Se ieri pomeriggio un cittadino qualunque, intorno alle 18, si fosse trovato ad accendere la tv e a seguire i lavori dell’Aula di Montecitorio, avrebbe avuto quasi la sensazione di trovarsi in un parlamento normale di un paese normale. Per la prima volta, infatti, da un anno e mezzo a questa parte, al centro del dibattito politico, non c’erano i problemi giudiziari del premier ma quelli veri degli italiani, dei tanti lavoratori che hanno perso il posto di lavoro, dei precari che vivono di stenti, dei giovani senza prospettive e degli anziani che non riescono a campare. Insomma, si parlava di quella crisi economica che attanaglia il paese e delle possibili ricette per superarla. Manco a dire che questo dibattito si è tenuto soltanto a seguito della ferma insistenza delle opposizioni e che il Governo, dopo aver tentato per mesi di evitarlo, alla fine lo ha dovuto letteralmente subire.E così, dopo mesi e mesi di insistenza, siamo riusciti ad inchiodare Tremonti alle sue responsabilità di ministro dell’Economia, chiedendo lumi sull’azione del governo per affrontare la crisi economica, l’aumento della disoccupazione e del ricorso alla cassa integrazione e della pressione fiscale. Tutte questioni denunciate puntualmente dall’Istat una settimana fa e che il premier si è premurato di mettere subito a tacere, spargendo il solito irritante quanto inutile ottimismo da tele imbonitore quale è. “La situazione ci induce all’ottimismo – ha detto – e noi dobbiamo cavalcare questo ottimismo”. Parole che si commentano da sole. Lo vada a dire agli operai licenziati o in cassa integrazione, che ogni giorno manifestano davanti a Montecitorio, se a cavallo dell’ottimismo riescono più facilmente ad arrivare alla fine del mese.Ebbene, ieri il ministro dell’Economia non ha smentito la filosofia di questo governo. Da lui, non è venuta una sola proposta concreta da condividere con l’opposizione. Niente sugli aiuti alle imprese, niente sugli aiuti ai disoccupati, alle imprese, alle famiglie, ai precari, insomma, niente di niente.Da Tremonti sono venuti solo 30 minuti di insopportabile autocelebrazione, condita da irrisione verso l’opposizione e da un continuo ed ostentato sarcasmo verso la situazione economica del paese, tutto fatto di battute, motti di spirito e freddure per le quali, vi posso garantire, nessuno ha riso dentro l’Aula, nemmeno tra i banchi della sua stessa maggioranza, e ancor meno credo abbiano riso fuori, nel Paese.Dall’opposizione sono arrivate tantissime proposte, tutte serie, importanti e sicuramente meritevoli di un dibattito e di un confronto approfondito e, per una volta, davvero utile soltanto agli interessi degli italiani. Dal ministro dell’Economia non solo non c’è stata la minima traccia di disponibilità o apertura ma, al contrario, vi è stata l’irridente ostentazione del vuoto pneumatico di proposte che caratterizza l’azione del governo.Il leit motiv di Tremonti è sempre stato lo stesso e ripetuto fino all’ossessione: “parlate pure tanto non ci sono i soldi, non ci sono i soldi, non ci sono i soldi”. La verità è che i soldi non ci sono, in parte perché questo governo li ha letteralmente sprecati, come i 3 miliardi di euro per salvare Alitalia, o i 2,5 miliardi di Ici sulla prima casa regalati già a chi aveva i redditi più alti; in parte perché non li si vogliono trovare, non volendo incidere seriamente sugli immensi sprechi della politica e della pubblica amministrazione. A partire da quei 14 miliardi di euro che, ogni anno, lo Stato spende per tenere in vita quegli inutili baracconi che sono le province italiane. Per continuare con Camera e Senato, dove altrettanto inutilmente teniamo un piedi un parlamento pletorico, con mille parlamentari, quando un’unica camera con non più di trecento parlamentari sarebbe più che sufficiente e farebbe risparmiare altri due miliardi di euro. Per concludere con le 300 mila auto blu che inutilmente infestano le strade italiane. E ci fermiamo qui, perché continuando con gli esempi potremmo scrivere un’intera enciclopedia. Berlusconi e Tremonti si diano la sveglia: le semine di ottimismo non danno frutti.
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