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I MAFIOSI SONO CRIMINALI NON EROI

Dell'Utri - BerlusconiDell'Utri - Berlusconi

Surreality show. Nel Pdl si discute sulla figura di Vittorio Mangano. Per Marcello dell’Utri è eroe. Per Fini, giustamente, no. A volte storici ed intellettuali dibattono e si confrontano sulla statura di personaggi controversi. Altre volte è la politica a farlo e gli esempi non mancano. Ma questo caso è davvero singolare. Nel giorno della commemorazione di Paolo Borsellino, un eroe vero, nel partito di Berlusconi c’è chi vede in un mafioso pluriomicida addirittura una figura eroica. E’ il segno dei tempi. Della decadenza culturale provocata dal berlusconismo e della degenerazione della politica. Provate ad immaginare una situazione analoga negli Stati Uniti. Se un membro del Congresso americano vicino ad Obama definisse John Gotti un eroe, cosa succederebbe? Non scommetterei un centesimo sulla sua permanenza in Parlamento. E non molto di più su quella di Obama alla Casa Bianca. Mi chiedo come sia possibile essere finiti così in basso. C’è una parte del Pdl che ha coperto questo paese di fango, di melma mefitica. Malaffare, cricche, camorra, mafia. Un disgustoso intreccio tra politica, malavita e affari che ha avvelenato il senso civico della nazione. A questo punto l’indignazione non basta più ed è indispensabile affermare i valori di legalità e giustizia in ogni sede. In Parlamento come facciamo noi, certo, ma anche per la strada, nelle chiacchierate con gli amici, sul posto di lavoro. E’ una chiamata alle armi per un risorgimento civile e capillare, per ristabilire la verità dei fatti e chiamare le cose col loro nome. Un mafioso non è un eroe, un mafioso è un criminale.

CONDANNA DELL'UTRI GETTA OMBRE OSCURE

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Anche la Corte d’Appello, dopo il tribunale di Palermo, ribadisce la condanna di Marcello dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. L’amico della prima ora di Silvio Berlusconi, collega in affari, in tutti gli affari: quelli di Fininvest e quelli di Forza Italia - perché anche questi ultimi, per Berlusconi, sono stati sempre e solo affari - è un sostenitore della mafia. Questo dicono oggi i giudici della Corte d’Appello di Palermo. E ancora una volta un’ombra lunga e buia, un brivido lungo le schiene degli italiani si avverte legittimo. Marcello dell’Utri, nell’universo berlusconiano, non è una persona qualunque. E’ l’uomo che ha dato vita ai primi circoli di Forza Italia, è la persona  che con Berlusconi ha condiviso tutto, dall’ascesa economica alle relazioni politiche, per finire con la nascita del partito di Forza Italia. La condanna in Appello a Marcello dell’Utri è, in sostanza, la condanna ad un sistema di relazioni, ad un impianto di contiguità tra politica affari e mafia di una certa Sicilia, della quale attraverso Marcello dell’Utri lo stesso Berlusconi, volente o nolente, è stato coinvolto. A questo punto ancora più di prima resta l’esigenza di fare luce sui tanti episodi oscuri e ancora irrisolti della storia italiana. In particolare su quella stagione delle bombe della mafia: dalla strage di via dei Georgofili a Firenze, nel maggio del 93, all’attentato a Maurizio Costanzo, che, come ripetono da anni tanti pentiti, sarebbero state strumento e mezzo per creare in Italia un nuovo equilibrio politico, per l’ascesa di nuovi protagonisti sulla scena politica italiana. Oggi, più che mai, si pone la necessità di fare chiarezza su quella sorta di testamento morale lasciato da Paolo Borsellino. Nell’ultima intervista concessa ad una televisione francese, disse che le indagini per tarpare le ali ai vertici di Cosa Nostra si stavano spostando dalla Sicilia a quel sistema di relazioni che la mafia aveva intessuto con una certa imprenditoria milanese. In quella stessa intervista, Borsellino, nel ricordare il ruolo del famoso stalliere Mangano, rinviava alla figura di Berlusconi e di Mediaset. L’Italia non può più essere il paese dei misteri irrisolti, il paese delle ombre, dei poteri occulti. Deve a pieno titolo diventare una grande democrazia occidentale, trasparente, una casa di cristallo. La sentenza dell’Utri potrebbe essere il primo passo verso una nuova stagione di verità non più celate.

UN QUADRO INQUIETANTE E OSCURO

Il pentito Gaspare SpatuzzaIl pentito Gaspare Spatuzza Oggi è stato il giorno della deposizione del pentito Gaspare Spatuzza al processo per mafia a carico del senatore del Pdl, Marcello Dell’Utri. La sua testimonianza riapre quel capitolo doloroso delle stragi degli anni Novanta, avvenute a Roma e Firenze, stragi anomale secondo il pentito Spatuzza. Nella testimonianza di questo killer spietato, oggi collaboratore di giustizia, c’è un’accusa pesante: Silvio Berlusconi, l’uomo di Canale 5, e Dell’Utri, il compaesano Marcello, fecero favori alla mafia. Anzi, grazie alla serietà di queste due persone “la mafia ottenne praticamente il Paese nelle sue mani”.E poi c’è il racconto delle terribili stragi, quelle compiute e quelle evitate per un soffio, che svelano il volto più feroce della mafia che nessun sceneggiato o libro potrà mai eguagliare. Come quando il boss Giuseppe Graviano avrebbe chiesto al pentito Spatuzza “morti per smuovere qualcuno”. Oppure, quando il pentito Spatuzza dice che nella bomba dello stadio Olimpico, furono messi 50 chili di tondini “per fare più male possibile”. Neanche i talebani, ha detto oggi Spatuzza nell’aula bunker di Torino, sono arrivati a tanto. Oppure quando dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio  la mafia festeggiò “perché Borsellino e Falcone erano nemici”. O come il racconto dell’incontro avvenuto nel ’94 al bar Doney di via Veneto a Roma, prima  del fallito attentato allo stadio Olimpico, quando il boss Graviano arrivò “con un atteggiamento gioioso, come chi ha vinto all’enalotto o ha avuto un figlio” perché “abbiamo chiuso e ottenuto tutto quello che cercavamo grazie a due persone serie” che non erano “come quei quattro crasti socialisti che avevano preso i voti dell’88 e dell’89 e poi ci avevano fatto la guerra”.Le frasi di Spatuzza dipingono un quadro inquietante ed allarmante. Si riallacciano alle dichiarazioni dei pentiti rese durante le inchieste che partirono all’indomani degli attentati del ’94, poi archiviate. In realtà, quelle dichiarazioni, a differenza delle inchieste, non furono archiviate ma congelate, in attesa di riscontri più oggettivi. Rimasero, come tante spade di Damocle, a pendere sulle teste degli imputati.Oggi è venuto il momento di fare chiarezza. Nessuno, a parte la magistratura, può o deve emettere sentenze di accusa o di assoluzione. Per questo, è opportuno che la politica faccia un passo indietro, fino al momento della verità, perché è la verità l’unica cosa che conta. La politica taccia  e lasci lavorare la magistratura. Siamo sicuri che i giudici lavoreranno con scrupolo per accertare la verità dei fatti e verificare le dichiarazioni rese dal pentito Spatuzza. Certo è che, da quelle parole, pesanti come macigni, emerge un quadro inquietante ed oscuro.

BERLUSCONI, E' ORA DI DIRE LA VERITA'

Dell'Utri-BerlusconiDell'Utri-Berlusconi “Tra il 1975 e il 1984 alcune operazioni finanziarie effettuate dal gruppo Fininvest erano potenzialmente non trasparenti”. A dirlo non sono i soliti giudici eversivi e comunisti. A dirlo non è quel solito giustizialista di Di Pietro, “l’uomo ch fa orrore” al Cavaliere. E’ scritto nero su bianco nelle dichiarazioni rese in aula dal consulente della difesa che avrebbe dovuto scagionare Marcello Dell’Utri durante il processo che, nel 2004, lo ha condannato in primo grado a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Questo è il vero grande nodo. La questione mai accantonata della provenienza dei capitali serviti al premier per costruire l’impero di Mediaset. Il nodo mai sciolto dai giudici e  mai spiegato neppure da Berlusconi, che il 26 novembre del 2002, interrogato dai magistrati, si “e’ avvalso della facoltà di non rispondere”. Queste rivelazioni sono state riprese da un articolo di Repubblica, scritto da Giuseppe D’Avanzo, per le quali Mediaset, invece di rispondere, ha deciso di querelare nuovamente il gruppo Espresso. In questi giorni, poi, in ambienti giudiziari e non circolano i nomi di  Berlusconi e del suo braccio destro come personalità legate alle stragi di mafia del ’92 - ‘93. La questione che mi sembra dirimente non è sapere se sarà o no indagato, se sarà o no coinvolto anche in questi processi. Il punto reale è: in quale paese un uomo sul cui capo pesano tali insinuazioni può pretendere di continuare a fare indisturbato il presidente del Consiglio?Le inchieste portate avanti tutti questi anni raccontano che Berlusconi, per avviare la sua attività imprenditoriale nel 1961, ottenne una fideiussione dalla Banca Rasini, indicata da diversi documenti della magistratura come la principale banca usata dalla mafia al Nord per il riciclo di denaro sporco e fra i cui clienti c’erano Totò Riina, Bernardo Provenzano e Pippo Calò, il cassiere di Cosa Nostra. Da dove arrivano i 94 miliardi di lire che dai conti svizzeri sono transitati alla Fininvest tra il 1975 e il 1978? Perché ha tenuto in casa sua Mangano, l’uomo che Giovanni Falcone indicò come la testa di ponte degli interessi della mafia al nord? Come è possibile che uno degli imprenditori più ricchi d’Italia abbia dato il compito di proteggere i propri figli senza sapere chi fosse costui? Come è possibile che alcuni pentiti lo indichino come il mandante politico delle stragi di mafia compiute nei primi anni Novanta?Questi sono solo alcuni degli interrogativi rimasti in sospeso e che inficiano la sua credibilità di premier. Quesiti ai quali nessuna querela potrà dare delle risposte. E’ ora, invece, che il premier venga in Parlamento con i documenti alla mano e chiarisca tali spericolate e pericolose relazioni avute in questi anni. E’ ora che  Berlusconi, invece di continuare a sfuggire alla giustizia attraverso gli escamotage congegnati dal suo legale di fiducia, si impegni a fugare il dubbio che la sua discesa in campo sia servita a coprire l’opacità, per non dir di peggio, dei suoi affari.

CHIEDIAMO LE DIMISSIONI DI COSENTINO

Dal film GomorraDal film Gomorra “Contribuiva, sin dagli anni novanta, a rafforzare vertici e attività del gruppo camorrista facente capo alle famiglie di Bidognetti e Schiavone”. Avrebbe “garantito il permanere dei rapporti tra imprenditoria mafiosa e amministrazioni pubbliche”. Non solo: a metà degli anni novanta, "avrebbe assicurato al clan dei Casalesi che Forza Italia avrebbe ridimensionato i giudici di sinistra”. E infine, ma non è tutto, avrebbe esercitato “indebite pressioni su enti prefettizi per incidere nelle procedure sul rilascio delle certificazioni antimafia”.Queste sono le accuse, gravissime, che si leggono nelle 352 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, coordinatore del Pdl in Campania. In un paese normale ciò sarebbe sufficiente non solo a impedirne la candidatura a qualunque incarico pubblico ma anche a chiederne le immediate dimissioni da ogni incarico ricoperto.In Italia, invece, non accade nulla. Neppure di fronte a 352 pagine di accuse precise e circostanziate la classe politica ha un sussulto di dignità. Io sono convinto che, in un Paese in cui le mafie controllano 4 regioni su 20 e sono un cancro che impedisce il riscatto economico e sociale per 20 milioni di italiani, pensare che un politico che, per ammissione di ben 6 pentiti, avrebbe contratto “un debito di gratitudine con un clan camorristico cui deve le sue fortune”, possa restare al Governo è inimmaginabile e intollerabile.La prossima settimana il Parlamento voterà sulla richiesta di arresto inviata dalla magistratura. Sarebbe bello poter pensare il contrario ma già sappiamo che la Casta, mi auguro solo una parte di essa, farà quadrato intorno al sottosegretario Cosentino e lo proteggerà dalla giustizia.Per questo, proprio oggi, ho inviato una lettera a tutti i capigruppo dei partiti di opposizione chiedendo di decidere tutti insieme sulle iniziative da intraprendere insieme, sia in sede parlamentare che nel Paese, stabilire per giungere alle dimissioni del sottosegretario Cosentino, la cui permanenza al Governo danneggia irreparabilmente la credibilità delle istituzioni.Sarà un test per verificare il nuovo corso del Pd e se potremmo contare anche sulle altre forze di opposizione per fermare la deriva antilegalitaria del Pdl.