Taggati con: don abbondio

SULL'EVASIONE FISCALE GOVERNO COME “DON ABBONDIO”

 

Ci voleva più coraggio. Dall’evasione fiscale all’asta sulle frequenze televisive, dall’Ici sui beni della Chiesa ai tagli, ma quelli veri, sui costi della politica. Noi non chiedevamo meno tagli o sacrifici ma solo che fossero distribuiti in maniera più equa. Si dice che il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare: in questa manovra è mancato completamente. Non solo per il modo in cui è stata concepita ma per la sostanziale indisponibilità del governo ad aprirsi al confronto sulle modifiche proposte dai vari gruppi parlamentari.

Voglio in particolare soffermarmi sul complesso di emendamenti che Idv ha presentato in materia di evasione fiscale e che avrebbero rappresentato una vera e propria rivoluzione, capace di sconfigger l’evasione, mandando al tempo stesso in pensione per sempre studi di settore, redditometri, e spesometri vari.

La nostra proposta era semplice e da subito operativa. L’Agenzia delle Entrate, infatti, ha già oggi a disposizione una massa enorme di informazioni che le derivano in parte da una propria enorme banca dati, messa a punto in questi anni, e la possibilità di accedere alle banche dati del sistema bancario e degli intermediari finanziari.

Nelle sue linee essenziali la nostra proposta era di una semplicità straordinaria e partiva da un presupposto ovvio: i redditi evasi e i pagamenti ricevuti in nero, nella loro stragrande maggioranza, vengono prima o poi fatti transitare dall’evasore, prima di essere spesi, attraverso una banca o un intermediario finanziario. Sarebbe, quindi, sufficiente che l’agenzia delle Entrate si facesse trasmettere ogni anno da tutti gli operatori finanziari operanti nel nostro paese, il saldo delle uscite di denaro dai propri conti o depositi di ogni titolare di un codice fiscale.

Questo importo, che  rappresenta tutte le spese sostenute da un soggetto nel corso di un anno per qualunque causa o titolo, avrebbe potuto poi essere incrociato con i redditi dichiarati da quello stesso soggetto nell’anno precedente. Ogni volta, che non vi fosse stata congruità tra redditi dichiarati e spese effettuate sarebbe bastato attribuire alle Agenzie delle Entrate il potere di avviare autonomamente un procedura di accertamenti fatta di diversi passaggi. In primo luogo, invitare il contribuente, in presenza di spese maggiori ai redditi dichiarati, a dimostrare la provenienza delle maggiori disponibilità di denaro. Per capirci, un contribuente onesto potrebbe aver venduto un immobile, o ereditato una somma, o contratto un mutuo o un prestito con una banca. In tutti i casi in cui le giustificazioni del contribuente non fossero state puntuali e convincenti sarebbe partito un vero e proprio accertamento fiscale.

Questo sistema, che nei suoi principi fondamentali è molto semplice, e che abbiamo elaborato con docenti della Bocconi e della Cattolica di Milano, è, pari pari, la riproposizione del sistema attualmente vigente negli Stati Uniti, che ha permesso a quel paese di debellare l’evasione fiscale e di sferrare un duro colpo alla criminalità organizzata, che ha liquidità ma non sa spiegarne la provenienza.

Questo sistema non solo non lascia scappatoie agli evasori ma addirittura conduce a comportamenti virtuosi. Infatti, chi ha speso 100 sa che non può dichiarare 10 altrimenti, a differenza di quanto accade adesso, dove l’accertamento fiscale è un rischio remoto, incorrerebbe immediatamente nell’accertamento. Sia chiaro che oggi l’Agenzie delle Entrate ha già gli strumenti informativi e informatici per avviare questo processo. Basterebbe solo l’input politico per accendere il bottone.

La nostra proposta non è stata presa in considerazione dal governo. Spiace e molto che di fronte al nostro metodo, semplice e infallibile, il governo abbia preferito la via di Don Abbondio.