febbraio 2012

EVASIONE, IDV INCROCIA I DATI NON LE DITA


Vi do una notizia, una bella notizia. In questi giorni, ho avuto rapporti ravvicinati e contatti stretti con i sottosegretari Giarda e Vieri Ceriani. Oggetto dei nostri incontri la mozione di Italia dei Valori sulle misure di contrasto all’evasione ed elusione fiscale. Il Governo, attraverso i sottosegretari, ha mostrato molto interesse riguardo alle nostre proposte e questo ci conforta molto.

Siamo doppiamente soddisfatti: “qualcosa” di grande e rivoluzionario su “questo” si può fare e siamo stati noi a proporlo. Ci sono questioni, importanti, nella nostra mozione, che segna una svolta radicale nel sistema di lotta all’evasione.

La prima, il metodo della rivoluzione tecnica e culturale. Questa è la rivoluzione che noi chiediamo venga applicata: incrociare i dati che emergono da tre voci: dichiarazioni di reddito, spese effettuate e informazioni fornite dallo spesometro. Insomma, passare dal metodo attuale delle dichiarazioni dei redditi, che rappresenta ormai la preistoria della lotta all’evasione, ad un sistema che, ogni anno e per tutti gli anni, incroci i codici fiscali di ogni famiglia, con i redditi totali, le spese sostenute e i dati dello spesometro.

Seconda questione. Con la nostra proposta, chiediamo che venga sottoscritto un patto d’onore, sacro, tra “governo-contribuente”, per far sì che ogni euro recuperato dall’evasione sia un euro in meno di tasse.

Terza questione, l’introduzione di una norma di legge, in nome della trasparenza, che preveda l’inserimento in bilancio della voce “tax gap”, ovvero la cifra che il governo prevede di recuperare dalla lotta all’evasione.

Quarta, e ultima questione. Il sistema da noi proposto diventa strumento indispensabile per la lotta alla criminalità organizzata, che rappresenta il più grande produttore di liquidità non giustificata. Il nostro modello è un colpo mortale all’evasione, all’illegalità, alla criminalità. Secondo i nostri calcoli, si possono recuperare fino a 200 miliardi l’anno, fin qui totalmente evasi. Italia dei Valori ha fatto la sua proposta. Il Governo ha battuto un colpo. Ora, si proceda velocemente.

LOTTA DURA CONTRO CHI EVADE. IL GOVERNO E' CON NOI

Pubblico il testo della mia intervista apparsa oggi su “L’Unità”
E adesso l’Italia dei Valori va a braccetto con il governo, in nome di una “rivoluzione copernicana” nella lotta all’evasione. Dopo essersi comportato da opposizione nel voto sul decreto Salva Italia, e sempre rivendicando di “non far parte di questa strana maggioranza”, l’Idv ha avviato, racconta il capogruppo alla Camera, Massimo Donadi, una “stretta collaborazione”. Non si tratta di una “evoluzione politica”, spiega, ma dell’applicazione del principio enunciato quando il partito di Di Pietro votò la fiducia al governo Monti: “Valutare volta per volta il merito dei provvedimenti”. In questo caso a produrre il sodalizio è una mozione anti-evasione Idv che dovrebbe essere votata già oggi, col parere favorevole del governo. “E’ un testo che prefigura una modifica di sistema, la condivisione dell’esecutivo è necessaria perché si realizzi”.

E’ la prima volta che l’Idv lavora fianco a fianco con Monti?

Sì, e i riscontri sono stati inattesi: dall’apprezzamento iniziale si è arrivati ad una vera e propria comunione di intenti; il testo è rimasto sostanzialmente inalterato dopo gli incontri con il ministro Giarda e il sottosegretario Vieri Ceriani.

Entrerete a pieno titolo nella maggioranza?
Non abbiamo mai pensato di esserne parte, né è in atto una evoluzione. Rivendichiamo, piuttosto, la coerenza del nostro schema variabile. Sul “Salva Italia” eravamo negativi, ma il giudizio sulle liberalizzazioni e semplificazione è positivo.

Come giudica il governo Monti?

La maggioranza che lo sostiene va verso una progressiva politicizzazione che secondo noi è un errore. Dalla mera numericità si tende sempre più alla condivisione di alcuni percorsi politici. Per quel che riguarda l’azione del governo, grande apprezzamento per quel che fa al livello internazionale, mentre vediamo luci e ombre nella gestione economica del Paese.

Per esempio?
Una timidezza verso i grandi interessi economici. Sulle liberalizzazioni hanno trasformato i tassisti nel capro espiatorio, ma non hanno toccato le banche, le assicurazioni, i mercati di intermediazione finanziaria. Hanno subito il diktat di alcuni partiti: ci sarebbe piaciuto un governo più spavaldo, invece scivola verso il vivacchiare, cedendo alle pressioni della politica.

Intanto, però, ha teso una mano anche a voi.
La prossima settimana depositeremo come ddl la proposta contenuta nella mozione. L’intervento legislativo necessario sarà minimo, ma i risultati notevoli.

Parlate addirittura di “rivoluzione copernicana”.
Storicamente la lotta all’evasione fiscale si è fatta andando a caccia di altri redditi oltre a quelli dichiarati: è come cercare l’ago in un pagliaio. Smettiamola, questa è la nostra proposta. Cominciamo invece a cercare quali sono le spese sostenute. Incrociamo la dichiarazione dei redditi, con il totale delle spese – adesso l’Agenzia delle Entrate ha accesso ai dati del sistema interbancario, può chiedere semplicemente il totale delle uscite annue di ciascun conto – e infine incrociamole con i dati che arrivano dai beni indice del redditometro. Tutte le volte che comparando questi tre dati, salta fuori un’incongruenza, l’Agenzia invia una lettera in cui in via amichevole chiede all’interessato di giustificare la disomogeneità tra dichiarato, speso e posseduto: solo ciò che non viene adeguatamente motivato diventa oggetto di accertamento.

E quanti soldi e persone servono per avviare questo sistema?

Niente più di oggi. Sono controlli informatici, li fa il computer, contiamo di poterli applicare a ciascun codice fiscale.

Spaventoso.
Spaventoso per chi non paga le tasse, certo: l’evasione sarà sterminata. A questa rivoluzione copernicana si deve accompagnare però il secondo pilastro, altrettanto importante: una norma speciale che preveda l’obbligo che ogni euro recuperato dall’evasione si trasformi in un euro in meno di tasse. Un atto di sangue, inviolabile, tra Stato e cittadini. Perché il debito non si paga con la lotta all’evasione, si paga con la crescita.

Pare l’uovo di colombo.
Si potrebbero recuperare ogni anno 200 miliardi di imposte evase. E si avrebbe come conseguenza indiretta quella di semplificare le norme fiscali; e, ancora più importante, quella di dare un colpo al cuore della criminalità organizzata, che è il primo produttore di spese dalla provenienza non documentabile. Negli Stati Uniti questo sistema è in uso da un secolo: Al Capone l’hanno arrestato per evasione fiscale, ricordo.

E pensa che una misura del genere potrebbe ottenere il consenso di tutta la maggioranza?
Penso di no. Però è già successo che una mozione dell’Idv passasse all’esame del Parlamento anche senza i voti del centrodestra. I numeri ci sono.

Nasce il portale delle idee

Cari amici, vi chiamo così anche se qualche utente su Facebook mi ha "bacchettato" sull'utilizzo di questo termine, oggi sul mio blog trovate una piccola novità, proprio qui sulla destra: Il portale delle idee.

Si tatta di una piazza virtuale, aperta e dinamica dove periodicamente pubblicherò analisi, idee e proposte di riforme per il Paese. Dall'economia alla pubblica amministrazione, dalla giustizia al lavoro, dalle politiche in favore delle donne e dei giovani alle liberalizzazioni.

Uno spazio aperto, come dicevo, in cui grazie alle potenzialità offerte da Twitter (dove ad oggi siamo in 10.700) e Facebook (sulla mia nuova pagina fan siamo già in 2.400) potrete inviare, oltre alle critiche, anche idee e proposte.

Basterà utilizzare un segnale identificativo, un hashtag, come si dice nel gergo dei cinguettii (#portaleidee). Ricapitolando: per dare il vostro contributo al portale delle idee scrivete su twitter o facebook (vi prego concisi anche qui) accompagnando il vostro post con il codice identificativo: #portaleidee.

Periodicamente sceglieremo le vostre idee e le proposte e le affronteremo insieme. In un contesto e in una politica, cambiato in pochissimo tempo proviamo ad analizzare la realtà, a sperimentare (io lo faccio con voi) strade nuove, a trovare un percorso per avviare un processo di confronto costruttivo che porti ad un’idea diversa, giusta e sana di Paese. Un caro saluto a tutti, Massimo.

SETTIMO “NON RUBARE”. IL DDL IDV

 

Ieri la Camera ha approvato una norma scandalosa. Mi riferisco, lo saprete già alla responsabilità civile dei magistrati. Nascosti dietro il voto segreto, franchi tiratori “trasversali” hanno approvato un emendamento, presentato dal leghista Pini, in virtù del quale un magistrato pagherà gli errori  direttamente anche per una “manifesta violazione del diritto”. 'I deputati del Pdl più quelli della Lega presenti in aula erano 201. I sì alla norma 'anti-toghe' sono stati 264. Questo vuol dire che ci sono stati almeno 63 voti decisamente 'troppo trasversali', cioè di chi ha dichiarato una cosa e poi ne ha votata un'altra. Significa, tanto per parlare chiaro, che tra Pd e Terzo Polo ci sono tra i 35 e i 50 voti a favore.

Siamo di fronte ad una norma profondamente incostituzionale, un atto di intimidazione nei confronti della magistratura che assume i contorni inaccettabili della vendetta. Proprio nei giorni in cui, infatti, giungono notizie relative ad un’inchiesta che coinvolgerebbe Lusi, ex tesoriere della Margherita, su finanziamenti illeciti, mani scaltre nel segreto dell’urna compiono lo scempio.

Italia dei Valori presenterà un emendamento al Senato, per cancellare questo obbrobrio giuridico. Intanto, però, abbiamo depositato una proposta di legge – della quale al più presto pubblicherò il testo non appena disponibile -  con la quale chiediamo una disciplina più seria e rigorosa del finanziamento ai partiti. Cosa chiediamo? Presto detto.

Primo, il dimezzamento degli attuali rimborsi elettorali.

Secondo, l'ammissibilità a ricevere questi rimborsi solo per quelle forze politiche che, nelle elezioni corrispondenti, abbiano totalizzato almeno il 2% dei voti validi.

Terzo, tali rimborsi saranno erogati solo e soltanto dietro la presentazione di regolamentari fatture che documentino le spese sostenute.

Quarto, divieto per le imprese pubbliche o miste pubblico-private di effettuare qualsiasi finanziamento ai partiti.

Quinto, l’introduzione del reato di finanziamento illecito, punibile fino a sei anni, per coloro che danno o ricevono sovvenzioni di qualsiasi natura e di qualsiasi entità da aziende pubbliche o miste pubblico-private, nonché da coloro che danno o ricevano contributi oltre ai cinquemila euro, senza denunciarli, da aziende o soggetti privati.

Sesto, l'ineleggibilità  di chi ha violato la legge di finanziamento pubblico e la decadenza automatica dalla carica elettiva, parlamentare compresa, e l'ineleggibilità futura.

Settimo, i partiti che ricevono contributi illeciti e' prevista la soppressione del rimborso della campagna elettorale precedente e la perdita del diritto di finanziamenti.

Sottoporremo il nostro ddl a tutte le forze politiche. Vedremo chi ci sta.

 

L'OMBRA DI BERLUSCONI SUL GOVERNO

A vent’anni da Tangentopoli (a proposito, Italia dei Valori vi dà appuntamento a Milano il 17 febbraio presso il teatro Elfo Puccini per ricordare l’inizio di quella stagione che portò una ventata di legalità) poco sembra essere cambiato in Italia. Anzi, la situazione sembra quasi peggiorata.

Torno a parlare della responsabilità civile dei magistrati perché è stato un colpo basso all’Italia e purtroppo contiene un dato politico preoccupante:  la longa manus di Berlusconi continua a tenere sotto scacco il Parlamento ed a ricattare il governo. Il voto (segreto…) della Camera sulla responsabilità civile dei magistrati ha svelato l’esistenza che l’asse Pdl-Lega c’è ancora e ancora una volta il Carroccio ha svolto il suo ruolo di vassallaggio nei confronti di Silvio Berlusconi.

Dopo aver votato per anni porcate su porcate, leggi ad personam e norme punitive contro i giudici, la Lega ha voluto, evidentemente, mantenere una propria coerenza politica. Mica si può votare per vent’anni con Berlusconi e poi cambiare posizione all’improvviso solo perché non si è più insieme al governo… E’ stato commesso un colpo di mano politico e parlamentare semplicemente vergognoso.

E’ stato fatto sulla pelle della magistratura, fondamentale potere dello Stato, ma soprattutto contro i cittadini, che avranno sempre meno giustizia se questa norma dissennata dovesse diventare legge. Per fortuna è intervenuto immediatamente il ministro della Giustizia Severino, che ha detto chiaramente che la responsabilità civile dei magistrati andrà eliminata.

Non ci sono più Alfano e Nitto Palma in via Arenula, altrimenti chissà quali dichiarazioni di plauso avrebbero fatto. In verità le hanno fatte, ma almeno non da Guardasigilli. I deputati ‘incappucciati’ (copyright Federico Palomba) hanno colpito la magistratura con un micidiale tempismo, proprio mentre questa indaga sulla criminalità organizzata e sui reati commessi dalla politica.

Sembrerebbe quasi un avvertimento in stile criminale, oppure il penoso tentativo di rendere più difficile la lotta alla corruzione. L’esatto contrario di cui ha bisogno oggi l’Italia. In ogni caso è un voto che fa chiarezza, è uno spartiacque chiaro e netto tra chi si batte per la legalità e chi ostacola la giustizia. L’ombra di Berlusconi è calata ancora una volta sulla giustizia italiana, ma i tempi cambiano e tra un po’ il giudizio lo daranno i cittadini.

RIMPALLI E PALLE... DI NEVE

Puntuale, come un orologio, va in scena il gioco del rimpiattino. Cosa fa la politica, rappresentata da un ministro o da un primo cittadino, quando ha palesemente mal governato un'emergenza con grave disagio per i cittadini? Di regola, dovrebbe assumersi le responsabilità, chiedere scusa e magari, ma questo appartiene al periodo ipotetico dell'irrealtà in Italia, dovrebbe dimettersi. Da noi, dicevamo, no. Si suona una musica diversa, sempre la stessa. Si spargono colpe a destra e a manca, si invocano improbabili commissioni di inchiesta e si formulano mirabolanti soluzioni. Si arriva, persino, a rimpiangere la Protezione civile guidata da Bertolaso. 

Partiamo dai fatti, inoppugnabili. A Roma, per pochi centimetri di neve, è andata in scena la baraonda totale. Si dirà, ma a Roma la neve è un'eccezione. Giusto. Però c'è un ma, grande come una casa. La neve a Roma è stata un'eccezione ampiamente annunciata. Dunque, si poteva porre in parte rimedio, per tempo, ed evitare disagi ai cittadini, soprattutto quelli più deboli ed esposti alle conseguenze di una nevicata seppur eccezionale. Mi riferisco ai pendolari, a chi usa i mezzi pubblici per andare al lavoro e a chi, invece, fa uso dei propri mezzi, agli anziani rimasti bloccati senza aiuto.

"Sindaco, ha bisogno d'aiuto?". Gabrielli, capo della Protezione civile. "No, grazie, facciamo da soli". Cosa avesse in mente il sindaco di Roma quando ha pronunciato queste parole difficile saperlo. Dirà, poi, che la colpa è stata di Gabrielli. "Mi avevano comunicato un basso grado di emergenza". E quindi che si fa? Si rimane a guardare. Non si ordina di spargere sale sulle strade, di provvedere a munire gli autobus della capitale di catene, di precettare taxi muniti di catene. Si ordina di chiudere le scuole, quello sì, anzi, no: didattica sospesa, istituti scolastici aperti. Panico e confusione tra i genitori.

Le conseguenze di questo assurdo rimpiattino sono note ai più, soprattutto a quelli che l'hanno vissute in prima persona: automobilisti rimasti letteralmente imprigionati sulle principali arterie della capitale, 75 per cento degli autobus senza catene e quindi fuori uso, metro inutilizzabile per via del ghiaccio formatosi sulle rampe di accesso.

Invece di spargere sale, insomma, si spargono responsabilità. Al governo, che ha lasciato soli i comuni. Alla Protezione civile, passacarte. Alla regione e alla provincia, che non hanno responsabilità, ma buttiamoli nel mucchio. Poi si prende la pala, ci si mette a spalare neve con l'elmetto - sale rigorosamente da cucina che si sa serve a salare le pietanze non a scongelare le strade - a favore di telecamere e teleobiettivo, e si comincia il tour televisivo. Si chiede scusa? No, tutte le istituzionil locali e nazionali, dovrebbero farlo insieme. Ma quelle nazionali di più. Amen. Parola di sindaco.

Sei anni alla canna del gas

GAS: OGGI -12,2% DA RUSSIA; SCAJOLA, NO RISCHI BLACKOUT/ANSA

ORTIS,RISERVE INSUFFICIENTI; ENI CHIEDE INTERVENTI; MARTEDI' CDM

(ANSA) - ROMA, 19 gen - Resta alto l'allarme gas in Italia: il ministro Scajola invita a non dare messaggi allarmisti e rassicura sul fatto che non c'e' un rischio blackout promettendo provvedimenti nei prossimi giorni. Ma le importazioni dalla Russia continuano a calare. Oggi in Italia e' arrivato il 12,2% in meno di quanto richiesto, fa sapere l'Eni spiegando che si tratta di una quantita' pari al 2% dei consumi. Consumi in aumento, complice anche il freddo, a fronte dei quali si sta facendo fronte mettendo mano agli stoccaggi che rischiano di scendere a livello di guardia. ''Sono insufficienti'' a far fronte alle emergenze climatiche e geopolitiche, ha fatto sapere infatti oggi il presidente dell'Authority, Alessandro Ortis. Mentre il Governo ha deciso di affrontare la questione nella riunione straordinaria del consiglio dei ministri, prevista per martedi' prossimo, l'ad del 'cane a sei zampe, Paolo Scaroni chiede interventi urgenti a Scajola ed al cdm. Chiede cioe' di mettere in campo misure che frenino il prelievo di gas da parte del sistema elettrico. Di varare cioe' la deroga ambientale che consentirebbe alle centrali di usare olio a medio e basso tenore di zolfo, sostituendo - temporaneamente, per affrontare l'emergenza - l'uso di metano. Misure che - hanno precisato gli operatori oggi - consentirebbe un sostanzioso risparmio di metri cubi: circa un miliardo nel trimestre - ha spiegato l'ad del gruppo elettrico al termine del comitato di emergenza riunito questa mattina al ministero - da parte dell'Enel. Cui se ne aggiungerebbero altri 500 mln, sempre nel trimestre, da parte della Edison, gli ha fatto eco Umberto Quadrino. Di certo c'e' comunque che l'emergenza e' destinata a durare. Ne sono convinti tutti. A cominciare dal Garante Antonio Catricala' secondo il quale i prossimi ''3-4 anni'' saranno ''estremamente critici ed esposti a domanda insoddisfatta'', passando per Quadrino - ''siamo corti sul gas per almeno due anni'', ha detto - e per Enrico Letta: ''Il governo sottovaluta l'allarme''. Sulla crisi interviene anche l'Unione Europea con il commissario all'energia Andriss Piebalgs che parla di ''situazione non eccezionale: non ci sono interruzioni di rilievo'', ha detto assicurando comunque che Bruxelles sta ''monitorando la situazione''. L'emergenza per il garante Catricala' e' comunque l'occasione per tornare a ribadire la necessita' di evitare ''intrecci azionari tra chi ha la gestione-proprieta' della rete e gli operatori'' che la utilizzano ''a monte o a valle''. ''Bisogna - ha detto nel corso di un'audizione alla camera nell'ambito dell'indagine in corso sull'energia - garantire maggior capacita' sui gasdotti per accesso ai terzi indipendenti ed assicurare neurtralita'', e' tornato a ribadire. I consumatori, intanto, scendono in campo paventando il rischio di un aggravio - legato alla crisi del gas - di 400 euro in piu' a famiglia nel 2006: un aumento del 40%, sottolineano chiedendo al governo una misura che consenta la detrazione delle spese per le bollette energetiche, ma anche quelle per i carburanti, dalla prossima dichiarazione dei redditi. (ANSA).

...Correva l’anno 2006. questo articolo dell’agenzia Ansa potrebbe essere di oggi, a parte, naturalmente, il cambio di qualche nome ai vertici di ministeri e autorità. Passa il tempo, restano i problemi. La drammaticità non è rappresentata dal problema in sé, ma dall’immobilismo dell’Italia, che da troppi anni non affronta le questioni strategiche per il proprio futuro. Nella comparazione di questo articolo con quelli stampati sui quotidiani di oggi c’è la sintesi perfetta del fallimento di una classe politica e dirigente. Son passati 6 anni da quell’emergenza, e nulla di concreto è stato fatto da allora. Se possibile la situazione è addirittura peggiorata.

Una differenza c’è: il governo Prodi stava discutendo della costruzione dei rigassificatori, mentre gli anni di governo Berlusconi sono stati una iattura dal punto di vista infrastrutturale. E a poco è servita l’amicizia personale con Putin. Forse solo a renderci ancora più dipendenti dal gas russo. In ogni caso è il momento di affrontare la situazione e di uscire dall’impasse. Parlamento e governo, di concerto con autorità e società del settore, devono trovare il tempo per superare lo stallo e risolvere il problema. E’ sotto gli occhi di tutti l’urgenza di un nuovo piano energetico nazionale. La settima potenza industriale del mondo non può bloccarsi per un po’ di freddo.

SU LE ENTRATE GIU' LE TASSE

 

L’estensione e la portata dell’evasione fiscale sono una pandemia nazionale. L’Agenzia delle Entrate stima l’evasione annua in 120 miliardi. L’Unione Europea, invece, valuta il livello di evasione dell’Iva in circa un quarto, quindi al 25%. Una cifra enorme, soprattutto se paragonata al 10% della Germania, al 7% francese e all’inarrivabile 3% dell’Olanda. In un momento di straordinaria crisi economica, che impone ai cittadini, ai lavoratori, ai pensionati grandi sacrifici, non intervenire sarebbe incomprensibile.. Si dice che il debito pubblico italiano sia dovuto al fatto che il Paese abbia per anni vissuto al di sopra delle proprie possibilità: non è vero, chi ha vissuto al di sopra delle possibilità è solo chi ha evaso le tasse e non chi ha lavorato onestamente.

La nostra mozione è una rivoluzione copernicana perché finora la lotta all’evasione si è fatta sui redditi non dichiarati. Come cercare un ago in un pagliaio. Oggi, invece, noi invertiamo l’approccio, cercando di ricostruire il regime di spesa e non più il reddito non dichiarato.

Il meccanismo è semplice basta incrociare due dati: redditi dichiarati e spese sostenute, e intervenire quando non c’è congruità. Così sarà semplicissimo chiedere al contribuente di giustificare la differenza di spesa e, solo quando non sarà in grado di farlo, far partire l’accertamento. Il secondo pilastro della nostra mozione è il patto di sangue tra governo e contribuente, secondo cui ogni singolo euro dovrà andare in un fondo per la riduzione del carico fiscale. L’accoglimento delle nostre proposte porterà enormi vantaggi per lo Stato, anche la possibilità di semplificare la dichiarazione dei redditi e di contrastare la criminalità organizzata, riducendo drasticamente il riciclaggio del denaro sporco. Ricordiamoci che Al Capone è stato arrestato per aver evaso il fisco e non per aver ucciso.

SVUOTA-CARCERI CON FIDUCIA? NO GRAZIE

Ennesimo provvedimento, ennesima fiducia. No. Non è questa la strada giusta. Imporre, di nuovo, la questione di fiducia su un provvedimento delicato ed importante come lo "Svuota-carceri" è una scelta sbagliata, che non condividiamo, che mortifica il Parlamento e che ci costringe a votare no. Non abbiamo nessuna pregiudiziale nei confronti del governo Monti, né nei confronti del ministro della Giustizia Severino, sulla quale avevamo espresso considerazione e apprezzamento. Ma volevamo e vogliamo discutere nel merito dei singoli provvedimenti, con animo scevro da preconcetti, per trovare la soluzione migliore, per contribuire con i nostri emendamenti a migliorare, dove e per quanto possibile, i provvedimenti di questo governo tecnico.

Il provvedimento Svuota-carceri non ci convinceva e non ci convince. Pensare di risolvere i problemi del sovraffollamento delle carceri con un provvedimento che, di fatto, è un nuovo indulto mascherato, è sbagliato. Le soluzioni potevano e possono essere diverse: nuovi interventi strutturali sull’edilizia penitenziaria, l’aumento di personale e di risorse, anche modifiche normative sulle disposizioni penale, riservando il carcere ai casi che lo meritano davvero. Ma intaccare la certezza della pena per coprire le inefficienze e le inadempienze dello Stato è sbagliato.

Ebbene, noi volevamo e vogliamo confrontarci, con senso di responsabilità e in maniera costruttiva ma l’ennesima questione di fiducia pone fine ad ogni discussione e questo non va bene.

Avevamo duramente criticato il governo Berlusconi per le sue 50 fiducie in tre anni, ma la media di questo governo è altrettanto preoccupante e inaccettabile. Questo governo, proprio per la sua natura, deve confrontarsi con il Parlamento, deve trovare nelle aule la sua legittimazione. Non può e non deve andare avanti a colpi di mannaie e tagliole.

Per questo, l'Italia dei Valori voterà no alla fiducia sul dl svuota carceri. Si tratta di una legge tampone che non risolve il problema del sovraffollamento delle carceri. Ottiene solo di fare uscire di galera i delinquenti.

ATTENZIONE ATTENZIONE DOMANI NEVICA

Attenzione, attenzione, una notizia dell’ultima ora di grandissima importanza: d’inverno fa freddo, le temperature calano, piove e talvolta nevica. Ripeto: d’inverno fa freddo. E pare che l’inverno arrivi con una certa regolarità anche in Italia, dopo attente osservazioni è stato possibile stabilire, con un ragionevole margine di certezza, che questa particolare stagione si ripresenta ogni nove mesi e pare duri intorno ai tre mesi. Certo, non ci sono ancora conferme scientifiche assolute, ma, al momento, pare che la situazione sia questa. Per questi motivi voglio scendere in campo e difendere il sindaco di Roma Gianni Alemanno e gli amministratori che si sono fatti trovare impreparati dall’emergenza maltempo. Chi mai avrebbe potuto preverede il freddo e la neve a ridosso dei cosiddetti ‘giorni della merla’? Nessuno e gli amministratori non sono tenuti a fare i meteorologi.

Perdonate l’ironia ed il fatto che torni a parlare dello stesso argomento in pochi giorni, ma trovo francamente assurdo che una nevicata, seppure forte e imprevista, possa mettere in ginocchio l’Italia, o parte dell’Italia. Capisco l’eccezionalità dell’evento, ma è il caso di interrogarsi sulla competenza delle amministrazioni nell’immediato, e soprattutto sui limiti infrastrutturali del nostro Paese.

Per anni ed anni i governi Berlusconi l’hanno menata con la storia delle grandi opere, del ponte di Messina, delle cattedrali nel deserto. Anni e anni di chiacchiere e fumo negli occhi dei cittadini. E noi, invece, a dire ‘guardate che prima di tutto servono le opere utili, la messa in sicurezza del territorio, le strade più larghe e sicure, nuove vie di comunicazione…’ e tante altre cose di buon senso.

Ma niente, la politica berlusconiana ci ha messo nell’angolo e si è andati avanti a forza di inaugurazioni farlocche, prime pietre posate a beneficio di cameraman e fotografi. Antonio Di Pietro provò a invertire la rotta nei due anni in cui fu ministro delle Infrastrutture, fece molto ma quell’esperienza di governo durò troppo poco per cambiare la situazione. Ora la politica ha il dovere di intervenire e di rendersi conto che, di fatto, l’Italia è immobile da troppi anni. Anche su questo misureremo la capacità di questo governo e vedremo se saprà imporre una svolta in direzione dell’interesse pubblico e non degli affari delle cricche e dei progetti inutili e megalomani.

PARTITOCRAZIA? NO, ABBIAMO GIA’ DATO…

La legge elettorale è l’architrave di un sistema democratico. Molti la considerano una questione squisitamente politica, che riguarda solo i partiti, invece è lo strumento più prezioso nelle mani dei cittadini. Con la legge elettorale non solo si scelgono governo e parlamento, ma si determina il sistema politico, la durata dei governi, la trasparenza delle camere, la qualità della classe dirigente nazionale, il rapporto col territorio e la  rappresentanza sociale. Tutti fattori indispensabili per il buongoverno.

In questo periodo la riforma della legge elettorale è tornata, giustamente, una priorità per la politica. Consultazioni, incontri più o meno formali, contatti, missioni degli sherpa, ambasciatori e delegazioni al lavoro.

Sono gironi di trattative frenetiche, più o meno alla luce del sole. Circolano diverse ipotesi, la più accreditata è un sistema misto, proporzionale e con collegi uninominali, con due soglie di sbarramento, la prima al 2% per entrare in parlamento e la seconda all’8% per dividersi un consistente numero di seggi. E diritto di tribuna per i ‘piccoli’.

Non so se sarà il modello definitivo, ma su una cosa voglio essere chiaro: siamo contrari al ritorno ad un proporzionale che non consente all’elettore di conoscere prima il candidato premier, la coalizione ed il programma di governo. Un sistema di questo tipo rischia di far tornare le sconcezze della Prima Repubblica ed i suoi governi balneari.

Se così fosse, si tradirebbe la volontà del milione e mezzo di cittadini che hanno firmato il referendum e che non ha alcuna intenzione di abbandonare il bipolarismo, che significa far tornare il paese indietro di vent’anni.

Ci batteremo in Parlamento contro qualsiasi ipotesi di legge elettorale che aumenta il potere partitocratico e che diminuisce il potere ed il controllo dei cittadini. Lo dobbiamo alle migliaia e migliaia di volontari che si sono impegnati per raccogliere le firme e al milione e mezzo di cittadini che ha firmato i referendum.

 

SULLE PROVINCE NOI NON MOLLIAMO

Riprendiamo le fila di un discorso che noi non abbiamo dimenticato, anzi. Mi riferisco al taglio delle province, sul quale noi non abbiamo fatto e non facciamo un solo passo indietro. Qualcun altro, forse, sì. Mentre il presidente del Consiglio, Mario Monti, annuncia di voler continuare sulla strada dell’abolizione delle province – come previsto nella manovra “Salva Italia” - l’Upi, l’unione delle province italiane, propone di ridurle da 108 a 60, con un risparmio di 5 miliardi di euro.

La palla, ovviamente, passerà al Parlamento, come è giusto e doveroso che sia ma si preannunciano già nubi all’orizzonte. E’ accaduto, pochi giorni fa, in commissione Affari Costituzionali della Camera, dove i partiti hanno svelato le carte in gioco e sono carte che giocano al ribasso.

Sì perché se, a parole, sono tutti bravi a parlare di tagli alle province, nei fatti tutti manovrano per andare nella direzione esattamente opposta.

Insomma, in Parlamento c’è chi parla con lingua biforcuta e nelle commissioni si ripropongono vecchi giochini gattopardeschi affinché, alla fine della fiera, nulla cambi. La scena si è svolta il 7 febbraio scorso, alla prima riunione del Comitato ristretto della I Commissione. Sapete cosa è accaduto? Che siamo stati gli unici a insistere per l'abolizione delle province. Il Pd ha proposto di creare, al posto delle province, le cosiddette “aree vaste”, una vera e propria astuzia costituzionale, un modo come un altro per non abolirle. Il Pdl, invece, ha proposto di trasformarle in enti di secondo livello, altra astuzia per non cancellarle.

Insomma, a destra e a manca, in entrambi i casi soluzioni pasticciate che di fatto mirano a lasciare le cose cosi' come stanno. Questo in barba alle promesse fatte in campagna elettorale e alle 400 mila firme di cittadini che, con una proposta di iniziativa popolare, hanno chiesto l'abolizione delle province.

Noi continuiamo lungo la nostra strada: sulle province chiediamo una misura draconiana. Vanno abolite perché sono inutili e costose e continueremo a svelarvi gli altarini segreti.

ARTICOLO 18? NIENTE A CHE FARE CON PRODUTTIVITA'

Sull’articolo 18 serve un’operazione verità. E non mi riferisco all’incontro segreto tra la Camusso e Mario Monti. Ci sia stato o no, non è questo il punto: lasciamo questo argomento agli appassionati di dietrologia. La questione è un’altra.

Oggi, in Italia c’è un problema di produttività. E’ con questa dura e drammatica realtà che le aziende e i lavoratori stanno facendo i conti. E’ da qui che dobbiamo partire.

Chi pensa che l’articolo 18 possa essere strumento utile per rilanciare il sistema paese e far ripartire la produttività, sbaglia. E’ usare l’articolo 18 come specchietto per le allodole. Dopo aver innalzato l’età pensionistica, liberalizzare il licenziamento significherebbe rottamare i lavoratori dai 50 anni in su. Quale azienda, infatti, tra un lavoratore giovane e uno più anziano, seppure esperto, sceglierebbe di tenere un over 50 alla catena di montaggio? Usciamo dall’ipocrisia e guardiamo al cuore del problema.

Il deficit di produttività delle imprese italiane non si supera abolendo l’articolo 18 ed i vincoli che esso impone. Non sono certo i licenziamenti individuali, che l’articolo 18 tutela, che incidono sulla produttività, sono quelli collettivi, semmai, ad avere effetti.

Piuttosto, dunque, che liberalizzare i licenziamenti, creando una nuova stagione di conflitti, occorre cercare una strada diversa, che Italia dei Valori ha immaginato così: un percorso virtuoso che ottemperi le esigenze delle imprese e dei lavoratori, che punti ad aumentare la produttività unendo, con contrapponendo.

  1. L’articolo 18, che limita i licenziamenti individuali e impone il reintegro per giusta causa o giustificato motivo, non va toccato.
  2. Imprimere, di contro, una forte accelerata alle sentenze. Istituire, insomma, una sorta di Freccia rossa che in sei mesi, al massimo in un anno, stabilisca il reintegro del lavoratore.
  3. Ridurre drasticamente la contrattazione collettiva. Stabilire 4 contratti nazionali al massimo, che regolano i principi inderogabili ed imprescindibili.
  4.  Puntare tutto su una contrattazione di secondo livello, stabilire accordi su base locale e non più nazionale. Il tessuto socio-economico del nostro paese è a macchia di leopardo e presenta difformità notevoli. Con una contrattazione locale, che non impone più vincoli uguali a tutti e per tutti, sia il lavoratore che l’impresa può trarre vantaggi. Come? Legando gli stipendi dei lavoratori alla produttività dell’azienda, ovvero maggiore produttività, stipendi più alti. E ancora, meno assenteismo, buste-paga più sostanziose. E ancora, abbattimento della percentuale di scarti nel ciclo produttivo, maggiori premi in termini di retribuzione al lavoratore.

E’ questo il nuovo patto da sottoscrive. E’ questa la via per vincere insieme la sfida del futuro.

 

L'ICI ALLA CHIESA NON E' UN TABU'

Abbiamo sempre detto che avremmo valutato il governo Monti sulla base di fatti concreti. Lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo. Con serietà e concretezza, senza preconcetti certo, ma anche senza alcuna sudditanza. Prendiamo atto, con piacere, che c’è una novità importante nei rapporti tra Stato Italiano e Vaticano, negli ultimi anni fortemente condizionati dalla strumentalità del governo Berlusconi che ha fatto dei rapporti con le gerarchie cattoliche uno strumento di campagna elettorale.

La novità è che si sta pensando ad un nuovo regime fiscale per gli immobili ecclesiastici. E da nessuna parte si stanno alzando muri o costruendo barricate. Il governo sembra intenzionato a far pagare alla Chiesa l’Ici sugli immobili commerciali esentando naturalmente quelli di culto.

Siamo d’accordo. La nostra, chiaramente, non è una posizione ideologica, perché abbiamo grande rispetto per le attività sociali, solidaristiche e caritatevoli della Chiesa, che spesso svolge importanti compiti di supplenza alle mancanza del welfare statale. E’ una posizione di equilibrio e di buonsenso.

L’Europa ha aperto nel 2010 un’indagine sugli aiuti di Stato italiani alla Chiesa e alle sue attività imprenditoriali e commerciali. Per Bruxelles si tratta di privilegi che favoriscono attività che operano al di fuori del sistema della concorrenza. In ogni caso non si comprende per quale motivo delle attività imprenditoriali che generano profitto e che non hanno scopi benefici debbano essere privilegiate rispetto a tutte le altre.

Con l’attuale regime lo Stato italiano ha rinunciato a centinaia di milioni di entrate ogni anno. Miliardi non incassati che alla luce dell’attuale stato di crisi, rappresentano un buco nero difficile da giustificare, anche per la Chiesa. La nota politica più positiva di questo nuovo corso è stata il dialogo e il superamento di una fase in cui i rapporti tra Stato e Chiesa erano modulati sulla base di interessi economici e politici.

SCANDALOSA SACE. RADDOPPIATI GLI STIPENDI DEI VERTICI

 

Riceviamo e pubblichiamo un documento esplosivo. Lo abbiamo ricevuto in copia. Non siamo in grado di certificarne l’assoluta veridicità, ma abbiamo ragione di credere che sia “maledettamente” attendibile.  E’ il verbale della riunione del Consiglio di Amministrazione della Sace, l’agenzia di credito all’esportazione che tutela le aziende italiane nelle loro transazioni internazionali e negli investimenti all’estero. E’ una società non quotata in Borsa, interamente controllata dallo Stato, attraverso il ministero dell’Economia.

Il giorno 15 dicembre 2011 il consiglio di amministrazione della Sace, secondo quanto rivelano le carte che potete consultare in allegato (pdf SACE), si riunisce. La data non è casuale. La riunione del Cda avviene esattamente dopo il 6 dicembre, giorno della pubblicazione del decreto “Salva Italia” in Gazzetta ufficiale, e prima del 27 dicembre, giorno della sua conversione in legge.

Cosa si è deciso in quella riunione del 15 dicembre? Il Comitato per la Remunerazione – sì, avete capito bene, alla Sace esiste un comitato formato da illustri membri della Sace che stabilisce gli stipendi degli illustri membri della Sacestabilisce un aumento spropositato dello stipendio dell’amministratore delegato e del presidente del Cda.

Si tratta di cifre da capogiro. Per l’amministratore delegato, un compenso fisso annuo di 355.000 euro, cui va sommato un compenso variabile annuo fino al 50 per cento del compenso fisso annuo al raggiungimento degli obiettivi fissati – fino dunque a 177.500 euro lordi in più – e ancora una parte variabile da corrispondersi al raggiungimento degli obiettivi definiti dal piano strategico della società. Tiriamo le somme: 355.000 euro, più 177.500 euro. Totale: 532.000 euro, cui si aggiungerebbe un ulteriore premio, non definito, ma assimilabile al compenso annuo. Insomma, siamo oltre il milione di euro. Nel caso del presidente del Cda, non si lesina in quanto a generosità. 200.000 euro l’anno, cui si aggiungerebbe un premio, a carattere variabile, di ben 100.000 euro e infine, un altro premio, non definibile, da applicarsi “pro quota” per l’effettiva vigenza della carica. Lascio a voi le somme.

Torniamo un attimo sulle date. E’ importante. Durante la discussione del cosiddetto “Salva Italia”, che imponeva un tetto alle laute retribuzioni dei manager di Stato, all’ultimo istante è stata inserita una disposizione secondo la quale, sebbene il tetto vi sia, possono essere previste deroghe motivate “per le posizioni apicali”. Non solo. Altro giro, altra deroga. Un’ulteriore norma, sempre nel decreto “Salva Italia”, stabilisce che gli stipendi degli amministratori pubblici di società non quotate e controllate dallo stato, come la Sace appunto, possono arricchirsi di componenti variabili, non inferiori al 30 per cento e da corrispondersi in ragione degli obiettivi raggiunti. Zac, il gioco è fatto e la Sace, quel 15 dicembre, ha preso la palla al balzo del Salva Italia per mettere in salvo non l’Italia e le aziende italiane ma gli stipendi dei suoi vertici.

Su questa vicenda vogliamo vederci chiaro. Per questo, abbiamo presentato un’interpellanza urgente al presidente Monti. E’ vero quanto è accaduto alla Sace? Quante altre società pubbliche controllate dallo Stato e non quotate, tipo Invitalia, Anas, Consap, Consip, Evav, Ferrovie, Fintecna, Gse, Ipzs, Italia Lavoro, hanno fatto altrettanto? Che fine ha fatto la norma sul tetto agli stipendi dei manager pubblici? Derogare, in questo paese, significa far schizzare alle stelle i già lauti stipendi dei super-manager di Stato?

Vogliamo risposte. Se quanto è venuto a nostra conoscenza dovesse risultare vero sarebbe un vero affronto a tutti quei cittadini che non arrivano alla fine del mese, con un mutuo a carico, con i prezzi di benzina e gas alle stelle. Uno schiaffo in faccia ai precari, ai giovani, alle famiglie, rifilato da chi giustamente stringe i cordoni della borsa pubblica, rinuncia giustamente alle Olimpiadi, predica morigeratezza e poi lascia che accadano, sotto al suo naso, cose inaccettabili come queste.

 

CORRUZIONE, SCANDALO ALL’ITALIANA

Scandalo all’italiana. Ricordate con quanto clamore un paio d’anni fa tutti parlavano del ddl anticorruzione? ‘Lo approveremo…; serve un giro di vite…; basta parole è il tempo dei fatti…’ e tante altre dichiarazioni dello stesso tenore. Ecco, ancora non è successo niente.

E ancora una volta la Corte dei Conti ha lanciato un allarme. Il presidente Giampaolino, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha detto: “illegalità, corruzione e malaffare sono fenomeni ancora notevolmente presenti nel paese e le cui dimensioni, presumibilmente, sono di gran lunga superiori a quelle che vengono, spesso faticosamente alla luce”.

Ha detto anche che serve una cultura della legalità. Parole sante, in Italia. Superflue e ovvie in un’altra democrazia matura e civile.

La lotta alla corruzione è una priorità politica ed economica, sociale e culturale, ma in Italia nessuno sembra prenderla sul serio. E c’è un aspetto scandaloso: in Parlamento, presso gli uffici delle commissioni Giustizia e Affari Costituzionali, giace da più di un anno il Ddl anticorruzione, che ancora non è diventato legge.

Sono anni che la Corte dei Conti fornisce dati spaventosi sulla corruzione, ma sinora dalla politica non è giunta risposta concreta. Tante parole, ma solo quelle. La situazione non è più sostenibile e non è giusto prendere in giro gli italiani. Parlare di anticorruzione a ridosso delle elezioni è facile, ma è una mascalzonata se poi non si giunge alla fine del percorso.

Ora è il momento di agire, anche perché la corruzione ha dei costi altissimi, 60 miliardi di euro ogni anno. Invitiamo il governo e tutte le forze politiche ad una forte azione parlamentare per approvare rapidamente una legge che stronchi un fenomeno che ha pesantissime ripercussioni su tutto il Paese.

SACE, ALTRI 90 GIORNI PER AUMENTARE GLI STIPENDI

Scandalosa Sace, parte seconda. Ricordate? E’ storia di due giorni fa, denunciata su questo blog. Eravamo venuti in possesso di un documento, il verbale del Cda della Sace. In quel documento, sul quale abbiamo presentato un’interpellanza al presidente del Consiglio, si riporta che il consiglio di amministrazione dell’agenzia di credito all’esportazione ha aumentato, nel dicembre scorso, gli stipendi dell’amministratore delegato e del presidente del Cda. Avevamo anche scoperto che alla Sace c’è un Comitato per la Remunerazione, composto dai membri del Cda che decide gli aumenti… per il Cda.

Le cifre, le ricorderete, sono da capogiro. L’amministratore delegato, un compenso fisso annuo di 355.000 euro che tra componenti variabili e variabili legate al raggiungimento degli obiettivi, sfiora il milione di euro. Il presidente del Cda, 200 mila euro che tra premi e caratteri variabili sfiora i 500mila euro l’anno. Non male, ma lo scandalo non finisce qui. Stavolta a soprenderci è il governo.

La Sace, così come Invitalia, Anas, Consap, Consip, Evav, Ferrovie, Fintecna, Gse, Ipzs, Italia Lavoro, è una società non quotata in Borsa, interamente controllata dallo Stato, attraverso il ministero dell’Economia. Nel maxi-emendamento al Decreto Milleproroghe, approvato al Senato due giorni fa e trasmesso ieri alla Camera, è stato inserito un emendamento che, di fatto, rinvia di altri 90 giorni, ovvero al 31 maggio 2012, “l’obbligo per le società non quotate, controllate dal ministero dell’Economia, di fissare i compensi massimi ai quali il Cda di queste società devono far riferimento, secondo criteri di oggettività e trasparenza, per la determinazione degli emolumenti da corrispondere” (DL 201/2011, cosiddetto Salva-Italia).

Fuori dal burocratese, si imponeva una stretta su certi eccessi negli stipendi dei manager pubblici. Si imponeva, appunto, perché il tutto è stato rinviato al 31 maggio prossimo venturo, con l’arrivo della primavera. E sapete perché? Siccome sono tante le società interessate, si rende necessario “consentire un’indispensabile e approfondita valutazione delle caratteristiche delle medesime”.

Invece di fare pulizia si proroga e si concedono altri tre mesi, durante i quali tutto può accadere, alla Sace e dintorni. Noi, intanto, abbiamo già preparato un emendamento per bloccare la proroga e fissare un tetto massimo agli stipendi di questi manager. Sarà battaglia.

"Vogliono avere mani libere per decidere dopo le elezioni"

Riporto per intero l'intervista rilasciata e pubblicata oggi dal quotidiano La Stampa.

I punti su cui si è trovato l'accordo nel vertice di ieri sono stati discussi e condivisi con tutti i gruppi parlamentari, puntualizza il capogruppo alla Camera dell'Idv, Massimo Donadi. "Pd, Pdl e Terzo Polo si stanno vendendo come loro intesa qualcosa su cui siamo tutti d'accordo. Facciano pure, l'importante è che siamo contenti tutti".

Accordo condiviso anche da voi, benché esclusi dal vertice di ieri...
"Dalla riduzione dei parlamentari al passaggio al 'bicameralismo eventuale' sono i temi di cui negli ultimi 10 giorni tutti i gruppi hanno parlato trovandosi concordi, compresi Idv e Lega sia pure con qualche remora perché vuole il Senato federale".

Pensa che siano possibili tempi celeri?
"Anche questo fa parte di una riflessione condivisa: abbiamo convenuto tutti di accelerare sulle riforme per avere il tempo di occuparci della legge elettorale".

Altro punto delicato: dica la verità, temete un accordo tra loro che possa svantaggiarvi?
"Siamo molto preoccupati ma non perché temiamo una legge che possa svantaggiarci. Il fatto è che quello di cui si sta parlando - una legge proporzionale che faccia finire il bipolarismo e porti ad alleanze dopo le elezioni - sarebbe una sciagura per il Paese. Non è bello ma è in atto un baratto".

Cioè?
"I due partiti maggiori barattano con il Terzo Polo la fine del bipolarismo in cambio di un sistema non esattamente proporzionale che sovrarappresenti i partiti più grandi. I quali sperano di allearsi poi con il Terzo Polo".

Questo non vi avvicinerà all'alleato Pd...
"Prendiamo atto che non si ragiona più in termini di alleanze: con la legge che vogliono loro, tutti avranno le mani libere per decidere dopo le elezioni".

PAPAVERI E PAPERE… E SACE-LLI

Domani è il grande giorno. Il governo trasmetterà alla Camera l’elenco aggiornato delle retribuzioni dei manager pubblici. Si tratta di 700 nomi, gli alti papaveri della macchina dello Stato. Sono cifre da capogiro. Qualche esempio? Presidente dell’Inps: 1,2 milioni di euro. Direttore delle agenzie delle Entrate: 620mila euro. Presidente Agcom: 475mila euro, Ragioniere dello Stato: 516mila euro. Il decreto Salva-Italia impone una stretta alle retribuzioni di questi superburocrati: non potranno guadagnare più di 305mila euro l’anno, ovvero il trattamento economico complessivo del primo presidente della Corte di Cassazione (notizia dell'ultima ora: non sara' di 305 mila euro il tetto, ma di 294 mila euro. A tanto ammonta infatti la retribuzione del primo presidente della Corte di Cassazione, a cui si aggancera' il limite retributivo).

Questa volta, dopo gli innumerevoli tentativi non andati in porto, ce la faranno i nostri eroi, governo e parlamento, a mantenere la barra dritta e a dare una stretta alle super retribuzioni dei papaveri? Noi sì, siamo agguerriti e ci stiamo attrezzando, con emendamenti, risoluzioni e mozioni. Ma per i papaveri già circolano parecchie papere, che non promettono nulla di buono.

Il governo ribadisce che il tetto deve essere uguale per tutti, ma anche no. I partiti ribadiscono che il tetto deve essere uguale per tutti, ma anche no. Non solo il limite dello stipendio non riguarderà regioni e enti locali, non solo le commissioni parlamentari hanno chiesto altri dieci giorni per superare alcune “perplessità” – sollevate trasversalmente da Pdl, Pd e Udc che sostengono che i vertici delle Autorità non possono essere considerati manager pubblici - ma lo stesso governo, come avete appreso su questo blog venerdì scorso, ha deciso di rinviare di altri tre mesi il decreto che doveva estendere il famigerato tetto anche alle società non quotate in borsa e interamente controllate dal Tesoro: Sace, Anas, Invitalia, Consap, Consip, Fs e via discorrendo

Carta canta. Domani vi dirò se, nel famigerato elenco dei 700, troveremo anche le società in questione. La sfida è aperta. Vedremo chi fa sul serio e chi, invece, prepara papere e… sace-lli.

MAMMA RAI UN CORNO

Mamma Rai si diceva una volta. Mamma Rai un corno! Lo scandalo dei contratti di collaborazione con la clausola del licenziamento possibile in caso di gravidanza è roba da Medioevo. Così come da Medioevo è il tentativo di affossare l’innovazione nel Paese pretendendo il pagamento del canone da chi ha un Pc, un tablet, uno smartphone.

In un unico giorno sulla radiotelevisione pubblica si è abbattuta una bufera ed una mole di critiche e di commenti sarcastici da far impallidire il Berlusconi dei bei tempi. Twitter e Facebook sono letteralmente esplosi di commenti salaci sulle gravidanze ‘vietate’ e sul canone per i computer.

Brutta botta per quella che dovrebbe essere la più grande azienda culturale del Paese. Un danno d’immagine mica da poco ed una figuraccia per i vertici, che sono ormai delegittimati da tempo.

Tutto ciò apre una serie di considerazioni: la prima riguarda, ovviamente, la Rai. Impossibile chiudere gli occhi e far finta di niente: l’azienda ha bisogno innanzitutto di una nuova governance. Questo è chiaro a tutti. Non è possibile che questi dirigenti, che per anni hanno dequalificato il servizio pubblico – basti pensare all’informazione, alla mancanza di pluralismo, alle trasmissioni volgari e penose- restino in sella.

Per fortuna tra poco scadrà il loro mandato. E’ poi tempo di riforma complessiva del sistema radiotelevisivo italiano, per troppo tempo condizionato, anzi, dominato, dal potere politico di Berlusconi. La concentrazione di potere televisivo- mediatico è un’anomalia tutta italiana, che va sanata al più presto.

Altra triste considerazione, più generale, è che l’Italia non è un paese per donne. Ciò che accade in Rai e che ha suscitato sdegno e indignazione, accade tutti i giorni nel mercato del lavoro più oscurantista e retrogrado d’Europa. Contratti e fogli di dimissioni firmati in bianco sono una prassi. Un’ingiustizia indegna, che fa rivoltare lo stomaco, ma non solo: uno scandalo economico che costa all’Italia miliardi di euro ogni anno. Investire sulle donne e sui giovani sarebbe un ottimo volano per l’economia. Alla faccia di quest’Italia medievale.

PAPERON DE’ PAPERONI… “DI STATO”

Razionalizzare i costi? Sì. Porre un tetto agli stipendi dei manager pubblici? Anche. Operazioni trasparenza sui redditi di ministri, sottosegretari e viceministri? Sì, d’accordo va tutto bene. Ma se si vuole davvero fare un’operazione di quelle chirurgiche, per porre un freno ai costi della pubblica amministrazione, serve il coraggio di squarciare il velo dell’ipocrisia e omertà su quei particolari sistemi e criteri che concedono in questo Paese mille eccezioni, legittime per carità, ma non di meno scandalose.

Accade oggi. Per ridurre i costi della Camera è stato di recente deciso di chiudere il ristorante di Montecitorio tre sere a settimana. Motivo? Il costo eccessivo del servizio rispetto al numero dei pasti erogati. Nell'ottica di contenimento delle spese intrapresa giustamente dalla Camera appare una scelta condivisibile: se un servizio costa più di quanto rende è giusto chiuderlo o rivederne orari e servizi erogati. Accanto a questo, però, serve agire concretamente su quanto accade nel mondo dorato e privilegiato delle retribuzioni dei boiardi di Stato che, grazie a mille cavilli, arrivano a percepire pensioni da capogiro e che, nonostante il pensionamento, continuano a svolgere il medesimo incarico percependo doppio stipendio: pensione e retribuzione. Detta in soldoni, vengono pagati due volte. Come pensionati e come dipendenti in effettivo servizio, mascherati da consulenti.

Non ne faccio una questione di nomi. E’ il principio che condanniamo e che sarebbe ora di rivedere. Chi sono? Il capo del cerimoniale di palazzo Chigi, quello di Capo dipartimento per le risorse strumentali – appalti, per intenderci – il Capo dell’Ufficio voli di stato, di governo e umanitari, il Direttore dell’unità tecnica di missione per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia e, infine, i cosiddetti dirigenti di prima fascia “estranei”.

Per non parlare delle cifre. In questo strano paese, capita che un alto funzionario dello Stato, ancora non sessantasettenne, si porti a casa una pensione – e chiedo scusa a tutti i pensionati italiani – di 519mila euro, un miliardo delle vecchie lire, pari al 90 per cento della sua ultima retribuzione e che supera del 76 per cento quel tetto agli stipendi dei manager pubblici di cui si parla tanto in questi giorni. Si dà il caso che l’alto funzionario in questione sia diventato sottosegretario non parlamentare e che percepisca, quindi, anche lo stipendio. Per onore di verità, ha rinunciato a quello che gli sarebbe anche toccato come consigliere di Stato. E tutto questo accade perché esistono regole che lo permettono. La domanda è: non sarà il caso di rivederle, prima di accanirci contro i dipendenti della mensa di Montecitorio? E’ quello che chiederemo al sottosegretario alla presidenza, Antonio Catricalà, e al presidente del Consiglio, Mario Monti.

Evasione, governo e Parlamento si giocano la credibilità

E adesso vediamo se governo e Parlamento sono coerenti con le proprie idee oppure no. Questi i fatti: il 7 febbraio il Parlamento approvò la nostra mozione contro l’evasione e l’elusione fiscale. Anche il governo ci diede il suo appoggio. Oggi abbiamo depositato la proposta di legge contro l’evasione e l’elusione fiscale. E’ la logica prosecuzione di quella mozione.

Contiene una vera e propria rivoluzione copernicana. Fino ad oggi, infatti, l'evasione fiscale si è fatta rincorrendo i redditi non dichiarati, un po' come cercare un ago in un pagliaio, per dimostrare che ogni singolo imprenditore, artigiano, commerciante o professionista ha non dichiarato una singola prestazione, ha non emesso uno scontrino, ha non certificato un rapporto con un cliente. Italia dei Valori propone, invece, di invertire completamente l'approccio, cercando di ricostruire il regime e gli importi di spesa delle singole famiglie, con l’ausilio degli strumenti informatici, tecnici e giuridici a disposizione.

Il nostro metodo è rapido ed efficace. Prevede, per ogni codice fiscale, di incrociare due dati semplicissimi: il dato dei redditi dichiarati e il dato delle spese sostenute nel corso di quell'anno. In questo modo sarà possibile verificare tutte le circostanze in cui non c'è congruità tra i redditi dichiarati e le spese effettuate.

La proposta di legge si fonda su patto chiaro tra il fisco ed i cittadini, in base al quale ogni singolo euro recuperato dall'evasione fiscale deve andare in un fondo destinato interamente alla riduzione del carico fiscale per le famigli e le imprese. La proposta di legge prevede anche la valutazione ufficiale annuale del tax gap (la misura delle imposte dovute e non pagate ogni anno), che permette di stabilire gli obiettivi del recupero di gettito conseguenti alle attività di contrasto; il ripristino del reato di falso in bilancio; una norma antielusiva generale (abuso del diritto tributario); il ripristino di misure di contrasto all’evasione fatte approvare dal Governo Prodi e poi soppresse dal Governo Berlusconi, tra le quali l’elenco clienti e fornitori.

Tra evasione e corruzione lo Stato perde ogni anno 181 miliardi di euro. Uno scandalo che pesa su tutti gli onesti cittadini, a cui questa legge può mettere un importante freno. La approviamo? La dignità della politica passa anche da questi atti.

SACE, TETTI, SOTTOTETTI E CONTROSOFFITTI…

Sace, terzo round. Detto, fatto. Come avevo preannunciato su questo blog, alle parole seguono i fatti. Ieri, il ministro Patroni Griffi ha consegnato alle commissioni Affari Costituzionali e Lavoro della Camera l’elenco degli stipendi dei manager pubblici. Dall’elenco, scopriamo che sono 57 i supermanager della pubblica amministrazione che sforano il tetto stabilito dal decreto “Salva Italia”, ovvero quella norma che intende equiparare gli stipendi di tutti i manager di Stato alla retribuzione del primo presidente di Corte di Cassazione. I nomi li conoscete, sono su tutti i giornali di oggi, ma ribadisco non è una questione di nomi. Sono in ballo i principi, le regole, l’equità. E scusate se è poco.

Ora, si dà il caso che, proprio ieri, in Aula si sia approvato il decreto Milleproroghe - con i rilievi sacrosanti del presidente della Repubblica Napolitano sui quale andrebbe aperta una seria riflessione - che, tra le altre cose prorogava di altri tre mesi il decreto che doveva estendere il famigerato tetto anche alle società non quotate in Borsa e interamente controllate dal Tesoro: Sace, Anas, Invitalia, Consap, Consip, Fs e via discorrendo…

Ebbene, abbiamo messo la prima zeppa per impedire che, tra un rinvio e l’altro, si finisca a tarallucci e vino. Abbiamo presentato un ordine del giorno (che trovate in allegato in fondo al post) affinché il governo affronti ora e subito la questione e metta anche gli stipendi dei manager della Sace, e di tutte le società non quotate in Borsa e controllate al 100 per cento dal ministero dell’Economia – sotto il tetto del rigore.

Il nostro ordine del giorno è stato accolto e ora vigileremo affinché il governo tenga fede agli impegni assunti.

Se, come stabilito nel decreto 'Salva Italia', da oggi in poi si imporrà un tetto agli stipendi dei manager pubblici, non si capisce la ragione per la quale società sempre pubbliche debbano sfuggire a tale regola, permettendo ai loro amministratori di avere mani libere per gonfiarsi le retribuzioni'. E, abbiamo visto, come sono capaci di farlo.

NON UCCIDERE LA GIUSTIZIA MINORILE

tribunalitribunali

Oggi voglio rilanciare una nuova battaglia di Italia dei Valori, iniziata dal nostro rappresentante in commissione Giustizia della Camera, Federico Palomba. Una battaglia politica per salvare la giustizia minorile, che rischia di essere smantellata da un provvedimento di legge in discussione in commissione. Abbiamo anche lanciato un appello al ministro della Giustizia Severino. Sta accadendo che, con lo schema di decreto sulla riorganizzazione del ministero della Giustizia, si vorrebbe far passare come fatto tecnico ineluttabile la distruzione della giustizia minorile, alla quale si sottrarrebbe la gestione del personale, della formazione e dei beni strumentali.

Un'assurdità, come togliere i uomini e mezzi alla Polizia o medici e ospedali alla Sanità. Immaginate di riorganizzare le scuole elementari togliendo, però, maestre e maestri. Sarebbe una follia. E’ positivo che si riducano da tre a due le direzioni generali, ma questo può essere fatto solo salvaguardando le professionalità di assistenti sociali, educatori e polizia penitenziaria, non cambiando la loro collocazione per non disperdere un'altissima specializzazione che ha fatto diventare questo settore una delle eccellenze dello Stato.

Riformare è necessario, ma ci vuole criterio. L'autonomia del settore minorile è una conquista che mai nessuno aveva contestato. Ora, invece, un fatto di ordinaria burocrazia può scardinare una cultura della cura dei minorenni che è obiettivo primario di civiltà. E' ancora possibile correggere questa stortura e per questo stiamo lavorando affinché il parere delle commissioni diventi a favore di questa conquista culturale.

Abbiamo lanciato anche un appello al ministro Severino e siamo certi che la sensibilità e la sua preparazione porti il governo a recepire la cultura della cura dei minori. Una volta tanto non è una questione politica: è semplicemente una questione di cultura e di sensibilità, che deve prevalere su qualunque logica politica di partito e, ancor più, sulla burocrazia

LO SPREAD FRA STIPENDI E STRACQUADANIO

L’Italia non è in crisi e queste parole lo certificano: “Tranne una infinitesimale percentuale di italiani che ha difficoltà ad accedere al mangiare, la stragrande maggioranza della popolazione può accedere a quantità di cibo più o meno illimitate. Basta vedere cosa accade in occasione delle feste comandate nei vari pranzi e cenoni che sono di una ricchezza spropositata per qualsiasi livello sociale. Il fatto che noi abbiamo ancora 6 milioni di obesi, a fronte di una crisi temporanea e contingente, non mi stupisce. Non siamo ancora a livelli da fame e i dati dei nutrizionisti lo dimostrano”.  E’ Giorgio Stracquadanio a stabilire che l’Italia è non solo in buona salute, ma paffuta e godereccia. S’abbuffa nelle feste comandate e non comandate e non pensa ai problemi.

Apro con queste parole per puro gusto della provocazione, perché uno dei problemi del sistema Italia è l’incapacità di analisi e di strategia da parte dei politici. Tanto per tornare ad essere un po’ più seri, oggi sui principali quotidiani c’erano dati impressionanti sugli stipendi medi italiani, i più bassi d’Europa, Portogallo a parte. Gli italiani pagano tasse molto alte, ma guadagnano molto poco. Meno degli spagnoli, addirittura meno dei greci. Qualche dato, altrimenti sembrano parole campate in aria. In Italia lo stipendio medio è 23.406 euro all’anno. Meno di Spagna: 26.316; Grecia. 29.160; Francia: 33.570; Irlanda. 39.858. Per non parlare dei 41.100 della Germania.

E’ da tempo che sosteniamo la necessità di adeguare salari e stipendi, ma per ora in Italia si pensa a battaglia di retroguardia. Non esiste solo lo spread tra i titoli, esiste uno spread per ogni distanza che separa l’Italia dall’innovazione e dal rilancio economico, politico, sociale e culturale. C’è uno spread tra le parole di Stracquadanio e la realtà. E’ inutile fossilizzarsi sull’abrogazione dell’Art.18, che non serve a nulla. Concentriamoci sul sostegno e sul rilancio dell’economia dando agli italiani la possibilità di crescere e di rilanciare il sistema paese. Le energie ci sono, le competenze anche, il livello del dibattito politico deve salire e non rimanere legato ad esternazioni temporanee sull’obesità, tanto per fare un esempio.