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IL LAVORO NON NASCE SOTTO I CAVOLI

Il lavoro è importante ma non nasce sotto i cavoli o per decreto legge. Si crea solo dopo che l'economia riparte. Sabato sono stato ospite ad un videoforum del Mattino di Padova, dove ho risposto in diretta alle domande dei lettori e della redazione. Cliccando sull’immagine qui di fianco è possibile rivedere l’intera chiacchierata.

Abbiamo parlato soprattutto di lavoro. Guardando all’ultimo anno di Governo, mi sembra che sulla questione si sia sfiorato il baratro. L’ultima riforma del lavoro è squinternata e scritta male, figlia di un’impostazione sbagliata. Il governo Monti ha fatto una riforma con l'accetta e ha lasciato per strada 500 mila esodati. E, a mio parere, non si è trattato di un “errore”. Il futuro governo di centrosinistra ripartirà da qui: dal lavoro, dalle imprese e dai diritti degli onesti.

Il problema del nostro Paese non è che non produce ricchezza, è che il sistema deputato a gestirla lo fa male, spreca ed è vittima di logiche clientelari. Nonostante la crisi, infatti, l’Italia è l'ottavo Paese al mondo per pil e il terzo per risparmio privato. Non è accettabile che questo sistema, complessivamente in salute, non si rispecchi adeguatamente nelle condizioni reali dei cittadini. Qui il problema non è solo abbassare le tasse, ma renderle più eque fra chi è più e meno benestante.

Lo Stato potrebbe trovare già oggi le risorse per abbassare le tasse, e farlo senza abbassare parallelamente la qualità dei servizi al cittadino. Lo ribadisco: le Province devono sparire. Ma non alla maniera in cui lo dice ora, tardivamente, la Lega, che tra l’altro ha osteggiato la mia proposta di legge. Penso che si debbano consorziare i piccoli Comuni, almeno per l’esercizio delle funzioni. E accanto a ciò, ridistribuire le risorse lì dove più servono. Non possiamo continuare a seguire piante organiche vecchie di cinquant’anni. In questa logica, la prima cosa da fare è spostare alcuni dipendenti pubblici dalle Poste all’Agenzia delle Entrate. Contro l’evasione, per recuperare ricchezza rubata a tutti gli italiani.

NON ANTIPOLITICA MA BUONA POLITICA

Niente fondi a chi non taglia’ titola il Corriere della Sera. Uao, finalmente. L’Italia dei Valori da anni aveva tentato di inserire meccanismi premiali per le amministrazioni pubbliche virtuose e sanzioni, anche dirette, per gli amministratori sperperoni e incapaci.

Naturalmente per esprimere un giudizio definitivo attendiamo di leggere il testo definitivo del decreto, ma il principio di base è sicuramente condivisibile. Mi preme, però, fare un’altra considerazione.

Perché queste riforme devono essere fatte solo sull’onda lunga degli scandali e dell’emergenza? Perché non è possibile anticipare i fenomeni, prima che esplodano in tutta la loro virulenza sociale e politica?

Perché siamo in Italia, il paese dalla vista corta e dalla memoria brevissima. Non guardiamo al futuro e non ricordiamo il passato, siamo schiacciati sul presente senza renderci conto della pericolosità di questo atteggiamento. La politica ha grandi responsabilità in questo, perché per troppi anni è stata incapace di avere una visione prospettica di lungo periodo. Qui sta la differenza tra uno statista ed un semplice politico. E tutto questo va ad aggiungersi al vento dell’antipolitica che sembra non saper più distinguere tra i partiti, tra i politici, tra le idee ed i programmi. Il politico in quanto tale sembra essere diventato l’obiettivo da colpire ed abbattere.

Le persone che adottano questo criterio sono sicuramente in buona fede, hanno passione civile probabilmente e sono giustamente stanche di un certo modo di fare politica. Hanno in parte ragione. Ma attenzione, è un fenomeno pericoloso. Quando la contestazione diventa cieca e senza proposte si consegna il Paese ai poteri forti.

La fisica ci insegna che il vuoto assoluto non esiste. Così anche nei fenomeni sociali. Il vuoto della politica rischia di essere riempito da altri poteri e da altri interessi. Senza più la mediazione delle diverse rappresentanze. La politica deve assumersi certamente le proprie pesanti responsabilità, deve essere capace di rinnovarsi ed espellere gli agenti patogeni. Ma non deve abdicare al proprio ruolo fondamentale di rappresentanza degli interessi sociali. Siamo di fronte ad un periodo di transizione, simile a quello del ’92-94. E’ l’occasione per costruire un paese migliore.

Numero consiglieri, non nascondiamoci

ABOLIRE LE PROVINCE? E' IL TITOLO DI UN ROMANZO IPOCRITA

Abolizione delle province, stavolta si fa sul serio? Entro fine mese, si procederà per decreto all’accorpamento di questi enti locali, inutili e costosi. Lo ha annunciato il governo, dopo gli scandali che stanno emergendo. Tipico refrain italiano: si chiudono le stalle dopo la fuoriuscita dei buoi.

Dalle Appennini alle Ande, gli amministratori provinciali e i politici locali si stanno attrezzando: nessuno vuole mollare la cadrega, fa troppo comodo e, soprattutto, porta voti.

Con lo spauracchio del decreto che aleggia sullo loro teste, le premiate province italiane si attrezzano e corrono ai ripari, come possono. C’è quella che, pur di non morire, si annette ad un’altra, per conservare i requisiti minimi per continuare la sua esistenza in vita, ovvero avere 2.500 Km e 350mila abitanti. Gli appelli alla deroga si sprecano, da nord a sud, dal centro alle isole, pregunte e preghiere di tutti i colori politici: verde (lega) rosso (Pd), blu (pdl) bianco (centro). C’è addirittura chi minaccia di fare ricorso davanti alla Consulta contro il decreto.

I lettori di questo blog lo sanno. Sulle province, troppa ipocrisia e troppi ipocriti in giro, li abbiamo vissuti per primi sulla nostra pelle. E’ chiaro che, se davvero il governo dovesse presentare un decreto per l’abolizione delle province, voteremmo a favore, ma intendiamoci. Niente sconti a province amiche, niente eccezioni che, in questo caso, non confermerebbero la regola ma il vizio.

E’ dalla scorsa legislatura che Italia dei Valori si batte in Parlamento per l’abolizione di questi enti inutili, utili solo a soddisfare il sistema di poltronifici dei partiti. In Italia le Province sono 107 e costano all'incirca 16 miliardi di euro l'anno allo Stato. Il loro numero è più elevato di quello dei department francesi (100) e quasi doppio rispetto alle Provincias spagnole (59).

Noi abbiamo presentato una proposta di legge, con un articolo solo: le province sono abolite. L’abbiamo portata in Parlamento e, complici tutti i partiti, è stato bocciata e rispedita al mittente. Il tema va approfondito, hanno tuonato i soloni dello spreco.

Ora ci risiamo. Nel frattempo, gli sprechi hanno continuato ad aumentare a dismisura, con buona pace delle tasche degli italiani. Vediamo stavolta chi fa sul serio e chi, invece, solo demagogia.

LA SOCIETA’ DEI “MAGNACCIONI”

Lombardia. Le delibere della sanità lombarda sarebbero state scritte negli istituti privati e poi approvati nella giunta regionale lombarda. Questo il contenuto delle rivelazioni di una funzionario della fondazione Maugeri, oggi arrestato. Sarebbe anche capitato, in alcuni casi, che veniva calcolato il risultato che la Fondazione avrebbe raggiunto qualora fossero stati recepiti determinati parametri dalle delibere regionali.

Lazio. Ricevute per cene gourmand, viaggi con amanti, acquisti di cravatte e di articoli pregiati di pelletteria e, persino, il noleggio del set di Roma antica a Cinecittà per una festa. Così se ne sono andati in fumo i 100 milioni di spese annuali del consiglio regionale del Lazio. Il consigliere Franco Fiorito del Pdl avrebbe maneggiato, senza nessuna forma di controllo, più di otto milioni di euro di denaro pubblico in due anni e andrebbe anche fiero di come lo ha fatto: “M’emporta poco dei regolamenti e della costituzione, a me piace la politica, qui famo ammistrazione”. Sono parole sue, rilasciate a Radio Radicale. Una strada idea di cosa sia la politica, di cosa significhi amministrare la cosa pubblica, se a carico dei contribuenti risulta, come sembra, il pagamento dei weekend a Porto Cervo pagati del consigliere regionale, i conti esteri intestati a se stesso e le cravatte di Marinella, le ostriche, capesante, festini e via discorrendo.

Questo è accaduto ieri e, se non vi si porrà rimedio, accadrà anche domani. Mentre politici, governo, giornali parlano di riduzione dei costi della politica, di un’opera di moralizzazione, di una stretta agli sprechi e ai privilegi, c’era chi compra ostriche e champagne, alla faccia della crisi.

La classe politica e' sorda alle richieste degli italiani di maggiore chiarezza nella gestione dei soldi pubblici. Quanti scandali ancora dobbiamo sopportare perché si prenda coscienza della necessità di una nuova normativa, seria e trasparente?

Il 12 ottobre parte la raccolta firme per il referendum firmato Italia dei Valori per  abrogare il finanziamento ai  partiti. Saranno i cittadini, ancora una volta, a decidere la partita.

ANCHE LA POLITICA “TIENE FAMIGLIA”

Il ‘Tengo famiglia’ diventa categoria politica. In Italia, si sa, il familismo è un concetto sociologico ben radicato nella società. All’estero passiamo per ‘mammoni’ troppo legati agli affetti familiari per esplorare il mondo da soli.

Preconcetti. Gli italiani non sono certamente così. Anche se il malcostume politico e la mancanza di etica in certi casi rafforzano questi stereotipi. Prendete il caso del consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia. Dopo dodici anni ha abrogato la legge che vietava la concessione di benefit e contratti ai parenti.

In altri paesi una norma del genere non avrebbe ragione di esistere, perché per etica ed opportunità nessun politico si sognerebbe di assumere parenti o versargli contributi pubblici. La nuova legge friulana è un indicatore importante dei vizi della politica e di un errato concetto della cosa pubblica.

Non ci sarebbe nulla di scandaloso o illegale a finanziare un progetto presentato dal parente di un politico, è chiaro, ma è l’abuso del potere conferito dai cittadini per amministrare che rende odiose certe pratiche.

Diffuse non solo in politica, ma anche nella società, basti pensare all’accesso alle professioni, spesso più facile per chi è ‘figlio di...’. in questo modo selezione e meritocrazia vanno a farsi benedire, con danni che si ripercuotono su tutto il tessuto sociale.

E’ un problema culturale più che politico, ma la politica, a tutti i livelli, non può più ignorarlo. Per questo, anche a livello nazionale, servirebbe una regolamentazione del fenomeno, un passaggio essenziale per tagliare non solo i costi della politica, ma per depotenziare un metodo sotterraneo e scorretto che ha provocato già troppi guai.

La Commissione dell'acqua calda

Tre giorni fa, Giovannini, presidente dell’Istat, a capo della Commissione sui costi della politica, si è arreso. Un fallimento totale quello della commissione istituita per comparare i costi delle nostre istituzioni con quelli di altri stati membri dell’Unione Europea.

Perché Giovannini ha gettato la spugna? La comparazione non si può fare perché la nostra situazione è troppo difforme da quella di Francia, Germania, Inghilterra e via discorrendo. Tanto per capirci, all’estero, ha detto il presidente, non ci sono strutture analoghe a quelle italiane. Su 30 tipologie di enti esistenti in Italia, solo in 9 casi esistono strutture analoghe. Questi nove enti, continua a spiegare Giovannini, sarebbero l'Agenzia del Farmaco, l'Antitrust, l'Autorità delle Comunicazioni, quella per l'Energia elettrica, la Consob, il garante della Privacy, Regioni, Comuni e la Camera dei Deputati. Il Senato no, perché in altri Paesi i senatori non sono eletti direttamente dal popolo.

Per farla breve, la Commissione ha alzato le mani: “Le situazioni sono diverse, non si possono paragonare. Suggeriamo al Governo e al Parlamento di rivedere la legge sui costi della politica”. Insomma, come nel Monopoli si riparte dal via, grazie a tutti abbiamo scherzato.

Roba da matti. Con tutto il rispetto, solo in Italia capita che si istituisca una commissione sui costi della politica che lavora quasi un anno, comparando i dati e i numeri per scoprire l’acqua calda. Non ci voleva una Commissione per dirci che in Italia c’è una proliferazione esagerata di enti inutili. Non ci voleva Giovannini per dirci che in Italia c’è una macchina burocratica elefantiaca che rappresenta un unicum in Europa. In Italia serve darci un taglio. Non serve comparare tabelle, squadernare libelli, fare i conti in tasca agli altri paesi per capire dove è il marcio. E’ sotto gli occhi di tutti. In un momento di straordinaria drammaticità per il Paese occorre usare il rigore e la scure anche nei confronti della politica. L’obiettivo è disegnare un’Italia più snella, più moderna, liberale, meno burocratica, in cui i sacrifici non passino solo attraverso la riduzione del potere di acquisto delle famiglie o una patrimoniale per i redditi bassi.

Salva Italia, Cresci Italia, Liberalizza Italia, Riforma del Lavoro. Tradotto: tasse, poche e insignificanti liberalizzazioni, articolo 18. E i costi della politica? Che fine hanno fatto nel programma del governo “tecnico” targato Monti? Riposti nel cassetto. Lì giacciono in pace. Eppure le risorse che si libererebbero dando una bella sforbiciata ai costi della politica sarebbero ingenti. Ma nulla si muove, solo timidi tremolii di foglie, poi subito la quiete. Se la politica non è matura per un passaggio così epocale, lo sono i cittadini.

PAPERON DE’ PAPERONI… “DI STATO”

Razionalizzare i costi? Sì. Porre un tetto agli stipendi dei manager pubblici? Anche. Operazioni trasparenza sui redditi di ministri, sottosegretari e viceministri? Sì, d’accordo va tutto bene. Ma se si vuole davvero fare un’operazione di quelle chirurgiche, per porre un freno ai costi della pubblica amministrazione, serve il coraggio di squarciare il velo dell’ipocrisia e omertà su quei particolari sistemi e criteri che concedono in questo Paese mille eccezioni, legittime per carità, ma non di meno scandalose.

Accade oggi. Per ridurre i costi della Camera è stato di recente deciso di chiudere il ristorante di Montecitorio tre sere a settimana. Motivo? Il costo eccessivo del servizio rispetto al numero dei pasti erogati. Nell'ottica di contenimento delle spese intrapresa giustamente dalla Camera appare una scelta condivisibile: se un servizio costa più di quanto rende è giusto chiuderlo o rivederne orari e servizi erogati. Accanto a questo, però, serve agire concretamente su quanto accade nel mondo dorato e privilegiato delle retribuzioni dei boiardi di Stato che, grazie a mille cavilli, arrivano a percepire pensioni da capogiro e che, nonostante il pensionamento, continuano a svolgere il medesimo incarico percependo doppio stipendio: pensione e retribuzione. Detta in soldoni, vengono pagati due volte. Come pensionati e come dipendenti in effettivo servizio, mascherati da consulenti.

Non ne faccio una questione di nomi. E’ il principio che condanniamo e che sarebbe ora di rivedere. Chi sono? Il capo del cerimoniale di palazzo Chigi, quello di Capo dipartimento per le risorse strumentali – appalti, per intenderci – il Capo dell’Ufficio voli di stato, di governo e umanitari, il Direttore dell’unità tecnica di missione per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia e, infine, i cosiddetti dirigenti di prima fascia “estranei”.

Per non parlare delle cifre. In questo strano paese, capita che un alto funzionario dello Stato, ancora non sessantasettenne, si porti a casa una pensione – e chiedo scusa a tutti i pensionati italiani – di 519mila euro, un miliardo delle vecchie lire, pari al 90 per cento della sua ultima retribuzione e che supera del 76 per cento quel tetto agli stipendi dei manager pubblici di cui si parla tanto in questi giorni. Si dà il caso che l’alto funzionario in questione sia diventato sottosegretario non parlamentare e che percepisca, quindi, anche lo stipendio. Per onore di verità, ha rinunciato a quello che gli sarebbe anche toccato come consigliere di Stato. E tutto questo accade perché esistono regole che lo permettono. La domanda è: non sarà il caso di rivederle, prima di accanirci contro i dipendenti della mensa di Montecitorio? E’ quello che chiederemo al sottosegretario alla presidenza, Antonio Catricalà, e al presidente del Consiglio, Mario Monti.

Quanto guadagna un onorevole

Intervista di Giovanni Gagliardi per Repubblica.it. Disponibile qui.

COSTI POLITICA: DIAMOCI UN TAGLIO MA VERO

Oggi, sul sito del ministero della Funzione Pubblica, sono stati resi noti i risultati dell'indagine della commissione presieduta da Giovannini, presidente dell'Istat. La commissione, istitutita nel luglio scorso, aveva il compito di comparare gli stipendi dei parlamentari italiani a quelli europei per operare eventuali adeguamenti. Dai risultati emerge che i parlamentari italiani ricevono un'indennità superiore rispetto ai loro colleghi tedeschi, inglesi e spagnoli ma i meccanismi e i criteri per il calcolo delle indennità parlamentari nei vari paesi sono talmente diversi da renderli imparagonabili. Attendiamo sviluppi dalla Commissione, augurandoci che non finisca con un nulla di fatto.

Nell'attesa, sui costi della politica, possiamo dire un bel po' di cose perché Italia dei Valori non ha mai tentennato e non si è mai tirata dietro, anzi, ha spesso corso in solitaria. Due esempi su tutti: la riduzione del numero dei parlamentari, l'abolizione dei vitalizi e quello delle province. Se le istituzioni, come è giusto che sia, devono diventare palazzi di vetro è giusto che si proceda quanto prima a fare un bella azione di pulizia nella giungla di regolamenti, norme, leggine e codicilli vari che ostacolano l'operazione di trasparenza e confronto. E' lì, infatti, in quella giungla di norme sovrapposte ed incomprensibili, che si annidano mille insidie.

Tutto questo, però non basta. Se si vuole affrontare la questione seriamente, occorre agire a 360 gradi. Si devono affrontare anche altri dolorosi capitoli di sprechi e privilegi che regnano sovrani nella pubblica amministrazione: province, enti inutili, auto blu, acquisti di beni e servizi, regioni e province a statuto speciale, stipendi dei manager pubblici e via discorrendo.

Si proceda, dunque, con coraggio, senza inutili cacce alle streghe ma con buonsenso e determinazione. Bandita l'ipocrisia o i finti aggiustamenti, la Camera e il Senato, d'altronde, sta già procedendo in tal senso. Noi abbiamo le nostre proposte  all'insegna dell'equita', della serieta' e della trasparenza, ferme nelle commissioni, che sono l'unica via per riconquistare la fiducia dei cittadini e ridare dignita' alla politica e le mettiamo sul tavolo. Chi ha buone orecchie ci ascolti.