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L'ONOREVOLE STIPENDIO NON SI PIGNORA

ParlamentoParlamentoChe bello essere parlamentari. Eh sì. Poco lavoro ultimamente (da cinque o sei mesi, si lavora in media un giorno a settimana per colpa di una maggioranza vergognosa e irresponsabile che sta trasformando la sua crisi nella crisi del Paese), tanti privilegi. Lo dice uno che alla Camera vorrebbe lavorare di più, approvare leggi per il Paese, cancellare le storture, rispondere alle legittime richieste dei cittadini, dei lavoratori, delle imprese, delle famiglie. Di tutte le categorie sociali, insomma. A fronte di privilegi quasi feudali. Ne ho scoperto uno che grida vendetta: lo stipendio (sostanzioso) dei parlamentari a differenza di quello di qualsiasi altro lavoratore italiano, non può essere pignorato da eventuali creditori. Quindi se io fossi condannato a risarcire un danno e non volessi farlo, avrei buone possibilità di farla franca sfuggendo alla giustizia e ai miei creditori. Ad essere pignorabili, infatti, sono soltanto alcuni marginali rimborsi delle spese per trasporti e telefono. Il punto è che di questa pur limitata e insufficiente pignorabilità, nessuno sa niente. Le informazioni non sono reperibili da nessuna parte, la Camera non lo dice a quei creditori che tentano inutilmente di pignorare lo stipendio dei parlamentari. Così come non sono reperibili le informazioni su come e quando vengono pagati tali rimborsi ai parlamentari. L’ho scoperto causalmente in questi giorni e la cosa mi ha indignato profondamente perché questa tutela pone il parlamentare al di sopra della legge, al di sopra degli altri cittadini. Per questo Italia dei Valori presenterà una richiesta formale nel prossimo ufficio di presidenza della Camera (unico organo che ha competenza per decidere su queste materie) per abolire questo scandaloso privilegio di Casta, da signorotti feudali.

ABOLIRE LE PROVINCE? SOLO CHIACCHIERE

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Questo e' il governo delle promesse non mantenute, delle chiacchiere al vento, delle bugie, dei balletti avanti e indietro, degli annunci e delle ritirate strategiche, come quella sull’abolizione delle province. Otto mesi fa, Italia dei Valori ha portato in Aula la sua proposta di legge per l’abolizione delle province. La maggioranza di centrodestra, ma anche l’opposizione, Pd e Udc, l’ha sonoramente bocciata. L’hanno respinta al mittente nonostante gli strombazzati annunci fatti in tutte le campagne elettorali dal presidente del Consiglio di volerle abolire perché enti inutili e costosi. Ora ci risiamo. Prima annunciano di aver inserito nella manovra economica l’abolizione delle province. Decisione buona e giusta, anzi sacrosanta, una delle poche di questa manovra ingiusta ed iniqua, che taglia e basta, tampona ma non risolve perché completamente priva di riforme strutturali, le uniche capaci di garantire nel tempo un rientro del debito pubblico. Poi, improvvisamente, ecco la marcia indietro. Il presidente del Consiglio dice che nella manovra l’abolizione delle province non c’è mai stata, se la sono sognata opposizione e giornali, ovviamente comunisti. Eppure, una misura del genere sarebbe quanto mai necessaria in un momento di grave crisi economica come quella che sta attraversando il paese. Porterebbe ad un risparmio di circa 13 miliardi di euro l’anno, non proprio briciole. Dunque, bando ai misteri e fuori le carte. Vogliamo sapere se sull’abolizione delle province è in atto un barbatrucco o se il governo sta facendo sul serio. Vediamo se Berlusconi, almeno una volta nella vita, riesce a mantenere una promessa e a non piegarsi ai voleri della Lega che di abolire le province, feudi di potere e poltrone, proprio non ne vuole sentire parlare. Tanto che oggi ne ha sparata un’altra delle sue: l’istituzione di una bicamerale per l’accorpamento delle province. E’ proprio vero. Roma ladrona è un ritornello ormai stonato. Ora la Lega ha imparato i trucchi del mestiere, come quello di sparare l'ennesima pagliacciata con il chiaro obiettivo di conservare le province dove comanda e fa proseliti.

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TAGLI VERI? NO, DEMAGOGIA DI CASTA

Tempo di crisi, tempo di tagli, tempo di demagogia. Da anni si parla, giustamente, degli sprechi e dei privilegi della casta. Persino il governo oggi si accorge che, con la crisi economica in atto che costringe le famiglie a tirare la cinghia, la politica deve dare il buon esempio. Evvai, avranno pensato in molti, finalmente una scure si abbatterà sui costi della politica. La mannaia del buongoverno calerà su enti inutili e spese folli…Magari. La montagna ha partorito il topolino: una riduzione del 5% sugli stipendi di ministri e parlamentari. Un’inezia rispetto a quanto servirebbe.  Una trovata che comunque ha un qualcosa di efficace. Per finire sui giornali, intendo, e fare bella (bella…?) figura con un po’ di elettorato. Efficace per risparmiare davvero dei soldi, mah, non mi sembra proprio.  Il tutto si risolverebbe con un risparmio di circa 7 milioni di euro secondo alcuni, 4,8 milioni secondo altri. La proposta di Calderoli sarebbe stata un buon primo passo se accanto alla riduzione dello stipendio il governo avesse presentato proposte strutturali per eliminare sprechi e ingiusti privilegi e ridurre i costi della politica. Buttata così a me, che pure ho sostenuto la riduzione dello stipendio dei parlamentari, sembra solo l’ennesima proposta demagogica del centrodestra. L’Italia dei Valori è sempre stata in prima linea contro i costi della politica. Abbiamo presentato diverse proposte di legge sull’argomento ed anche una proposta di legge costituzionale per dimezzare, almeno, i costi e ridurre i privilegi di casta, ma con questo governo è stato impossibile farle passare. Il centrodestra fa solo chiacchiere da campagna elettorale. Volete un esempio concreto? Pensate all’abolizione delle province. Un caso eclatante: Berlusconi e soci hanno sbandierato ai quatto venti la proposta di abolire le province. L’hanno promessa in tutti gli angoli d’Italia ed in ogni salotto televisivo. Al momento del dunque, però, quando dopo mille resistenze di tutti gli altri partiti, siamo riusciti a portare in Parlamento un testo per abolire le province, l’hanno affossato. Non hanno voluto far risparmiare allo Stato oltre dieci miliardi di euro, altro che i bruscolini della riduzione degli stipendi. Con loro al governo la casta continuerà a prosperare.

IL GOVERNO HA LA SINDROME DI PENELOPE

PenelopePenelope Il taglio delle poltrone può attendere. Et voilà, l’ennesimo bluff del governo è servito. La maggioranza, per il secondo anno consecutivo, rinvia la questione di un anno, ovvero al 2011. E si sa che, in politica, rinviare, significa rimandare alle calende greche per non parlarne, ma soprattutto, per non fare più. Solo un ingenuo poteva pensare che, alla vigilia delle elezioni amministrative, la maggioranza avrebbe seriamente dato un taglio al numero delle poltrone degli amministratori locali. Per il momento, proconsoli, cacicchi e ascari, di destra, sinistra e centro, rimangono saldi alla tolda di comando, con buona pace del ministro Calderoli e di tutta la Lega che, sui tagli ai costi della politica e su Roma ladrona, ci hanno fatto tante chiacchiere in campagna elettorale ma nulla di più. Tecnicamente, è accaduto che la norma prevista in Finanziaria, che tagliava di 50.000 unità le poltrone di consiglieri e assessori di comuni e province, è stata congelata e rimandata ad un decreto che a sua volta rinvia al prossimo anno le grandi manovre per rendere più snelli e meno costosi gli enti locali.La norma contenuta in finanziaria prevedeva la riduzione di un quarto dei consiglieri e di un quinto degli assessori mentre per le province sarebbe dovuta scattare un diminuzione del 20% degli assessori. Conti alla mano, guardando per esempio ai comuni, le grandi città con più di un milione di abitanti si sarebbero viste decurtare ben 13 consiglieri: da 61 a 48. Se, invece, si parla di assessori, la riduzione maggiore avrebbe riguardato gli enti tra 30.000 e i 250.000 abitanti, con 4 assessori in meno. Ma il decreto ha congelato tutto fino al 2011, facendo slittare anche la soppressione del difensore civico e delle circoscrizioni comunali. Non è l’unico caso di questa strana sindrome di cui la maggioranza ed il governo sono affetti e che li porta a disfare di notte quello che fa di giorno. C’è anche la vicenda delle zone franche urbane che, in Francia e non solo, rappresentano un modello economico di successo. Nel 2006, l’Italia ha intrapreso la stessa strada con la prima finanziaria del governo Prodi e, nel 2008, il testimone è stato raccolto dal governo Berlusconi che ha chiesto un sofferto via libera da parte della Commissione europea, in modo da poter partire il 1 gennaio 2010. A due giorni dal varo delle 22 zone franche urbane, il governo ha emesso un decreto legge che modifica la normativa e che quindi costringe l’Italia a ripartire da zero. Il tutto, pare, per l’ingordigia della Lega irritata dal fatto che nessuna delle 22 zone franche autorizzate è nella sua area d’influenza elettorale e ne vorrebbe almeno due.Insomma, di giorno il Governo tesse la tela di Penelope, di notte la disfa. Su una sola tela lavora a spron battuto: è quella che gli serve per imbrigliare la giustizia e mettere il premier al riparo dei suoi guai.