febbraio 2011

PROPOSTA D'ALEMA? PRIMA CENTROSINISTRA

CentrosinistraCentrosinistraCostruire una coalizione di centrosinistra. Questo è il primo e urgente passo da compiere. Io credo che la proposta di un’alleanza costituente per mandare a casa Berlusconi, lanciata alle opposizioni da Massimo D’Alema, sia un’opzione da scegliere solo nel caso in cui il Paese si trovi ad affrontare una situazione di emergenza democratica. Il rischio che il progetto del presidente del Copasir appaia intempestivo e un po’ buttato lì è alto. Io credo, però, che se ha una base di serietà, la proposta di D’Alema sia da prendere in considerazione, ma solo in un secondo momento. In caso di emergenza democratica, ma solo in quel caso, si dovrebbe dar vita ad un’alleanza costituzionale, e dunque anche elettorale, che metta al primo punto un pacchetto di riforme essenziali e condivise che dovrebbe avere, a sua volta, un carattere eccezionale e costituente. Queste forze, unite in via eccezionale, una volta realizzate alcune riforme minime (elettorale, costituzionale, dell’economia) porrebbero fine alla legislatura in modo anticipato, non oltre i tre anni, per poi tornare a dividersi tra un centrosinistra e un centrodestra, entrambi costituzionali che si contrappongono per vie normali. Ribadisco che, comunque, questo deve essere un passo successivo ed emergenziale. La cosa da fare immediatamente è costruire una coalizione di centrosinistra intorno ad un programma condiviso. Non possiamo più permetterci di restare a guardare, né possiamo aspettare a braccia conserte che si crei o meno una situazione di allarme democratico. Dobbiamo essere capaci, con il Pd, di farci forza promotrice del rinnovamento e presentare un progetto riformatore per uscire dallo stallo. E’ ora che il Partito Democratico rompa gli indugi e lavori insieme con noi per costruire una seria e credibile alternativa di governo. Occorre, come sto ripetendo da mesi, cominciare, al più presto, a costruire una coalizione di centrosinistra. Il percorso che abbiamo davanti è chiaro. Come prima cosa si dovrebbero mettere in cantiere due o tre grandi appuntamenti tematici. Uno sui giovani, università e ricerca, uno su lavoro e impresa e uno su fisco e welfare. Grandi meeting che servano a lanciare il modello di un’Italia diverso da quello messo in campo in questi anni dal centrodestra. In seguito occorrerà individuare i partiti che faranno parte della coalizione e infine scegliere il leader. Sono queste le tre priorità da mettere in campo e che avremmo dovuto mettere in campo da otto mesi a questa parte. E’ un crimine non averlo ancora fatto e la colpa di questo immobilismo è da imputare proprio al Pd. Lo dico con la consapevolezza che non si può costruire nessuna coalizione di centrosinistra senza il Pd e che quindi queste critiche non sono finalizzare a demolire ma a spronare, perché il paese non può più aspettare. Poi, nei prossimi mesi se ci sarà una deriva antidemocratica allora bisognerà essere pronti anche all’opzione D’Alema, pur di liberarci di Berlusconi e del berlusconismo, ma credo che se si fa bene la prima parte e che se il centrosinistra riuscirà a costruire un programma e una coalizione alternativa a questa destra gli elettori ci seguiranno e non ci sarà bisogno di trovare soluzioni di emergenza. 

SE IL FANGO ARRIVA AL CSM

Matteo BrigandìMatteo BrigandìLa macchina del fango si infiltra dappertutto, addirittura nel Csm, il consiglio superiore della magistratura. Il consigliere laico della Lega Matteo Brigandì è indagato per abuso d’ufficio. Sarebbe stato lui a passare al Giornale un dossier riservato su Ilda Boccassini. Una storia del 1982 conclusasi con l’assoluzione del magistrato che oggi indaga sullo scandalo Ruby. Metodo Boffo, metodo Mesiano, chiamatelo un po’ come vi pare, ma la sostanza non cambia: killeraggio mediatico contro gli avversari. Politici e non. La ‘colpa’ della Boccassini sarebbe stata quella di aver avuto rapporti con un giornalista di Lotta Continua. Il teorema del Giornale (di famiglia) è chiaro: la Boccassini, che ‘flirtava’ con un giornalista di Lotta Continua, è evidentemente un magistrato politicizzato, che non può giudicare il presidente del Consiglio. Siamo alla barbarie istituzionale, giornalistica ed umana. Di fronte abbiamo gente senza scrupoli che non si ferma neanche davanti alle alte istituzioni del Paese. Infanga per salvare se stessa, come nei regimi. Se fossero provate le accuse nei confronti di Brigandì, sarebbe un fatto gravissimo, senza precedenti. Abbiamo scritto una lettera al Capo dello Stato, che del Csm è presidente ed abbiamo presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia. Se fosse un uomo delle istituzioni, Brigandì dovrebbe dimettersi ora. Ma non lo farà, perché lui nel Csm ha il compito di ‘guastatore’. E lo si sapeva da molto prima della sua elezione. Le sue uscite sulla giustizia sono sempre state in linea con il pensiero e gli interessi di Berlusconi. Non ha mai perso occasione per difendere leggi indegne, come quelle sulle intercettazioni e sul legittimo impedimento o per attaccare i giudici ed anche il Consiglio in cui oggi siede. Queste, ad esempio, sono parole sue: “Senza legittimo impedimento oggi il presidente del Consiglio non sarebbe potuto intervenire alla conferenza stampa congiunta con il presidente dell’Autorita’ nazionale palestinese, Abu Mazen. Nel nostro Paese sembra ormai palese che vi sia una giustizia ‘contra personam’ piu’ che ‘ad personam’ come qualcuno vorrebbe far credere”. Anche queste: “Il Csm e l'Anm ancora una volta stanno occupando e invadendo spazi che non gli spettano. Purtroppo la magistratura oggi si pone non come ordine, come stabilito dalla Costituzione, ma come potere sovraordinato”. Niente male per uno che ora sta nel Csm. Davvero niente male. Questo spinge ad una riflessione: il problema a monte non è la diffusione di dossier riservati alla stampa amica, ma proprio la sua presenza nel Csm. Il berlusconismo, che ha come corollario il disprezzo per le istituzioni democratiche, ha avvelenato ogni settore della vita pubblica, mettendo a rischio gli equilibri istituzionali. In altri tempi non sarebbe stata possibile l’elezione di un Brigandì in un ruolo così delicato. Le sue, pur necessarie, dimissioni, non bastano, è indispensabile aprire una nuova stagione politica.

QUATTRO DOMANDE A BERLUSCONI

Editoriale di Massimo GramelliniEditoriale di Massimo GramelliniPubblico l'articolo di Massimo Gramellini di oggi che credo commenti al meglio l'intervista fatta ieri dal direttore del Tg1 a Silvio Berlusconi. Lascio a voi ogni riflessione.

Altre domande?

1. Presidente, negli ultimi due anni l’Italia ha tenuto alto l’argine della stabilità dei conti, come hanno riconosciuto l’Europa e il Fondo Monetario Internazionale. Ora è il momento di tornare a crescere. In che modo?

2. Molti analisti affermano che l’Italia è ancora un Gulliver, ovvero un gigante bloccato da lacci e laccioli. Lei è sceso in politica nel 1994 promettendo la rivoluzione liberale. Per dare una scossa alla nostra economia è arrivato il momento di andare fino in fondo?

3. Proprio su questi temi lei ha fatto una proposta all’opposizione che ha risposto che non è credibile. Ma dietro questo rifiuto, secondo lei, aleggia il partito della patrimoniale, la vecchia ricetta che per risolvere i conti della nostra economia punta sempre sulla scorciatoia dell’aumento della pressione fiscale?

Domande dure, niente da dire. Di quelle che lavorano ai fianchi l’interlocutore, specie nel caso in cui soffra di solletico. A volte capita di leggerle anche sui giornali, ma sussurrate all’ora di cena sul primo canale della tv di Stato fanno tutto un altro effetto. Pur intimidito dalla prospettiva di trovarmi al cospetto di un superuomo che teneva entrambe le mani sopra la cartina geografica del mondo intero, al posto dell’intervistatore del Tg1 avrei approfittato della storica circostanza per rivolgere a Berlusconi una domanda ancora più insidiosa.

4. Presidente, come va?

La Stampa – Massimo Gramellini

L'IMBROGLIO CHE CHIAMANO FEDERALISMO

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Questo federalismo è irricevibile. Lo dice Napolitano. La bocciatura solenne di metodo si aggiunge a quella di merito data ieri dalla commissione bicamerale. Non sappiamo cosa succederà ora. Sappiamo quello che è successo ieri. Il governo, dopo la bocciatura della bicamerale, cedendo all’ennesimo ricatto della Lega, alla quale, giunti a questo punto, interessa solo di piantare una bandierina qualunque in vista di probabili elezioni, ha convocato in fretta e furia un consiglio dei ministri alle 8 della sera e ha riadottato lo stesso provvedimento. Poco conta che questo modo di procedere sia incostituzionale, come confermato oggi dal Quirinale, poco conta che si sia calpestata la volontà del Parlamento. Sappiamo bene che a lor signori delle regole e della costituzione poco importa. Ma il problema vero, a questo punto, è rappresentato dal fatto che qui si stanno scrivendo le regole che reggeranno lo Stato per i prossimi decenni e che, a seconda che siano buone o cattive, consentiranno il rilancio del Paese oppure lo affosseranno x sempre. Italia dei Valori si è sempre assunta la responsabilità di dire con chiarezza, e poi di votare in modo conseguente, che noi nel federalismo crediamo davvero perché lo vediamo come uno strumento straordinario di moralizzazione della spesa pubblica e di responsabilizzazione dei pubblici amministratori. Il problema è che fino a qui non dico che si sia scherzato, ma poco ci è mancato, nel senso che sono state approvate sempre e solo norme quadro, insomma principi generici, senza un solo numero o una sola scelta concreta. Il federalismo municipale era il primo vero banco di prova per capire se questa riforma del centrodestra sarebbe stata un vero federalismo oppure no e, subito, ….. è cascato l’asino. La riforma toglie, se è possibile, ancora più autonomia ai comuni e centralizza ancora di più nella mani dello Stato le scelte tributarie. Non c’è nessuna possibilità di controllo degli elettori sugli eletti, nessuna speranza di responsabilizzazione degli amministratori, in quanto non si è scelta la strada trasparente d’istituire un’unica imposta comunale, nella quale far confluire tutte le entrate dei comuni, ma, al contrario, si è accentuato l’attuale spezzatino, per cui ai comuni spetteranno compartecipazioni in decine d’imposte statali, senza che i cittadini possano minimamente capire quanti soldi ha incassato il comune e come li ha spesi. Ma non basta. Smentendo clamorosamente la promessa ventennale che con il federalismo le tasse sarebbero scese, questo decreto prevede nuove e maggiori tasse, a valanga, per tutti. L’ici sulle attività produttive raddoppia e sulle seconde case aumenta, e di molto. L’addizionale irpef aumenta. In più viene introdotta una tassa di scopo, che ogni comune potrà applicare, come e quando vorrà. Viene introdotta una nuova tassa di soggiorno e così il turismo italiano, che sconta la fiscalità più punitiva d’Europa, verrà ulteriormente penalizzato. Gli unici a venire avvantaggiati sono i proprietari immobiliari, ma non quelli proprietari della casa in cui vivono, bensì solo quelli che ne hanno tante altre e che le affittano, e che su questi redditi non pagheranno più l’irpef, ma un’imposta fissa del 21%. Insomma si penalizzano le attività produttive e si premiano le rendite socialmente improduttive. Complimenti!!! Qualcuno potrebbe obiettare che quasi tutti gli aumenti d’imposta sono facoltativi e che i comuni potrebbero decidere di non applicarli. Peccato però che, con la manovra finanziaria del 2010, lo Stato abbia tagliato ai comuni fondi per 6 miliardi di euro solo nel 2011. Sicché i comuni, se vorranno chiudere i bilanci e non presentare i libri in tribunale, gli aumenti d’imposta avranno bisogno di usarli tutti, fino all’ultimo. Ecco, in sintesi, in cosa consiste l’imbroglio che chiamano federalismo.

SICILIA, LO SPRECO FA 90

Sede consiglio regione SiciliaSede consiglio regione SiciliaNella bella terra del sole, la Sicilia che fu dei Normanni, è successo che la commissione incaricata di ridurre il numero dei consiglieri regionali da 90 a 70, ha ben pensato di bocciare la proposta, firmata Giovanni Barbagallo, Pd, che mirava ad allineare l’ampiezza dell’assemblea a quella delle altre regioni italiane. Ebbene, la commissione che doveva stabilire la riduzione del numero di consiglieri, formata niente di meno che da loro stessi in persona, dopo ben tre sedute, ha votato, compatta, esclusi i tre esponenti del Pd, per il no. Bisogna dire, in loro difesa, che l’alto senso di responsabilità che hanno dimostrato con questa scelta, che ha impedito alla regione di risparmiare una consistente cifra, li ha portati di recente a ridursi lo stipendio del 10 per cento. Se ne sono aggiunti, poi, un altro 10 alla voce “aggiornamenti culturali”. Beh, un’aggiunta indispensabile! E poi bisogna riconoscere che lo stipendio di questi signori era già abbastanza misero… appena 19.400 euro al mese, e neanche netti. Perdonatemi l’ironia, ma sembra davvero una barzelletta e, di fronte alla colossale gravità di tutto questo, come si dice, si ride per non piangere. Ora, parlando seriamente, mi chiedo: in un momento di grave crisi economica, mentre le famiglie stentano ad arrivare alla fine del mese e il Paese rischia il collasso, visti i dati, più e meno recenti, com’è possibile che l’Assemblea regionale siciliana, dove i consiglieri si chiamano deputati, si conceda così tanto sperpero, che, a leggere i dati raccolti da chi nella Regione vive e lavora anche per noti quotidiani nazionali, basterebbe allineare la spesa a quella di altri consigli regionali del Paese, per risparmiare 20 milioni e trecentomila euro? Come, la Regione Sicilia, può spiegare ai cittadini medi, che stentano a pagare l’affitto, che i consiglieri godono della copertura spese mortuarie, valida anche per quelli cessati dal mandato, di cinquemila euro? Come può essa giustificare che gli stessi spendono 9 euro per un pranzo completo? Certo, il caffè lo pagano a parte, la bellezza di 36 centesimi. Il sarcasmo mi è scappato di nuovo, ma, davvero, l’intera situazione ha del paradossale. Soprattutto, è naturale chiedersi: come possono, i cittadini, accettare e sopportare? Il clientelismo? Palermo, infatti, ha oltre ventimila dipendenti comunali, per pagare i quali, a gennaio, il sindaco ha dovuto attingere ai fondi inviati da Roma per togliere la spazzatura dalle strade. Vi assicuro, è tutto vero, documentato da pagine di giornali seri, non è una barzelletta. E’, purtroppo, l’Italia.

NO ALLA PATRIMONIALE

Il patrimonio di una persona, quando è lecitamente accumulato,  è frutto del risparmio investito. La mattina del 10 luglio 1992 gli Italiani (ma non tutti come vedremo)  scoprirono al loro risveglio che una quota del loro patrimonio era stata espropriata dallo Stato. L’imposta patrimoniale, a differenza di altre imposte che riducono il guadagno, si prende una porzione del risparmio, che magari era stato il frutto di tante rinunce passate e presenti e che già era stato tassato, in quanto reddito, nel momento in cui  era stato prodotto. In quell’anno, 1992, l’allora Presidente del Consiglio Amato decise di portarsi via un pezzettino di depositi bancari ed un pezzettino di immobili. Magari la quota era piccola, ma era pur sempre non una parte del reddito prodotto, ma una porzione  di proprietà individuale, il sei per mille dei depositi bancari ed il tre per mille del valore catastale rivalutato degli immobili. Doveva essere un prelievo una tantum, ma per gli immobili divenne ICI ed in certi casi la stiamo pagando ancora oggi. Ancora oggi qualcuno torna a proporre l'ipotesi di una patrimoniale nella convinzione, errata o puramente ideologica, che la patrimoniale sia un’imposta che "colpisce i ricchi". Pensate che  nel novembre del '76 Pci e Psi tennero un'apposita riunione congiunta per mettere a punto e proporre l'imposta sui patrimoni immobiliari. Nelle due delegazioni figuravano personalità di spicco come Giorgio  Napolitano, Giuseppe D'Alema (padre di Massimo), Luigi Spaventa, Fabrizio Cicchitto e Nerio Nesi. In realtà è facilmente dimostrabile che anche allora a pagare furono sempre i soliti ed  in particolare il ceto medio produttivo. Non pagarono nulla quelli che avevano portato i soldi all’estero, non pagarono nulla quelli che li avevano investiti in attività finanziarie (che oltre a tutto non sono di fatto neppure tassati sul reddito che queste producono). A pagare furono i lavoratori, i pensionati, i piccoli imprenditori ed artigiani, le famiglie che spesso avevano il conto corrente come unica forma di investimento dei loro risparmi. E poiché l’80% degli Italiani vive in casa di proprietà, pagarono coloro che, spesso a prezzo di grandi sacrifici, ne avevano comprata una, magari piccola e modesta. Costoro in molti casi pagarono pur essendosi indebitati per acquistarla. Mentre le società pagarono solo sulla differenza tra attivo e passivo. I veri ricchi i depositi li avevano all’estero e così le case, ed anche molti immobili esistenti in Italia non risultavano censiti al catasto e così non pagarono. Per giudicare quella manovra economica basti dire che essa previde uno dei tanti condoni fiscali della nostra storia. Oggi è di nuovo Amato che per  primo ha proposto addirittura “una patrimoniale da 30 mila euro” da prelevare ad un terzo degli Italiani, per abbattere il debito pubblico. Ma su quali basi, se lo stesso Ministero dell’Economia calcola che vi siano almeno 2 milioni di immobili che sfuggono al Catasto e dei quali dunque non si conosce il proprietario? Proposte più o meno similari sono arrivate da altri personaggi più o meno autorevoli: da economisti come Giancarlo Padoan dell'Ocse,  Pellegrino Capaldo, Massimo Muchetti, da industriali come Luigi Abete presidente dell'Assonime,  Innocenzo Cipoletta, da sindacalisti come la leader della Cgil Susanna Camusso, da politici come Valter Veltroni, Pietro Ichino e Romano Prodi. Noi pensiamo che, per le condizioni in cui si trova il nostro Paese, la patrimoniale sarebbe ancora una volta pagata dai soliti noti e quindi diciamo no. L’abbattimento del debito pubblico va realizzato attraverso la crescita dell’economia, e cioè con la riduzione delle tasse alle famiglie ed alle imprese, riducendo le spese inutili e gli sprechi (con l’abolizione delle province, il blocco delle auto blu, l’obbligo dei piccoli comuni di consorziarsi per la gestione di tutti i servizi, il dimezzamento dei parlamentari e dei consiglieri regionali e l’abolizione del loro vitalizio,  lo scioglimento dei consigli di amministrazione delle oltre sei mila società pubbliche degli enti locali, la vendita dei beni dello Stato e delle società dello Stato) ed avviando profonde riforme nel senso della liberalizzazione di  molti servizi ed attività professionali riservate e della semplificazione delle procedure amministrative che pesano finanziariamente sulle imprese. L’abbattimento del debito pubblico va conseguito attraverso la progressiva eliminazione dell’economia “nera” (con la lotta agli evasori) e dunque facendo pagare a tutti le tasse sul reddito e facendole finalmente pagare anche alle plusvalenze finanziarie, che oggi, se pagano, pagano al massimo il 12,5%. Le proprietà individuali,  insieme al possesso ed alle spese per beni di lusso, usiamole come indicatori per dedurre un reddito (redditometro) sul quale far pagare le tasse a chi non le paga e che sfuggirebbe anche alla “patrimoniale”.

Massimo Donadi, presidente gruppo Idv alla Camera

Antonio Borghesi, vicecapogruppo Idv alla Camera

QUANDO IL FANGO COLPISCE DI PIETRO

Antonio Di PietroAntonio Di PietroL’Italia sta diventando il paese del fango. Palate di fango da gettare addosso agli avversari politici con la poderosa macchina del discredito costruita dagli sgherri di Berlusconi. E Di Pietro è, nella speciale classifica dei nemici del Cavaliere di Hardcore (come lo chiama Travaglio) il primo della lista. Libero (di denigrare) ieri gli ha dedicato la prima pagina. Quale onore. Il titolo è ‘Ombre sull’ex Pm. 'Di Pietro: un libro svela i suoi segreti’. E poi: i servizi, le foto americane e una misteriosa valigetta a Hong Kong, ecco il racconto che Tonino ha cercato di fermare in tutti i modi. Oggi, invece, il presidente di Italia dei Valori, è finito soltanto a pag.14 con l’articolo ‘Il libro su Di Pietro è già finito in tribunale’. A Libero (d’infangare) sembra addirittura strano che Di Pietro quereli l’autore del libro. Già, avrebbe dovuto accettare di farsi diffamare senza battere ciglio. Sono anni che questa campagna diffamatoria va avanti. Si attaccano a tutto pur di scrivere male di Di Pietro e di infangare l’Idv. Tonino spia dei servizi segreti, della Cia, uomo del Vaticano, che frequenta criminali internazionali e mafiosi. Uno 007 scaltro e inafferrabile. Ve l’immaginate? My name is Di Pietro, Antonio Di Pietro...E questi articoli sono solo gli ultimi di un’interminabile serie. Ormai scrivono sempre le stesse cose (utilizzo la parola ‘cose’ per non essere volgare), aria fritta e rifritta. E’ la macchina del fango. Una delle tecniche è ripetere sino alla nausea delle bugie, che, nel corso del tempo, si sedimentano nella coscienza popolare, diventano una sorta di sfondo a talvolta persino delle verità per molti. ‘Una bugia ripetuta un milione di volte diventa una verità’. Lo diceva quel criminale di Goebbels. E lo mettono in pratica i rimestatori di fango prezzolati. C’è un’altra considerazione, purtroppo dolorosa. La macchina del fango colpisce bersagli sempre diversi, accomunati da un unico elemento: l’essere nemici di Silvio Berlusconi. Quando toccò a Gianfranco Fini furono in molti, anche fuori dalla politica, ad indignarsi per le tonnellate di fango sparse sulla sua persona e sui suoi familiari. A torto o a ragione, il presidente della Camera ed il suo entourage, finirono nel tritacarne. Tutto il mondo politico (berlusconiani a parte) s’indignò ed espresse solidarietà. Quando il fango è gettato, ingiustamente, su Di Pietro e sull’Italia dei Valori, però, nessuno, o quasi, s’indigna. Come se insultare la seconda forza dell’opposizione fosse uno sport lecito. Non è difficile capire il perché: siamo una forza scomoda, non partecipiamo alle spartizioni del sistema, non scendiamo a bassi compromessi. I motivi per cui le altre forze politiche non s’indignano è anche la ragione della nostra identità, della nostra diversità, della nostra forza. Il fango si toglie con l’acqua pulita.

UNA LEGGE PER CANCELLARE I PECCATI DEL PREMIER

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Oggi è la giornata nazionale degli stati vegetativi, istituita per volontà del governo nel giorno dell’anniversario della morte di Eluana Englaro. Come i peggiori aguzzini non la lasciano in pace neanche da morta e, invece di cogliere l’occasione per avviare nel paese un confronto aperto su temi tanto sensibili, istituiscono una ricorrenza mortificante, insultante e irrispettosa non solo della famiglia Englaro ma della laicità dello Stato e dei diritti civili. Troppo facile e scontato dire che chi, come Silvio Berlusconi, è privo di moralità non può fare la morale a nessuno. In realtà, la verità è molto più desolante. A questo governo e a questo presidente del Consiglio, dei temi e valori etici in gioco, non frega niente assolutamente niente, non è mai fregato niente. E’ solo un campo di calcio dove giocare l’ennesima partita politica, soprattutto in questi tempi di sopravvivenza difficile per il governo, dopo che le arcorine di Raiset hanno compromesso di brutto i rapporti con il Vaticano. E’ per cancellare i peccati di Berlusconi che la legge sul testamento biologico venga ritirata fuori proprio ora, dopo essere rimasta chiusa per due anni nel cassetto, nonostante le urla belluine in Senato di Gaetano Quagliarello e Maurizio Gasparri,  il 9 febbraio di due anni fa. E’ un Parlamento ancora una volta piegato agli interessi  esclusivi del presidente del Consiglio, umiliato e vilipeso per garantire lunga vita ad un Re ormai agonizzante. La proposta di legge del governo sul testamento biologico è profondamente incostituzionale, così come la giornata nazionale degli stati vegetativi, è un insulto e una vergogna. Noi ci confronteremo in Parlamento e ci batteremo per una legislazione più umana e costituzionale. Quella legge, se approvata, sarà puntualmente smontata dalla magistratura che già sta facendo a pezzi l’altro capolavoro di insipienza ed arroganza, ovvero la legge sulla fecondazione assistita. Nessuno può essere curato contro la sua volontà. Riflettano i baciapile di turno e quanti in queste ore si accaniscono terapeuticamente per mantenere in vita un governo morto, su quello che Aldo Moro, uomo profondamente e intimamente cattolico ma laico, scriveva anni fa: “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Partiamo da qui.

IL CAIMANO LO MANDIAMO IN ONDA NOI

CAIMANO - Voglio ricordare a questo Tribunale che oggi io sono qui a parlare non solo in veste di imputato ma anche e soprattutto come cittadino a cui la maggioranza degli italiani ha conferito l’onere e la responsabilità di guidare il Paese.

MAGISTRATO - Proprio perché lei è alla guida del Paese gli italiani dovrebbero sapere…

CAIMANO - Dottoressa, lei sta attaccando me come presidente del Consiglio e questo ad un magistrato non può essere concesso! Se lei vuole fare politica, si dimetta e si faccia eleggere in Parlamento!

CAIMANO (riflettendo tra se e se) - Quando avevo un tumore, quelli della sinistra mi davano sei mesi di vita, un anno al massimo, perché non riuscivano ad immaginare di sconfiggermi alle elezioni ma solo con l’aiuto del cancro o della magistratura. Non sono io l’anomalia. L’anomalia in Italia sono i comunisti e il loro odio verso di me, il loro uso politico della giustizia è la vera anomalia italiana

CAIMANO - Presidente, non si possono continuare a sprecare i soldi dei cittadini italiani per un processo esclusivamente basato su delle menzogne!

CAIMANO (riflettendo tra se e se) - Solo io ho governato un’intera legislatura e ho fatto più riforme io in cinque anni che in cinquant’anni la sinistra. Non è stata al Governo? Ma è stata al potere! E’ stata al potere nelle scuole, nelle università, nelle procure, nei giornali, nelle televisioni, nella magistratura, nella Corte Costituzionale.

MAGISTRATO - Il suo amministratore, in una deposizione ha ammesso l’esistenza di fondi neri sui conti del suo gruppo all’estero. Lei intende difendersi di fronte ad un’accusa così grave?

CAIMANO - Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.

CAIMANO (riflettendo tra se e se) - Quanto è triste la sinistra. E’ triste e rende la gente triste. Io, invece, ho voluto ridare una speranza a questo Paese. Purtroppo la metà degli italiani non riesce neanche a sperare e sa solamente odiare. La sinistra solo questo sa fare: odiare me.

MAGISTRATO - Lei prestava ingenti somme di denaro pagando stabilmente magistrati perché compissero atti contrari ai loro doveri di ufficio. Li ha avuti a suo libro paga come fossero stati suoi dipendenti?

CAIMANO - Non rispondo. Ora vado. Mi ricordano che sono già in ritardo ed il presidente greco mi aspetta per un importante incontro istituzionale.

MAGISTRATO - Stavolta speravo che il presidente…

CAIMANO - Perché io faccio parte di una troika. Questa troika regge il consiglio europeo.

MAGISTRATO - Mi pare che l’imputato voglia continuare a sottrarsi al processo. Eppure io leggo in quest’Aula la legge è uguale per tutti.

CAIMANO - Sì ma questo cittadino qui, forse, è un po’ più uguale degli altri, visto che la maggioranza degli italiani con libere elezioni gli ha conferito il mandato per governare.

CAIMANO (riflettendo tra se e se) - I miei alleati non erano nessuno. Erano fascisti, li ho portati al governo, li ho fatti diventare ministri. Erano democristiani, si flagellavano, si battevano il petto in mezzo ad una strada. Quelli della Lega Nord, poi… Tutta Europa mi diceva “stai attento”, sono razzisti stai attento! Li ho fatti ragionare, ho portato al governo anche loro, nonostante mi insultassero e mi dicessero che ero un mafioso. Tutti al governo ho portato! Tutti! Ce ne fosse uno che mi ha telefonato oggi.

MAGISTRATO - Sono passati cinque anni dall’udienza preliminare. L’imputato non ha fatto altro che sottrarsi al processo. Non si è presentato in Aula quando si era impegnato a farlo. Si è dato da fare in ogni modo per fare approvare delle leggi il cui fine era quello che non si portasse a termine questo processo.

MAGISTRATO - Quello che era in gioco in questo processo a un certo punto era la possibilità stessa di celebrarlo. Il fatto che la magistratura fosse in grado di svolgere le sue funzioni a servizio dello stato

CAIMANO - presidente, un’ultima cosa prima che la corte si ritiri. Spero che voi siate consapevoli del fatto che con la vostra sentenza potreste cambiare la storia del nostro paese.

AUTISTA - presidente, hanno chiamato dal tribunale. Hanno detto che sono pronti.

CAIMANO - Anche noi siamo pronti. Andiamo

GIUDICE - lo condanna alla pena di anni sette di reclusione. All’interdizione perpetua dei pubblici uffici. All’interdizione legale per la durata della pena. Condanno, inoltre, l’imputato al pagamento delle spese processuali. La motivazione della sentenza sarà depositata entro 60 giorni. L’udienza è tolta.

CAIMANO - In una democrazia liberale. I giudici applicano la legge. Non fanno resistenza, resistenza, resistenza contro chi è stato scelto dagli elettori per governare. In una democrazia liberale chi governa può essere giudicato solo dai suoi pari e cioè dagli eletti dal popolo. La casta dei magistrati vuole invece avere il potere di decidere al posto degli elettori e direi che è arrivato il momento di fermarli. Grazie. Con la mia condanna la nostra democrazia si è trasformata in un regime. Un regime contro il quale tutti gli uomini liberi come voi hanno il diritto di reagire in ogni modo. Grazie.

Applausi per il caimano e fischi e lancio di oggetti contro i giudici.

TRASPARENZA CONTRO GLI EVASORI

Guardia di FinanzaGuardia di FinanzaStrano paese il nostro. Se rubi una mela al supermercato puoi finire in galera e il tuo nome sui giornali. Sputtanato, scusate il termine oxfordiano. Se, invece, evadi tasse per 15 milioni e rotti di euro (quin-di-ci mi-lio-ni non so se mi spiego), com’è successo in Veneto la privacy è garantita. Nessuno sa chi sei e le tue attività non subiscono danni economici. Ai cittadini viene nascosto il diritto di sapere se i loro soldi finiscono nelle tasche di un evasore fiscale totale. Questo truffatore, perché di questo si tratta, anche se ‘pizzicato’dalla Guardia di Finanza e dalle Agenzie delle Entrate, può continuare a fare affari senza che i cittadini onesti possano scegliere di non andare più a comprare da lui, se è un commerciante, ad avvalersi delle sue prestazioni, se è un professionista. Prendo spunto dal caso di Treviso per solidarizzare con tutte le persone che hanno inviato mail alla Gdf, all’agenzia delle entrate ed ai giornali per conoscere il nome dell’imprenditore. Penso che, come avviene nei paesi nordeuropei, anche in Italia l’etica d’impresa dovrebbe costituire un valore aggiunto e determinare il successo (o meno) di un’attività imprenditoriale. Per questo nei prossimi giorni presenteremo una proposta di legge per permettere ai cittadini di tutelarsi e di scegliere i prodotti delle imprese virtuose ed in regola ed di rivolgersi a professionisti onesti, che pagano le tasse. Non sarà una proposta di legge contro la privacy, ma per la trasparenza. Non cerchiamo gogne mediatiche, né la berlina per gli evasori fiscali, ma la giustizia, soprattutto in tempi di crisi economica. E’ profondamente immorale, oltre che illegale naturalmente, evadere le tasse ed arricchirsi mentre migliaia di imprese chiudono e sempre più famiglie e lavoratori stentano ad arrivare alla fine del mese. Il danno sociale ed economico dell’evasione fiscale è enorme. Una piaga da estirpare in quest’Italia troppo tollerante con i furbi.

L'INFORMAZIONE DIVENTA ARDORE SERVILE

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“Sono 16 o 17 anni che in Italia c’è un circuito, circo, o partito mediatico giudiziario. I giornalisti diventano magistrati e i magistrati diventano giornalisti e informano loro su ciò che desiderano informare. Non è possibile trasformare i peccati in reati. Se il premier ha ecceduto, non per questo lo si può mettere sotto processo per concussione e prostituzione, è una cosa surreale, incredibile”. Parola di Giuliano Ferrara, che tiene banco per sei minuti durante il primo tg della rete pubblica, nella serata di un giovedì bollente di polemiche, in quella che dovrebbe essere un’intervista e si trasforma in un monologo in difesa di sua maestà Silvio Berlusconi. Già, perché non era sufficiente la messa in scena della settimana scorsa, quella durante la quale il direttore Minzolini simulava un’intervista al premier. Non bastava la censura del finale del Caimano, il film in cui un lungimirante Moretti sette anni fa, aveva previsto la tristissima fine dell’era Berlusconi. No, per la tv di regime non è mai abbastanza. Finita, o, quantomeno archiviata, l’era della cornetta facile, quella in cui Berlusconi e i suoi scagnozzi s’intrufolavano telefonicamente nelle trasmissioni d’informazione, considerate da loro di centrosinistra, per dare la propria versione della verità, ora pare ci si debba rassegnare ad essere entrati nel tempo dei monologhi in difesa del premier, quelli in cui la parola limite non ha più significato, perché ogni cosa diventa lecita e addirittura la prostituzione minorile si trasforma in un semplice peccato da confessare al sacerdote. E già, perché siamo ormai nel tempo in cui i giornalisti vengono criticati di voler fare i magistrati, niente popò di meno che da un giornalista in persona, che si mette a difendere a spada tratta, in diretta televisiva, il premier, tenendosi ben lontano da ogni regola deontologica professionale ed anche da qualunque norma di buon senso. Io credo che tutto questo sia paradossale ed anche surreale, per riprendere le parole di Ferrara. Io credo che la parola limite debba riprendere ad avere il suo preciso significato, con tutto ciò che ne consegue, perché, di questo passo, l’Italia rischia la deriva irreversibile. Io credo che i giornalisti debbano tornare a fare il proprio mestiere, evitando quanto meno di monopolizzare per sei minuti i telegiornali per esprimere personalissime quanto discutibili opinioni. Lo stesso vale per i magistrati, che dovrebbero esser liberi di svolgere il proprio dovere senza quotidiane accuse e minacce da parte di un premier che, per quanto apparentemente inaffondabile, in realtà è sempre più debole. E, per far sì che davvero torni ad esistere un limite in questa Italia che merita di riacquistare la sua dignità, di avere indietro quelle libera informazione che l’ha caratterizzata fino a pochi anni fa, di vedere una ripresa della vita politica, lo stesso premier dovrebbe avere il buon senso di fare un passo indietro e tornare a casa.

DONNE IN CATTEDRA, A LEZIONE DI PASSIONE CIVILE

ManifestazioneManifestazioneNessuna sorpresa. Sono stato sempre convinto del potere straordinario delle donne, unito ad un pragmatismo che, spesso, agli uomini viene meno nei momenti topici. Ieri, le migliaia di donne che sono scese in piazza hanno scritto una straordinaria pagina di resistenza alla deriva etica e politica di questo governo e di questo presidente del Consiglio, che ancora questa mattina, in collegamento con una delle sue tante televisioni asservite, ha confermato la sua visione a senso unico delle donne, ovvero, da utilizzatore finale. Non c’è niente da fare. Come disse una volta Daniela Santanché, ancora non folgorata sulla via di Arcore lastricata d’oro, l’unica posizione nella quale il premier concepisce le donne è quella orizzontale. Se sono in piedi, sedute alle loro scrivanie di lavoro, o in cattedra ad insegnare il futuro ai nostri figli, nei laboratori a fare ricerca o in fabbrica a lavorare sodo, belle, oneste, sincere, con la schiena diritta a ribadire la loro dignità sono femministe o peggio ancora comuniste. L’ardore civile delle donne scese in piazza ieri è la migliore risposta all’ardore servile dei tanti giornalisti, dei tanti maitre a penser del centrodestra resuscitati alla bisogna, dei tanti ministri e ministre che si stanno prodigando in queste ore per negare una verità che è sotto gli occhi di tutti: il Re è nudo e sarà difficile, anzi impossibile, riuscire a rivestirlo. Ma se da oggi in poi la politica, ed in particolare le forze di opposizione, alle dichiarazioni entusiastiche di apprezzamento per la manifestazione di ieri, non faranno seguire azioni concrete per mandare a casa Berlusconi perdendosi nei soliti tatticismi, dimostreranno non solo di non aver colto i segnali evidenti di questa nuova resistenza ma il ben più drammatico scollamento con la società civile, un peccato gravissimo in politica per cui si paga un prezzo altissimo. Ora, insieme: è questa l’unica e doverosa risposta al “se non ora quando" gridato ieri nelle tante piazze italiane rivestite per un giorno di migliaia di sciarpe bianche. Il presidente del Consiglio ha una strada obbligata davanti a sé: le dimissioni, per restituire dignità e decoro che ha infangato, non solo con i suoi comportamenti indegni, ma con la sua politica evanescente, con la colpa grave di aver piegato un Parlamento ai suoi interessi giudiziari, con la pesante responsabilità di aver ignorato una crisi economica epocale di cui gli italiani stanno pagando un prezzo altissimo. Le forze di opposizione raccolgano i frutti maturi di una società civile che chiede di voltare pagina. Ora, uniti, insieme.

BERLUSCONI: RESA DEI CONTI FINALE

E’ proprio così. A volte, la realtà supera la fantasia e nel caso del presidente del Consiglio assume i contorni crudeli e grotteschi di una sorta di legge del contrappasso. E’ notizia di pochi minuti fa. Il gip di Milano non solo ha disposto il giudizio immediato nei confronti di Silvio Berlusconi, per entrambi i reati di concussione e prostituzione minorile, in merito al caso Ruby, ma saranno tre donne a comporre il collegio che giudicherà il premier. Immaginiamo già le reazione del corifeo del Pdl, per bocca dei soliti immarcescibili: copione scontato, situazione paradossale, processo mediatico, gogna anti-premier, scorciatoia giudiziaria della sinistra per dare una spallata a Berlusconi. Insomma, il solito armamentario linguistico e metaforico. Siamo certi che non mancheranno anche i commenti sarcastici sulla composizione tutta in rosa del collegio. La chiameranno la vendetta delle donne, femministe e comuniste. Arriveranno anche a dire che i tre giudici che giudicheranno il premier sono le peggiori comuniste e femministi della storia della magistratura italiana, che erano in piazza domenica scorsa e se non c’erano fisicamente, lo erano almeno con lo spirito. Magari lo dirà Daniela Santanché, la donna della nuova stagione giudiziaria del presidente del Consiglio. Immaginiamo già la strategia di palazzo Chigi in moto. Gli onorevoli avvocati sulle sudate carte ad immaginare una nuova leggina ad hoc, nell’affannosa ricerca di un appiglio, di uno stratagemma patetico per tirare fuori il premier dall’ennesimo guaio giudiziario, stavolta dai contorni disarmanti. I giornali, o pseudo-tali, di famiglia avranno già scandagliato i loro segugi alla ricerca di notizie per infamare i tre giudici che giudicheranno Berlusconi in merito al caso Ruby. Qualche telecamera di famiglia magari inseguirà una di loro, alla ricerca di un dettaglio, una calza smagliata magari, come dimostrazione evidente di una turba mentale. “Tre donne intorno al cor mi son venute e seggon fuori” scriveva Dante. Le tre donne simboleggiano le tre diverse forme della giustizia, quella divina, quella umana e la Legge. Dante le immaginava in esilio. Noi invece, le immaginiamo finalmente di ritorno dopo un esilio durato quindici anni, a riprendere il posto che meritano. 'Due italiani su tre non hanno più fiducia in Berlusconi, non c'e' più una maggioranza e il Parlamento è immobile. Dunque, il premier si arrenda di fronte all’ineluttabilità degli avvenimenti, faccia l'unica che può fare: si faccia giudicare, si dimetta e consenta al Paese di andare ad elezioni.

REFERENDUM DECISIVO PER MANDARE A CASA BERLUSCONI

Siamo al redde rationem. Il presidente del Consiglio è all’angolo, circondato dai suoi fantasmi e ossessionato dai suoi processi. Il 6 aprile sarà giudicato, da una triade di donne, in una sorta di bestiale e grottesco contrappasso dantesco, rinviato a giudizio per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile. Non c’è mai stato, nella storia del nostro Paese, un momento in cui la nostra politica è caduta tanto in basso, in cui la nostra immagine e la nostra reputazione internazionale ha raggiunto livelli di sputtanamento così globale. Uno strumento in più, oltre a quello parlamentare, per mandare a casa questo presidente del Consiglio, inadeguato a guidare il Paese: il referendum sul legittimo impedimento. Con il nostro legittimo impedimento possiamo scuotere questa increscioso momento di empasse politica ed evitare che l’agonia di Silvio Berlusconi diventi quella di un intero Paese. E’ l’unico “sbocco propositivo” per uscire dallo stallo di questi due lunghissimi anni fatti di immobilismo politico e di inadeguatezza a gestire la crisi economica. Non basta la parziale bocciatura della Consulta della legge, serve di più, uno strumento certo e sicuro che dia la concreta possibilità di mandarlo a casa una volta per tutte. Per questo, il nostro referendum è così importante e strategico, perché può mettere fine a questa legislatura. Ieri, abbiamo scritto una lettera al ministro dell’Interno Roberto Maroni affinché il voto del referendum sul legittimo impedimento – unitamente agli altri due sulla privatizzazione dell’acqua e sul nucleare – venga accorpato al voto del ballottaggio delle amministrative. Sarebbe la scelta più giusta ed opportuna che farebbe risparmiare allo Stato migliaia di euro. Se quel giorno, tanti italiani, al di là del proprio schieramento politico di appartenenza, andranno a votare vorrà dire che, liberamente e coscientemente, avranno scelto di non essere più rappresentanti da questo presidente del Consiglio. Quel giorno, Berlusconi non avrà altre vie d’uscita che non le dimissioni, perché con l’unico strumento veramente democratico che hanno in mano, liberi cittadini coscienti avranno definitivamente e inesorabilmente scalfito la cosa alla quale lui tiene più in assoluto, ovvero il consenso popolare e plebiscitario su di lui della gente. La domanda è: volete voi continuare ad essere governati dal governo Berlusconi che si fa le leggi ad personam, che è sotto processo per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile, che non ha mosso un dito per affrontare una crisi economica epocale, o volete mandarlo a casa e ricominciare a sperare? Noi vogliamo ricominciare a sperare. Per questo, sosteniamo il referendum. Se aspettiamo che si dimetta o che crolli sotto le sue contraddizioni etiche, politiche e giudiziarie avremmo perso solo tempo.

BERLUSCONI SI DIMETTA. SUA AGONIA NON DIVENTI AGONIA PAESE

Onorevoli colleghi,

Il punto oggi non è solo o tanto la notizia del rinvio a giudizio di Silvio Berlusconi per reati gravissimi e infamanti come la concussione o la prostituzione minorile.

Il punto è un paese che non ne può più di un governo e di un presidente del Consiglio irresponsabili che stanno trascinando tutto  e tutti in un clima insostenibile da guerra civile e da conflitto permanente tra le istituzioni dello Stato.

 Quei sondaggi che il nostro premier ama tanto oggi dicono che gli italiani hanno ben chiaro di chi sia la colpa di questo conflitto tutto giocato sulla pelle del paese, se è vero che due italiani su tre non hanno più alcuna fiducia  in Berlusconi.

E che nelle intenzioni di voto il governo e le forze che lo sostengono, sono ormai netta minoranza nel paese, raccogliendo meno del 40% nelle intenzioni di voto. Ormai voi siete maggioranza soltanto all’interno di quest’aula in quest’Aula ma anche questa è una maggioranza solo virtuale. Questo è diventato un Parlamento sordo e cieco alle richieste che vengono dal Paese, reso inutile da un governo e da una maggioranza che lo fanno lavorare un solo giorno alla settimana. Siamo alla paralisi legislativa ed i numeri sono inoppugnabili. La scorsa settimana la Camera dei Deputati ha lavorato tre ore e venticinque minuti. In un mese abbiamo approvato una sola legge. Dal 30 luglio 2010 ad oggi, ribadisco, dal 30 luglio 2010, non si approva un provvedimento in materia economica, per favorire il rilancio del sistema Paese.

In questo spaccato pesa ora come un macigno la vicenda giudiziaria del presidente del consiglio. Una vicenda che non si può ridurre alla vecchia favola della persecuzione giudiziaria, né declassare a fatto privato, perché quando si è chiamati a rispondere di reati come concussione e sfruttamento della prostituzione minorile, la vita privata di un uomo pubblico è pubblica a sua volta e chiama in causa il modello di vita e di contegno al quale non si può sottrarre chi ricopre i più alti incarichi istituzionali.

Ma ancora più grave è il crollo della credibilità internazionale del nostro Paese. L’immagine dell’Italia è stata distrutta, umiliata infangata. Il vero problema dell’Italia oggi è di essere diventato un Paese isolato perché il nostro presidente del Consiglio è un premier solo ed isolato. Dai grandi leader internazionali arrivano segnali pessimi, fatti solo di distacco e freddezza. Gli unici che riservano al nostro premier abbracci e ammiccamenti sono dittatori e leader discutibili, certamente lontani dall’immagine democratica di grandi uomini di stato. In un periodo di recessione e di crisi economica, l’isolamento, interno ed internazionale, è quanto di peggio possa capitare. Dopo tre anni di governo Berlusconi, l’Italia è più povera, ha più problemi, non è stata realizzata nessuna delle riforme e delle opere pubbliche tante volte annunciate in pompa magna. C’è un governo che è minoritario nel Paese. Una maggioranza che non esiste più. Un paese solo ed isolato nello scenario internazionale. Un Parlamento bloccato da una paralisi legislativa che non conosce precedenti. Noi riteniamo, e con noi lo ritengono la maggior parte degli italiani, che L’Italia meriti molto di più.

L’agonia di Berlusconi non può essere e non deve diventare quella di un intero Paese. Per questo chiediamo un atto di responsabilità al presidente del Consiglio: le immediate dimissioni, di farsi da parte, per dare a questo paese la possibilità di scrivere una pagina nuova.

FERMIAMO QUESTO CONTATORE

Fermiamo questo contatore. Tic, tac, tic, tac. Il contatore è inesorabile e misura non il tempo che passa, ma l’aumento del nostro mostruoso debito pubblico. Le lancette del nostro fallimento economico scorrono velocemente. Intanto il debito pubblico cresce, si accumula e grave sulla testa di ogni cittadino italiano. Ognuno di noi ha un debito superiore ai 30.000 euro. L'unica vera priorità di un governo serio sarebbe quella di fermare questo inesorabile contatore. Come? Riducendo gli sprechi di Stato e delle amministrazioni locali; riducendo i costi della politica, contrastando la corruzione, che rappresenta una vera e propria emorragia di denaro pubblico; combattendo l'illegalità diffusa dei milioni di furbi delle false pensioni di invalidità, delle truffe sui finanziamenti pubblici. Solo un'azione rigorosa e implacabile sarà già sufficiente a fermare il contatore del debito pubblico. Il secondo passo da compiere è far ripartire il contatore ma alla rovescia e questo si otterrà rilanciando l'economia italiana, secondo due fondamentali direttrici: una lotta serrata all'evasione fiscale, accompagnata da una forte riduzione delle tasse. Una riforma strutturale del paese fatta di vera liberalizzazioni, di un nuovo welfare di aiuti al lavoro femminile e giovanile. Ci sarà mai un leader e una coalizione capaci di dire agli italiani questa verità? Nell'attesa, il contatore va inesorabilmente avanti.

COMMISSIONE D'INCHIESTA SULLE BUGIE DI LA RUSSA

La Russa - BerlusconiLa Russa - BerlusconiWikileaks inguaia il novello D’Annunzio, o, meglio, la brutta copia del poeta Vate, ovvero il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Quello che si sente un eroe perché indossa la mimetica e getta volantini dagli elicotteri nei cieli di Kabul e scalcia come un asino (all’indietro) contro i giornalisti che osano porre domande che ritiene scomode. Eia Eia Allalà! Bei tempi quelli, eh Ignazio?! Per quest’uomo Fiuggi è rimasta una città termale. Il sito di Assange, ancora una volta, ha messo a nudo il monarca di Arcore e tutta la sua sbrindellata corte dei miracoli. Le mail che l’ambasciatore Spogli ha inviato al Segretario di Stato contengono rivelazioni drammatiche. I caveat ai nostri militari impegnati in Afghanistan sono stati eliminati per compiacere l’alleato americano, senza che né i cittadini né il Parlamento ne sapesse niente. Ciò significa che il Governo italiano ha mentito al Parlamento e ha svenduto l'interesse del Paese. Ha violato la Costituzione mandando i nostri soldati a combattere in prima linea a fianco degli Usa in una vera e propria guerra e non a compiere un'azione di pace, come da mandato del parlamento. Più soldati, più armi, più mezzi militari da combattimento e nessuna percezione della reale situazione in Afghanistan. Con questa strategia La Russa ha portato il nostro paese in guerra con conseguenze drammatiche per tutti. Ora è il momento della verità: chiediamo le dimissioni di La Russa e l’istituzione di una commissione d’inchiesta, che accerti la verità sulla natura della nostra missione in Afghanistan e che valuti le operazioni in cui sono stati impiegati i nostri militari. L’Italia ha pagato un alto tributo di sangue (36 i nostri ragazzi morti) in un conflitto che è stato tenuto nascosto a tutti. Solo un governo irresponsabile come questo avrebbe potuto commettere simili tragici errori. Adesso basta, è il momento di presentare il conto. 

PROCESSO NUOVO STORIA VECCHIA

Alfano - GhediniAlfano - GhediniProcesso nuovo, storia vecchia. Cambiano i processi, ma il modo in cui Berlusconi si comporta di fronte ad essi è sempre lo stesso. Sarà che di fare il normale imputato proprio non se lo può permettere, fatto sta che la sua sfrontatezza non conosce limiti. Appena si presenta un rinvio a giudizio per il premier, è tutto un fiorire d’iniziative legislative o para-legislative per far si che il cavaliere davanti ai giudici non ci arrivi mai o comunque ci arrivi il più il più tardi possibile, giusto il tempo per far scattare la “meritata” prescrizione. Così, anche questa volta,  si è messa in moto, puntualissima, la solita task force giudiziario-legislativa del cavaliere. Il primo tentativo è stato quello di sollevare un conflitto di attribuzione tra i magistrati e il Parlamento. Precisiamo, intanto, per  coloro i quali non dovessero  saperlo, che il tribunale dei ministri non è diverso dagli altri, non è composto da giudici diversi da quelli dei normali tribunali. Esso è un tribunale come tutti gli altri, con l’unica particolarità che si costituisce appositamente per giudicare un ministro, in merito a reati che riguardano la sua attività di ministro. Berlusconi e i suoi sanno benissimo che il reato in questione non è un reato ministeriale. Fare una telefonata in questura per far scarcerare una minorenne che ci si è portati a casa perché non venga fuori il fango, che, di fatto, ora è sotto gli occhi di tutti, non ha nulla a che vedere con l’attività di presidente del Consiglio. L’unico motivo per cui hanno tentato, come prima cosa, di portare la competenza davanti al tribunale dei ministri, è che l’autorizzazione a procedere, la vecchia immunità parlamentare, non esiste più per i reati normali, esiste ancora solo per i reati ministeriali, per cui il tribunale dei ministri, prima di poter procedere nei confronti di un ministro, deve avere l’autorizzazione del Parlamento, che, in questo caso, sicuramente non gli darebbe. Questa è stato il primo tentativo di azione per tenere il cavaliere lontano dalla giustizia. Siccome, però, hanno talmente poca fiducia nella loro maggioranza, stanno già pensando a soluzioni alternative. Allora la prima opzione è far fare un voto diverso e meno impegnativo alle camere, che si chiama improcedibilità. Sarebbe una pronuncia delle camere, le quali dichiarerebbero di essere convinte che il presidente del Consiglio ha agito per tutelare gli interessi superiori del Paese. In questo modo costringerebbero i magistrati, e non il Parlamento, a chiedere il conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale. Quindi costringerebbero il tribunale di Milano a perdere circa un anno di tempo. Tanto ci vuole, infatti, perché la Corte Costituzionale decida sul conflitto di attribuzione. Guarda caso è proprio un anno che gli ci vuole per reintrodurre l’immunità parlamentare, che è l’altra opzione che stanno prendendo in considerazione in questi giorni. Tutti questi di cui abbiamo parlato sono solo strumenti preparatori per prendere tempo. Ancora una volta appare chiaro qual è la filosofia processuale di Berlusconi: non farsi giudicare, mentre i suoi avvocati parlamentari preparano gli strumenti perché lui davanti ai giudici non ci finisca mai. So che leggendo queste righe sale il solito senso di sconforto e d’impotenza di una politica che ormai da quindici anni è bloccata a discutere dei processi del premier, però, come direbbe Grillo, loro non si fermeranno mai. Dunque la domanda che mi faccio è: possiamo smettere noi? Possiamo noi dire adesso basta, siamo stufi, smettere di denunciare queste cose? Io credo che uno dei punti fermi fondamentali della battaglia di democrazia che sta facendo Italia dei Valori è quello di crederci. Anche a noi costa caro continuare a denunciare queste cose. Anche noi, anzi noi per primi, vorremmo parlare d’altro, vorremmo affrontare argomenti come l’economia, le riforme, a partire da quella della legge elettorale. Ma che senso ha parlare di riforme e di economia, fino a che alla guida del paese c’è qualcuno che saccheggia le istituzioni e la democrazia? E, dunque, se da un lato, purtroppo, loro non smetteranno mai, dall’altro, state tranquilli, neanche noi smetteremo mai di credere nella giustizia, nelle istituzioni e nella democrazia e di combattere perché esse tornino ad essere rispettate.

IL DEPUTATO VA DOVE LO PORTA LA PENSIONE

MontecitorioMontecitorioCari amici, oggi osserveremo il parlamentare, nel suo ambiente naturale, il Palazzo. Questa razza, che ama pascolare tra il Transatlantico e la buvette, ha nel suo Dna il rito della transumanza. Da tempo, però, gli osservatori più attenti sono preoccupati perché il rito della transumanza ha assunto ritmo frenetico e proporzioni che non si erano mai riscontrate neppure in molti decenni di studio della specie. Alcuni ipotizzano addirittura sia dovuta ai cambiamenti climatici. In realtà, da una ricerca che ho condotto in prima persona, studiandone molti esemplari e raccogliendo un grandissimo numero di dati e riscontri, posso affermare con certezza che ad aver sconvolto le placide abitudini del parlamentare non sono i cambiamenti climatici bensì i cambiamenti pensionistici. Ora mi spiego. Dalla scorsa legislatura, in un apprezzabile quanto raro sforzo anti-privilegi, la Camera dei Deputati si è mossa nella direzione che i cittadini auspicavano da decenni, rendendo molto più stringenti le regole per ottenere la pensione di parlamentare. Mentre prima, infatti, per avere la pensione bastava maturare due anni e mezzo di permanenza alla Camera, sommati anche in più di un mandato, dalla scorsa legislatura, su iniziativa della coalizione di centrosinistra, per maturare la pensione è necessario che il parlamentare rimanga in carico per cinque anni, ovvero per l’intero corso del mandato, non essendo più possibile cumulare i cinque anni in più legislature. Quello che non si era sufficientemente considerato è che il parlamentare, a parte il breve periodo della transumanza, è fondamentalmente uno stanziale, poco incline ai cambiamenti, soprattutto quanto questi comportano il trasloco da Montecitorio. Ecco allora che di fronte alla prospettiva di una seconda legislatura, dopo quella 2006-2008, che sta per finire anzitempo e, quindi, come la precedente, senza pensione, l’istinto primario alla conservazione della specie ha portato fino ad oggi ben 120 parlamentari a zompare agili e veloci da un gruppo all’altro e da uno schieramento all’altro, a seconda di chi – bada ben, bada ben - settimana per settimana, a volte giorno per giorno, dava maggiori garanzie di portare a termine il mandato. Ecco che allora, di fronte all’ipotesi di un governo tecnico, giudicata molto probabile, Fini fa il pieno di parlamentari per il suo nuovo gruppo. Qualora il governo fosse caduto, vi sarebbero state sicuramente mandrie di parlamentari pronti a intervenire passando dal centrodestra al Terzo Polo, cementando questa nuova maggioranza e garantendole i numeri per arrivare a fine legislatura. Vi ricordate che nei giorni in cui si parlava della probabile caduta di Berlusconi nessuno pronunciava la parola elezioni? Perché, da quando il sistema per il raggiungimento della pensione è cambiato, la parola elezioni, che a dire il vero non è mai piaciuta più di tanto al parlamentare, ora provoca delle vere e proprie epidemie allergiche, con rosacee pruriginose violente nei palazzi del potere. Fallito, dunque, questo tentativo, grazie ai quattrini di Berlusconi e agli errori del Terzo Polo, è tornato ad essere il presidente del Consiglio il cavallo sul quale puntare per mantenere in vita la legislatura. Ed ecco quindi la transumanza all’indietro, con il ritorno al pur sempre confortevole ovile berlusconiano. La morale della favola? Più dell’amor per l’ideale pote’ il digiuno dalla pensione. Triste ma vero: il parlamentare va dove lo porta la pensione.

NON DISTURBARE IL DITTATORE MENTRE MASSACRA

“Tutti dovrebbero rallegrarsi della nuova amicizia tra Italia e Libia sancita dal Trattato di Bengasi: e' stata chiusa una ferita ed e' iniziata una vita nuova”. Indovinate di chi sono queste parole? Ma del nostro premier Silvio Berlusconi, naturalmente. Era il 30 agosto e i due cenavano allegramente insieme. Berlusconi cantò anche una canzone… Oggi, invece, Gheddafi massacra il suo stesso popolo e fino a pochi giorni fa Berlusconi non voleva ‘disturbarlo’. ‘Disturbarlo’, proprio così’. Come quando non si chiama un amico che sta riposando perché ha fatto tardi la sera…Lo sdegno della comunità internazionale, le parole del presidente della Repubblica e le pressioni delle opposizioni,  hanno costretto anche Berlusconi ed il governo italiano a condannare il dittatore libico. D’altronde, come si fa a condannare un amico? Il feroce Gheddafi, infatti, è qualcosa di più di un capo di stato estero con cui l’Italia ha rapporti diplomatici. E’ l’inventore del Bunga Bunga (così dice Ruby Rubacuori, la nipote di Mubarak) , un maestro di vita, altro che dittatore…Ed è anche un modello politico perché da quarant’anni tiene in pungo il suo paese. La rivolta in Libia è la cartina al tornasole della nostra inconsistenza sul palcoscenico internazionale. Abbiamo accolto Gheddafi come fosse il più grande statista del mondo, gli abbiamo concesso di accamparsi nel centro di Roma e di fare i suoi show offensivi senza fiatare, anzi…, ma soprattutto gli abbiamo dato un mare di soldi, cinque miliardi di dollari, per la firma del trattato Italia Libia, e ci siamo fatti garanti della Libia presso l’Unione Europea ed abbiamo taciuto sulla drammatica situazione dei diritti umani in Libia. Errori su errori. I flussi migratori verso l’Italia non si sono fermati, ma proseguono ad ondate e ieri, addirittura, il dittatore di Tripoli nel suo folle discorso ha accusato l’Italia di armare i rivoltosi. Diciamoci la verità, il governo Berlusconi ha fatto precipitare il prestigio ed il peso internazionale dell’Italia. Non contiamo più nulla, neanche nello scacchiere mediterraneo, dove, fino a qualche anno fa, eravamo fondamentali. Anche per questo bisogna mandare a casa Berlusconi, l’amico dei dittatori sanguinari.

MILLEPROROGHE, QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO CONTRO LA COSTITUZIONE

E alla fine con un milleproroghe indegno pasticcio fu, nel metodo e nel merito. Nel merito: non era mai accaduto nella storia della Repubblica che un provvedimento giungesse all’esame dell’Aula, senza il vaglio del Senato e della Camera. Non era mai accaduto nella storia della Repubblica che un governo ed una maggioranza facessero strame della Costituzione in modo così palese e volgare. Opposizioni umiliate, Parlamento vilipeso nelle sue funzioni e prerogative. Nel merito: le misure del milleproroghe, ovvero un delirio di aggravio per le tasche dei cittadini, favori a lobby e società di proprietà del premier e ad aumentare i costi della politica. Nello specifico: il regalo agli allevatori che hanno violato la legge imposto dalla Lega, il consistente regalo alle banche, il favore reso a Mediaset, con la norma  sul divieto di incroci fra stampa e tv, la nuova tassa sul cinema, in base alla quale le agevolazioni fiscali a favore dei produttori cinematografici saranno pagate dagli spettatori, la tassa sulle calamità naturali, che prevede che le regioni vittime di catastrofi dovranno aumentare le tasse ai cittadini. Per non parlare dell'aumento di consiglieri comunali ed assessori nelle grandi città, chiesto da Alemanno per mantenere in piedi la sua giunta. Questo fino a lunedì. Poi, l’intervento di Napolitano, di una durezza senza precedenti: il decreto milleproroghe presenta profondi e irreparabili vizi di costituzionalità. In Aula, una maggioranza imbambolata che non sa che pesci prendere. Italia dei Valori è la prima a chiedere di interrompere una discussione farsa, di porre fine alla presa dei fondelli della democrazia. Le altre opposizioni si accodano alla nostra richiesta. Ieri, martedì, arriva in Aula il ministro dell’Economia Tremonti che annuncia la disponibilità del Governo a modificare il decreto milleproroghe, modifiche irrilevanti nei fatti, che lasciano in piedi tutte le questioni da noi denunciate, ovvero, banche, tassazione dei fondi di investimento, tutta una serie di misure sbagliate che non hanno avuto un iter parlamentare. Ieri, dopo ore ed ore di imbarazzanti stop and go, il governo presenta un maxiemendamento e annuncia di porre la fiducia. Berlusconi non ci mette la faccia, si sfila e scarica la palla sul ministro dell’Economia. Nella sostanza, niente è cambiato. Il Governo ha sostanzialmente ignorato l’appello del Colle, costringendo il Parlamento al voto di fiducia su un provvedimento che rimane palesemente e irrimediabilmente incostituzionale. Nonostante il monito di Napolitano, viene ancora calpestata la democrazia parlamentare. Il governo e la maggioranza hanno utilizzato un provvedimento di proroga dei termini per presentare una sorta di “pseudo-finanziaria”, vietata dalla Costituzione. Questa è la democrazia ai tempi di Berlusconi.

IL FASCINO MALEFICO DELL’IMMUNITA’ PARLAMENTARE

Immunità, che bella parola. Suona così suadente alle orecchie sensibili di molti parlamentari…Immunità parlamentare, l’ultima trovata per salvare Berlusconi dai processi. Il più insidioso dei cavalli di troia che la maggioranza sta escogitando per non far processare Berlusconi perché non varrebbe solo per lui naturalmente, ma per tutti i parlamentari italiani. Una sorta di ‘liberatutti’ che esercita un fascino malefico su tanti partiti ed apre crepe persino nell’opposizione. ‘Va beh parliamone, in fondo era già prevista dalla Costituzione’, ‘se ne può discutere alzando il quorum…’, ‘la volontà dei padri costituenti era chiara…’ ed altre amenità del genere. Lo scopo? Ma l’impunità totale, naturalmente. E’ vero che l’immunità era prevista dall’erticolo 68 della Costituzione, ma chi tira in ballo i padri costituenti dimentica di dire che era prevista per impedire che soggetti politici deboli, delle opposizioni, potessero essere perseguitati a scopi politici. Memori dell’esperienza fascista, volevano tutelare i rappresentanti del popolo in casi eccezionali. Una garanzia contro il ritorno dei regimi. Così la intesero, ma poi arrivò la partitocrazia e tutti se ne scordarono, rendendo l’immunità uno strumento di difesa della Casta. Il parlamento non si è mai dimostrato capace di scindere la funzione costituzionale, che andava al di là degli schieramenti politici, dalla difesa di casta. Basti pensare ai casi Cosentino, Matteoli, Bossi, Scajola, solo per citare i casi in cui le camere hanno respinto la richiesta di autorizzazione a procedere. Oggi la situazione è evidentemente inquinata dal ‘fattore B’, ma non solo. La politica dovrebbe fare una seria riflessione su se stessa. I parlamentari godono di privilegi e favoritismi di ogni genere, il parlamento non fa nulla per ridurre i costi della politica e gli sprechi, mentre i cittadini soffrono il peso di una crisi economica gravissima. Chi parla oggi dell’immunità parlamentare come di una priorità, lo vada a spiegare a chi ha perso il lavoro, a chi non  riesce a trovarlo, a chi arranca per arrivare a fine mese. Non è demagogia questa, è, purtroppo, la semplice realtà di un paese che è monopolizzato da Berlusconi e dai suoi processi. Per questo chi, oggi, ha l’insensatezza di tirar fuori dal cilindro la proposta di reintrodurre l’immunità parlamentare, merita il pubblico disprezzo.

FEDERALISMO, E' GIA' SPERPERO DI DENARO

I tagli alle università non sono un mistero, così come non lo è il fatto che la maggior parte dei ricercatori del nostro paese rimane al verde. Nella riforma Gelmini, però, quei soldi che non si sono trovati per finanziare la ricerca, spuntano miracolosamente fuori per coprire una spesa assai particolare: l’insegnamento del federalismo ai dirigenti degli enti locali. Sì sì, avete capito bene. Quella riforma che fa acqua da tutte le parti, quel testo irricevibile per far passare il quale il governo ha scavalcato Parlamento e bocciatura del Colle, sarà insegnato ai dirigenti per la modica cifra di dieci milioni di euro. Due milioni l’anno per cinque anni, è scritto nero su bianco, nel testo dell’altra riforma scandalo frutto di questo governo, la riforma Gelmini. All’articolo 28 della stessa si legge che questi soldi servono “per concedere contributi per il finanziamento di iniziative di studio, ricerca e formazione sviluppate da università” in collaborazione “con le regioni e gli enti locali”, in vista “delle nuove responsabilità connesse all’applicazione del federalismo fiscale”. Università, pubbliche e private, si intende. Quel che è più curioso è che la riforma Gelmini non prevede un concorso pubblico per accedere a quei fondi. No, sarà deciso tutto dal ministro dell’istruzione. E dire che all’Italia dei Valori questa…chiamiamola anomalia non era sfuggita. Ci eravamo chiaramente espressi in Aula dicendo che “in un momento in cui non si trova la copertura dei soldi previsti per i ricercatori, si trovano per fare corsi sul federalismo”. E dire, inoltre, che esistono già le strutture appositamente create ed anche già finanziate dallo Stato, per formare gli amministratori. Dieci milioni di euro, insomma, che sembrerebbero buttati al vento, se non fosse per il forte sospetto che si tratti di lottizzazione politica dei finanziamenti. Già, un’altra vergognosa norma emessa quasi in sordina dalla maggioranza, grazie anche al voto del Partito Democratico.

PARLAMENTO, IL LAVORO PREMIA IDV

C’è gruppo e gruppo. Deputato e deputato. Openpolis è un gruppo di ricerca che monitora l’attività parlamentare valutando la produttività dei gruppi parlamentari e dei singoli deputati. Ebbene, oggi il rapporto di Openpolis, diche che i gruppi parlamentari di Camera e Senato dell’Italia dei Valori sono i più produttivi del Parlamento. Alla Camera dei Deputati il nostro indice è 224,3, seconda la Lega, ferma a 142,7. Al Senato 257,2, segue l’Udc, con 190,6. Lungi da me voler celebrare qui oggi, sul mio blog, i fasti dell’Italia dei Valori. Traggo spunto da questa classifica, che non nascondo mi inorgoglisce e non poco, per fare alcune considerazioni. Non c’è solo il riconoscimento al nostro lavoro svolto, sia alla Camera come al Senato. Questi dati indicano, con ragionevole equilibrio, non solo la quantità ma anche la qualità del lavoro svolto dall’Italia dei Valori nei due rami del Parlamento. I dati di Openpolis non vanno presi per verità assoluta, certo, non sono una classifica esatta, va bene, ma senz’altro un indicatore attendibile di quanto lavoro si fa. E in un Parlamento bloccato dall’immobilismo del governo e della maggioranza il nostro risultato brilla ancor di più per eccellenza ma non solo. I dati di Openpolis smentiscono clamorosamente tutte quelle voci, e sono tante, che da sempre ci accusano di essere una forza di opposizione che sa solo protestare in piazza. Nelle condizioni date, Italia dei Valori, invece, si attesta come forza politica che lavora sodo nelle istituzioni. Ricordo qui, a voi e non solo, che Italia dei Valori è stata l’unica forza di opposizione in Parlamento, che si è presa la briga di presentare una controrelazione di minoranza alla Finanziaria. Ogni volta che abbiamo criticato una legge, infatti, non ci siamo limitati alla parte destruens, ma abbiamo proposto l’alternativa, la pars costruens, ovviamente puntualmente ignorata dalla maggioranza. Il Pdl vorrebbe metterci all’angolo, a noi più di tutti, facendo credere alla gente che siamo quelli dell’opposizione fine a se stessa. Non è così, e Openpolis lo dimostra. Un plauso speciale al collega ed amico Antonio Borghesi, vicepresidente del nostro gruppo parlamentare, che vince la palma d’oro di Montecitorio con uno score di 780. E’ il parlamentare con l’indice di produttività più elevato. Merita un plauso, perché insieme a tutto il gruppo ha coniugato quantità e qualità. Orgogliosi di questo risultato, stimolo ad andare avanti e a fare di più e meglio. A cominciare dalla battaglia referendaria che ci ha visto soli protagonisti assoluti e chi ci impegnerà, anima e corpo, in questa primavera di rinascita.