aprile 2010

IDV PERNO DELLA NUOVA ALLEANZA

alleanzealleanze

Una fase costituente. E´ questo quello che ci attende nei prossimi mesi. E´ il momento di farsi promotori di una grande apertura e discussione politica che deve avere al centro della riflessione una reale fase di rinnovamento e cambiamento del panorama politico italiano. Cambiamento significa innanzitutto rinnovamento della classe dirigente. E’ ora di mandare a casa un ceto politico immobile da trent’anni. Ed anche nel territorio  bisogna superare quei califfati locali che, specie nel sud, hanno amministrato male quando non sono finiti direttamente in galera. Ma una cosa è certa: la grande sfida deve partire dalla costruzione di una coalizione di centrosinistra coesa e compatta e capace di vincere le elezioni. Un´alleanza in grado di convincere più della metà degli italiani che dare un voto a questo progetto significherà che i partiti che lo sottoscriveranno saranno poi compatti e uniti nel realizzarlo. Solo così il centrosinistra potrà riprendersi la guida del paese. IDV si farà promotore di questa fase costituente ma deve essere chiaro che il primo interlocutore di questi dialogo non può che essere il PD. Nessuno di noi è innamorato del PD (non lo sono nemmeno i suoi elettori, figurarsi noi) ma la politica è progettualità e sogno che si coniuga con la realtà. E non è possibile costruire nessun progetto di rifondazione del centrosinistra che non parta dall’incontro tra PD e IDV. Starà a noi e alla nostra determinazione saper contagiare/obbligare anche il PD a percorrere la strada del rinnovamento. Poi cercheremo altri compagni di viaggio. La sinistra radicale, SEL compresa, deve ancora dimostrare di aver chiuso con vecchie ideologie post comuniste fatte della vecchia formula “più spesa e più tasse” che ha affossato la coalizione ed il governo Prodi. Quanto a Beppe Grillo. Molti sono i punti di contatto politici e valoriali con Italia dei Valori ma c´è un punto che al momento ci divide e che in politica vale un abisso. Noi in questi anni ci siamo assunti la responsabilità di passare dalla fase di movimento a quella di partito, ci siamo assunti la responsabilità di governare, scegliere e stringere alleanze. La strada di Grillo è una scelta che sarebbe la più facile anche per noi. E´ quella di vedere soltanto il marcio che c’è sia a destra che a sinistra per dire: "è tutto uguale, è tutto da buttare". Questa è la strada della non assunzione di responsabilità, è la scelta di testimoniare la propria purezza costi quel che costi. Ci si può vantare di avere impedito che andasse al governo della regione un centrosinistra pro-tav, ma bisogna avere la consapevolezza che poi la Tav si farà lo stesso e per di più il Piemonte si ritroverà per cinque anni a capo della regione la lega ed  un presidente come Cota. Sono convinto che prima o poi anche Beppe Grillo dovrà assumersi la responsabilità di garantire, assieme ad altri partiti, in una logica di coalizione, il governo del paese o delle realtà locali. A quel punto, quando lo farà, sarà già in Idv oppure l´unione tra Idv e Grillo sarà cosa fatta. Anche perché noi ci dobbiamo porre l’obiettivo non solo di rimotivare i delusi del centrosinistra, ma anche di interpretare le speranze dei tanti elettori per bene del centrodestra ingannati e delusi sia dalla Lega che dal Pdl. Quindi o questa nuova coalizione avrà una capacità di intercettare anche questo voto oppure, per quanto saremo capaci di rimotivare i delusi del centrosinistra, saremo condannati a perdere per i prossimi 20 anni.

COTA E ZAIA: I NUOVI TORQUEMADA

 

Cota e Zaia, Governatori Piemonte e VenetoCota e Zaia, Governatori Piemonte e Veneto

La vittoria dà alla testa. Forse è il caso che qualcuno spieghi ai neo-governatori Zaia e Cota che il governatore di una regione ha enormi poteri ma non quello di porsi al di sopra o al di fuori della legge. Si dà il caso, invece, che tra i compiti di un governatore ci sia quello di far rispettare la legge. Dunque, se la pillola abortiva Ru486 ha superato tutti i gradi di giudizio delle varie commissioni tecnico-sanitarie, preposte alla valutazione della sua applicazione dal punto di vista medico-scientifico, non si può impedirne la distribuzione nelle strutture sanitarie regionali. Mettersi di traverso certo si può. Non sarebbe la prima volta che la politica, con arroganza e protervia, decide di interferire con i più elementari principi di rispetto dei diritti. Se si decide di farlo, però, si deve sapere che si commettono una serie di violazioni non di poco conto. Innanzitutto, in questo caso, si commette una violazione della legge 194 che, in tema di aborto, stabilisce l’obbligo per le regioni di promuovere l’uso delle tecniche più moderne e meno rischiose per la salute delle donne. Esattamente quello che fa la pillola Ru486. Dunque, dovere di un presidente di regione, come Zaia e Cota sono stati chiamati ad essere, è superare le proprie convinzioni morali ed etiche e, in maniera laica e a-confessionale, lavorare per garantire a tutti i loro amministrati, anche a quelli che non li hanno votati, la miglior assistenza sanitaria e tutela alla salute possibile, che rientra nei principali compiti delle regioni. Anteponendo al bene e alla salute dei cittadini le proprie convinzioni etiche e morali si tradisce il mandato che si è stati chiamati a ricoprire. E’ nei diritti dei cittadini Zaia e Cota essere per la vita e contro l’aborto ma non nei loro doveri di politici e governatori. Agiscano conseguentemente alle loro convinzioni etiche nella loro vita di uomini, ma non in quella di amministratori. Non parliamo, poi, della palese violazione della dignità e della libertà delle donne. Sono passati secoli eppure c’è ancora chi, novello Torquemada, consuma battaglie ideologiche sul corpo delle donne, con un linguaggio inusitato, rozzo e volgare, non da uomini delle istituzioni, ma da padroni, da imperatori di terre lontane. Francamente, la prima uscita ufficiale dei nostri novelli governatori delude e non poco. Con tutti i problemi che affogano due regioni importanti come il Piemonte ed il Veneto, ci aspettavamo qualcosa di meglio. L’industria piemontese, Fiat in testa, è piegata in due da una recessione economica spaventosa. In Veneto, ci sono più imprese in bancarotta e sull’orlo della chiusura che canali nella città del doge. Eppure, la prima esigenza della Lega è pagare dazio al Vaticano, baciare la pantofola pontificia che preme sull’uscio. Ma la Lega non era il partito che non guardava in faccia a nessuno, che non aveva padroni, che conosceva bene i problemi della gente e che aveva solo gli interessi dei cittadini nel cuore e nell’agenda di governo? Oibò, la Lega si è svegliata democristiana?

BUONA PASQUA A TUTTI

Auguri di Buona PasquaAuguri di Buona Pasqua

Almeno una buona notizia c’è. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha rinviato alle Camera il ddl lavoro del governo, quella che avrebbe consentito di aggirare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori attraverso il ricorso all’arbitrato nelle controversie di lavoro. Due sono i rilievi mossi dal Colle, gli stessi che avevamo mosso noi dell’opposizione in Parlamento: la palese violazione dell’articolo 24 della Costituzione, quello che garantisce il ricorso al giudice per la tutela dei propri diritti, e l’esonero dei vertici della Marina militare dalle responsabilità per i danni provocati sulla salute dei marinai dall’esposizione all’amianto contenuto nelle navi. Con questo atto, Napolitano ha bocciato l’arroganza del governo che ha tentato, con una legge guazzabuglio piena di norme astruse e incoerenti riferite alla materie più disparate, di sopraffare i diritti dei più deboli. La legge infatti, prevedeva la possibilità di ricorrere all’arbitro non solo al momento in cui insorgesse una controversia, ma anche al momento della stipulazione del contratto di lavoro, con un’apposita clausola. Roba da medioevo del diritto del lavoro. Con questo rinvio alle camere, ha vinto l’opposizione, che aveva denunciato questo abominio giuridico, ha vinto la Cgil, che si era mobilitata contro il provvedimento. Ha perso il governo, sordo ai nostri rilievi, a quello dei sindacati e a quelli di molti giuristi. Speriamo che questo rinvio sia la prima pagina di un nuovo Quirinale, più attento e solerte a difendere il paese dagli abusi e dagli eccessi di questo Governo.

Buona Pasqua di cuore a tutti.

RIFORME VERE NON INCIUCI DI BASSA LEGA

NapolesconiNapolesconi

Voi affidereste i vostri risparmi alla banda Bassotti?  E’ la domanda che mi frulla in testa da quando è cominciato il balletto delle riforme. Il paragone può sembrare semplicistico o impertinente ma la questione è: voi affidereste, serenamente e pacatamente, le riforme costituzionali al Pdl e alla Lega? Quello che preoccupa, al di là di strategie golpiste o meno, è che le riforme costituzionali verrebbero di fatto affidate a due partiti che non hanno una visione complessiva ed alta dello Stato. Da una parte, infatti, c’è il Pdl che ha una visione di riforma monoteista, che gira intorno ad un uomo solo, Berlusconi, che smania per il presidenzialismo, non perché lo ritenga la forma migliore di governo, ma perché gli garantirebbe poteri assoluti e lo svincolerebbe dal fastidioso controllo di altri organi a garanzia della democrazia,  presidenza della Repubblica e Corte costituzionale in testa. Con una visione così miope ed egoistica c’è il forte rischio di deragliare alla prima curva pericolosa. Il presidenzialismo di Berlusconi per Berlusconi è una follia impraticabile, dannosa e pericolosa. Dall’altra parte, c’è la Lega che, ringalluzzita dall’ottima perfomance elettorale, lancia l’Opa sulle riforme e dice che esse spettano di diritto al perito elettrotecnico Bossi e al dentista Calderoli, il leader che voleva usare il tricolore come carta igienica e il ministro che portava il maiale a passeggio sul terreno per la moschea. Due esempi fulgidi che ci ricordano l’alto senso dello Stato e delle istituzioni e la politica illuminata, moderna e riformatrice della Lega, detentrice di quella sensibilità culturale che l’ha portata, negli anni, a costruire steccati ideologici su tutto, immigrazione, concorrenza e libero mercato. Insomma, con queste premesse, fatte di miopia ed egoismo, rischiamo di volare basso e di brutto, anzi di non riuscire neanche ad alzare la testa. Con questa visione di corto respiro il disegno di riforma costituzionale rischia di fare la fine dei fagiani durante la stagione della caccia. Noi, per il momento, restiamo a guardare nella speranza che facciano sul serio. Né apertura totale, né chiusura preconcetta ma con il ruolo e la coscienza critica che ci contraddistinguono da sempre. Sulle intercettazioni, sul presidenzialismo alla Berlusconi e sulla magistratura sottoposta al controllo dell’Esecutivo, tanto per capirci, non facciamo sconti. Ma se all’orizzonte si prefigurasse davvero una riforma del sistema fiscale in senso più equo, una riduzione del numero dei parlamentari, un patto anticorruzione bipartisan sul modello di quello realizzato in Spagna da Zapatero, dopo l’ondata di scandali che ha travolto la Spagna, ci faremo in quattro per portarle avanti ma alla luce del sole. Sul piatto della bilancia, solo l’interesse del Paese, non accordicchi che puzzano di merce di scambio.

SULLE RIFORME FANN0 IL GIOCO DELL'OCA

Non ci vuole poi molto a fare le riforme quando si hanno le idee chiare. Non capisco perché in questo strano paese ogni volta che si affronta questo argomento, sembra di giocare al gioco dell’oca: punti l’obiettivo, tiri il dado, fai un giro e poi ritorni al punto di partenza. Nel frattempo, sono passati vent’anni, gli altri paesi crescono e noi restiamo a guardare. Da noi si naviga a vista, le lunghe rotte e le grandi scoperte le lasciamo agli altri. In Italia, dunque, si è aperta ufficialmente la stagione delle riforme e sembra quasi che basti la parola per far sentire tutti appagati riformisti. Con l’aria che tira e le premesse che circolano, a cominciare dagli stracci in faccia  che volano nella maggioranza per l’incoronazione del futuro comandante delle riforme, sarà una stagione oscena. Noi proseguiamo per la nostra strada, convinti come siamo che la rotta riformista tracciata nel nostro primo congresso nazionale sia la direzione giusta da prendere. Leggi anticorruzione, come quelle lanciate ieri da Travaglio, sono la premessa della nostra rivoluzione riformista. Anzi, sono il nostro Dna costitutivo. Abbiamo depositato molte proposte di legge in tal senso, perché convinti da sempre che solo una classe politica credibile può proporre riforme credibili. La maggioranza ha solo l’imbarazzo della scelta con Italia dei Valori. Ma tutte le leggi anticorruzione del mondo da sole non bastano. Sono uno straordinario punto di partenza, certamente ineludibile per un Paese dove la corruzione ogni anno si mangia 60 miliardi di euro. Ma occorre andare oltre, osare di più, se davvero si vuole avviare una vera rivoluzione riformista che punti al bene del Paese e che ponga la ricerca dell’equilibrio come faro e guida del suo percorso. Serve un Parlamento più snello, con una sola Camera, un Senato federale e la riduzione del numero dei parlamentari. Serve snellire le procedure parlamentari, a partire da quelle relative al voto, riconducendole in alcuni casi alla sola Aula. Serve un sistema fiscale più equo che vada di pari passo ad una lotta all’evasione fiscale senza tregua. E’ una vergogna che nel nostro paese vi sia un sistema di tassazione che prosciuga gli onesti, mentre i disonesti riescono bellamente a farla franca e ad arricchirsi sempre di più. Serve fare bene il federalismo, a cominciare dai suoi decreti attuativi, per renderlo solidale e non egoistico come vorrebbe la Lega “che ha messo l’Italia su un tavolo di anatomia patologica per segarla a pezzi”. Serve una serie legge sul conflitto di interessi, se davvero si vuole parlare di presidenzialismo vero, semi o intero che sia, ed evitare quello di stampo sudamericano che vorrebbe tanto Silvio Berlusconi. Serve equilibrio, buona volontà e saggezza. Ce ne è abbastanza per i prossimi tre anni. Ma non facciamone passare altri dieci.

UN REFERENDUM PER OGNI LEGGE AD SILVIUM

referendumreferendum Il legittimo impedimento è legge dello Stato. Il presidente della Repubblica ha firmato e noi ne prendiamo atto. Non abbiamo mai mancato di far conoscere la nostra opinione ma, a questo punto, credo sia doveroso andare oltre ed interrogarsi sulle risposte politiche da dare al Paese. L’unica risposta possibile per noi, al momento e nelle condizioni date, è rispondere con un referendum ad ogni legge scellerata che questo governo propinerà al paese. Se questo governo e questa maggioranza proporranno altre dieci, cento, mille leggi ad personam, noi proporremmo altri dieci, cento, mille referendum per dire no. Lo devono capire anche i nostri amici alleati e glielo diciamo chiaramente. Se, solo per un istante, abbassiamo la guardia e lasciamo passare indenni i continui strappi e le ennesime spallate ai valori di giustizia, libertà, uguaglianza che questo governo con la faccia tosta che si ritrova infligge al paese, ci giocheremo per sempre  i valori fondanti della nostra democrazia e del nostro Paese. Se smetti, anche solo una volta, di difendere i principi in cui credi, li hai buttati via per sempre. E’ l’anomalia Berlusconi che ci obbliga a farlo. E’ il suo modo di concepire la politica, ponendo gli interessi privati davanti a quelli pubblici, l’esatto opposto del concetto di buon governo che abbiamo in mente noi di Italia dei Valori, che ci obbliga a farlo. Altre mostruosità giuridiche ci attendono dietro l’angolo, in agguato. Alcune di queste già bussano alla porta e mi riferisco al presidenzialismo di stampo sudamericano che ha in mente Silvio e alla sua ossessione di porre i pm sotto il controllo dell’esecutivo. Alfano e Ghedini sono già al lavoro per studiare il nuovo lodo in veste costituzionale e per legare le mani dei pubblici ministeri. Ebbene, per ogni legge ad silvium che c’è dietro l’angolo, ci sarà un referendum di IdV a sbarrargli la strada: i valori ed i principi fondanti della nostra democrazia per noi non sono in vendita e li difenderemo con le unghie e con i denti.

CRISI: I NODI VENGONO AL PETTINE

Berlusconi-TremontiBerlusconi-Tremonti

E’ sensato progettare la costruzione di un castello in mezzo ad un’area piena di macerie? E’ sensato parlare di grandi riforme ad un Paese con le gambe rese sempre più doloranti dal peso della crisi economica? E’ quanto, di fatto, sta facendo, al momento questo pittoresco governo, affannato nel tentativo di salvare una faccia, ben lontana dall’arrossire anche di fronte all’evidenza. Di certo ci sono i dati. Ieri l’Istat ha parlato chiaro dei redditi familiari del Paese, i più bassi da vent’anni a questa parte. Poi ci sono le notizie da prendere con la dovuta prudenza, perché rimangono indiscrezioni, per altro smentite dal nostro ministro dell’economia, per quanto provenienti da ambienti governativi: un buco di 4-5 miliardi, cui l’esecutivo penserebbe di porre rimedio con una sorta di manovrina, un anticipo sulla manovra 2011. Ora, provando a schiarirci gli occhi appannati dalla nuvoletta di ottimismo sapientemente messa su dal governo, cerchiamo di avere il massimo dell’equilibrio nell’analizzare la situazione. A dicembre è stata approvata una manovra finanziaria, su cui il governo ha evitato ogni possibile invasione di campo da parte delle opposizioni, trincerandosi dietro la sua arma preferita, quella della fiducia, contro la quale niente è servito. Oggi, ad appena quattro mesi di distanza, circolano voci su una possibile manovrina per pareggiare i conti che non tornano. Tremonti smentisce. Ma è lo stesso Tremonti che, meno di un mese fa, diceva, testuali parole: “Tutti i soldi che avevamo li abbiamo investiti per la tenuta sociale e grazie a questo ora il nostro paese non è percorso da una crisi sociale”. Parole. Solo parole smentite in modo schiacciante dai dati. 1 marzo: dall’Istat si apprende che il Pil del 2009 è il più basso dal 1971. 31 marzo: è sempre l’Istat a rendere noto che a gennaio la disoccupazione ha raggiunto un tasso di 8,6%, il dato peggiore mai registrato dal 2004. Mi fermo qui, perché credo sia sufficiente. Ad occhi ben schiariti e lontani dal voler polemizzare, la conclusione è una sola: a questo punto c’è una ragionevole ed istituzionale esigenza di chiarezza, anche perché i mercati europei non possono certo barcamenarsi nel buio come stiamo facendo noi. Dubbi e incertezze non sono accettabili in un campo come quello dell’economia. Se pure le proteste continuano a provenire non solo dall’opposizione, ma dallo stesso centrodestra, i cui sindaci ieri sono scesi in piazza a lamentare carenza di soldi e chiedere aiuto a chi occupa le poltrone del potere, noi ne abbiamo francamente abbastanza di contestare il comportamento poco ortodosso di questo governo. Almeno intendiamo non farlo a parole. Ora attendiamo che il governo venga a riferire in Parlamento per fare chiarezza su quanto è avvolto dal dubbio. Il ministro Tremonti non può tirarsi indietro. Per motivi istituzionali dovrà ricoprire il suo ruolo, assumersi le responsabilità politiche che gli sono inscindibilmente legate. Una volta per tutte, dovrà far coincidere le parole con i dati.

LIBERIAMO L'ITALIA DALL'ATOMICA

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Il vertice di Praga è una svolta storica. Usa e Russia siglano un accordo sulla riduzione degli arsenali nucleari, lo Start2, chiudendo definitivamente l’era della ‘Guerra Fredda’. Le testate nucleari a disposizione delle due superpotenze saranno ridotte sensibilmente e riprenderanno le ispezioni reciproche. Obama e Medvedev dicono “adesso il mondo è più sicuro”. Bene. L’incubo della guerra atomica ha condizionato due generazioni, cresciute in un clima da ‘the day after’. E’ tempo che anche l’Italia sia definitivamente liberata da quest’incubo e che il nostro territorio sia off limits per le testate nucleari. Pur avendo firmato il trattato di non proliferazione delle armi nucleari, il nostro Paese ospita un centinaio di testate atomiche della Nato. Con tutte le conseguenze che ne derivano. La questione è ovviamente top secret, ma nota da decenni e come scrive la Stampa secondo il dossier ‘Us nuclear Weapons in Europe’ in Italia sarebbero dislocate quasi cento bombe B61. Secondo fonti semiufficiali queste bombe sarebbero a disposizione anche dei Tornado italiani, quelli del 6 stormo di Ghedi, i ‘Diavoli Rossi’. La vecchia dottrina nucleare della Nato prevedeva, infatti, che i nostri cacciabombardieri, naturalmente autorizzati dagli Usa, bombardassero con armi nucleari tattiche le forze corazzate del Patto di Varsavia in caso di invasione. Ora lo scenario è cambiato, la guerra fredda è finita e le bombe devono essere rimosse dal suolo italiano. Troppi i rischi. Ho presentato un’interrogazione parlamentare (ecco il testo) al ministro della Difesa per sapere quante testate atomiche sono presenti sul nostro territorio, di che tipo, da quali forze sono utilizzabili e quali sono i criteri di sicurezza. E soprattutto: esiste un piano di evacuazione delle aree a rischio? Sono domande legittime per tutelare la salute pubblica, l’ambiente e la nostra sicurezza. La guerra fredda è finita, liberiamo l’Italia dalla paura atomica.

INFORMAZIONE, DOVE ANDREMO A FINIRE?

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C’era una volta il primo telegiornale del servizio pubblico. C’era una volta un Tg1 il cui pane quotidiano era la dialettica tra le varie sensibilità. C’era una volta il primo giornale della Rai, che era patrimonio di tutti i professionisti che ci lavoravano per garantire ai cittadini la corretta informazione. Cosa rimane di tutto questo? Proverò a rispondere non con parole mie, ma con quelle di chi sta dentro alla macchina, con le affermazioni di quei giornalisti che hanno avuto il coraggio ed evidentemente hanno sentito il dovere morale, di dire pubblicamente la loro. Del primo giornale della Rai rimane “un clima insostenibile in redazione. Non più dialettica tra le varie sensibilità”. Un direttore che osa tanto “quanto nessuno aveva mai osato in 21 anni”. Un giornale “schierato quanto mai prima, dove non si parla più della vita reale, dei problemi dei cittadini, di chi ha perso il lavoro, di chi non ce la fa, dei cassintegrati, dei precari della scuola”. Sono testuali parole estratte da un’intervista rilasciata da Maria Luisa Busi e pubblicata da Repubblica il primo aprile scorso. Oggi abbiamo nuove informazioni esplicite e dirette di quanto sta accadendo all’interno della testata. A parlare, sempre in un’intervista a Repubblica, è Tiziana Ferrario,  nome e volto storico del Tg1: “Quello che sta accadendo da mesi in questo giornale, le emarginazioni di molti colleghi, i doppi e tripli incarichi di altri, le ripetute promozioni e le ricompense elargite sotto forma di conduzioni e rubriche, sono il frutto di una deregulation che viene da lontano ma che si è ulteriormente inasprita e che a mio parere non promette nulla di buono per il futuro e ci sta portando ad una perdita di credibilità". La Ferrario, dopo una serie di altre denunce molto pesanti, conclude Dicendo che "Il Tg1 è un patrimonio di tutti quelli che ci lavorano e non solo di alcuni giornalisti che vorrebbero appropriarsene facendo fuori professionalmente gli altri. Anche questo non porterà nulla di buono, perché la credibilità del Tg1 nel passato era data proprio dalla ricchezza delle tante sensibilità culturali presenti in redazione, e dalla sintesi delle riflessioni che ne nascevano". Mi esimo dal commentare, così come non ho voluto esprimere opinioni personali riguardo al Tg1, innanzitutto perché credo che le idee di chi ci lavora siano ben più autorevoli ed attendibili delle mie. In secondo luogo perché non voglio parlare oltre contro un sistema su cui più volte in passato mi sono già chiaramente espresso su questo blog. Vorrei che lo faceste voi, esponendo il vostro punto di vista al riguardo. Concludo con le parole dell’Usigrai, sindacato dei giornalisti Rai, che,  riferendosi a colui che da circa un anno è a capo della redazione del tg1, ha parlato di “delirio di un direttore”.

SUL SALVA-LISTE ARMIAMOCI E… PARTITE

Vendesi RepubblicaVendesi Repubblica

Massimo D’Alema: “Un atto di arroganza senza precedenti per cambiare le regole del gioco, un insulto a tutti i cittadini italiani”. Dario Franceschini “Democrazia violentata, subito in piazza”.  Pierluigi Bersani: “Un trucco vergognoso, si fanno le regole da se. Faremo una mobilitazione nelle sedi giurisdizionali, fino alla Corte Costituzionale. Sul decreto salva liste terremo alta la denuncia''. Questo è quello che illustri esponenti del Pd, all’indomani della legge porcata del governo, dicevano a proposito del decreto salva liste. Oggi, alla Camera, è iniziata la discussione generale sulla conversione del decreto che tanta indignazione ha suscitato nelle fila dell’opposizione. Italia dei Valori, coerentemente a quanto denunciato un mese fa, ha scelto di fare ostruzionismo in Aula. Il decreto salva liste era ed è una porcata colossale: con questa legge, si stabilisce che, in futuro, anche la più grave ed arrogante violazione delle regole può essere aggirata senza ostacoli e la si può sanare senza difficoltà alcuna. Basta solo un po’ di fantasia e furbizia. Ebbene, stamane, ci siamo accorti di essere soli a batterci contro questa legge. Le altre opposizioni, Pd e Udc, hanno deciso di non intervenire. Ognuno sceglie il suo modo di fare opposizione, per carità. Viene, però, da domandarsi dove sia la coerenza di Pd e Udc e se anche loro, come noi, pensano che in politica la coerenza sia un valore che fa la differenza. Se una legge è sbagliata perché è una palese violazione delle regole va fermata, non lo si fa solo a parole e poi, quando c’è da passare ai fatti, si lascia il campo di battaglia vuoto. E’ come dire, armiamoci e… partite. O forse qualcosa di peggio. Lungi da noi il voler gettare croci preconcette addosso al Pd ma la vista di un emendamento, che non c’entra niente tra l’altro con il decreto in esame, ci ha destate non poche perplessità e qualche dubbio. Il governo ha inserito, proprio questa mattina, nel decreto legge un emendamento che, di fatto, con una sorta di interpretazione autentica, sana “ex post” i governatori al secondo mandato. Insomma, detto fuor di metafora, se qualcuno volesse dare battaglia al terzo mandato di Formigoni ed Errani, può mettersi il cuore in pace perché l’emendamento in questione li mette al riparo. Come diceva qualcuno, a pensare male si fa peccato ma qualche volta ci si azzecca. Sarà malizia la nostra ma una cosa è certa: a fare opposizione in Aula oggi c’è solo Italia dei Valori.

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IL GOVERNO E' STATO BATTUTO ALLA CAMERA SUL DECRETO SALVA LISTE. AL PRIMO VOTO, SULL'EMENDAMENTO SOPPRESSIVO DELL'INTERO PROVVEDIMENTO, LA MAGGIORANZA SI E' SCIOLTA COME NEVE AL SOLE. MERITO ANCHE DI IDV CHE DA STAMATTINA HA FATTO OSTRUZIONISMO. SARANNO PURE CAPACI DI VINCERE LE ELEZIONI MA NON HANNO LA DIGNITA' DI GOVERNARE.

IDV STA CON EMERGENCY E GINO STRADA

   Durante la guerra in Georgia, nell’agosto del 2008, il ministro degli Esteri Franco Frattini seguiva l’invasione dei tank russi per telefono dalle Maldive. Durante l’invasione di Gaza, nel gennaio scorso, invece, il Tg1 lo intervistò in tuta da sci. Allora, o il ministro degli Esteri è particolarmente sfortunato, perché ogni volta che parte per le vacanze scoppia una crisi internazionale, o davvero siamo di fronte ad un imbarazzante vuoto pneumatico. Non viene proprio niente di diverso da pensare visto il modo in cui  ha gestito e sta gestendo la vicenda dei tre medici italiani di Emergency, ingiustamente rapiti e detenuti senza alcun capo d’imputazione dalla polizia di Kabul. Di fronte agli ignobili attacchi del presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri e del ministro della Difesa Ignazio La Russa al fondatore di Emergency – quest’ultimo addirittura ha invitato Gino Strada a prendere le distanze dai suoi operatori perché a tutti può capitare di avere una mela marcia infiltrata – il ministro degli Esteri ha sfoderato un silenzio assordante. Non li ha messi a tacere con un ruggito ma prima ha miagolato un timido “il governo italiano non sapeva”, poi ha sussurrato “se le autorità afgane avessero fatto un imbroglio contro Emergency ci saremmo arrabbiati”, poi ha sfoderato il suo capolavoro finale “ci saremmo arrabbiati anche se l’orientamento politico di Emergency è noto a tutti”. Anche se? Anche se cosa?  Che c’azzecca l’orientamento politico con il sequestro di tre medici italiani volontari di Emergency che aiutano la popolazione afgana martoriata da anni di guerra? Come si può essere così sciocchi e vili da mettere in dubbio in maniera preconcetta la professionalità e l’altruismo di chi rischia la vita ogni giorno per salvare vite umane, fra cui molti bambini?Questa piccola, all’apparenza insignificante, ma gravissima frase che Frattini ha pronunciato dà la cifra di quale sia il suo concetto di politica internazionale: un’occasione per fare un po’ di passerella mediatica, ovviamente, tra una sciata e un’immersione subacquea all’isola di Bora Bora.Imbarazzante davvero. Un governo serio e responsabile avrebbe chiesto subito, sin dal primo momento, la liberazione dei tre operatori alle autorità afgane. E’ quello che abbiamo chiesto noi di Italia dei Valori. Non si sarebbe limitato a scrivere lettere a Karzai, come ha fatto oggi il presidente del Consiglio.Per questo, sabato saremo in piazza con Gino Strada ed Emergency ed è per questo che oggi abbiamo fatto recapitare al ministero degli Esteri Frattini una bella maglietta con su scritto: “Io sto con Emergency”.

ITALIANI IN FUGA DAL TG DI MINZOLINI

Tag: Auditel , Minzolini , Tg1 , Tg5

MinzoliniMinzolini

Il Tg1 crolla vertiginosamente. Non è una previsione nefasta dovuta ad un personale risentimento legato a motivazioni politiche. Non è neanche una chiacchiera di corridoio attribuibile alle sempre più diffuse insoddisfazioni che pullulano tra i giornalisti che della testata fanno parte. E’ un dato, un documento Auditel. Ad un anno dalla nuova direzione, gli ascolti del giornale della prima rete Rai precipitano disastrosamente tanto da veder sgretolare addirittura il vantaggio sul Tg5. Un crollo verticale, che interessa principalmente l’edizione delle 20, ma coinvolge tutte le altre e che, dati alla mano, riguarda direttamente e indiscutibilmente la testata e non l’andamento generale delle trasmissioni della tv pubblica, i cui ascolti continuano, anzi, ad aumentare. Tenendoci alla larga da facili frasi come “noi l’avevamo previsto”, tentiamo di fare un’analisi oggettiva del perché questo sia successo, ricordando, però, che la perdita degli ascolti era stata già denunciata da volti storici dello stesso tg. Esiste una deontologia professionale nel giornalismo. Anche questa non è una mia riflessione, me ne guarderei bene, si tratta dei contenuti della legge che regola la professione, la numero 69 del 1963. Non solo, a sottolineare i criteri deontologici della professione c’è anche un documento più recente, la Carta dei doveri del giornalista, sottoscritta dall’Ordine Nazionale dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della Stampa italiana nel 1993. Entrambi i documenti parlano del “dovere di verità”,  che rappresenta un “obbligo inderogabile” del giornalista, nel rispetto del cittadino, che ha diritto ad una corretta informazione. Ora ci chiediamo quanto di questo sia stato rispettato nell’ultimo anno dal primo giornale della rete pubblica. Maria Luisa Busi, dall’interno della testata, qualche settimana fa ha detto che il giornale “non parla più della vita reale, dei problemi dei cittadini, di chi ha perso il lavoro”. Noi aggiungiamo che troppo spesso il tg1 ha tenuto il silenzio su determinate notizie, venendo meno inspiegabilmente, diciamo così, al dovere d’informazione. Altro aspetto fondamentale, nell’ambito della deontologia professionale del settore in questione, è l’autonomia del giornalista. Su questo basta ricordare che sono stati in molti, dai giornalisti della stessa testata agli esponenti  del sindacato dei giornalisti, a  parlare di un giornale schierato. Un Tg inginocchiato al potere, plasmato dalla volontà di un premier che, attraverso i mezzi d’informazione, non ha mai smesso di dare di sé l’immagine desiderata e non quella reale. Un tg basato su queste regole-non regole non poteva andare lontano. Già, perché se il nostro presidente del Consiglio e i suoi seguaci ritengono che il popolo italiano possa bersi qualunque somministrazione di briciole di verità filtrata, noi abbiamo una concezione un po’ più alta di esso e continuiamo, forse banalmente, a ritenere che la correttezza, la lealtà, il rispetto delle regole alla fine premino sempre. Per le stesse ragioni chi argina abitualmente le regole della correttezza e in questo caso della professionalità, prima o dopo paga. Ecco spiegato il crollo del Tg1.

BERLUSCONI E FINI ALLA FRUTTA

Tag: Berlusconi , Bossi , Fini , Pdl
  Prima o poi i nodi vengono al pettine. Il Pdl, fino ad oggi, è stato consenso senza politica. Ma se un partito è fondato solo su un patto di potere, a forte impronta cesarista, e non c’è politica, non c’è un programma, idee o progetti, il consenso elettorale non basta per assicurargli lunga vita. Pompieri a parte, tra Berlusconi e Fini è rottura totale. Dopo il pranzo a base di spigola e vino bianco di ieri, sono arrivati alla frutta, e non solo in senso mangereccio.Quello che sta accadendo nel Pdl è il segnale evidente di una deflagrazione di un partito mai veramente nato. Certamente, va riconosciuto loro il merito di aver trasmesso, fino ad oggi, l’idea di un partito forte e coeso e che la loro non è stata una fusione a freddo, ma il risultato di un percorso maturo e saggiamente compiuto. Non è così, non lo è mai stato. Se il potere è uno straordinario collante ed un belletto naturale per far sparire le rughe e le crepe non si può fingere a lungo e più di tanto. Il partito dell’amore non c’è, è svanito al primo sole di primavera, gli equilibri precari sono saltati, anzi la verità è che non ci sono mai stati.In queste ore, il Pdl è una mayonese impazzita. Berlusconi minaccia Fini di dover rassegnare le dimissioni da presidente della Camera, qualora faccia sul serio con la creazione di gruppi parlamentari distinti. Peccato che il presidente del Consiglio ignori che la terza carica dello Stato viene eletta dalla maggioranza ma una volta eletto rappresenta tutto il Parlamento. Non è un posto di potere qualunque, come una poltrona in un consiglio di amministrazione o in un ente, per cui arriva un“capataz” qualunque come lui e dice “vattene, lascia la poltrona”. Il presidente del Senato Schifani, seconda carica dello Stato, invoca nuove elezioni se Fini rompe, in senso lato ma non solo, ignorando la circostanza che solo il presidente della Repubblica può sciogliere le Camere ed indire nuove elezioni. Insomma, sono tutti impazziti in attesa che passi la nottata.Come andrà a finire non si sa ma non è questa la posta in gioco. Se pure si ricomponesse, sarebbe un rimettere insieme cocci rotti e ridotti in mille pezzi. Ci sono due opposti modi di concepire lo Stato e la politica nel Pdl, difficilmente conciliabili tra di loro: da una parte, la visione cesarista di Berlusconi, dall’altra quella democratica e liberale di Fini.Tutto questo mentre c’è un Paese che attende le riforme di cui ha bisogno per rilanciare il sistema e la sua economia. Saranno pure capaci di vincere le elezioni ma non hanno la dignità, i progetti, le idee, per governare.

LE MANI DI BOSSI SULLE BANCHE DEL NORD

Tag: banche , Bossi , Lega , Tremonti
Si dovrebbe andare avanti. Invece si va inesorabilmente indietro. In attesa di conoscere l'esito della crisi nella maggioranza, c'è una notizia di questa settimana che mi ha lasciato piuttosto perplesso, per usare un eufemismo. E’ proprio vero che il potere dà alla testa e modifica geneticamente i partiti. O forse, chissà, ne svela il vero volto. La Lega presenta il conto e, più famelica che mai, per bocca di Bossi, annuncia di volersi prendere le banche del nord dove il Carroccio impazza. Certo è che se fare le riforme significa "padanizzare" anche le banche, piazzando i propri uomini nelle fondazioni bancarie, non c’è di che ben sperare per il futuro di questo Paese.E’ desolante, se non deprimente, scoprire che chi inneggia a Roma ladrona un giorno sì e l’altro pure, chi mostrava cappi in Aula contro le ruberie e le logiche spartitorie dei partiti della prima Repubblica, oggi ne diventi l’anacronistico ma furbo replicante. Come la Dc e il Psi di allora, la Lega vuole mettere le mani sull’economia, piegandola il sistema agli interessi della lotta politica.Così davvero questo Paese rischia di non andare da nessuna parte, se non a sfracellarsi contro una recessione economica ancora più terrificante.Altro che federalismo, altro che sbrurocratizzazione, altro che svecchiamento del sistema bancario! Ecco cosa intendevano i maître à penser in camicia verde quando dicevano, in tempi non sospetti, che i banchieri e i grandi vecchi dei salotti buoni avevano i giorni contati. Il senso era più o questo: togliete le vostre che dobbiamo mettere le nostre di mani sul sistema di credito. Questa è la preoccupazione del governo e della maggioranza, Lega compresa, la dura e pura che faceva le pulci al potere politico ingordo e mangione: occupare poltrone, gestire il potere, soprattutto quello economico, cui tutto gira intorno.Noi abbiamo un’altra idea. Per noi, vale una sola regola: la politica deve tenere giù le mani dal sistema delle imprese e delle banche. Se la politica si occupa del sistema bancario non per fare l’interesse dei cittadini e dei risparmiatori, ma il proprio, siamo sulla strada sbagliata. Per noi, un governo serio che ha in mente riforme serie nell’interesse del Paese, pensa ad avviare una riforma del sistema bancario che sia più vicino alle esigenze dei cittadini, che aiuti famiglie e piccoli imprenditori nei confronti degli istituti di credito, non a conquistare sempre più potere.Se per loro fare le riforme significa condire istituzioni e banche con un’indigesta salsa verde c'e' poco da ben sperare. La salsa verde e' buona per l'arrosto, non per rilanciare l’economia italiana e farlo uscire dalla crisi.

PDL: IL PARTITO DELL'ODIO E DELL'INVIDIA

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Dove è finito il partito dell’amore? Che ne è stato di quella coalizione solida di cui parlava Berlusconi qualche mese fa, nel massimo del suo proverbiale ottimismo? A noi pare che la spaccatura nel Pdl, con tanto di veleni tradotti in isteria, sia venuta a galla, senza filtri, in diretta televisiva, venerdì notte, durante la trasmissione “L’ultima parola”. Forse in linea con il programma in questione, che certo non si distingue per buon gusto, è andato in onda un esempio della peggior politica, fatta d’insulti da rissa di strada e urla da mercato di paese. Da una parte i finiani Italo Bocchino e Adolfo Urso, dall’altra il fedelissimo del premier Maurizio Lupi e la storica nemica del presidente della Camera, Daniela Santanché, la cui oscillante fede politica si è attualmente posata su Berlusconi. Più che una trasmissione televisiva, sembrava di assistere ad una riunione a porte chiuse di cui poi si legge nei retroscena dei giornali. Messa da parte anche l’ultima maschera di perbenismo evidentemente fasullo, i soggetti teoricamente sostenitori dello stesso governo, hanno palesemente dato dimostrazione di non conoscere più le ragioni ed il senso dello stare insieme. Le dichiarazioni ufficiali continuano, imperterrite, a parlare di governo solido, scissione lontana, ricomposizione imminente. Il premier, però, palesemente infastidito dalla poco dignitosa rissa avvenuta in tv, è esploso dicendo, riferendosi ai finiani in questione, “io quei due in televisione non li voglio più”. La facciata è definitivamente crollata, insomma, lasciando vedere chiaramente all’interno del cosiddetto partito dell’amore, una spaccatura e un odio insanabili. E non si tratta solo delle riforme, il nodo non è solo il rapporto con la Lega o il diritto al dibattito interno. I due mondi, le due ideologie, i due modi di intendere e fare politica, quello di Fini e quello di Berlusconi, non si sono mai veramente uniti, al di là dell’immagine patinata fornita finora con ostinato ottimismo. Adesso attendiamo gli eventi, con un briciolo di scetticismo, dovuto al fatto che, se anche dalla coalizione di governo si dovesse continuare a tentare di tenere in piedi la facciata e dunque dovessimo assistere ad una ricomposizione, rimane il fatto, ormai palese ed indiscutibile, che una spaccatura, profonda e insanabile c’è, c’è sempre stata e sicuramente continuerà ad esserci.

INTERCETTAZIONI: IL GOVERNO VUOLE L’OMERTA’

Idv contro ddl intercettazioneIdv contro ddl intercettazione

Diritto alla giustizia, addio. Diritto di cronaca, addio. Diritto alla verità, addio. E’ questo l’obiettivo dichiarato della maggioranza con il disegno di legge sulle intercettazioni, che comincia oggi il suo iter in Senato, dopo l’approvazione alla Camera. Non volano colombe, solo avvoltoi e corvi neri. Niente ripensamenti operosi da parte del Governo, anzi. La maggioranza compatta, almeno in questo caso, non retrocede di un passo. I giornalisti non potranno più pubblicare una riga delle intercettazioni sbobinate, neppure per riassunto. Cosa vuol dire questo? Che di una notizia di reato, e di chi lo ha commesso, non si potrà più dare notizia. E’ questo quello che più di tutto preme al governo: mettere il bavaglio alla stampa, non vedere più il nome di chi ha rubato o truffato lo stato inchiostrato sui giornali. Sul resto, paradosso dei paradossi, è disposto pure a cedere. Pare, infatti, che la formula “evidenti indizi di colpevolezza”, che avrebbe bloccato sul nascere qualsiasi indagine, sia stata superata e che si stia tornando ai “gravi indizi di reato”. Almeno, si limita il danno. Per il resto si peggiora: per i processi attuali si avranno solo tre mesi per mettersi in regola, rimane a 60 giorni la durata massima per le intercettazioni e toccherà ad un tribunale di tre persone autorizzare quello che prima passava per le mani di un solo giudice. E per quanto riguarda la pubblicazione sui giornali, o recitate in tv, via al capolavoro assoluto: nessuno osi pubblicarne neanche una riga o uno stralcio, pena 500 mila euro di multa per l’editore e carcere fino ad un anno se si pubblicano ascolti destinati al macero. C’è tutto Berlusconi in questa marcia forsennata verso il bavaglio finale alla stampa, un presidente del Consiglio che se ne frega bellamente dei problemi veri della gente ed è spasmodicamente e maniacalmente impegnato a preservare intatta la sua immagine di leader perfetto, senza rughe e senza grinze, a conservare intatto il suo mondo di plastica fatto di “cieli azzurri, bambini felici e famiglie serene”. C’è tutta la sua volontà a tenere lontani gli “odiati giornalisti”, almeno quelli non asserviti, dal disegno “comunista”, dipietrista” e “sfascista” di voler squarciare la tela della sua favola italiana con la quale incanta ormai da più di vent’anni gli italiani. Italia dei Valori si opporrà dentro e fuori il Parlamento a questa orrenda legge sulle intercettazioni che scrivono la parola fine alla libertà di stampa. Il giorno dopo l’approvazione di questa altra vergognosa legge vergogna, Idv lancerà il referendum, il quarto, dopo quello sul nucleare, il legittimo impedimento e la privatizzazione dell’acqua.

FINI E MONTEZEMOLO? NON PAROLE MA OPERE

Fini - MontezemoloFini - Montezemolo

In politica la coincidenza non esiste. Fini resta nel Pdl e fa la sua corrente. Nell’attesa di conoscere il nome che si daranno, li attendiamo alla prima prova dei fatti: giustizia ed intercettazioni. Vediamo se avranno il coraggio e la forza di mettersi di traverso alle prossime leggi vergogna di Berlusconi, così come non hanno osato fare sino ad ora. Se c’è ancora una maggioranza di governo lo potremo dire solo vivendo. Certo è che, nella più rosea delle previsioni, i prati verdi delle riforme dei prossimi tre anni e il partito unico dell’amore hanno lasciato il posto al Vietnam delle imboscate e al partito di Cesare Ottaviano e Marco Antonio. Marco Emilio Lepido, alias Umberto Bossi, intanto fa mambassa al Nord. Luca Cordero di Montezemolo, nel giorno in cui Fini lancia il suo gruppo interno, lascia la presidenza della Fiat. Resterà nel consiglio di amministrazione della storica azienda torinese, manterrà la presidenza della Ferrari e si dedicherà alle sue attività imprenditoriali, poltrone Frau e i treni privati Ntv. La domanda del secolo è: scenderà o non scenderà in politica? Non mi piacciono le specialità a base di retroscena e dietrologia, servite al ristorante della politica e del giornalismo italiano. Dio solo sa se questo paese ha bisogno di guardare e di andare avanti. Dio solo sa se ha bisogno di capitani coraggiosi e non di fabi massimi temporeggiatori. Che Montezemolo sia l’uomo giusto al posto giusto è tutto da vedere. E’ dal 2005 che si parla di sue eventuali discese in campo. A furia di aspettare, però, si diventa troppo grandi e troppo maturi per nuove sfide. L’ex leader degli industriali ieri ha confermato di non voler fare politica. La sua associazione, Italia futura, però, lavora da mesi a pieno regime ed elabora progetti su sanità, fisco e mobilità sociale. Insomma, quello che si chiama un programma di governo. Per farne cosa? Dice, Montezemolo, che da oggi in poi, non più vincolato dalla presidenza della Fiat, potrà esporre le sue opinioni con maggiore libertà. Libero di farlo, lo ascolteremo volentieri, così come abbiamo sempre fatto. Ma questo Paese non ha bisogno di nuovi maitre a penser, di nuovi aurispici, di nuovi grilli parlanti o cassandre. Ha bisogno di leader di razza, che siano capaci e abbiano la motivazione politica a sporcarsi le mani nell’interesse degli italiani, a buttarsi nella mischia per traghettare l’Italia fuori da una crisi economica spaventosa. In politica le coincidenze non esistono ma di scenari futuribili inchiostrati dai giornali ne abbiamo piene le tasche. La politica si fa per la gente e con la gente. Non nei laboratori del piccolo chimico.

PDL, SIAMO ALLA RESA DEI CONTI

Tag: Berlusconi , Fini , Lega , Pdl

Fini-BerlusconiFini-Berlusconi

“Non ho mai imposto la mia volontà”. Non lo ha detto Ghandi o Madre Teresa di Calcutta. Tenetevi forte, lo ha detto Silvio Berlusconi questa mattina aprendo i lavori della direzione nazionale del secolo. Temo fortemente che, a questo punto, a Silvio Berlusconi serva uno psichiatra, ma uno bravo, che possa risolvere il suo ormai evidente problema, ovvero, la sistematica negazione della realtà e la creazione di una neorealtà delirante parallela. Chi si mette contro viene messo alla berlina sui suoi giornali. E’ da quando il presidente della Camera ha aperto ufficialmente la crisi nel Pdl che Gianfranco Fini viene deriso e sbertucciato a caratteri cubitali sui quotidiani di famiglia. Addirittura, oggi scopriamo un Silvio in veste di Ercole forzuto e nerboruto che, una volta, per farlo risedere, gli ha messo le mani addosso. Questa è la dimensione di Silvio e, purtroppo, è anche la sua cifra politica. La democrazia interna nel partito è un concetto che non fa parte del suo vocabolario. Chi si mette contro di lui viene colpito dal fuoco di fila della stampa e dei telegiornali di famiglia, bravissimi nel praticare il neo-minzolinismo di ritorno. A chi si mette di traverso arrivano puntuali bastonature mediatiche, roghi e minacce di licenziamento. Il confronto per lui è una metastasi e c’è un unico modo per combatterla: soffocarla, reprimerla, in maniera autoritaria e rozza, mostrando i muscoli se necessario. Questa non è politica, è rappresaglia, vendetta, questa è la politica secondo Silvio.
Tutta questa vicenda un merito ce l’ha. Abbiamo scoperto finalmente chi è il vero fascista tra Fini e Berlusconi, e non è il primo. Abbiamo scoperto che nel Pdl ci sono più cani da riporto che segugi, e c’è chi, fregandosene del ruolo di seconda carica dello Stato, esegue gli ordini del padrone senza emettere un fiato. Non si capisce perché il presidente del Senato, Renato Schifani minacci da più giorni di licenziare Fini, colpevole di fare secondo lui politica attiva, e lui che sta facendo la stessa identica cosa dovrebbe, invece, rimanere in sella al suo incarico tranquillo e beato. Per quanto ci riguarda, ci auguriamo che tutto questo non finisca qui, che la nuova stagione aperta da Gianfranco Fini nel Pdl porti alla fine dell’era berlusconiana quanto prima, nell’interesse del paese e dei cittadini, prima che sia troppo tardi.

BERLUSCONI-FINI? CACCIAMOLI NOI!

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Proprio non ce la fa. E’ più forte di lui. Non concepisce altro culto che l’idolatria. Che ci crediate o no, ieri, di fronte allo psicodramma  stile “Kramer contro Kramer” tra Silvio e Gianfranco, il presidente del Consiglio mi ha quasi fatto pena. Lui, ricco, anziano, abituato come è ad essere obbedito, ossequiato, incensato, venerato, riverito, omaggiato, lui che con i soldi è riuscito a comprare tutto nella vita, lui che si è fatto da solo, e che da solo si vuole fare la giustizia e le riforme, faceva quasi pena così come era, stordito, suonato, come un pugile prima di cadere al tappeto. Ma è bastato poco, il tempo di una notte. L’anziano pugile, ferito ed umiliato, ha coperto i lividi con il cerone ed ha iniziato la sua vendetta inesorabile. Come Rockerduck che mangia il cilindro, ha aperto ufficialmente la stagione della caccia ai finiani, vil razza dannata, cui vuole riservare lo stesso destino delle aquile reali, dei bisonti europei, delle foche monache e degli scoiattoli rossi: l’estinzione . L’obiettivo è portare a casa l’impunità per via costituzionale.La vendetta, diceva Daniel Pennac, è il territorio infinito delle conseguenze indesiderate. Berlusconi potrà mettere in atto tutte le epurazioni che vuole, potrà vedere i finiani perire, in senso metaforico s’intende, ad uno ad uno, potrà veder rotolare giù tutte le teste ingrate che vuole, ma non potrà fermare l’inesorabile processo di decomposizione di un partito dell’amore che non c’è mai stato, non è mai esistito e in cui mamma e papà se le suonano da anni di santa ragione. E’ finita per sempre la favola dei cieli azzurri e dei prati fioriti. L’unanimismo sciocco e servile vivrà, forse, qualche altro giorno di gloria ma il destino del Pdl ormai è segnato. Per sempre.Non c’è di che stare allegri per i prossimi tre anni. Già nei primi due, dove filavamo o almeno fingevano di filare d’amore e d’accordo, hanno fatto poco o niente e quel poco che hanno fatto è riuscito pure male. Messi come sono oggi, divisi e l’uno contro l’altro armati, con il rischio di continui agguati ed imboscate, rischiamo la paralisi istituzionale e parlamentare. Noi non possiamo restare a guardare mentre i Montecchi e i Capuleti se le suonano di santa ragione e Verona affonda in una crisi sempre più inesorabile. Abbiamo il dovere di metterli alle strette, di pungolarli, di bastonarli se necessario. Italia dei Valori non sarà l’opposizione con la mano tesa, quella abituata a ballare con la musica altri. Se non sono in grado di andare avanti, di fare le riforme che servono al Paese vadano a casa.

FUGA PER LA VITTORIA

La rottura tra Fini e Berlusconi segna una crisi politica evidente. Il governo è a pezzi, la maggioranza di fatto non esiste più. Bossi minaccia addirittura il voto anticipato. E’ chiaro a tutti che dopo due anni di legislatura sono allo sbaraglio. Come, del resto, il Paese, afflitto da una crisi economica che continua a bruciare posti di lavoro. Oggi, però, non voglio parlare del governo, preferisco parlare dei centrosinistra, che deve farsi trovare pronto ad affrontare una eventuale tornata elettorale. Con una premessa: nessuno si illuda che la crisi del Pdl si trasformi automaticamente in una vittoria del centrosinistra. Per battere Berlusconi non servono strane alchimie politiche, ma un’alleanza salda, una leadership riconosciuta ed un progetto chiaro. In questi anni il centrosinistra ha dilapidato un patrimonio di consenso e di voti. Ora è il momento di recuperare la credibilità e di ritrovare l’entusiasmo. La via è quella del riformismo radicale, costruito attorno ad un programma  forte, che c’è già, almeno per quanto ci riguarda. Con il Pd e con le altre forze politiche e civili pronte ad aderire al progetto, si può, anzi, si deve costruire l’alternativa di governo. Le ultime elezioni regionali impongono una riflessione a tutti: il centrodestra ha vinto in molte regioni perché non siamo stati in grado di rappresentare il cambiamento e le aspettative dell’elettorato. Ora dobbiamo rimboccarci le maniche per ricostruire questo Paese. Ricostruire, sì, perché 15 anni di Berlusconi e berlusconismo hanno prodotto macerie istituzionali, sociali, economiche, culturali. Dobbiamo partire da una rinnovata etica politica e dalla difesa della Costituzione per costruire una nuova Italia e fare le vere riforme che servono ai cittadini, non ad una sola persona.

ENTRO UN ANNO SCEGLIAMO LEADER

Pubblico la mia intervista di oggi sul quotidiano l'Unità.

“La maggioranza, finché c' è, ha il dovere politico e, più ancora, etico e morale di governare e risolvere i problemi del paese.  Non di fare chiacchiere, come è stato finora. L' opposizione ha il dovere altrettanto politico ma anche etico e morale, di rimettersi insieme, prendendo atto che in questo momento non c' è una coalizione avversa a quella del Pdl e Lega". Questo in estrema sintesi il pensiero di Massimo Donadi, capogruppo dell' Italia dei valori alla Camera, che però avverte: "Se questa maggioranza implodesse ci potremmo trovare di fronte a un' emergenza nazionale, di fronte al problema di creare una maggioranza diversa o andare alle elezioni".

Cosa si dovrebbe fare in questo caso? "Ci sono questioni gravi legate alla crisi economica ma, poiché si vota in tre mesi, io penso che sia meglio avere un governo che sia espressione della volontà degli elettori con un mandato chiaro, piuttosto che uno pseudo governo tecnico. Però, prima di andare a votare, bisognerebbe fare, in tre o al massimo sei mesi, una riflessione sulle regole, perché in Italia c' è una democrazia taroccata.In una democrazia dell' informazione non si può andare alle elezioni quando forze economico-editoriali, che fanno riferimento al presidente del consiglio, condizionano alla radice la trasparenza e l' obiettività del formarsi del pensiero politico nel paese".

E cosa propone? "Tre leggi fondamentali: una sulla libertà dell' informazione che stabilisca l' informazione libera ma anche la politica libera dall' informazione, ci deve essere incompatibilità fra chi fa una cosa e chi fa l' altra. Secondo: servirebbe una riforma delle legCosa si dovrebbe fare in quel caso? E cosa propone? ge elettorale che ridia pienezza del diritto di voto ai cittadini e, tre, una riforma dei regolamenti parlamentari perché non si accampino pretesti sulle leggi che non vengono approvate, passando stancamente da un ramo all' altro dal parlamento".

Si dovrebbe creare una maggioranza diversa, quando Bersani parla di patto repubblicano anche con Fini, lei pensa che dovrebbe servire a questo? "Esattamente, ma senza perdere di vista che sono due i profili su cui lavorare. Il primo è quello di lunga prospettiva, della costruzione di una coalizione che si candidi a governare con una visione riformatrice del paese. L' altro è essere pronti a fronteggiare il rischio che questa maggioranza imploda e, in questo caso, ci si deve dare il compito di riscrivere due o tre regole per restituire veridicità a una democrazia taroccata e, al tempo stesso, fare fronte alle urgenze economiche e sociali prodotte dalla crisi".

Quale opposizione? "Sono un po' stufo dell' etichetta di centro sinistra. Nella politica italiana destra e sinistra sono concetti da radare al suolo e da ricostruire sulla base di progetti nuovi. Abbiamo bisogno di passione e generosità e di pochi calcoli politici fatti a tavolino, di quelli che hanno visto indulgere il Pd su pallottolieri magici che gli elettori hanno rifiutato. E abbiamo bisogno di trovare presto, sulla base di valori trainanti, un leader, poiché nelle democrazie moderne non si può fare a meno di incarnare il progetto in una leadership".

Un leader non si compra su e bay. "E' vero ma va riconosciuto al Pd il merito di avere imposto un metodo di grande partecipazione come le primarie. Bisognerebbe avere il coraggio di trasformarle in qualcosa di ancora più americano di quanto non siano state fino adesso. Diamoci tempo un anno in cui candidati della società civile e dei partiti si confrontino sulle idee, poiché l' unico modo di fare emergere una leadership è il confronto delle idee. Se aspettiamo le segreterie dei partiti, non dico un Obama ma nemmeno un Tony Blair verrà mai fuori”.

di Jolanda Bufalini, dal quotidiano l'Unità

COSA HA NELLA TESTA BERSANI?

Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, dopo la rottura tra Fini e Berlusconi, compie la svolta. Parte il cantiere per l’alternativa di Governo. Obiettivo dichiarato, individuare 10 proposte al Paese. Ribadisce il no al dialogo con Berlusconi – almeno questo, benvenuto tra noi! – e propone un patto repubblicano a tutti, nessuno escluso. Un patto repubblicano all’Udc di Casini, all’Api di Rutelli e Tabacci ed al presidente della Camera, Gianfranco Fini. Ora, per carità, ho avuto ed ho il massimo rispetto per il percorso avviato dall’ex leader di An, di cui condivido per altro alcune visioni e sensibilità, ma rimane, e non ha mancato di ribadirlo anche in questi giorni, uomo di una parte politica ben precisa che ha valori e riferimenti ben diversi da quelli della sinistra. Ora, le cose sono due: o nel Partito democratico regna una grande confusione, e la scelta di dare fiato alla rivolta interna al Pdl e alle manovre finiani ne è l’evidente sintomo preoccupante, o il segretario del Pd si è messo in testa di costruire un nuovo centrodestra, perché questo sarebbe né più né meno. Poi si arrabbia quando lo accusano di avere la mania delle strategie nelle alleanze.  Se almeno ci fosse un po’ di coerenza, sarebbe già tanto. Non ha mancato di sottolinearlo oggi, attraverso un’intervista sul Corriere della Sera, anche Debora Serracchiani. Ora, apprezzo la chiarezza con la quale è solita parlare l’europarlamentare del Pd e segretario regionale del Friuli-Venezia Giulia, ma ci voleva tanto a capire che non si può proporre ogni giorno agli elettori del centrosinistra una coalizione diversa? Prima l’alleanza con l’Udc, ora il patto repubblicano ad Api, Pdl- Fini: a quando un centrosinistra moderno e riformista, che sappia coniugare crescita e solidarietà non solo a parole?

ALFANO IL GUARDAGINGILLI DI FAMIGLIA

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E’ il ministro tuttofare, il Guardagingilli, come lo chiama Marco Travaglio, di famiglia aggiungo io. Suda sette camicie, annaspa su e giù tutto il giorno pur di arrivarle tutte. Impazza a via Arenula e straccia la Costituzione pur di mettere pezze a Silvio Berlusconi. E’ l’Alfano al quadrato, anzi, che si fa uno e trino, che briga e intriga disegni di legge vergognosi e lodi  imbarazzanti pur di salvare il suo presidente dai guai giudiziari. Se ne frega di occuparsi dei problemi veri della giustizia, cosa di cui come ministro della giustizia dovrebbe primariamente occuparsi, e sforna manicaretti su ordinazione del presidente del Consiglio, indigeribili in democrazia. Si mette la faccia sotto i piedi e, senza vergogna alcuna, sforna un ddl intercettazioni che mette la parola fine alla scoperta di crimini e criminali. Poi va in tv, sui canali di Stato e su quelli del presidente del Consiglio, a raccontare quanto sono buoni e bravi loro del governo a sbattere i criminali in galera. Non dice quello che, però, dovrebbe dire: che da oggi in poi, senza questo indispensabile strumento di investigazione, molti meno criminali finiranno in gattabuia. Saranno in giro a compiere crimini e a ringraziare il governo. Così come ci saranno molti meno giornalisti in giro a raccontare la verità, e molti, invece, a non raccontare, con tanto di cerone in faccia e telecamere di stato accese, che i potenti sono sotto processo. Qualcuno, per la verità, già lo fa. Per questo, oggi, siamo scesi in piazza con i giornalisti contro il ddl intercettazioni, una legge illiberale, contro i cittadini e per la casta. Non pago, non convinto di aver fatto già abbastanza il nostro Guardagingilli è riuscito a far rientrare dalla finestra quello che la Corte Costituzionale aveva cacciato dalla porta. Mi riferisco allo scudo giudiziario costituzionale, sonoramente bocciato dalla Consulta, e ripresentato oggi dal ministro Alfano, per mano degli altri due lacchè di corte, Gasparri e Quagliariello. Sono queste le riforme che hanno in mente? Con tutti i problemi che hanno gli italiani, sono queste le priorità della maggioranza? Queste si chiamano in un mondo solo: leggi ad personam. E sono la solita vecchia ricetta stantia berlusconiana che noi chiamiamo con il vero nome che ha: difesa degli interessi personali. A rappresentare gli italiani nelle istituzioni vogliamo persone che non hanno commesso reati, non chi non si vuole fare processare. E vogliamo che i magistrati e le forze dell’ordine possano intercettare i criminali. E vogliamo giornalisti liberi che possano raccontare la verità. E’ un delitto volere questo?

COSI’ IL RE DEGLI APPALTI COMPRO’ CASA A SCAJOLA

ScajolaScajola

E’ di oggi la notizia che, il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, ha ricevuto in regalo da Anemone, il manovratore dei grandi eventi, il costruttore che ha fatto affari con gli appalti del G8, membro onorifico della cricca Balducci&Della Giovampaola, un appartamento di prestigio. Il fatto risalirebbe a quando Scajola era ministro dell’Attuazione del programma, dopo essere stato ministro dell’Interno fino al luglio 2002, quando si era dimesso aver pronunciato la vergognosa frase contro Marco Biagi, il giuslavorista assassinato a Bologna dalle Brigate Rosse. Secondo gli inquirenti, sarebbe stato provvidenziale per l’acquisto della casa un assegno, anzi 80 assegni che, il costruttore Anemone, attraverso il suo architetto di fiducia Zampolini, avrebbe messo a disposizione del ministro. L’architetto avrebbe versato sul suo conto 900 mila euro che poi avrebbe trasformato in 80 assegni circolari intestati alle proprietarie dell’appartamento che il ministro Scajola avrebbe poi acquistato. All’architetto fu ordinato di fare così dallo stesso Anemone. Sostiene davanti agli inquirenti di non aver fatto domande sul perché un costruttore dovesse contribuire per i tre quinti all’acquisto della casa di un ministro. La vicenda è parecchio ingarbugliata ma una cosa è chiara ai magistrati che stanno indagando: per l’acquisto della casa di Scajola, 600 mila euro ce li ha messi direttamente lui – accendendo un mutuo si difende il ministro – il resto ce li ha messi Anemone. Il Pdl, o quel che ne rimane, ha aperto le danze, ovvero, la difesa d’ufficio del ministro Scajola. Parlano di sconcertante attacco, di una famiglia come gli Scajola onesta lavoratrice, di una casa comprata con i risparmi di una vita, di manovre mediatiche per intimidire l’avversario, insomma, il solito armamentari del centrodestra. Lui, Scajola, dice di non lasciarsi intimidire, che nella vita possono capitare cose incomprensibili, di un attacco infondato, di oscuri manovratori e disegni preordinati. Lo ha detto anche oggi al Tg1, senza che però si capisse bene quali accuse vengano mosse al ministro. Si è capita solo la difesa. Se corruzione c’è stata sarà la magistratura a dirlo. Certo è che la circostanza non è più un’ipotesi investigativa ma un’evidenza confermata dalle dichiarazioni dell’architetto coinvolto nella vicenda.  Noi chiederemo al ministro Scajola di chiarire in Parlamento la sua posizione. Se non è in grado di farlo o non vuole, o non può. E allora dovrebbe avere la dignità di dimettersi. Ma non c’è problema. E’ tutto sotto controllo. Entrano i ministri, come nel legittimo impedimento, escono i presidenti di Camera e Senato. Lo prevede il nuovo lodo Alfano, o lodo Gasparri, o Gasparri-Quagliariello. Obiettivo, fermare, quando saranno scaduti i 18 mesi del legittimo impedimento, i processi Mills, Mediaset e Mediatrade. Ma non serve solo a lui, all’epuratore Silvio. Il lodo Alfano costituzionale potrà tornare utile, all’occorrenza, anche a qualche ministro.

BOCCHINO INFILZATO, SCAJOLA INCENSATO

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Nel Pdl, oltre al tiro degli stracci, va di moda la pantomima delle dimissioni. Funziona così. Il ministro, il sottosegretario o il coordinatore nazionale in odore di guai, per associazione mafiosa o corruzione è solo un dettaglio, va dal presidente del Consiglio e gli consegna la sua bella lettera di dimissioni. Il premier le rifiuta e l’indagato di turno ringrazia. Scajola oggi, Cosentino ieri e Verdini l’altro ieri, il copione non cambia. D’altronde, come si dice, se non la lascia il premier la poltrona, che in quanto a guai giudiziari vanta indiscutibili primati, perché dovrebbero farlo i suoi seguaci o adepti?L’indagato, ringalluzzito dalla pantomina delle dimissioni mancate, torna alla sua poltrona e più gagliardo che mai comincia a sparare a zero su tutti, avversari politici, magistrati e giornalisti complottisti. Mai uno che dicesse “mi faccio da parte per fare completa chiarezza sulla vicenda che mi riguarda”. Oppure, lascio la poltrona “per non infangare le istituzioni che rappresento”. E mai una volta, mai, che il presidente del Consiglio dicesse “dimissioni accettate”. Se sei indagato perché hai relazioni pericolose con la mafia, se sei indagato perché risulterebbe che l’imprenditore amico ti ha comprato casa con vista sul Colosseo, o perché avresti fatto indebite pressioni per favorire il costruttore amico, non ti devi dimettere per permettere alla magistratura di fare chiarezza. No, devi andare avanti, con rinnovata energia e virulenza. Devi rimanere saldo alla tolda di comando, perché non infanghi le istituzioni che rappresenti, no. Dai loro lustro, esporti una bella immagina della classe politica che ci governa all’estero. Se, invece, presenti le dimissioni perché hai osato dire che il re è nudo, allora dimissioni accettate, neanche si discute. Un esempio fulgido di democrazia interna nel partito di maggioranza, di alto senso delle istituzioni e di etica della responsabilità, non c’è che dire. Le uniche dimissioni che il premier accetta sono quelle dei dissidenti, servite su di un piatto d’argento. Ne sa qualcosa Italo Bocchino, il vicepresidente del gruppo Pdl alla Camera, cui Berlusconi ha promesso di infilzarlo. Tanto ha detto, tanto ha fatto. Non è finita qui. Altri coperchi di altrettante pentole del malaffare tra corruzione e politica salteranno nei prossimi giorni. Nella mani della Guardia di Finanza ci sono 240 conti correnti bancari che fanno tremare in queste ore i palazzi del potere. Noi continueremo a chiedere le dimissioni del ministro Scajola. E di tutti quelli che, coinvolti in vicende giudiziarie, invece di farsi da parte, rimarranno seduti sulla poltrona.