giugno 2010

LA CONTROMANOVRA DEGLI ITALIANI ONESTI

Antonio Di PietroAntonio Di Pietro

Risanamento, equità, crescita. Parte da qui la contromanovra dell’Italia dei Valori che abbiamo presentato oggi alla stampa. E’ la contromanovra degli italiani onesti, per un valore complessivo di 65 miliardi di euro in due anni, per metà indirizzati alla riduzione del deficit e per l’altra metà allo sviluppo. Il nostro obiettivo è esattamente l’opposto di quello del governo. Vogliamo rimettere i soldi nelle tasche degli italiani onesti e toglierli da quelle degli italiani disonesti, speculatori ed evasori fiscali. Lotta all’evasione fiscale, taglio ai costi della politica e alla spesa pubblica: 65 miliardi in due anni, di cui 33 dedicati alla riduzione del deficit e 32 allo sviluppo. Come? Una seria lotta all'evasione fiscale, taglio ai costi della politica e alla spesa pubblica. Italia dei Valori propone una tassa addizionale del 7,5% sui capitali regolarizzati con lo scudo fiscale e l'aumento delle tassazione sulle speculazioni finanziarie dal 12,5 al 20%. L'eliminazione del vitalizio di parlamentari e consiglieri regionali, il blocco immediato delle auto blu, la soppressione del ponte di Messina e l'inizio della riduzione delle spese militari. Vogliamo anche la reintroduzione dell'Ici sulle case di lusso. Nel capitolo dei risparmi dell'amministrazione Italia dei Valori prevede anche la soppressione parziale delle province. Vogliamo l'abolizione di tutte le province, tranne quelle dei capoluoghi di regione, ma per farlo serve una legge costituzionale, quindi iniziamo con legge ordinaria a cancellarne alcune. Poi, l'abolizione del Cnel che costa 20 milioni l'anno, una vecchia camera dei fasci e delle corporazioni che fa parte di quel Ventennio che vorremmo dimenticare. Oggi, con tutti i centri studi e le  associazioni di categoria che ci sono non ha più senso di esistere. La nostra contromanovra sarà depositata un attimo dopo quella dell’Esecutivo. Ci confronteremo e dialogheremo con tutti, sindacati ed associazioni di categoria. Ci auguriamo che questa proposta diventi il punto di riferimento per il governo che vorremmo e che gli italiani possono sperare. Il nostro obiettivo, in Parlamento, sarà quella di rivoltare come un calzino la manovra del Governo. Ora si toglie alle persone oneste per dare ai disonesti. E’ ora di fare l’esatto contrario.

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2 GIUGNO:D-DAY,FESTA DELLA DEMOCRAZIA

E' nata la Repubblica ItalianaE' nata la Repubblica Italiana

2 giugno, festa della Repubblica. C’è chi, come il leghista Matteo Salvini, non festeggia, e chi, come i rappresentanti dell’Italia dei Valori, festeggiano raccogliendo firme e ricordando il sommo valore della Costituzione. Noi celebreremo questa giornata così carica di significati raccogliendo le firme per i tre referendum contro la privatizzazione dell'acqua, il nucleare ed il legittimo impedimento. Sarà il giorno della democrazia. Oggi non è un giorno qualunque, ma una ricorrenza importante e un punto di riferimento degli italiani di qualunque colore e parte politica ed e', al tempo stesso, il richiamo alla legalità costituzionale. Il 2 giugno, giorno della Repubblica, quest’anno sarà anche il giorno della Democrazia, il D-Day. D Day è anche e soprattutto il nome in codice di una data storica fondamentale per la nostra libertà: lo sbarco in Normandia delle truppe alleate contro le dittature nazifasciste.  L’Italia dei Valori ha convocato un giorno di mobilitazione e partecipazione perché sui temi fondamentali della società devono essere i cittadini a decidere. Un giorno speciale, all’interno della campagna dei tre referendum di Idv: 1.000 banchetti, gazebo e punti di raccolta firme saranno organizzati in tutta Italia. E con un obiettivo ambizioso ma alla portata: 100 mila firme in un solo giorno! Anche la vostra.

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IDV NON FA AFFARI CON LA CRICCA

Una cosa che ho sempre trovato assolutamente rivoltante sono “le difese d’ufficio” che i politici dei più svariati partiti, ad ogni inchiesta o indagine della magistratura, si sentono sempre in dovere di fare, verso i loro colleghi inquisiti o indagati. Parlo di gente che nulla sa dei fatti di cui si indaga, ma che solo per vincolo di colleganza politica si sente in dovere di parlare di inchiesta politica, di giudici mascalzoni, di teoremi assurdi e via discorrendo. Oggi voglio parlare del presunto scandalo legato ai due appartamenti di proprietà di Propaganda Fide che, secondo l’architetto Zampolini, sarebbero stati trovati grazie all’intercessione di Balducci, restaurati da Anemone e dati poi in affitto ad Antonio Di Pietro, uno per sua figlia, l’altro per aprirvi la sede del giornale di IDV. Voglio intervenire su questa vicenda per difendere con passione e veemenza sia Antonio Di Pietro che Silvana Mura, non perché, come quei politici rivoltanti di cui parlavo prima, a questo mi spinga la colleganza di partito. Personalmente mi attengo sempre alla stessa regola etica. Quando non so taccio e quando parlo è solo perché sono cose che conosco per averle vissute in prima persona. Partirò dalla vicenda che riguarda l’appartamento che avrebbe ospitato la sede del giornale di IDV. Chiarisco subito una cosa: né  Di Pietro, né Italia dei Valori, né nessun altro in qualche modo collegato a lui o al partito, ha affittato quell’immobile per metterci la sede del giornale di IDV. Le cose stanno così. Avevamo deciso, come ufficio di presidenza del partito, di dar vita ad un nostro giornale, utilizzando il finanziamento pubblico specificamente previsto. La decisione era stata tutt’altro che facile per noi, visto che non ci entusiasmava ricorrere a quei fondi pubblici che sempre abbiamo criticato. Il punto era che ci sentivamo accerchiati. Allora (come oggi) i giornali ci ignoravano o quando parlavano di noi era per parlarne male. Sentivamo la necessità di un giornale che desse il nostro punto di vista. Poiché non avevamo né i mezzi nè le competenze né il know how, ci rivolgemmo ad un editore con il quale stipulammo un contratto per un giornale “chiavi in mano”. In pratica, a fronte del pagamento di un corrispettivo, questo editore avrebbe messo in piedi una piccola redazione, stampato il giornale e provveduto alla sua distribuzione nelle edicole. L’ufficio di cui oggi si parla era già allora la sede di questo editore e rimase la sua sede anche quando, dopo poco più di un anno, decidemmo di chiudere il giornale (sul blog di Di Pietro vi sono anche tutti i documenti che comprovano queste circostanze). L’affermazione di Zampolini che l’ufficio venne procurato per Di Pietro da parte di Balducci e restaurato da Anemone è quindi clamorosamente un patacca. L’affitto non era nostro. Ci stava da anni una casa editrice con la quale noi abbiamo avuto soltanto un breve rapporto commerciale. Per quanto riguarda l’altro appartamento, quello dove vive l’amica e collega Silvana Mura (sul suo blog Silvana Mura racconta come stanno le cose), ero lì quando tutto si svolse. Eravamo tutti seduti vicini nei banchi alla Camera. E ricordo che Di Pietro aveva chiesto una mano a Pedica, l’unico romano di noi, per trovare una casa a sua figlia che si sarebbe trasferita a Roma per ragioni di studio. Ricordo anche quando alcune settimane dopo Di Pietro disse a Stefano di lasciar stare perché sua figlia aveva cambiato idea e si era iscritta alla Bocconi a Milano. Proprio in quei giorni Silvana Mura aveva subito un’esperienza terribile. Nell’appartamento dove stava erano entrati i ladri con lei dentro casa. Ricordo che era ancora sotto choc e che non aveva più voluto mettere piede in quella casa da quel giorno. Ascoltando Di Pietro e Pedica parlare disse che l’avrebbe preso volentieri lei quell’appartamento visto che non voleva più tornare nell’altro. E così fu fatto. Tra l’altro, appena si trasferì, la andai a trovare nell’appartamento in questione. Era un appartamento di quelli tipici per affitti brevi dove il proprietario vuole ottenere il massimo risultato con la minima spesa. L’appartamento era arredato, con mobili dozzinali. Ritinteggiato, ma con finiture scadenti. Ricordo che c’era il linoleum per terra. Ci tengo a dire queste cose per onore di verità. E qui emerge la seconda patacca di Zampolini. L’appartamento non fu mai affittato da Di Pietro ma direttamente da Silvana Mura. Il tutto fu frutto della più assoluta casualità. Altro che cricca, altro che restauri eseguiti da Anemone. La morale di tutto questo è chiara. Zampolini non è un santo. E’ quello che, modello “spallone”, girava mezza Roma, per conto di Anemone, con le bustarelle di contanti con i quali pagava gli affitti o gli acquisti di immobili ai politici coinvolti nella cricca del suo datore di lavoro. E’ evidente che quella cricca della quale fa parte fino al collo oggi stia cercando di coprire i propri mandanti politici e di far passare il concetto che tutta la politica è uguale, e che viviamo nella notte nera in cui tutte le vacche sono nere. Ma non è così, e la verità, per le persone onorabili, si afferma con una forza irrefrenabile. Peccato che ai giornali questa verità non interessi.

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GIU’ LE MANI DA SAVIANO E FAZIO

 

Roberto Saviano - Fabio FazioRoberto Saviano - Fabio Fazio

Una scelta intollerabile, impensabile, da contrastare  e denunciare con forza e per la quale Italia dei Valori è pronta alle barricate. Non ci sono altre parole per commentare la possibile decisione della Rai di ridurre da 4 a 2 le puntate dello speciale “Vieni con Me” di Fabio Fazio e Roberto Saviano su Rai3. Se poi, come sembra, a finire sotto la ghigliottina di Silvio sarebbero proprio le puntate sul terremoto in Abruzzo e sulla vicenda dei rifiuti a Napoli, la scelta sarebbe ancor più grave. Di cosa ha paura Silvio Berlusconi? Della verità? Di vedere squarciata per sempre la sua tela perfetta di cieli azzurri e prati verdi? Di vedere sulla tv di stato la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità sulla gestione criminogena della ricostruzione a l’Aquila o quella della camorra nei rifiuti a Napoli? Di dovere assistere inerme al coraggio di qualcuno che racconta tutte le balle che ci ha propinato negli ultimi due anni e mezzo sul mito della ricostruzione perfetta e sulla ripulitura igienizzante? I cittadini e telespettatori devono sapere, conoscere per giudicare e la tv di stato non può essere oggetto di censura fascista. Il direttore generale Masi, pagato profumatamente per eseguire le sentenze di Berlusconi, dovrebbe dimettersi se avesse un minimo di dignità. Non solo perché esegue gli ordini del capo ma perché ci propina nani e ballerine, zerbini di stato e lacchè striscianti al posto di conduttori e giornalisti con la schiena dritta, liberi di pensare, di fare e denunciare, di quei pochi sopravvissuti che ancora credono nella missione di servizio pubblico. Siamo stufi di questo assalto continuo alla libertà di informazione. Prima la Busi, poi Santoro e la Dandini, ora Fazio e Saviano, tutti tasselli di un mosaico che hanno un obiettivo unico: il controllo totale della tv e dell’informazione. Anche questa volta, anzi oggi più che mai, il presidente del Consiglio e la sua schiatta di lacchè dovranno fare i conti con un’opposizione agguerrita, in trincea, pronta a dare battaglia, a scendere in piazza se necessario. Nessuno, neanche Silvio Berlusconi, per quanto bocche metterà a tacere, potrà fermare la forza della verità.

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IL GOVERNO DEI FURBI E DEI CONDONI

Nella manovra economica del centrodestra spunta la sanatoria degli immobili fantasma che, detta così, fa pensare ad una cosa buona e giusta. Bisogna dire che questi del governo e della maggioranza sono dei geni a trovare i titoli più appropriati per far sembrare le pietre oro luccicante, dei piazzisti strepitosi a trovare lo slogan più azzeccato per il lancio commerciale dell’ennesimo prodotto sola. Tremonti che va a caccia di immobili fantasma sembra quasi un’opera meritoria, come il ritrovamento del Titanic. In realtà non c’è niente di meritorio in tutto questo, anzi. Siamo di fronte all’ennesimo colpo del governo di Berlusconi di legalizzare l’illegalità. Il ritrovamento degli immobili fantasma, infatti, non è uno scavo archeologico che riporta alla luce ciò che è stato sepolto dalla storia. La cosa funzionerebbe così. La norma che permetterebbe ai proprietari delle case fantasma, fotografate dall’Agenzia del Territorio (ma anche di quelle che hanno altri vizi catastali) di mettersi in regola, lascerebbe ai comuni la facoltà di agire per le irregolarità urbanistiche. Questo vuol dire che gli immobili “sanati” sotto il profilo catastale ma abusivi sotto quello edilizio (presumibilmente la maggioranza) dovrebbero essere abbattuti o comunque perseguiti. Uno scenario che difficilmente si concretizzerà: in parlamento il pdl già si muove per trasformare gli immobili fantasma nell’ennesimo condono edilizio. Dunque di questo si tratta. Né più né meno che di una sanatoria sugli immobili abusivi, quelli costruiti in barba alle leggi, ai vincoli paesaggistici ed ambientali, in disprezzo totale di tutti quei cittadini e contribuenti onesti che rispettano le regole, pagano le tasse, l’Ici e per costruirsi una casa non hanno arrecato danno all’ambiente o al paesaggio. L’operazione sanatoria case abusive, è bene chiamare le cose con il loro nome, è un inno all’illegalità. Per un pugno di dollari che forse arriverà nelle casse dello stato si procede all’ennesimo condono edilizio, all’ennesimo scempio dell’ambiente e all’ennesimo schiaffo in faccia ai cittadini onesti. La lotta all’abusivismo è una cosa seria e si combatte in ben altro modo. Gli strumenti per farlo ci sono. Se continueremo, invece, a non farlo, se continueremo a condonare l’illegalità saremo sempre un paese di perdenti e furbi che non ha futuro.

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PD SCELGA: O IDV O UDC

CasiniCasini

In questa disastrosa politica che ha caratterizzato il ventennio Berlusconi, c’è un’unica nota positiva, l’uscita, cioè, dalla palude della Prima Repubblica, quel mare di fango in cui i governi nascevano e morivano a tavolino, quell’accozzaglia di forze politiche in cui non esisteva opposizione. Tutto questo ha un nome e si chiama bipolarismo. Ora l’atteggiamento di Casini è ben chiaro: non è un caso che l’Udc attacchi sistematicamente le due forze politiche più marcatamente bipolari, l’IdV da un lato e la Lega dall’altro, le uniche che davvero non vogliono gli inciuci, non accetterebbero mai un ritorno alla palude del consociativismo, a quell’acqua stagnante nella quale tutti insieme si decide e si governa. Distruggere il bipolarismo, dunque: ecco qual è l’intento dell’Udc e lo scudo crociato non fa nulla per celarlo, facendo leva sul fatto che il bipolarismo è quello muscolare, rancoroso, violento di questa seconda repubblica. Sono convinto, però, e Casini lo sa bene, che il bipolarismo virulento nei toni e nelle parole, finirà con Berlusconi, perché con Berlusconi tramonterà in questo paese l’odio generato dal terribile miscuglio di conflitto d’interessi, di strapotere economico, di controllo mediatico, finirà, insomma, tutto ciò che ha fatto della democrazia italiana una sorta di pantomima. Il gioco di Casini è palese: conscio del fatto che, finita l’era Berlusconi, in Italia tornerà il bipolarismo normale, quello fatto da due coalizioni che si confrontano, tenta di prevenire il pericolo. Ecco perché ritengo sia indispensabile, in questo momento sconfiggere, al pari del berlusconismo, il casinismo (nomen omen), che è soltanto l’ultimo rigurgito della palude democristiana che ha portato a Tangentopoli e a Mani pulite. Le ultime parole del leader dell’Udc, per quanto mi riguarda, devono segnare  per l’opposizione un punto di non ritorno, trattandosi di un attacco indegno e incivile. Non è possibile costruire il dialogo con chi ci dà degli sciacalli. La mia proposta, dunque, è che l’Italia dei Valori ponga al Pd la necessità di scegliere tra noi e l’Udc nelle giunte in cui attualmente governiamo insieme. Non si tratta di una vendetta, ma dell’unico modo che abbiamo per difendere il valore del bipolarismo. La politica dei due forni si sconfigge in un modo solo, rendendo inaccessibili i due forni a mercenari, transfughi e profughi. E’ ora che i due fornai dicano basta al camaleonte Casini, che fino al momento li ha trovati sempre disponibili. Ecco perché domani stesso all’Ufficio di Presidenza di Italia dei Valori proporrò che il Pd venga messo di fronte ad una scelta in tutte le amministrazioni locali dove l’IdV governa insieme con l’Udc: o noi o loro. In gioco c’è la difesa del bipolarismo.

DONNE, PARITA' ANCHE NEL LAVORO

Donne e LavoroDonne e Lavoro

L’Europa ha ragione: le donne e gli uomini devono andare in pensione alla stessa età. Tutti lo sapevano, anche io ne sono convinto da sempre, tanto da aver presentato una proposta di legge in tal senso già nella scorsa legislatura. Non è certo un giorno che se ne discute. Il governo finge, invece, di scoprirlo solo ora e si nasconde vigliaccamente dietro gli ordini di mamma Europa, quella stessa che ignora su molte altre materie, come il conflitto di interessi o la libertà d’informazione. Nella stragrande maggioranza dei Paesi europei gli uomini e le donne vanno in pensione alla stessa età, mentre l’Italia è uno dei pochi paesi che mantiene la differenza. Il problema è che tra noi e loro, tra l’Italia e gli altri paesi europei intendo, in materia di occupazione femminile, sostegno alle famiglie, maternità e pari opportunità c’è una differenza grande come una casa, anzi un abisso. L’Italia è il paese con il minor numero di donne occupate. Ha uno dei più bassi indici di natalità e con la più bassa percentuale del Pil destinata al sostegno delle famiglie. I servizi, le opportunità e le norme a sostegno delle donne che lavorano in Italia fanno ridere e non sono certo a livello europeo. C’è di più. Le donne in Italia raggiungono difficilmente i vertici del comando e, a pari responsabilità, guadagnano mediamente meno dei loro pari grado maschi. In Europa, Francia, Inghilterra, Germania – per non parlare dei paesi scandinavi che ci fanno vergognare definitivamente al confronto - si suona tutta un’altra musica. Le donne guadagnano tanto quanto i loro pari grado maschi. Hanno sostegni economico-finanziari adeguati, siano esse donne madri o famiglie. Hanno servizi sociali adeguati, asili nido di prima qualità, scuole pubbliche eccellenti e non certo quel deserto di qualità e quantità in cui l’ineffabile ministro Gelmini ha ridotto la scuola italiana. Il paradosso è che in Italia che è il paese più imbevuto di familismo e mammismo dell’intero globo terracqueo, tutto questo non c’è, non esiste e se se ne parla è solo perché qualcuno ci può guadagnare. Se, dunque, il governo ha intenzione di adeguare l’età pensionabile delle donne a quella degli uomini non per fare cassa ma per adeguarsi in tutti i sensi all’Europa, investa parte dei risparmi di spesa che ne deriveranno in maggiori risorse da investire per le famiglie, per le donne, allunghi il tempo di congedo di maternità, preveda una serie di interventi, anche di tipo fiscale, per privilegiare l’occupazione e il lavoro delle donne. Se, invece, con la scusa dell’Europa, vuole fare cassa sulla pelle delle donne è una vigliaccata, un’arma contro le donne che ostacoleremo con tutte le nostre forze.

BERLUSCONI E' L’INFERNO. LA COSTITUZIONE IL PARADISO

A Silvio Berlusconi non piace la nostra Costituzione. Dice che è un inferno governare con la nostra architettura istituzionale. Sarebbe superficiale liquidare la questione alla solita manfrina delirante cui ci ha abituati il presidente del Consiglio. Anche oggi, all’assemblea di Confartigianato, ha dato il meglio di sé. Lasciamo perdere le sparate sul suo consenso che sarebbe a quanto pare ormai al 60 per cento e quello del governo al 50 per cento. Stendiamo un velo pietoso sulla vicenda dell’interim allo Sviluppo economico che ormai il presidente del Consiglio sta riducendo in barzelletta, nonostante l’importanza di un settore così strategico e fondamentale per il rilancio del sistema economico del Paese. Chiudiamo un occhio, anzi tutti e due, sulla storiella del viaggio-soggiorno in Cina come premio post-laurea della figlia e della considerazioni della pulzella sull’economia cinese di cui l’umanità fa volentieri a meno. Oppure sull’impostazione catto-comunista della nostra Costituzione che frenerebbe il libero mercato e le imprese. Sono vent’anni che il liberista e liberale Berlusconi promette la rivoluzione liberista e liberista ma poi quando sta al governo pensa solo ai fatti suoi. Vicenda interim a parte, siamo di fronte ai soliti deliri berlusconiani. Ma dire che la nostra Costituzione è un inferno è un attacco gravissimo e senza precedenti. A memoria mia, mai un presidente del Consiglio ha sferrato un attacco tanto grave nei confronti della Costituzione italiana che conferma due cose. Da un lato, se ce ne fosse bisogno, l’animo profondamente e intimamente antidemocratico e anticostituzionale di Berlusconi, perenne aspirante dittatore da repubblichina delle banane. Dall’altro, è sintomo palese della frustrazione del presidente del Consiglio per la sua ennesima opaca esperienza di governo che si avvia, come le altre, a chiudersi in un fallimento totale.Ma c’è di più ed è il peggio. C’è un risvolto feroce in questo attacco. Berlusconi odia la democrazia, i magistrati, le istituzioni, il parlamento, le opposizioni, financo la presidenza della repubblica. Vuole essere l’uomo solo al comando. Ma di un uomo, di Mussolini e della dittatura fascista, questo Paese ha già fatto esperienza e pagato il suo tributo di sangue.Se a Berlusconi la Costituzione italiana non piace, si trasferisca alle Bahamas. Magari lì gli fanno fare anche il dittatore a vita. Qui non c’è trippa per gatti.

TAGLI DA RIDERE ALLE PROVINCE

video: 

Pubblico la mia intervista di oggi al 'Corriere della Sera' sulla manovra economica.

Togliere le mani dalle tasche dei «soliti noti» per infilarle in quelle dei ricchi.
E' la «manovra ombra» dell' Italia dei valori, un' operazione che vale, stando ai conti del capogruppo dipietrista alla Camera, Massimo Donadi, 50 miliardi di euro.
Pronti alle barricate contro Tremonti, onorevole Donadi? «La manovra ha luci e ombre, non la bocciamo in toto. Ma non c' è niente sul fronte della spesa e del sostegno ai consumi. Mentre dicono che non metteranno le mani nelle tasche degli italiani, pescano dai portafogli di milioni di famiglie.
Sempre le stesse».
E le luci? «Bene la lotta alle false pensioni di invalidità. Però non basta, serviva più coraggio».
Il taglio dei costi della politica è un vostro pallino... «Vero, ma parliamo di tagli omeopatici.
E tagliare quattro province è una presa per i fondelli. La situazione è drammatica, la classe dirigente dia il buon esempio davvero».
Cominci lei, onorevole. «Aboliamo il vitalizio di parlamentari e consiglieri regionali. Tagliamo le auto blu da 600 mila a seimila e niente più province con meno di 500 mila abitanti».
La sua ricetta contro l' evasione. «Tassare gli evasori dichiarati, che hanno approfittato dello scudo fiscale pagando solo il 5%, con un' addizionale del 7,5%. Ci sono troppe tasse su lavoro e impresa e pochissime sulle speculazioni finanziarie. Non tassiamo bot e cct, ma portiamo l' aliquota sulle speculazioni dal 12,5 al 20%».
Le piace il redditometro di Tremonti? «Sì, ma va applicato a titolo preventivo e non in fase di accertamento, come per gli studi di settore, a chi ha grandi barche, auto di lusso, colf, ville al mare...».                                                                                                                                               Valore della vostra contromanovra? «Il doppio di quella del governo in termini di maggiori entrate.
Noi prevediamo una seconda parte di spesa del 50% per diminuire la tassazione sul lavoro per le imprese, applicare l' Iva a pagamento ricevuto a piccoli imprenditori e artigiani e ridurre l' Irpef a lavoratori e pensionati».
In Aula, che farà l' Idv? «Sulle province hanno partorito il topolino e ci viene voglia di votare no...».

di Monica Guerzoni, da “Il Corriere della Sera”

INTERCETTAZIONI: ORA IL REFERENDUM!

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Mi permetto di pubblicare una email che mi è giunta ieri, mentre i colleghi del Senato, capeggiati dall’amico Felice Belisario, occupavano l’Aula. Sono sicuro che l’autore della lettera non se ne avrà a male. Ometto la firma per rispetto della privacy. Ho ricevuto tante, tantissime lettere di apprezzamento ed incoraggiamento. Pubblico questa per tutte. Le parole di questo amico e sostenitore, e di tutti quelli che hanno trovato il tempo ed il modo di inviarci un messaggio di solidarietà, danno un senso e valore al nostro impegno in politica. Ecco il testo della lettera. “Gentile Onorevole, la prego di voler girare i miei ringraziamenti di cuore a tutti i senatori di IDV che stanno occupando il Senato in segno di protesta contro il DDL intercettazioni. Grazie di cuore da me e da tutta la mia famiglia”. Grazie a voi. Lettere come questa dimostrano che il segnale di Italia dei Valori ai cittadini è arrivato forte e chiaro. La legge sulle intercettazioni voluta dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è il massacro della libertà. Il massacro della libertà per i giornalisti di fare il loro mestiere, cioè informare. Il massacro della libertà per i cittadini ad essere informati, diritto sacrosanto ed inviolabile in democrazia. Il massacro della libertà degli investigatori di fare il loro mestiere, scoprire e condannare il crimine. E’ il trionfo dell’arroganza di ladri, evasori, imbroglioni.  E’ il via libera alla criminalità organizzata a continuare delinquere più di prima e meglio di prima. Una legge criminale e criminogena e paradossale. Con l’approvazione della nuova legge sulle intercettazioni, accadrà che un giudice unico potrà condannare un cittadino all’ergastolo ma per disporre un’intercettazione sarà necessario riunire un collegio composto da tre giudici. Non solo. L’autorizzazione, scaduto il primo periodo, dovrà essere rinnovata ogni tre giorni. Per cui, ogni tre giorni un pm dovrà scrivere un’istanza per spiegare le ragioni, ogni volta nuove e motivate, per le quali chiede la proroga delle intercettazioni ed ogni tre giorni un collegio di tre giudici si dovrà riunire per valutare la richiesta inoltrata dal pm e decidere con un’ordinanza dettagliatamente motivata. Ma se il giudici passeranno tutto il tempo a fare questo, quando faranno i processi? E’ chiaro l’intento della maggioranza. Questa legge è la fine della libertà di informazione, è la morte della giustizia e della legalità. Resta solo una parola: referendum!

GLI AZZURRI GIA' IN VANTAGGIO

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Pronti… via! Partiti. I mondiali di calcio si sono aperti al ritmo del waka waka di Shakira. Sarà il caldo, sarà la tensione politica accumulata in quest’ ultimo pesantissimo periodo, sarà che è un bel week end, ma oggi voglio parlare di argomenti leggeri. Tra legge bavaglio, manovra, aumento dell’età pensionabile per le donne, censura in Rai, taglio delle province, il livello dello scontro politico è stato al calor bianco. Così, tanto per distrarmi, voglio parlare di calcio. Pur non essendo un esperto (non sono tra i milioni di Ct che vorrebbero fare la formazione al posto di Lippi) mi ha colpito la decisione dei nostri calciatori nazionali di devolvere parte degli eventuali premi alla fondazione per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Gli azzurri hanno segnato il primo bellissimo goal di questi mondiali. E hanno risposto con stile alle polemiche. Hanno dimostrato di non essere solo calciatori bravissimi, ma anche veri ambasciatori italiani nel mondo. Senza feluca ma con la storica e gloriosa maglia azzurra. Hanno dato una risposta seria a chi li ha tirati in ballo per farsi un po’ di pubblicità e per distrarre l’opinione pubblica dal peso di una manovra ‘lacrime e tagli’. La scorsa settimana il ministro Calderoli aveva proposto di tagliare gli stipendi dei calciatori. Certo, alcune cifre sono offensive di fronte alla povertà diffusa nel Paese, ma quello che di sbagliato contiene la proposta del ministro è la demagogia, il facile populismo. Tagliare lo stipendio dei calciatori non serve ad affrontare la crisi economica e poi i primi a dover dare l’esempio sono i politici. Iniziamo noi. C’è ancora tanto da fare per ridurre sprechi e  privilegi. Dare i premi alla fondazione per l’unità d’Italia ha ancor più senso dopo la ridda di dichiarazioni scandalizzate nei confronti di Marchisio che, secondo alcuni, avrebbe storpiato l’inno aggiungendo ‘ladrona’ alla parola Roma. Non sappiamo se sia vero e dopo questo gesto non ci interessa più. Chi sbraita ogni giorno per dividere il Paese, geograficamente, ma anche culturalmente e socialmente, prenda esempio dagli azzurri. Forza Italia, pardon…, forza azzurri.

DA ZAIA ATTO DI SPAVALDA VIGLIACCHERIA

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Un atto di spavalda vigliaccheria, l’ennesimo gesto dettato da quella insopportabile demagogia alla quale la Lega ci ha ormai abituati da tempo. L’ultima impresa è di ieri e porta la firma del governatore del Veneto, Luca Zaia, che ha deciso di sostituire l’inno di Mameli con Va’ Pensiero, in occasione dell’inaugurazione di una scuola a Treviso. E’ un copione che ormai si ripete,  un metodo di acquisizione del consenso targato Lega. Due i canali fondamentali: da un lato,  far leva sulle piccole paure e ingigantirle: la paura dell’immigrato, le ansie dei piccoli imprenditori verso i mercati internazionali; dall’altro tutta una serie di simbologie alla base delle quali vige il continuo richiamo alla Padania, che sono devastanti per la coscienza unitaria del Paese: dal disprezzo verso i simboli della patria come il tricolore al rifiuto dell’inno nazionale o non tifare per gli Azzurri ai Mondiali di Calcio.Ma sobillare le paure esalta gli egoismi, le divisioni porta alla chiusura verso tutto ciò che è altro.  Giocare con i simboli dell’unità, d’altra parte, non porta ad altro che alla disgregazione del tessuto di solidarietà e comunità nazionale. Un partito che non costruisce, che disgrega soltanto, una politica sterile, di respiro cortissimo, buona solo a trovare consenso. Quando poi si tratta di soddisfare le aspettative degli elettori, la Lega non possiede gli strumenti ed ecco che si rifugia  nella demagogia legislativa, quel fare politica andando ascoltando le necessità degli elettori, ma dando loro solo fumo. Ed ecco che dal cilindro del Carroccio vengono fuori i provvedimenti contro l’immigrazione tanto folcloristici, quanto inutili, ma, soprattutto, troppo spesso violenti e xenofobi come il White Christmas del sindaco leghista o la trovata dei presidi spia, o l’aggravante di clandestinità. Tutte proposte strampalate, che, quando arrivano sul tavolo della Corte Costituzionale sistematicamente vengono bocciate e, quando non è così, si rivelano comunque un fallimento,  come la stessa Bossi-Fini (da quando è stata approvata ha prodotto in Italia, anno dopo anno, il record assoluto di nuovi immigrati). Altro sacco pieno solo di fumo, che si affloscerà quanto prima sotto gli occhi degli elettori, è il federalismo, che fino al momento è solo una parola, troppo usata, cui non seguono mai fatti. Ecco perché ho trovato le parole di Enrico Letta molto preoccupanti: in Veneto, nel corso di una manifestazione, ha detto che il Pd deve dialogare con la Lega perché glielo chiedono i suoi elettori. Non so chi siano gli elettori con cui ha parlato Letta, ma quelli che conosco io, sia del Pd che dell’IdV, non ci chiedono certo di andare a governare con la Lega. Forse, piuttosto, si aspettano che, come sarebbe giusto, il centro sinistra riconosca alcuni temi che la Lega tratta solo in modo parassitario per affrontarli in maniera seria. Mi riferisco all’immigrazione, come al sostegno alle piccole imprese. E’ ora che il centro sinistra inizi a porre l’attenzione su quelli che sono i veri nodi e le priorità di quegli elettori che continuano a votare Lega solo perché essa fornisce l’illusione di soluzioni a breve termine, che puntualmente non arrivano. Solo così potremo riprendere parte del consenso del  Centro Nord e solo con proposte vere potremo offrire agli elettori un’alternativa alla fatua demagogia leghista.

INTERCETTAZIONI: GIORNALISTI POCO ONOREVOLI

Giornalisti poco onorevoli. Giornalisti che votano la legge bavaglio. Giornalisti che mettono la loro firma su una legge che limita la libertà di stampa. Al Senato, la scorsa settimana, si è verificato anche questo. Sappiamo tutti che il Ddl intercettazioni non è solo un’aggressione alla sicurezza dello Stato, ma anche un’intollerabile limitazione all’esercizio della professione giornalistica, come denunciato con forza dall’Fnsi e come giustamente scrive Giovanni Valentini su Repubblica. Per questo motivo ci chiediamo se l’Ordine Nazionale dei Giornalisti intenda o no intervenire e prendere provvedimenti nei confronti dei senatori che hanno votato a favore della legge bavaglio. Questi senatori con in tasca il tesserino da giornalisti non solo hanno violato il codice deontologico della professione, ma probabilmente hanno anche commesso illeciti disciplinari. Come si può contemporaneamente votare il bavaglio e la censura ed essere giornalisti? Credo non sia possibile. La legge bavaglio rende impossibile raccontare i fatti e nasconde ai cittadini i misfatti e le responsabilità di politici e personalità pubbliche. E’ un attacco all’art.21 della nostra Costituzione portato avanti dalle truppe cammellate del premier Berlusconi, che ha paura delle intercettazioni. Anche di quelle riguardanti qualche suo amico evidentemente. Il bavaglio colpisca anche i blog: se un blogger non pubblica una rettifica nel giro di 48 ore rischia una multa da 7.746 a 12.911 euro. Inconcepibile. Hanno paura del web, del popolo della rete e della condivisione della conoscenza e delle informazioni. Tra i senatori iscritti all’albo dei giornalisti professionisti o pubblicisti spiccano i nomi del capogruppo Gasparri, del suo vice Quagliariello, della moglie di Emilio Fede, Diana De Feo. C’è addirittura un editore, quel Giuseppe Ciarrapico già condannato in via definitiva per il crack del Banco Ambrosiano, per finanziamento illecito ai partiti ed attualmente indagato per ‘stalking a mezzo stampa’, reato talmente insolito da aver attirato l’attenzione dei ricercatori dell’università di Cambridge e per truffa aggravata. Questo è l’elenco dei senatori giornalisti (giornalisti…?) che hanno votato la legge vergogna:

  • Maurizio Gasparri, PdL - (giornalista professionista):
  • Alessio Butti, PdL - (giornalista pubblicista):
  • Giuseppe Ciarrapico, PdL - (giornalista pubblicista):
  • Mauro Cutrufo, PdL - (giornalista pubblicista):
  • Diana De Feo, PdL - (giornalista professionista):
  • Antonio Gentile, PdL - (giornalista pubblicista):
  • Basilio Giordano, PdL - (giornalista pubblicista):
  • Domenico Gramazio, PdL - (giornalista pubblicista):
  • Salvatore Mazzaracchio, PdL - (giornalista professionista):
  • Antonio Paravia, PdL - (giornalista pubblicista):
  • Gaetano Quagliariello, PdL - (giornalista pubblicista):
  • Filippo Saltamartini, PdL - (giornalista pubblicista):
  • Giacomo Santini, PdL - (giornalista professionista):  ; 
  • Aldo Scarabosio, PdL - (giornalista pubblicista):

ANNUNCIANO RIVOLUZIONI, PARTORISCONO TOPOLINI

video: 

La Carta delle autonomie locali. Così l’hanno chiamata. Doveva servire a riorganizzare, razionalizzare, semplificare e coordinare le competenze e i livelli dei vari enti locali che in Italia sono una marea: comuni, province, regioni, comunità montane, circoscrizioni, bacini imbriferi e chi più ne ha ne metta. Non sono riusciti a fare niente di tutto questo. Eppure in campagna elettorale lo avevamo promesso in lungo e in largo. Quello che, insieme al federalismo fiscale, doveva essere la riforma delle riforme che avrebbe cambiato per sempre la vita degli italiani, è stato ridotto in un patetico spezzatino. La Carta delle autonomie locali ed il federalismo fiscale erano stati annunciati in pompa magna come due binari che avrebbero corso paralleli. Sono diventati come quelli di una vecchia canzone, tristi e solitari. Il governo e la maggioranza hanno partorito il topolino delle autonomie e del federalismo. Non hanno avuto il coraggio di tagliare nulla, non hanno avuto il coraggio di incidere davvero. Hanno avuto solo il coraggio di lasciare tutto come è. Nei vari rimaneggiamenti e passaggi di commissione, la Carta delle Autonomie è stata ridotta in brandelli e privata del cuore e della sostanza della materia. E’ sparita la soppressione delle province, è sparito l’accorpamento delle prefetture, è sparita la semplificazione dei livelli di competenze tra regioni, province e comuni. E’ sparita la riorganizzazione e la riduzione delle migliaia di centri di spesa che succhiano le casse statali, senza di contro fare nulla per favorire o agevolare la vita dei cittadini. Non è stata fatta una sola modifica che possa dirsi sostanziale o dirimente. Tutti i livelli di competenza e, soprattutto, i centri di spesa rimarranno così come sono. Tutti gli enti locali, comunità, bacini, circoscrizioni, municipi, comunità e compagnia bella continueranno a fare le stesse cose di sempre, cioè niente, continueranno a sovrapporsi l’uno con l’altro e, soprattutto, continueranno a spendere allegramente il denaro pubblico. La Carta delle Autonomie locali così come il governo e la maggioranza l’hanno partorita crea le basi per il fallimento del Federalismo che pure Italia dei Valori aveva votato convintamente. Sarà il mercato delle vacche e a pagare saranno sempre i cittadini. Ma una cosa deve essere chiara a tutti: questo è il governo delle bufale, delle balle spaziali, delle rivoluzioni copernicane annunciate e poi puntualmente mancate.

I DIRITTI NON SI TOCCANO MA I DOVERI NEANCHE

Pomigliano - FiatPomigliano - Fiat

La partita che si sta giocando a Pomigliano d’Arco è di straordinaria importanza e lo è innanzitutto per la Campania ed i lavoratori del comparto. L’impianto Fiat di Pomigliano d’Arco è uno stabilimento strategico sotto il profilo occupazionale.  Ai 5.000 dipendenti Fiat che lavorano a Pomigliano si sommano infatti circa 8.000 lavoratori dell’indotto, parliamo quindi di circa 13.000 posti di lavoro che, direttamente o indirettamente, sono garantiti  dall’esistenza di  quello stabilimento. Ma è strategico anche, e forse soprattutto, perché è localizzato in una regione nella quale immense sono le difficoltà del mercato del lavoro e nella quale estesa è la presenza delle organizzazioni criminali. Qualcuno in passato ha osservato, proprio per segnarne in positivo la differenza, che Pomigliano non è una cattedrale in un deserto, ma una “cattedrale in un cimitero”. In questi giorni la polemica divampa sul contenuto dell’accordo siglato tra Fiat e molte sigle sindacali, ma con la ferma opposizione della Fiom che contesta il fatto che l’intesa in questione mette i lavoratori di fronte alla scelta tra un accordo capestro e la perdita del posto di lavoro . Insomma, una finta scelta che cancella e calpesta diritti fondamentali dei lavoratori. Crediamo che dipingere in questo modo l’accordo di Pomigliano non sia però raccontare per intero la verità sulla vicenda. La verità, infatti, è che Fiat ha scelto la strada sbagliata di imporre un’intesa che cancella o limita fortemente diritti dei lavoratori non per avere una fabbrica “cinese” ma nella speranza di riuscire, almeno così, ad avere una fabbrica “normale”. Cioè una fabbrica che rispetti standard minimi di efficienza e produttività europei, non cinesi. Non si può tacere l’altra metà della verità su Pomigliano. Sulla fabbrica che ha una delle più bassa produttività del Paese, perché ha uno dei più alti tassi di assenteismo del paese. Dove in occasione di ogni sciopero indetto, il giorno successivo, per eludere la trattenuta sullo stipendio, gran parte dei lavoratori porta il certificato di malattia. Dove nei sabati lavorativi, previsti da anni per contrato, un lavoratore su tre non si presenta ai cancelli e porta poi il certificato di malattia. Dove in periodo di raccolta dei pomodori si verificano strane ed inspiegabili epidemie che costringono molti lavoratori in malattia. Dove si parla di secondi lavori e via dicendo. Dove, in occasione del giorno delle elezioni del 2008 su 4.600 dipendenti quasi 1.600 si sono messi in permesso perché dovevano stare presso i seggi elettorali come rappresentanti di lista o altro. Allora dobbiamo dire con forza che l’errore di metodo della Fiat si specchia in un errore almeno altrettanto grave di quelle forze sindacali che, in questi anni, hanno tollerato il menefreghismo, l’assenteismo, la mancanza di lealtà del lavoro, e che oggi salgono sulle barricate per difendere diritti sacrosanti, in astratto, ma dei quali si è in questi anni abusato al di là del lecito e anche di più. In questa partita si sommano due errori contrapposti, per questo speriamo che le parti trovino, entrambe, il coraggio di rimettere in discussione ciò che è indifendibile: da una parte la volontà di comprimere il diritto di sciopero o di colpire indiscriminatamente nel mucchio i lavoratori con sanzioni senza accertare le responsabilità individuali, dall’altra quella di pensare che si possa andare avanti senza isolare chi crede che un posto di lavoro comporti solo diritti e nessun obbligo. Perché anche questo è affermare un principio di legalità. Voi cosa ne pensate?

Massimo Donadi

Antonio Borghesi

Sandro Trento

BRANCHER AL MINISTERO BARZELLETTA

 

Aldo BrancherAldo Brancher

Aldo Brancher è il nuovo ministro per l’Attuazione del Federalismo del Governo Berlusconi. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso. Di tutto ha bisogno questo Paese tranne che di un nuovo inutile ministero, per di più sul federalismo, che un giorno si e l’altro pure questo governo rinnega nei fatti. Ci vengono a parlare di federalismo ma poi ogni loro atto o iniziativa va nella direzione opposta. Ogni giorno lo rinnegano però si inventano il ministero ad hoc. Questa, a casa mia, si chiama presa per i fondelli. In Parlamento, abbiamo appena finito una discussione fasulla sul codice delle autonomie degli enti locali, un provvedimento fondamentale, a detta del governo, per la grande rivoluzione federalista. In realtà, il Codice delle autonomie va nella direzione opposta del federalismo, perché toglie competenze a comuni, province e regioni e dei tanto strombazzati tagli che avrebbe portato con sé ne è rimasto solo uno: un taglio ai tagli, cioè hanno deciso di non tagliare nulla.  Per non parlare poi del provvedimento sul federalismo fiscale che abbiamo approvato in Parlamento più di un anno fa ma che ormai è vittima della sindrome del gambero, un passo avanti e tre indietro. A quanto detto prima, si aggiunga il triste capitolo dei finanziamenti per le grandi infrastrutture delle regioni del Nord, sospesi dal governo da più di un anno, quelle stesse regioni dove la Lega fa proseliti ma che in realtà ricevono solo sonore prese in giro da Berlusconi e Tremonti. Si riempiono la bocca di tagli agli sprechi e ai costi della politica e poi vanno ad inventarsi un nuovo ministero “barzelletta”, con un ministro designato di cui poi vi dirò, che comporterà inevitabilmente costi per decine di milioni di euro, tra personale, uffici, strutture, ecc.. Sulla crisi dormono il sonno dei giusti. Però poi sono bravissimi a moltiplicare le poltrone della politica. A chi serve questa ennesima poltrona? Agli italiani o a Berlusconi per tenersi buona la Lega, quella che urla Roma ladrona al Nord, ma che a Roma sta benissimo? Siamo alla solita pagliacciata. Ma ciliegina sulla torta è il profilo del nuovo ministro, Aldo Brancher, colui che, a quanto si legge nei libri di Marco Travaglio e Peter Gomez, è passato dalla prima alla seconda Repubblica attraverso le aule dei tribunali. Scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare, è stato condannato in primo grado e in appello per falso in bilancio e finanziamento illecito al Psi. Brancher si salva in Cassazione grazie alla prescrizione per il secondo reato e alla depenalizzazione del primo da parte del governo Berlusconi, del quale faceva parte. E veniamo alle opere e ai giorni di Brancher degli ultimi anni secondo il Corsera di oggi: indagato a Milano per ricettazione nell’indagine sulla scalata di Fiorani all’Antonveneta e tre mesi nell’ambito dell’inchiesta su finanza e riciclaggio. Ce ne è abbastanza per cominciare a chiederne le dimissioni da domani.

SARAMAGO E 'LA COSA BERLUSCONI'

 

SARAMAGOSARAMAGO

“Dev’essere duro vivere quando il potere politico e quello imprenditoriale si riuniscono. Non invidio la sorte degli italiani, però infine è nella volontà degli elettori mantenere questo stato di cose o cambiarlo”. (Josè Saramago).

Il premio Nobel Josè Saramago se n’è andato. E noi rendiamo omaggio ad un protagonista della cultura contemporanea. Ad un grande scrittore spesso al centro di polemiche roventi. Anche in Italia. Alla fine del maggio 2009, la storica casa editrice Einaudi, ora sotto il controllo di Mondadori, quindi di Berlusconi, rifiutò di pubblicare il libro dello scrittore portoghese ‘il quaderno’. Una raccolta di scritti pubblicati sul suo blog. La polemica politica si infiammò e il libro fu poi pubblicato da Bollati Boringhieri. Racconto questo episodio perché è rivelatore della degenerazione culturale italiana, dei frutti marci del berlusconismo. In un altro periodo nessuno avrebbe rifiutato la pubblicazione di un premio Nobel. In un altro momento, appunto, non all’apice della parabola berlusconiana. Per ricordare Saramago e per riflettere, pubblico una pagina del suo blog dedicata a Berlusconi. Questo articolo, con questo stesso titolo, è stato pubblicato ieri sul quotidiano spagnolo “El País”, che me lo aveva espressamente commissionato. Considerando che in questo blog ho lasciato alcuni commenti sulle prodezze del primo ministro italiano, sarebbe strano non mettere anche qui questo testo. In futuro ce ne saranno sicuramente altri, visto che Berlusconi non rinuncerà a quello che è e a quello che fa. Né lo farò anch’io.

La Cosa Berlusconi

Non trovo altro nome con cui chiamarlo. Una cosa pericolosamente simile a un essere umano, una cosa che dà feste, organizza orge e comanda in un paese chiamato Italia. Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di essere la causa della morte morale del paese di Verdi se un profondo rigurgito non dovesse strapparlo dalla coscienza degli italiani prima che il veleno finisca per corrodergli le vene distruggendo il cuore di una delle più ricche culture europee. I valori fondanti dell’umana convivenza vengono calpestati ogni giorno dalle viscide zampe della cosa Berlusconi che, tra i suoi vari talenti, possiede anche la funambolica abilità di abusare delle parole, stravolgendone l’intenzione e il significato, come nel caso del Polo della Libertà, nome del partito attraverso cui ha raggiunto il potere. L’ho chiamato delinquente e di questo non mi pento. Per ragioni di carattere semantico e sociale che altri potranno spiegare meglio di me, il termine delinquente in Italia possiede una carica più negativa che in qualsiasi altra lingua parlata in Europa. È stato per rendere in modo chiaro ed efficace quello che penso della cosa Berlusconi che ho utilizzato il termine nell’accezione che la lingua di Dante gli ha attribuito nel corso del tempo, nonostante mi sembri molto improbabile che Dante l’abbia mai utilizzato. Delinquenza, nel mio portoghese,  significa, in accordo con i dizionari e la pratica quotidiana della comunicazione, “atto di commettere delitti, disobbedire alle leggi o a dettami morali”. La definizione calza senza fare una piega alla cosa Belusconi, a tal punto che sembra essere più la sua seconda pelle che qualcosa che si indossa per l’occasione. È da tanti anni che la cosa Belusconi commette crimini di variabile ma sempre dimostrata gravità. Al di là di questo, non solo ha disobbedito alle leggi ma, peggio ancora, se ne è costruite altre su misura per salvaguardare i suoi interessi pubblici e privati, di politico, imprenditore e accompagnatore di minorenni, per quanto riguarda i dettami morali invece, non vale neanche la pena parlarne, tutti sanno in Italia e nel mondo che la cosa Belusconi è oramai da molto tempo caduto nella più assoluta abiezione. Questo è il primo ministro italiano, questa è la cosa che il popolo italiano ha eletto due volte affinché gli potesse servire da modello, questo è il cammino verso la rovina a cui stanno trascinando i valori di libertà e dignità di cui erano pregne la musica di Verdi e le gesta di Garibaldi, coloro che fecero dell’Italia del  secolo XIX, durante la lotta per l’unità, una guida spirituale per l’Europa e gli europei. È questo che la cosa Berlusconi vuole buttare nel sacco dell’ immondizia della Storia. Gli italiani glielo permetteranno?

PROPAGANDA FIDE NON FA RIMA CON FEDE

 

Cardinale Crescenzio SepeCardinale Crescenzio Sepe

E’ di questi giorni la notizia che il cardinal Sepe è indagato a Perugia in quanto si sospetta un suo coinvolgimento nel sistema gelatinoso della cricca, lo spaventoso intreccio tra affari e politica che sta delegittimando le istituzioni e la classe dirigente di questo Paese. Propaganda Fide non è, come qualcuno può aver erroneamente pensato leggendo i giornali in questi giorni, l’agenzia immobiliare del Vaticano, ma il dicastero che si occupa dell’attività missionaria e coordina l’opera di evangelizzazione dei popoli. Ed è proprio qui che ritengo indispensabile aprire una riflessione. Non voglio esprimere sentenze di condanna anticipate. Anzi, mi auguro che il Cardinale Sepe chiarisca al più presto e pienamente la correttezza dei suoi comportamenti. Resta comunque il fatto che, quando ruoli chiave ed importanti della Chiesa vengono affidati a uomini “più a vocazione temporale che pastorale”, in un Paese come il nostro dove i legami e gli intrecci tra Stato e Chiesa sono così numerosi e rilevanti, si creano delle distorsioni non solo pericolose per la legalità ma ancora più per l’immagine della Chiesa stessa. Che si tratti dello scandalo dello Ior e di Marcinkus, oppure della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e le relazioni pericolose del cardinale Sepe, è evidente che tanto lo Stato quanto la Chiesa devono compiere ogni sforzo di trasparenza perché queste degenerazioni non si ripetano e perché Stato e Chiesa restino realtà collaborative ma distinte e distanti. Da questo punto di vista, ritengo importanti le parole importanti e non rituali di papa Ratzinger pronunciate ieri, quando ha detto che il sacerdozio non è un mezzo per raggiungere il potere e per realizzare ambizioni personali. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole raggiungere un proprio successo sarà sempre  schiavo di se stesso e dell'opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare, dire quello che piace alla gente, dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità. Spero che il buon esempio, quello che lo Stato non riesce a dare nominando ministro Aldo Brancher per non mandarlo in tribunale, sia capace di darlo la Chiesa.

BERLUSCONI FA RIMA CON CONDONI

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Il nuovo sacco di Roma è alle porte, ma l’attacco all’Italia stavolta non passa per il valico delle frontiere. Parte dal parlamento, nel cuore della capitale. La manovra economica risveglia gli appetiti ed è il pretesto per una nuova calata di lanzichenecchi, travestiti da parlamentari. 2550 mendamenti presentati, più della metà dalla maggioranza, che, se approvati tutti, lascerebbero il Belpaese in brache di tela. Per tacere delle conseguenze sociali, politiche e culturali. Tanto per fare un esempio, si riparla di condono. Mica uno, tre. Fiscale, edilizio, e addirittura per i falsi invalidi. Alè, almeno non si può dire che manchino di creatività. Chi avrebbe pensato ad un condono per i falsi invalidi prima? Chapeau. Ci inchiniamo al genio politico dei leghisti Garavaglia e Vaccari che hanno partorito una così brillante soluzione per eliminare lo scandalo delle invalidità inventate. Solo per carità di patria non torniamo sul condono edilizio anche nelle aree protette, che poi il governo è stato costretto a smentire. Il condono non passa mai di moda. Ve lo ricordate Corrado Guzzanti che imita Tremonti sul condono? Son passati anni, ma invano. Fanno così, provano a far approvare una porcata sperando che passi inosservata. La buttano là, così, con nonchalance, fischiettando e facendo finta di niente. Un po’ come a scuola quando si evitava lo sguardo del professore per non essere interrogati. Poi, quando vengono pescati con le mani nella marmellata, dicono ‘ma nooo, per carità! Non è così, ci  siamo sbagliati’. Poi tentano di ripresentare la stessa norma in altre forme. E così via. Un continuo  stop and go di tentativi truffaldini e secche smentite. I lanzichenecchi avevano più dignità, arrivavano, mettevano a ferro e fuoco la città e la saccheggiavano. Non si nascondevano dietro un dito. E facevano pure meno danni. Il problema è che questo centrodestra non ha un progetto per il Paese ed è diviso su tutto, la maggioranza è politicamente scollata e si tiene insieme solo grazie al potere. A Berlusconi ciò non importa perché gli interessa solo sfuggire alla giustizia e tutelare i suoi affari. Che vanno a gonfie vele. Ieri Mediaset ha staccato un assegno da 200 milioni di euro per  Berlusconi e figli. Sono i dividendi dell’ultimo anno. Cosa gli importa se il Paese è allo sbando e il governo è immobile? I suoi affari vanno bene, i giudici non sono ancora riusciti a processarlo…meglio di così! In questa situazione l’opposizione deve organizzarsi rapidamente e con grande responsabilità. Non si può lasciare l’Italia ai lanzichenecchi.

MASSACRATI PERCHE' INVISI AL PALAZZO

  L’iscrizione di Di Pietro nel registro degli indagati per la denuncia di Veltri, relativamente alla gestione del finanziamento pubblico di IdV, si gioca su due diversi piani, uno giudiziario e uno politico. Quello giudiziario si liquida con una parola sola: una fesseria. Il bilancio di IdV è il più controllato del mondo: la Corte dei Conti, svariate procure, il Tribunale civile di Roma in sede cautelare, il servizio contabile della Camera dei Deputati, l’Agenzia delle entrate e persino il ministero dell’Economia hanno in molteplici occasioni ribadito l’assoluta correttezza e trasparenza nella gestione dei fondi pubblici da parte del nostro partito, respingendo tutte le denunce presentate contro di noi. Quello che conta nella presente vicenda, come dovrebbe essere evidente a tutti, è il piano politico.  E’ qui che si sta giocando la  vera partita. Una partita giocata con toni e modi diversi da politici e giornali di maggioranza e di opposizione ma, all’evidenza, con la stessa finalità. Hanno cominciato i giornali-megafono di Berlusconi, arrivando addirittura ad inventare un teorema che, nel suo delirio, è di una diabolica semplicità. Il teorema suona più o meno così: “Visto che tutti i giudici attaccano Berlusconi e lo vogliono condannare è evidente che è un perseguitato e che quindi è innocente. Al contrario, siccome non si riesce a trovare nemmeno un giudice  che condanni Di Pietro, significa che Di Pietro è colpevole ma viene assolto solo perché è in combutta con i giudici”.Al di là del teorema, il messaggio di questi giornali è comunque di un candore desolante e si riassume bene nel titolo di ieri de il Giornale “Così impari”. E’ un messaggio, neppure tanto velato - subito ripreso dagli zerbini parlamentari di Arcore - che suona come una minaccia di stile vagamente mafioso: “Hai visto caro Di Pietro che a scoperchiare la fogna d’Italia, fatta di corruzione, cricche e tangenti, poi va a finire che ti ritrovi nei guai pure tu?”. La cosa grave è che lo stesso ragionamento lo si ritrova in molteplici dichiarazioni ed editoriali di politici e giornalisti di opposizione. Come Follini quando dice “Non applico il dipietrismo a Di Pietro”. Come Casini, quando dice “Di Pietro è quello senza peccato, pronto a scagliare la prima pietra. Se fossi in lui, io mi terrei le mani legate invece di scagliare la prima pietra, quella che poi ti ricade sulla testa”, amplificate dal silenzio assordante del Partito Democratico.Il punto è tutto qui. In un sistema politico dove per cent’anni di fronte alle malefatte della Casta la regola è sempre stata l’omertà, soprattutto se le malefatte venivano dalla propria stessa parte politica, un partito come Italia dei Valori che non guarda in faccia a nessuno, che quando vede il marcio lo denuncia, è e resterà sempre intollerabile per l’intera classe politica italiana.  

FONDAZIONI LIRICHE: IDV UNICA OPPOSIZIONE

Cala il sipario sulla culturaCala il sipario sulla cultura

L`Italia dei Valori sul Dl enti lirici ha deciso di fare ostruzionismo e di andare avanti in questa battaglia perché riteniamo questo provvedimento sbagliato nel merito e nel metodo. Nel metodo perché ancora una volta il Parlamento è stato esautorato delle sue funzioni da un decreto che verrà approvato senza possibilità di essere modificato. Nel merito perché questo atto è tutto tranne che una riforma degli enti lirici. E` piuttosto una tagliola che si abbatterà sui lavoratori e gli addetti ai lavori del mondo della cultura. La battaglia che Idv sta portando avanti in aula è una battaglia di coerenza. Il provvedimento era incostituzionale ieri ed è incostituzionale oggi. Se le altre di opposizioni hanno cambiato idea prendiamo atto, ma non ci facciamo certo condizionare. Gli accordi sottobanco non ci interessano, noi portiamo avanti la nostra battaglia per il futuro del settore cultura. Idv è contraria ai tagli e continuerà a dare battaglia contro un provvedimento che toglie il futuro a questo settore. Tutto questo dimostra ancora una volta che l`Italia dei Valori è la forza d`opposizione più intransigente e determinata che siede in Parlamento.

BERLUSCONI PEGGIO DI LIPPI

 Tempi difficili per il governo degli indagati. Non gliene va bene una ultimamente. Certo non è per colpa del fato avverso o del destino cinico e baro, ma dell’arroganza, dell’incompetenza, della demagogia e di tante altre cose…Iniziamo dall’ultimo scandaloso caso. Quello del neo ministro Aldo Brancher. Questo signore è sotto processo per appropriazione indebita nel caso Antonveneta. Appena nominato ministro, come noi avevamo ampiamente previsto, ha pensato bene di avvalersi del legittimo impedimento per sfuggire alla giustizia. Non è che ci volesse la maga Circe o l’oracolo di Delfi per capirlo, ma forse qualcuno ha pensato che non sarebbero arrivati ad essere così sfacciati. Ormai per sfuggire alla legge in Italia ci sono solo due modi: darsi alla latitanza o farsi nominare ministri da Berlusconi. Che in fatto di giustizia è piuttosto comprensivo…A causa di Brancher, nominato ministro per il federalismo, i rapporti tra Pdl e Lega hanno subito un netto peggioramento. Bossi ha detto che l’unico ministro per il federalismo è lui. L’Umberto ha ragione, ma un ministero bisognava inventarlo per permettere a Brancher di avvalersi del legittimo impedimento. Tanto paga Pantalone. Capitolo federalismo: bastasse un ministero. I tagli contenuti nella manovra si son o abbattuti come una mannaia sui progetti di ammodernamento dello Stato, checché ne dica Tremonti. Infatti i governatori hanno proprio ieri minacciato di restituire allo Stato le proprie competenze, che rischiano di non poter più assolvere per mancanza di moneta. I governatori non sono certo tutti di centrosinistra, anzi. Questo significa che c’è una crisi politica in atto nel centrodestra, un corto circuito istituzionale tra regioni e governo centrale e che i cittadini pagheranno il dazio. Più tasse e meno servizi. I soldi per asili, sanità, trasporti e tante altre cose, d’altronde, da qualche parte bisognerà pure trovarli. A meno che non si voglia chiudere l’Italia causa Tremonti. E la Lega, che ci aveva abituato a toni esasperati, che fa? Niente. Nonostante il federalismo rischi di saltare, nonostante la politica sulla sicurezza sia fallimentare (la Consulta dopo il reato di clandestinità ha bocciato anche le ronde), nonostante i governatori siano in mutande. Quanto bisognerà aspettare per vedere in piazza con lavoratori e pensionati anche i governatori in stile Full Monty? Di fronte alla totale disfatta anche un uomo considerato da molti poco simpatico ed arrogante come Lippi ha sentito il dovere di fare un totale mea culpa. Di certo un simile sussulto di dignità e di stile non troveranno mai alloggio dalle parte di Palazzo Grazioli.

FINI ADDIO. E SILVIO RINGRAZIA GIORGIA

 La prossima settimana comincerà in Aula alla Camera la discussione sul disegno di legge del governo in materia di riconoscimento e sostegno alle comunità giovanili. E’ il disegno di legge voluto fortemente da Giorgia Meloni, giovane ministro per le politiche giovanili del governo Berlusconi, e tutt’oggi presidente di Azione Giovani, il movimento che, dopo la svolta di Fiuggi, ha raccolto in sé l’eredità del Fronte della Gioventù, di Fare Fronte e del Fuan, ovvero le organizzazioni giovanili storiche del Msi. Il provvedimento è stato presentato alla Camera più di un anno fa. E’ stato poi dimenticato per otto mesi ma all’improvviso, dopo solo due sedute in sede referente, senza alcuno straccio di dibattito e di approfondimento serio in Commissione, è stato spedito in fretta e furia in Aula per l’approvazione finale. Un accelerazione alquanto sospetta. Diceva qualcuno che a pensar male si fa peccato ma qualche volta ci si azzecca. L'improvviso "avanti tutta", infatti, è avvenuto dopo lo strappo clamoroso tra Fini e Berlusconi, e al riposizionamento politico del giovane ministro Meloni che ha rinnegato il padre politico Gianfranco scegliendo Silvio. Qualcuno a palazzo Chigi deve essersene ricordato, oppure sarà stata Giorgia a rinfrescare le memorie. Tant'è che, all'improvviso, le è stato servito su di un piatto d’argento un provvedimentino ad hoc, con un bel gruzzoletto, giustappunto a misura del suo incarico di ministro e di presidente di Azione Giovani, ruolo che tra l’altro la pone in evidente conflitto di interessi. A chi destinerà i fondi Giorgia? Anche qui il sospetto è forte. I criteri fissati dal disegno di legge per ricevere fondi, infatti, sono talmente vaghi e generici che pure mio nonno, purché missino, potrebbe avanzare legittima richiesta. Un modo furbo e scaltro per avere le mani libere e distribuire soldi a pioggia, o, peggio ancora, in maniera clientelare e discrezionale.Sarebbe stato più utile e di buon senso sostenere le politiche regionali del settore giovanile, ovvero, dare i soldi a quelle realtà che fanno capo alle regioni e che già si occupano in maniera proficua di giovani. Invece no. Giorgia ha accentrato tutto a sé. Decide lei chi, come, dove e quanto. Per la cronaca, la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha espresso parere contrario a questo disegno di legge perché tocca una materia che è di competenza legislativa delle regioni. Ma Giorgia non sente ragioni. Va avanti come un treno. Come darle torto, d’altronde. E’ il sogno degli ex missini che si realizza, il riscatto dell’ex Fronte della Gioventù che finalmente, sotto la sua égida, vedrà nasce, crescere e fiorire le tanto amate  “comunità giovanili”, spazi di aggregazione dove poter fare musica, cinema, teatro, ovviamente a destra. Ovviamente sarà battaglia. 

SU BRANCHER IDV NON MOLLA: A CASA!

Non so voi ma io, sulla vicenda Brancher, mi sento preso largamente per i fondelli. E siccome Italia dei Valori non è in Parlamento per assistere inerme agli imbrogli di questo governo e di questa maggioranza, non retrocede di un passo. La rinuncia di Brancher ad utilizzare il legittimo impedimento non è un atto di responsabilità come sostiene il Pdl e la Lega. E’ una colossale presa per i fondelli e non cambia di una virgola la sostanza del problema. Aldo Brancher ha rinunciato oggi al legittimo impedimento, grazie alla ferma e decisa denuncia di Italia dei Valori e di tutta l’opposizione, ma potrà avvalersene domani, quando e come vorrà se le cose si metteranno male. Qualcuno pensa forse che, se le questioni giudiziarie dovessero volgere al peggio per lui, il neoministro rinuncerà di nuovo al legittimo impedimento, oppure avanzerà scuse, come consigli dei ministri, ordinari e non, che partiranno da settembre dopo la pausa estiva? Aldo Brancher è e resterà nella storia di questa repubblica il ministro al legittimo impedimento, nominato solo ed esclusivamente per sfuggire alle aule giudiziarie. La questione delle deleghe e delle competenze attribuite al neoministro, da dieci giorni al centro di un giallo degno della miglior Agatha Christie, sono la prova lampante di quale sia la vera ragione della sua nomina. Si sono dovuti mettere di buzzo buono ad inventarsi qualche competenza per Brancher. Hanno dovuto lavorare di lima nel weekend per evitare di fare il bis con le deleghe del ministro Bossi prima e quelle di Fitto dopo. Sta di fatto che dopo dieci giorni sono nel marasma più totale. Aldo Brancher è il ministro inutile di un ministero inesistente. Per queste ragioni, Italia dei Valori valuterà insieme a tutte le opposizioni una mozione di sfiducia unitaria, fermo restando che andremo avanti anche da soli qualora il Pd non mantenga la sua disponibilità alla mozione di sfiducia. Sono convinto che questa mozione sarà il banco di prova per molte cose. Capiremo se la Lega vuole davvero un federalismo pulito che porti efficienza, o se ha intenzione di farne un vuoto slogan. Se i finiani hanno davvero una visione diversa della democrazia, della legalità e del decoro delle istituzioni. Se l’Udc e Casini sta all’opposizione davvero oppure, come siamo convinti da tempo, è la quinta colonna della maggioranza.

CONDANNA DELL'UTRI GETTA OMBRE OSCURE

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Anche la Corte d’Appello, dopo il tribunale di Palermo, ribadisce la condanna di Marcello dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. L’amico della prima ora di Silvio Berlusconi, collega in affari, in tutti gli affari: quelli di Fininvest e quelli di Forza Italia - perché anche questi ultimi, per Berlusconi, sono stati sempre e solo affari - è un sostenitore della mafia. Questo dicono oggi i giudici della Corte d’Appello di Palermo. E ancora una volta un’ombra lunga e buia, un brivido lungo le schiene degli italiani si avverte legittimo. Marcello dell’Utri, nell’universo berlusconiano, non è una persona qualunque. E’ l’uomo che ha dato vita ai primi circoli di Forza Italia, è la persona  che con Berlusconi ha condiviso tutto, dall’ascesa economica alle relazioni politiche, per finire con la nascita del partito di Forza Italia. La condanna in Appello a Marcello dell’Utri è, in sostanza, la condanna ad un sistema di relazioni, ad un impianto di contiguità tra politica affari e mafia di una certa Sicilia, della quale attraverso Marcello dell’Utri lo stesso Berlusconi, volente o nolente, è stato coinvolto. A questo punto ancora più di prima resta l’esigenza di fare luce sui tanti episodi oscuri e ancora irrisolti della storia italiana. In particolare su quella stagione delle bombe della mafia: dalla strage di via dei Georgofili a Firenze, nel maggio del 93, all’attentato a Maurizio Costanzo, che, come ripetono da anni tanti pentiti, sarebbero state strumento e mezzo per creare in Italia un nuovo equilibrio politico, per l’ascesa di nuovi protagonisti sulla scena politica italiana. Oggi, più che mai, si pone la necessità di fare chiarezza su quella sorta di testamento morale lasciato da Paolo Borsellino. Nell’ultima intervista concessa ad una televisione francese, disse che le indagini per tarpare le ali ai vertici di Cosa Nostra si stavano spostando dalla Sicilia a quel sistema di relazioni che la mafia aveva intessuto con una certa imprenditoria milanese. In quella stessa intervista, Borsellino, nel ricordare il ruolo del famoso stalliere Mangano, rinviava alla figura di Berlusconi e di Mediaset. L’Italia non può più essere il paese dei misteri irrisolti, il paese delle ombre, dei poteri occulti. Deve a pieno titolo diventare una grande democrazia occidentale, trasparente, una casa di cristallo. La sentenza dell’Utri potrebbe essere il primo passo verso una nuova stagione di verità non più celate.