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LA CONTROMANOVRA DEGLI ITALIANI ONESTI

Antonio Di PietroAntonio Di Pietro

Risanamento, equità, crescita. Parte da qui la contromanovra dell’Italia dei Valori che abbiamo presentato oggi alla stampa. E’ la contromanovra degli italiani onesti, per un valore complessivo di 65 miliardi di euro in due anni, per metà indirizzati alla riduzione del deficit e per l’altra metà allo sviluppo. Il nostro obiettivo è esattamente l’opposto di quello del governo. Vogliamo rimettere i soldi nelle tasche degli italiani onesti e toglierli da quelle degli italiani disonesti, speculatori ed evasori fiscali. Lotta all’evasione fiscale, taglio ai costi della politica e alla spesa pubblica: 65 miliardi in due anni, di cui 33 dedicati alla riduzione del deficit e 32 allo sviluppo. Come? Una seria lotta all'evasione fiscale, taglio ai costi della politica e alla spesa pubblica. Italia dei Valori propone una tassa addizionale del 7,5% sui capitali regolarizzati con lo scudo fiscale e l'aumento delle tassazione sulle speculazioni finanziarie dal 12,5 al 20%. L'eliminazione del vitalizio di parlamentari e consiglieri regionali, il blocco immediato delle auto blu, la soppressione del ponte di Messina e l'inizio della riduzione delle spese militari. Vogliamo anche la reintroduzione dell'Ici sulle case di lusso. Nel capitolo dei risparmi dell'amministrazione Italia dei Valori prevede anche la soppressione parziale delle province. Vogliamo l'abolizione di tutte le province, tranne quelle dei capoluoghi di regione, ma per farlo serve una legge costituzionale, quindi iniziamo con legge ordinaria a cancellarne alcune. Poi, l'abolizione del Cnel che costa 20 milioni l'anno, una vecchia camera dei fasci e delle corporazioni che fa parte di quel Ventennio che vorremmo dimenticare. Oggi, con tutti i centri studi e le  associazioni di categoria che ci sono non ha più senso di esistere. La nostra contromanovra sarà depositata un attimo dopo quella dell’Esecutivo. Ci confronteremo e dialogheremo con tutti, sindacati ed associazioni di categoria. Ci auguriamo che questa proposta diventi il punto di riferimento per il governo che vorremmo e che gli italiani possono sperare. Il nostro obiettivo, in Parlamento, sarà quella di rivoltare come un calzino la manovra del Governo. Ora si toglie alle persone oneste per dare ai disonesti. E’ ora di fare l’esatto contrario.

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BONDI SI DEVE DIMETTERE

Tra i compiti del ministro della Cultura, oltre a quello di lavorare per valorizzare e rilanciare il patrimonio artistico del nostro Paese, c’è quello non meno importante di farsi carico delle istanze degli esponenti del mondo della cultura e tutelarne gli interessi. Interessi generali e pubblici della cultura, intendiamoci bene, non certo quelli personali. Ebbene, dopo quello che è accaduto con la manovra finanziaria, ci domandiamo seriamente cosa ci stia a fare il ministro Bondi sulla poltrona di via del Collegio Romano. Sì perché sotto la scure del ministro dell’Economia Tremonti sono finiti i 232 enti culturali, di ricerca e fondazioni senza che lui abbia battuto ciglio, salvo poi strapparsi le vesti il giorno dopo. Enti, istituti, scuole che tengono alto il buon nome dell’Italia nel mondo e che diffondono e difendono il nostro patrimonio nel mondo. Roba da pazzi. Viene da chiedersi se Bondi l’abbia vista la famigerata lista di enti o, peggio ancora, cosa diavolo abbia approvato il Consiglio dei ministri se il giorno dopo il ministro dei beni culturali è salato sulla sedia urlando “Mi hanno esautorato!”. Una cosa è sicura. Questa manovra è la più pasticciata della storia, la più incasinata che si ricordi da quando l’uomo inventò la finanziaria. E’ evidente che siamo fuori da ogni regola istituzionale. Detto questo  è pur vera un’altra cosa. Se uno lancia un grido d’allarme, se uno che fa il ministro ammette pubblicamente di contare come il due di picche quando regna bastoni l’unica azione conseguente sarebbe dimettersi. Ma vabbé, così è il governo Berlusconi, dove non si dimettono gli inquisiti figuriamoci i puri e i timidi di cuore. Detto questo, e battute a parte, siamo di fronte allo sconquasso, dove ognuno va per conto suo e nessuno sa quello che succede. A rimetterci, ovviamente, sono i più deboli, pensionati, famiglie, disoccupati e precari, e in questo caso anche la cultura di cui in Italia diciamoci la verità non è mai fregato niente a nessuno. Ma qui c’è qualcosa di serio che non va. E’ inconcepibile che la scure di Giulio Tremonti si abbatta indiscriminatamente ed ingiustificatamente sul mondo del sapere e della ricerca senza nessun tipo di discussione, senza uno straccio di concertazione, senza addirittura che il ministro dei Beni culturali ne sia informato. A questo punto, Bondi si deve dimettere perché non solo non è più credibile come interlocutore ma perché è lo stesso ministro dell’Economia ad averlo messo nelle condizioni di doversene andare. A poco serve la pezza che il ministro Bondi ha messo oggi: “Spetta a me decidere dove e come tagliare. Ne parlerò con l’intero mondo della cultura su come su come e in che modo ridurre le spese inutili salvaguardando le eccellenze e le testimonianze piu' alte della nostra cultura”. La frittata ormai è fatta. Bondi o non ha letto la manovra o non l'ha capita. Visto che non riesce ad occuparsi del ministero di cui e' a capo, puo' gentilmente dimettersi?

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PUNIRE GLI EVASORI NON I CITTADINI

La manovra ‘lacrime e tagli’ del governo è pessima. Se siamo a un tornante della storia, come dice Tremonti, il governo l'ha preso molto male. La manovra taglia pesantemente i fondi agli enti locali e questo significa più tasse e meno servizi ai cittadini. L'aspetto più grave è l'assoluta mancanza di un progetto strutturale, oltre al fatto che a pagare il conto salato saranno sempre i soliti noti. E’ una manovra contro i cittadini, come contro i cittadini è questo governo, che tutela e ha a cuore solo interessi particolari. Ma criticare non basta, bisogna anche riuscire a fare delle proposte. L’Italia dei Valori martedì presenterà la sua ‘contromanovra’, che reperisce risorse con misure eque e punta anche al rilancio dell’economia, non solo al contenimento della spesa. Ieri il quotidiano ‘Il Fatto’ ha pubblicato un interessante articolo basato sulle proposte per la manovra di Peter Gomez e Marco Travaglio. I cardini della loro proposta sono:

1) Ritassare quelli dello Scudo fiscale di un altro 10%, misura che produrrebbe immediatamente 10 mld di gettito;

2) Istituire una cauzione sulle impugnazioni (al riesame, in Appello o in Cassazione, una somma da lasciare allo Stato se il ricorso si rivela infondato (fatti salvi i meno abbienti).

3) Terza proposta, assicurarsi che gli evasori finiscano, quando è il caso, in manette eliminando le soglia di non punibilità per i reati di evasione fiscale con un raddoppio delle pene.

Queste sono le mie considerazioni, pubblicate sul Fatto.

“Ritassare lo Scudo fiscale è un'iniziativa di grande equità sociale", dice ancora Massimo Donadi, capogruppo alla Camera dell'Idv, e stiamo pensando a una addizionale che porti la tassazione complessiva al 12,5% che è l'aliquota richiesta per le rendite finanziarie, quindi un 7,5% in più di quanto già pagato". L'Idv, dice Donadi, ha già elaborato una proposta di legge di riforma complessiva del sistema fiscale per spostare la fiscalità dal lavoro alla rendita, tassando i grandi patrimoni e le rendite speculative. Grandi patrimoni, si intende sopra i 5 mln o anche i 10 mln/€. Ma propone anche di istituire un nuovo "redditometro" che tenga conto del tenore di vita del contribuente e su quello elabori un reddito presunto. Al contribuente il compito di dimostrare se ha un reddito più basso oppure pagare in base a quanto lo Stato ha stabilito. "Non ci interessa uno ‘stato di polizia tributaria' ma solo ripristinare una seria lotta all'evasione con l'impegno a destinare il 50% del sovragettito alla riduzione delle tasse". Per quanto riguarda gli ‘evasori in galera', "non abbiamo problemi a dirlo - dice Donadi - ma in un Paese con due milioni di prescrizioni io penso che sia più efficace stabilire che tutti i beni di cui non è giustificabile la proprietà siano confiscati. La confisca è meglio della minaccia della galera".

Cosa ne pensate?

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BERLUSCONI HA MENTITO. ECCO LE PROVE

Silvio BerlusconiSilvio Berlusconi

Vi ricordate la pubblicità della Porche 911, quella della reclame da 0 a 100 in 3,4 secondi? Potrebbe essere lo spot di questo governo che, in meno di 24 ore, è passato da “va tutto bene madama la marchesa” al “rischio Grecia” annunciato dal sottosegretario Letta. Una accelerata, anzi una brusca sterzata, che la dice lunga sulla credibilità, sulla competenza e serietà di questo governo. La verità è finalmente venuta a galla. La situazione è drammatica, i conti sono allo sfascio. Per reperire i 24 miliardi dell’anticipo della manovra economica il governo annuncia sacrifici per tutti, almeno sulla carta. Poi si sa che con Berlusconi i furbi la faranno franca e gli onesti pagheranno per tutti. Per due anni e mezzo ci siamo dovuti sorbire il falso e retorico ottimismo del presidente del Consiglio, quello che “va tutto bene”, “la crisi non ci sfiora”, “l’economia italiana è in ripresa”, insieme agli insulti nei confronti dell’opposizione, a suo dire menagrama, disfattista  e affetta da pessimismo cosmico. Ora si scopre che avevamo ragione, che loro erano i grilli e noi le cicale, che per due anni e mezzo hanno raccontato balle al Paese. Per due anni e mezzo sono rimasti a guardare, mettendo in campo ridicole misure tampone, senza interventi strutturali e di ampio respiro. Ora, se la responsabilità politica avesse ancora un senso e fosse ancora di moda in questo Paese, chi ha mentito, chi ha raccontato bugie colossali e chi oggettivamente ha fallito, dovrebbe andare a casa. Ma siccome questo, politicamente parlando, è il paese del sole e del mare, governo e maggioranza fanno l’unica cosa che sanno fare: appellarsi al senso di responsabilità dell’opposizione. E’ chiaro che Italia dei Valori ci sarà, per senso di profonda responsabilità e per risparmiare ai cittadini e alle famiglie ulteriori indicibili sacrifici. Presenteremo le nostre proposte, la contromanovra dell’IdV, basata su una seria lotta alla speculazione e all’evasione fiscale, che faccia pagare finalmente chi non ha mai pagato, chi ha usato lo scudo fiscale di Tremonti per arricchirsi ulteriormente, e risparmi le fasce medie e più deboli di questo paese. Ma prima di ogni altra cosa, siccome il presidente del Consiglio ha mentito al Paese, gli chiediamo di venire in Parlamento, di metterci la faccia e di dire che la crisi c’è e che il governo ha sbagliato. Altrimenti, vadano a casa!

SPRECARE AL TEMPO DELLA CRISI

Tag: crisi , Tremonti

tremontitremonti

Tremonti dice che, data l’assenza di risorse, si è fatto il possibile. Viene spontaneo domandarsi, però, vista l’assenza di risorse, come mai dal cilindro di questo stravagante governo vengano miracolosamente fuori milioni di euro destinati ai più svariati fini? Mi spiego. Ai Comitati per la ricorrenza dei centenari sono stati destinati più di 3 milioni di euro. A cosa servono questi comitati? A celebrare la nascita e la morte di personaggi celebri, almeno tali dovrebbero essere, perché, andando a leggere l’elenco dei nomi, se ne trovano spesso e volentieri di emeriti sconosciuti. Lascio a voi la valutazione dell’urgenza di tale stanziamento. Nel frattempo proviamo ad analizzare quello che il governo dice di aver fatto a favore dei cittadini. Il decreto legge incentivi, quello passato alla Camera grazie alla trentaduesima fiducia di questa singolare legislatura: 300 milioni di euro, la cui disponibilità è durata lo spazio di un mattino, data l’esiguità delle risorse. Morale della favola, in pochi, pochissimi, hanno potuto acquistare cucine, motocicli, elettrodomestici con una parvenza di agevolazione che il governo ha concesso. Già, perché, se i 300 milioni erano già insufficienti a sgravare i cittadini dal peso della crisi, c’è anche il fatto che parte di essi sono andati a finanziare nientedimeno che l’industria militare. Stendiamo un pietoso velo. Il nocciolo della questione è impossibile da mandar giù. Le opposizioni non lo fanno solo per criticare l’operato della maggioranza. Se si continua a sostenere che questo governo non ha pensato al bene del Paese e non ha mai affrontato le emergenze principali dei cittadini, lo si fa perché è vero. Speriamo che l’Italia non cada nella situazione della Grecia, cosa non del tutto da escludere, vista la gestione irresponsabile del bilancio dello Stato, la cattiva amministrazione, gli sprechi che sono stati e continuano ad esser fatti nel nostro Paese. E ci auguriamo soprattutto che lo stanziamento a favore della Grecia non arrivi a gravare sulle tasche dei cittadini, in modo che debbano essere ancora e sempre le classi deboli a pagare per le colpe degli speculatori, dal sistema finanziario, a quello bancario alle imprese corrotte, che restano intoccabili.

LE MANI DI BOSSI SULLE BANCHE DEL NORD

Tag: banche , Bossi , Lega , Tremonti

Si dovrebbe andare avanti. Invece si va inesorabilmente indietro. In attesa di conoscere l'esito della crisi nella maggioranza, c'è una notizia di questa settimana che mi ha lasciato piuttosto perplesso, per usare un eufemismo. E’ proprio vero che il potere dà alla testa e modifica geneticamente i partiti. O forse, chissà, ne svela il vero volto. La Lega presenta il conto e, più famelica che mai, per bocca di Bossi, annuncia di volersi prendere le banche del nord dove il Carroccio impazza. Certo è che se fare le riforme significa "padanizzare" anche le banche, piazzando i propri uomini nelle fondazioni bancarie, non c’è di che ben sperare per il futuro di questo Paese.E’ desolante, se non deprimente, scoprire che chi inneggia a Roma ladrona un giorno sì e l’altro pure, chi mostrava cappi in Aula contro le ruberie e le logiche spartitorie dei partiti della prima Repubblica, oggi ne diventi l’anacronistico ma furbo replicante. Come la Dc e il Psi di allora, la Lega vuole mettere le mani sull’economia, piegandola il sistema agli interessi della lotta politica.Così davvero questo Paese rischia di non andare da nessuna parte, se non a sfracellarsi contro una recessione economica ancora più terrificante.Altro che federalismo, altro che sbrurocratizzazione, altro che svecchiamento del sistema bancario! Ecco cosa intendevano i maître à penser in camicia verde quando dicevano, in tempi non sospetti, che i banchieri e i grandi vecchi dei salotti buoni avevano i giorni contati. Il senso era più o questo: togliete le vostre che dobbiamo mettere le nostre di mani sul sistema di credito. Questa è la preoccupazione del governo e della maggioranza, Lega compresa, la dura e pura che faceva le pulci al potere politico ingordo e mangione: occupare poltrone, gestire il potere, soprattutto quello economico, cui tutto gira intorno.Noi abbiamo un’altra idea. Per noi, vale una sola regola: la politica deve tenere giù le mani dal sistema delle imprese e delle banche. Se la politica si occupa del sistema bancario non per fare l’interesse dei cittadini e dei risparmiatori, ma il proprio, siamo sulla strada sbagliata. Per noi, un governo serio che ha in mente riforme serie nell’interesse del Paese, pensa ad avviare una riforma del sistema bancario che sia più vicino alle esigenze dei cittadini, che aiuti famiglie e piccoli imprenditori nei confronti degli istituti di credito, non a conquistare sempre più potere.Se per loro fare le riforme significa condire istituzioni e banche con un’indigesta salsa verde c'e' poco da ben sperare. La salsa verde e' buona per l'arrosto, non per rilanciare l’economia italiana e farlo uscire dalla crisi.

CRISI: I NODI VENGONO AL PETTINE

Berlusconi-TremontiBerlusconi-Tremonti

E’ sensato progettare la costruzione di un castello in mezzo ad un’area piena di macerie? E’ sensato parlare di grandi riforme ad un Paese con le gambe rese sempre più doloranti dal peso della crisi economica? E’ quanto, di fatto, sta facendo, al momento questo pittoresco governo, affannato nel tentativo di salvare una faccia, ben lontana dall’arrossire anche di fronte all’evidenza. Di certo ci sono i dati. Ieri l’Istat ha parlato chiaro dei redditi familiari del Paese, i più bassi da vent’anni a questa parte. Poi ci sono le notizie da prendere con la dovuta prudenza, perché rimangono indiscrezioni, per altro smentite dal nostro ministro dell’economia, per quanto provenienti da ambienti governativi: un buco di 4-5 miliardi, cui l’esecutivo penserebbe di porre rimedio con una sorta di manovrina, un anticipo sulla manovra 2011. Ora, provando a schiarirci gli occhi appannati dalla nuvoletta di ottimismo sapientemente messa su dal governo, cerchiamo di avere il massimo dell’equilibrio nell’analizzare la situazione. A dicembre è stata approvata una manovra finanziaria, su cui il governo ha evitato ogni possibile invasione di campo da parte delle opposizioni, trincerandosi dietro la sua arma preferita, quella della fiducia, contro la quale niente è servito. Oggi, ad appena quattro mesi di distanza, circolano voci su una possibile manovrina per pareggiare i conti che non tornano. Tremonti smentisce. Ma è lo stesso Tremonti che, meno di un mese fa, diceva, testuali parole: “Tutti i soldi che avevamo li abbiamo investiti per la tenuta sociale e grazie a questo ora il nostro paese non è percorso da una crisi sociale”. Parole. Solo parole smentite in modo schiacciante dai dati. 1 marzo: dall’Istat si apprende che il Pil del 2009 è il più basso dal 1971. 31 marzo: è sempre l’Istat a rendere noto che a gennaio la disoccupazione ha raggiunto un tasso di 8,6%, il dato peggiore mai registrato dal 2004. Mi fermo qui, perché credo sia sufficiente. Ad occhi ben schiariti e lontani dal voler polemizzare, la conclusione è una sola: a questo punto c’è una ragionevole ed istituzionale esigenza di chiarezza, anche perché i mercati europei non possono certo barcamenarsi nel buio come stiamo facendo noi. Dubbi e incertezze non sono accettabili in un campo come quello dell’economia. Se pure le proteste continuano a provenire non solo dall’opposizione, ma dallo stesso centrodestra, i cui sindaci ieri sono scesi in piazza a lamentare carenza di soldi e chiedere aiuto a chi occupa le poltrone del potere, noi ne abbiamo francamente abbastanza di contestare il comportamento poco ortodosso di questo governo. Almeno intendiamo non farlo a parole. Ora attendiamo che il governo venga a riferire in Parlamento per fare chiarezza su quanto è avvolto dal dubbio. Il ministro Tremonti non può tirarsi indietro. Per motivi istituzionali dovrà ricoprire il suo ruolo, assumersi le responsabilità politiche che gli sono inscindibilmente legate. Una volta per tutte, dovrà far coincidere le parole con i dati.

L’OTTIMISMO NON E' IL 'PROFUMO DELLA VITA'

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Se ieri pomeriggio un cittadino qualunque, intorno alle 18, si fosse trovato ad accendere la tv e a seguire i lavori dell’Aula di Montecitorio, avrebbe avuto quasi la sensazione di trovarsi in un parlamento normale di un paese normale. Per la prima volta, infatti, da un anno e mezzo a questa parte, al centro del dibattito politico, non c’erano i problemi giudiziari del premier ma quelli veri degli italiani, dei tanti lavoratori che hanno perso il posto di lavoro, dei precari che vivono di stenti, dei giovani senza prospettive e degli anziani che non riescono a campare. Insomma, si parlava di quella crisi economica che attanaglia il paese e delle possibili ricette per superarla. Manco a dire che questo dibattito si è tenuto soltanto a seguito della ferma insistenza delle opposizioni e che il Governo, dopo aver tentato per mesi di evitarlo, alla fine lo ha dovuto letteralmente subire.E così, dopo mesi e mesi di insistenza, siamo riusciti ad inchiodare Tremonti alle sue responsabilità di ministro dell’Economia, chiedendo lumi sull’azione del governo per affrontare la crisi economica, l’aumento della disoccupazione e del ricorso alla cassa integrazione e della pressione fiscale. Tutte questioni denunciate puntualmente dall’Istat una settimana fa e che il premier si è premurato di mettere subito a tacere, spargendo il solito irritante quanto inutile ottimismo da tele imbonitore quale è. “La situazione ci induce all’ottimismo – ha detto – e noi dobbiamo cavalcare questo ottimismo”. Parole che si commentano da sole. Lo vada a dire agli operai licenziati o in cassa integrazione, che ogni giorno manifestano davanti a Montecitorio, se a cavallo dell’ottimismo riescono più facilmente ad arrivare alla fine del mese.Ebbene, ieri il ministro dell’Economia non ha smentito la filosofia di questo governo. Da lui, non è venuta una sola proposta concreta da condividere con l’opposizione. Niente sugli aiuti alle imprese, niente sugli aiuti ai disoccupati, alle imprese, alle famiglie, ai precari, insomma, niente di niente.Da Tremonti sono venuti solo 30 minuti di insopportabile autocelebrazione, condita da irrisione verso l’opposizione e da un continuo ed ostentato sarcasmo verso la situazione economica del paese, tutto fatto di battute, motti di spirito e freddure per le quali, vi posso garantire, nessuno ha riso dentro l’Aula, nemmeno tra i banchi della sua stessa maggioranza, e ancor meno credo abbiano riso fuori, nel Paese.Dall’opposizione sono arrivate tantissime proposte, tutte serie, importanti e sicuramente meritevoli di un dibattito e di un confronto approfondito e, per una volta, davvero utile soltanto agli interessi degli italiani. Dal ministro dell’Economia non solo non c’è stata la minima traccia di disponibilità o apertura ma, al contrario, vi è stata l’irridente ostentazione del vuoto pneumatico di proposte che caratterizza l’azione del governo.Il leit motiv di Tremonti è sempre stato lo stesso e ripetuto fino all’ossessione: “parlate pure tanto non ci sono i soldi, non ci sono i soldi, non ci sono i soldi”. La verità è che i soldi non ci sono, in parte perché questo governo li ha letteralmente sprecati, come i 3 miliardi di euro per salvare Alitalia, o i 2,5 miliardi di Ici sulla prima casa regalati già a chi aveva i redditi più alti; in parte perché non li si vogliono trovare, non volendo incidere seriamente sugli immensi sprechi della politica e della pubblica amministrazione. A partire da quei 14 miliardi di euro che, ogni anno, lo Stato spende per tenere in vita quegli inutili baracconi che sono le province italiane. Per continuare con Camera e Senato, dove altrettanto inutilmente teniamo un piedi un parlamento pletorico, con mille parlamentari, quando un’unica camera con non più di trecento parlamentari sarebbe più che sufficiente e farebbe risparmiare altri due miliardi di euro. Per concludere con le 300 mila auto blu che inutilmente infestano le strade italiane. E ci fermiamo qui, perché continuando con gli esempi potremmo scrivere un’intera enciclopedia. Berlusconi e Tremonti si diano la sveglia: le semine di ottimismo non danno frutti.

7 PAGINE IMBARAZZANTI: IL PROGRAMMA ECONOMICO DI GIULIO TREMONTI

Tremonti bondsTremonti bonds Pubblico un interessante articolo del prof. Michele Boldrin, apparso sul sito www.noisefromamerika.org. Un sarcastico e formidabile saggio sulla politica economica del ministro Giulio Tremonti.

"A mezzo d'un mirabolante un-due-tre, l'incipit riassume tutta la politica economica tremontiana: socialismo populista + monopoli nazionali simbiotici al potere politico + rovesciamento della realtà:

1. Son anni che GT annuncia il "rientro della politica" senza che agli annunci seguano altro che condoni, o fallimenti. La lista di quest’ultimi è nota: Tremonti bonds, Banca del Sud, cartolarizzazione del patrimonio edilizio pubblico, richieste di dazi europei, vendita dell’oro della Banca d’Italia, social cards della miseria, riforme fiscali mai avvenute ...

2. Il barattolo di pelati Cirio: Tremonti rieccheggia la linea difensiva di Cragnotti. In realtà le frodi maggiori avvennero mentre Tremonti era ministro dell'economia, le tecniche finanziarie usate furono elementari e la legislazione che permise a Cragnotti di frodare e scamparla venne mantenuta in vigore (e in parte promulgata) mentre il nostro sedeva a quella medesima scrivania. La "finanza disinvolta" c’entra come i cavoli a merenda. C’entra, invece, la "politica disinvolta" che GT pratica sin da quando lavorava per Craxi, maestro della medesima.

3. La tassa di Obama: ennesimo attacco al libero mercato e ai piccoli risparmiatori. Tassa populista a suggello del patto mefistofelico fra Washington e Wall Street: il supporto della dirigenza bancaria (i cu ingiustificati redditi vennero e vengono preservati) a cambio della tosatura degli azionisti. A questo modello Tremonti s'ispira, il suo unico cruccio essendo quello che le banche italiane non hanno ancora ceduto alle sue, per niente timide ma senz'altro pelose, offerte d'aiuto.

Il resto dell'intervista si sviluppa quindi in una realtà parallela, farcendosi d'insensatezze (def: sequenza di parole prive di senso compiuto e/o riscontro nella realtà). Documentarle tutte richiederebbe un altro libro ... in fondo all'articolo elenco le peggiori, lasciando ai lettori il piacere di discuterle.Nei meandri di questo mondo capovolto, ho comunque rinvenuto tre importanti messaggi al popolo:

A. L'ennesima promessa, con scadenza a tre anni e mezzo, di riforma fiscale. Poiché sulla medesima non dice nulla di preciso, nulla possiamo commentare. Alla promessa di riforma non si accompagna la promessa d’una riduzione della spesa pubblica, il che implica (visto il debito e lo squilibrio di bilancio esistenti) che Tremonti sta promettendo di non ridurre il carico fiscale aggregato ma, al più, di redistribuirlo. L’affermazione secondo cui la spesa si ridurrà spontaneamente per effetto del federalismo fiscale è priva d’alcuna sostanza. In sintesi: carico fiscale e spesa pubblica invariati.

B. Nessun’altra riforma viene promessa: "riforma della pubblica amministrazione, della scuola, dell'università e delle infrastrutture sono in atto", afferma Tremonti. Si parva licet, mi ricorda Bob Lucas che, nel suo articolo del 1978 su Asset Prices in an Exchange Economy, affermava che sia il problema della dinamica dei prezzi (tâtonnement) che quello delle dinamiche di accumulazione (convergenza o meno alla crescita bilanciata) erano stati risolti. Bob fantasticava allora, Giulio Tremonti lo imita oggi nel suo piccolo. Il messaggio politico è chiarissimo: immobilismo totale. Guai a toccare i delicati equilibri che, sino ad ora, hanno permesso al suo capo ufficio d’essere eletto. Che il paese decada è poca cosa a fronte della rielezione del batka nostrano.

C. Il grande rientro della politica consiste nell'offrire sicurezze verbali, ossia fantasie. Il declino italiano non esiste, perché l'ha detto Tremonti. Non importa che i dati gli diano torto, lui continua a dichiarare che la crescita degli altri paesi, durante gli ultimi dieci-quindici anni, era falsa e drogata. Quindi non siamo rimasti indietro: abbiamo fatto solo a meno di drogarci ... Che il reddito pro-capite di Irlanda, Spagna e svariati altri sia tutt'ora superiore al nostro non va menzionato: essi devono affrontare squilibri non ben specificati e stanno quindi peggio di noi. Il loro essere andati avanti era apparente, come apparente era ed è il declino del reddito delle famiglie italiane. Chi lo nega è disfattista e anti-italiano, come la Banca d'Italia che non la smette di dire cose scarsamente coerenti con le fantasie che il ministro dell'economia ritiene necessario gli italiani credano. Se Giulio Tremonti dice che gli altri stanno peggio di noi, non importa che i dati dicano l'opposto: i dati sono probabilmente drogati da qualche economista determinista. La realtà non esiste, le statistiche non esistono, il declino italiano non esiste. Esistono solo le favole che raccontano le TV di stato e di Berlusconi. Favole che Giulio Tremonti sogna di notte e spiattella di giorno a giornalisti ossequiosi, perché le copino e le diffondano fra il popolo. Ecco, la nuova e grande politica economica di Giulio Tremonti che "rientra" è tutta qua, va da A. a C.

LA FAVOLE DELLE ALIQUOTE

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L’ennesima balla elettorale. L’ennesimo spot ‘ad effetto’ architettato dai ‘Gianni e Pinotto’ della politica italiana: Tremonti-Berlusconi. Sto parlando della riforma del fisco proposta dal ministro del Tesoro.Ma andiamo a vedere nel dettaglio l’idea di Tremonti. Sul tavolo del confronto politico c’è la riduzione delle aliquote Irpef da tre a due (23 per cento fino a 100 mila euro e 33 per cento oltre i 100 mila euro) che costerebbe alle casse dello stato 20-25 miliardi di euro. Vorrei partire dal fatto che i 20-25 miliardi di euro non ci sono e Tremonti si guarda bene dal dire dove intende andare a pescarli. Già questo la dice lunga su quanto poco di serio ci sia in questa proposta. Ma passi. Quello che è più grave è il fatto che questa è una pessima idea. La nostra Costituzione, infatti, prevede la progressività dell’imposizione fiscale: chi guadagna di più, per un principio di equità sociale, deve pagare più tasse. Con questa riforma, invece, si va in direzione totalmente opposta, molto di più di quanto non appaia dal semplice passaggio da tre a due aliquote. La realtà è che si passerebbe di fatto ad un'unica aliquota se si pensa che il 99 per cento dei contribuenti italiani dichiara redditi fino a 100 mila euro, per cui l’aliquota del 33 per cento si applicherebbe soltanto ad una ristrettissima minoranza. In soldoni significa che il pensionato o l’operaio pagherà allo Stato, in percentuale, le stesse tasse di un imprenditore o di un avvocato. Tutto questo non farebbe altro che aumentare iniquità e le ingiustizie sociali, che già vedono il nostro paese svettare al sesto posto al mondo per la crescita delle disuguaglianze, superato solo da Messico, Turchia, Portogallo, Usa, e Polonia.Per questa ragione noi presenteremo una proposta completamente diversa che ha, invece, l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze sociali nel nostro paese e di attuare un grande trasferimento di fiscalità dal lavoro (sia dipendente che d’impresa) alle rendite e alle speculazioni.  Per questo proponiamo da un lato un’imposta di solidarietà sociale, sul modello francese che vada a colpire i grandi patrimoni e le grandi rendite e, dall’altro, di raddoppiare l’imposta sulle speculazioni finanziarie passando dall’attuale 12,5 al 25 per cento.Tutti i proventi di queste imposte dovrebbero essere utilizzati per un’unica grande azione di riduzione del costo fiscale sul lavoro, ottenendo il doppio risultato di aumentare il netto in busta paga per lavoratori e pensionati e facilitare la ripresa del mercato del lavoro rendendo le assunzioni meno onerose per le imprese.Due proposte che noi mettiamo sul tavolo del confronto. Due idee chiare e semplici contro la demagogia ormai surreale dei Gianni e Pinotto all’italiana che da quindici anni campano sullo slogan ‘meno tasse per tutti’ e invece di anno in anno propinano agli italiani specchietti per le allodole ogni volta che si avvicina una scadenza elettorale.