Rai, il metodo è cambiato grazie a Idv

Antonio Di Pietro ieri, commentando la scelta del Pd di delegare a quattro associazioni della società civile la scelta di due candidati per il Cda della Rai, ha denunciato che si trattava in realtà, ancora una volta, di lottizzazione e spartizione e che la società civile viene usata come paravento. Non sono d’accordo

Ma come, per la prima volta nella storia repubblicana, un partito giunge alla designazione delle persone destinate a ricoprire un ruolo straordinariamente importante, non con criteri di lottizzazione e di spartizione tra correnti, bensì facendole scegliere alla società civile, e noi non riconosciamo che si tratta di un primo, e importante, segnale di cambiamento?

Perché non rivendichiamo, e avremmo tutti i titoli per farlo, che il Pd è stato spinto a questo cambio di passo per la forte pressione dell'opinione pubblica mobilitata anche, e soprattutto, da Idv dopo la figuraccia delle indecenti nomine dell’Agcom e della Privacy? Questa bocciatura senza riserve mi sembra un po’ da “bastian contrari” considerato che, finché non si cambierà la Legge Gasparri, la nomina del Cda Rai spetta comunque al Parlamento (Vigilanza Rai).

Affermare che Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi sono due nomi lottizzati è contraddetto dalla oggettiva non-lottizzabilità di queste persone, dalla loro storia e dalla loro indipendenza. Credo che il ruolo di Idv all’interno del centrosinistra debba essere quello di spingere e talvolta costringere, alleati riottosi, ad adottare buone pratiche di governo, di gestione della cosa pubblica e di esercizio del potere politico. Per questo vorrei rivendicare che questa scelta è il frutto della buona azione politica di Idv.

Riconoscere la discontinuità dal passato non significa, peraltro, rinunciare a mettere in luce le tante inadeguatezze che ancora ci sono e, da questo punto di vista, torno ad essere pienamente d’accordo con Antonio Di Pietro. Si è migliorato rispetto a prima ma si poteva e si doveva fare molto meglio di così.

Perché queste quattro associazioni sì e altre, ugualmente o anche più importanti, no? Ne cito una per tutte, visto che si parla di tv e di libertà d’informazione, perché non inserire “Articolo 21”, che di questo mondo è sicuramente il riferimento più autorevole all’interno della società civile?

Perché limitarsi a delegare la scelta a qualcun altro e non approfittare dell’occasione per fare un’azione più importante e di più ampio respiro come sarebbe stato, per esempio, vincolarsi spontaneamente a un procedimento pubblico trasparente e rigoroso da adottare non solo ora ma anche per le scelte future?

Ad esempio prevedendo che tutte le principali associazioni potessero inviare candidature o curricula e che questi, assieme alle candidature spontaneamente presentate dai cittadini italiani, potessero essere pubblicamente oggetto di discussione tra i gruppi parlamentari e, alla fine, di una selezione secondo criteri esclusivamente meritocratici e di competenza specifica. 

E la competenza specifica non è un dettaglio, perché, come ho avuto modo di criticare nelle settimane scorse, l’indicazione di Anna Maria Tarantola alla presidenza della Rai, perché le sue competenze sono straordinarie all’interno della Banca d’Italia ma sono inesistenti nel settore della produzione culturale e televisiva, non potrei oggi esimermi dal muovere le stesse critiche circa le scelte di Colombo o della Tobagi, sicuramente autorevoli e competenti nel loro campo professionale ma distanti dalla complessità di governo della prima azienda culturale del Paese.

LA RAI SUCCURSALE DI BANKITALIA

Tag: Bankitalia , canone , Rai

La Rai è la più grande azienda culturale del Paese. O almeno avrebbe dovuto esserlo, visto che, nonostante il canone ed il contratto di servizio, di cultura non è che ne faccia moltissima. Sulla televisione pubblica si sta combattendo una durissima battaglia politica. Il governo ha nominato i nuovi vertici.

Il nuovo presidente della Rai è Anna Maria Tarantola, già al centro di una sottile e insistente opera di sponsorizzazione del Vaticano per la sua nomina a governatore della Banca D’Italia. Dalla vicedirezione di Bankitalia alla presidenza della Rai, il governo dei tecnici ha compiuto un’audace colpo di mano degno della peggior logica della politica politicante. Non è così che si riforma l’azienda, al centro da vent’anni di un dibattito politico feroce.

La Rai è strategica per l’Italia e per lo Stato, ha un patrimonio di competenze e professionalità da far invidia a qualunque network mondiale. Ma non lo mette in mostra, perché Berlusconi ha scelto di tenerla a livelli bassi, in modo da mantenere inalterato il dupopolio Rai Mediaset senza dover spendere una fortuna per innovare le sue reti e renderle competitive. Grazie allo status quo ‘Sua Emittenza’ ha potuto fare affari enormi con gli introiti pubblicitari. Ma a quale prezzo? Un prezzo altissimo pagato da tutti i cittadini italiani. I soldi del canone sono andati finanziare un carrozzone che ha contribuito a narcotizzare le coscienze degli italiani. Salvo eccezioni, punte di qualità e isole di libertà. Il punto vero non è solo quello della libertà d’informazione, spesso negata in questi due decenni, ma quale piano strategico c’è per la radiotv pubblica.

Noi un progetto di riforma ce l’abbiamo e l’abbiamo presentato più volte: è necessaria, anzi, indispensabile, la riforma della governance che strappi la Rai al controllo dei partiti e che le restituisca libertà ed autonomia mantenendola al servizio dei cittadini. Non è passando all’ amministrazione controllata di Bankitalia che si valorizza l’azienda.

COMPETENZA E TRASPARENZA: E’ CHIEDERE TROPPO?

Tag: Agcom , Bersani , nomine , Pd , privacy , Rai , Vendola

Ieri, 5 giugno, ad un giorno dal voto per i nuovi commissari di Rai, Agcom e Privacy, le agenzie battono le seguenti notizie:

- FLASH -AGCOM: PD E TERZO POLO VOTANO DECINA E POSTERARO.

 - FLASH -AGCOM: VERTICE BERSANI-CASINI, PD PRONTO FAR SPAZIO TERZO POLO

- FLASH - AUTHORITY: INTESA PD-TERZO POLO SU POSTERARO

- FLASH - AGCOM: PDL DA' INDICAZIONE DI VOTARE MARTUSCIELLO E PRETO =

- FLASH - AUTHORITY: BERSANI VEDE CASINI, PD 'CEDE' COMMISSARIO AL TERZO POLO =.

 Intese, manovre, vertici segreti, trame nell’oscuro. In ossequio alla logica spartitoria tra i partiti, la nomina è servita.

E’ così che alla fine sono andate le cose. La vicenda delle nomine dei nuovi membri delle authorities, Rai, Agcom e Privacy, è stata una clamorosa presa per i fondelli del Parlamento e dei cittadini. Ancora una volta, in questo paese, non si è riuscito a spezzare quel perverso sistema di nomina che si basa su una logica spartitoria dei partiti, dei capi partito o dei loro rappresentanti che tramano all’oscuro, decidono nelle segrete stanze e poi, con un fogliettino o un sms, comunicano ai loro parlamentari i nomi da votare, senza conoscerli, senza sapere nulla riguardo alle loro competenze, capacità e autonomia.

Avevamo chiesto ai presidenti di Camera e Senato una svolta, un cambio di marcia, semplicemente di adottare un metodo trasparente e pubblico di selezione delle candidature, da valutare in commissione. Ritenevamo e riteniamo che per la Rai e le Authority ci vogliano persone che mantengano una chiara distanza dai partiti, che non siano in conflitto di interesse, che non abbiamo mai avuto rapporti con gli interessi vigilati. Competenza, trasparenza e autonomia per mettere fine alla partitocrazia, alla pratica lottizzatoria e di spartizione tra i partiti: era questa la nostra richiesta per la quale ci siamo battuti.

Ci hanno preso per i fondelli. E' stata sì data la possibilità di presentare candidature per quei ruoli ma i partiti di maggioranza avevano già deciso e si sono scelti da soli i controllori.

Per questo, Idv non parteciperà oggi alle operazioni di voto per le nomine e non vi parteciperà fino a quanto i controllati si nomineranno i controllori, fino a quando prevarrà la logica spartitoria.

RAI: CAMBIARE MUSICA CAMBIARE ORCHESTRA

"Rai: cambiare la musica, cambiare l’orchestra". Oggi a Roma, in questo convegno, Italia dei Valori presenta le sue proposte per riformare la governance dell’azienda. Ci sono Antonello Falomi, responsabile dipartimento IdV Riforme del sistema radiotelevisivo, Michele Santoro, Marco Travaglio, Lucia Annunziata, Loris Mazzetti, Nino Rizzo Nervo, Roberto Zaccaria, Roberto Natale, Beppe Giulietti, Carlo Verna, Franco Siddi, Roberto Mastroianni e Nicola D’Angelo. Moderatore Giovanni Valentini.

Un parterre di prim’ordine per rinnovare la più importante impresa culturale del Paese. Il servizio pubblico radiotelevisivo ha svolto una funzione storica fondamentale per l’Italia, ha unito il paese meglio di Garibaldi. Poi è arrivato il degrado del berlusconismo, che ha ingigantito i problemi pregressi ed ha spolpato l’azienda.

Berlusconi voleva affossare la Rai, controllarla e renderla meno competitiva nei confronti di Mediaset. Ora i tempi sono cambiati, per fortuna, ma la crisi dell’azienda è evidente. Una crisi economica e di qualità. Noi pensiamo che un patrimonio pubblico così grande non può essere lasciato alla mercé di interessi particolari né all’irresponsabilità dei partiti, che hanno usato la televisione di Stato come una dependance di casa loro.

Per questo bisogna riformarla. Il nostro obiettivo è togliere la Rai dalle mani dei partiti e affidarla a una fondazione composta da esponenti della società civile e dagli stessi dipendenti dell'azienda pubblica. E’ il nostro impegno anche in Parlamento perché la riforma non è più rinviabile. Per questo abbiamo anche presentato una mozione sia alla Camera che al Senato.

LAVORIAMO SUBITO AL DOPO-MONTI

Questo è il governo del ricatto. Monti e i suoi ministri sono sotto il giogo di Berlusconi, che continua a dettare i tempi della politica italiana. Uscito di scena dopo aver portato il Paese al collasso economico, politico e sociale, il Cavaliere, dopo aver cercato di far dimenticare le proprie colpe, sta cercando di tornare in scena. E intanto tiene in ostaggio il governo. Il caso del mancato vertice di ieri, saltato per il forfait di Alfano, ne è la dimostrazione più evidente. Finché si e' trattato di tagliare pesantemente le pensioni, il welfare e l'art.18 al Pdl e' andato tutto bene. Fino a quando a pagare sono stati i cittadini il partito di Berlusconi (Alfano sarà pure segretario ma il partito è proprietà di Berlusconi e basta!)  ha mostrato una compattezza granitica, ora che sul tavolo ci sono i temi del pluralismo televisivo e della riforma della giustizia, si torna al conflitto d'interessi più forte che la storia della Repubblica Italiana ricordi.

Si lavora alla riforma della governance della Rai? Il Pdl rompe. Si pensa ad un nuovo direttore del tg1? Alfano protesta. Si mette in cantiere una nuova legge anticorruzione? ‘Ma che siamo matti?’ dicono dal Pdl. Cosa dire di più per confermare che serve un'alternativa riformatrice a questo governo? Ieri Bersani ha pronunciato parole condivisibili e di grande serietà. Ha detto che ci sono le condizioni per un centrosinistra di governo. Italia dei Valori oggi, come all’epoca della famosa foto di Vasto, è disponibile a lavorare per la costruzione di una coalizione di centrosinistra forte e coesa con regole chiare di governabilità. Siamo consapevoli che gli elettori si aspettano nella prossima legislatura un esecutivo politico si dimostri capace, come e meglio dei tecnici, di decidere ed assumersi responsabilità.

Per quanto ci riguarda, faremo la nostra parte per dare vita a un progetto di governo che rimetta al centro la solidarietà, l’equità, l’innovazione e la lotta agli sprechi e alla corruzione. Proprio per questa ragione, tuttavia, non solo raccogliamo la sfida di Bersani, ma andiamo oltre. La coalizione si farà o meno non perché qualcuno ha sostenuto Monti e qualcun altro no. Nascerà se le forze politiche del centrosinistra saranno capaci, con un lavoro che deve iniziare già da oggi, di trovare un’intesa netta e trasparente, capace di indicare all’Italia il modello di sviluppo che abbiamo in mente per i prossimi dieci anni. Per questo la vera sfida che i partiti di centrosinistra hanno davanti, mentre Monti governa, è di cominciare a progettare il dopo-Monti, ovvero quell’idea di Paese che, quando si voterà, sottoporremo al giudizio degli italiani