aprile 2009

La Costituzione è la Bibbia del legislatore

fecondazione1

Se conosci comprendi. E la conoscenza non passa solo attraverso l’esperienza ma anche attraverso l’ascolto. Se ascolti comprendi e chi fa politica deve saper ascoltare. Perché, mai come in questo caso, dietro alla legge sulla fecondazione assistita, ci sono storie di sofferenza, di dolore, di chi non vuole un figlio bello e con gli occhi azzurri ma un figlio sano, quando si sa per certo di trasmettergli una malattia genetica, o semplicemente un figlio da amare, quando la natura te lo impedisce.

Per questo, chi, di fronte alla sentenza della Consulta che rende giustizia alle tante coppie italiane che non possono avere figli “naturalmente”, parla di “tentativo malcelato di introdurre la selezione eugenetica”, parla senza conoscere o, peggio ancora, senza comprendere. E chi non sa ascoltare o comprendere la sofferenza ed il dolore, chi non sa farsi carico non delle istanze dei cittadini ma solo di quelle del Vaticano, non fa politica ma altro. Serve altri padroni.

Con questa sentenza, i giudici hanno impartito ai legislatori una lezione di legalità. La legge 40 è una legge ingiusta, immorale, incivile, crudele, oscurantista ed illiberale che vìola la Costituzione. E la Costituzione, in uno Stato laico, è il faro, il punto di riferimento.

Per questo, è ora di cambiare, senza se e senza ma, la legge 40. E’ tempo di aprire gli scuri. E’ tempo che la politica abbia il coraggio delle sue idee e la smetta di nascondersi sotto le comode sottane di alti prelati.

Chi, come me, ha l’onore di sedere in Parlamento, dovrebbe avere un sussulto di dignità, di indipendenza e di autonomia. Dovrebbe mettere da parte la sua, pur rispettabilissima, coscienza di cattolico, e mettere al primo posto la sua coscienza di legislatore. La Bibbia lo accompagni nella sua vita di uomo, di marito, di padre. La Costituzione in quella di legislatore.

Io accetto la sfida. Ci metto la faccia e mi metto in gioco. Mi faccio carico delle istanze di chi rincorre il sogno di un figlio, di chi ha speso fino all’ultima lira per realizzarlo, di chi soldi non ne ha e vi ha rinunciato. Di tutte quelle persone che, di fronte ad una malattia irreversibile, sceglieranno di morire in pace, senza sondini a tenerli sospesi in una forma di non vita. Non sarò complice di sacrifici umani sull’altare di un clericalismo fuori dal tempo e dalla Costituzione.

Io non ho padroni da servire. Chi è con me batta un colpo.

Le ragioni di una scelta

montecitorio

Diversi amici mi hanno chiesto le ragioni del voto di astensione di ieri sull’emendamento del PD che chiedeva l’abrogazione della norma che estendeva fino a sei mesi il fermo dei clandestini nei CIE.

Voto sul quale il governo è andato in minoranza.

Intendo rispondere nel modo che mi è consueto. Dicendo le cose come stanno con chiarezza e senza giri di parole. Perché penso che la politica che accontenta tutti, la politica che cerca sempre e solo il consenso a buon mercato non sia buona politica.

Inizio quindi con una premessa. In questi giorni ci sono state due azioni politiche dell’opposizione sul decreto sicurezza. La prima riguardava le ronde, sulle quali, IDV per prima, si è battuta vittoriosamente per lo stralcio dalla legge. Perché noi crediamo nel valore della sicurezza, ma quella vera. Mentre le ronde sono solo uno spot pubblicitario di un governo imbroglione che con una mano istituisce le ronde e con l’altra toglie fondi alle forze di polizia.

La seconda ha riguardato, appunto, il fermo dei clandestini nei CIE fino a sei mesi, se rifiutano l’identificazione.

Sull’emendamento che abrogava questa norma ho dato indicazione di astensione, assumendomene in pieno la responsabilità, non avendo avuto la possibilità di concordare la scelta con Di Pietro che era in Abruzzo. Per quel che mi riguarda, neppure la prospettiva di mettere il Governo in minoranza su un singolo voto, giustifica una scelta che va contro la sicurezza dei cittadini.

La situazione, ad oggi, è questa. I clandestini bloccati dalle forze di polizia vengono portati nei CIE dove possono essere trattenuti fino a due mesi, per essere identificati.

Siccome tutti sanno che in due mesi l’identificazione è impossibile, tutti si rifiutano di dare le loro generalità. Passano così due mesi nel CIE dopodiché vengono lasciati andare con in mano un foglio che gli intima di lasciare il paese. Ovviamente nessuno lo fa.

Iniziano così una vita da fantasmi nelle periferie delle nostre città dove, per molti, l’unica forma di sopravvivenza è la delinquenza o il lavoro nero in attività produttive, spesso, a loro volta illegali. Con ciò non voglio fare mia la sciocca e facile equazione immigrazione clandestina uguale delinquenza. Ma è un dato di fatto che, tra questi immigrati, il tasso di delinquenza è dieci volte superiore a quello degli immigrati regolari (non perché sono più cattivi ma perché non hanno alternative). Come è un dato di fatto che circa un terzo della popolazione carceraria è composto da clandestini.

Solo il 20% di tali clandestini sono quelli che arrivano con le “barche della speranza” il rimanente 80% arriva via terra e le forze dell’ordine nemmeno li fermano più perché sanno che è solo tempo perso.

L’Unione Europea proprio per contrastare un dilagante fenomeno che riguarda tutto il continente ha emesso una direttiva che autorizza i paesi membri a trattenere i clandestini che rifiutano l’identificazione fino a sei mesi.

Il capo della Polizia Manganelli dopo la bocciatura di questa norma ha dichiarato: “Il segnale del 'tutti fuori' e' quello che i trafficanti di uomini aspettavano. Risulta processualmente che le organizzazioni criminali gestiscono il traffico dei clandestini scandendolo sulla base delle attese che hanno riguardo alla rimessa in liberta'. Il rimpatrio con soli due mesi di permanenza nei Cie e' impossibile: questo e' un dato tecnico”.

Oggi, in tanti, comprensibilmente, gioiscono per la sconfitta del governo. Temo, però, sia una vittoria di Pirro finché noi del centrosinistra, sulla sicurezza e sull’immigrazione,  manterremo una posizione di buonismo ideologico, lasciando credere agli italiani che l’unico modo di fare sicurezza sia la faccia feroce della Lega con le sue pulsioni razziste e xenofobe.

Questa norma era giusta, a prescindere da chi l’ha proposta, affossarla per me è stato un danno al Paese. Per questo, chiedo scusa a tutti, ma oggi sono solo moderatamente contento per questa sconfitta del governo, perché credo che servirà soltanto a portare altro consenso alla Lega.

Io sto con Vauro

vauro1

Addì, 27 dicembre 1947, De Nicola, Terracini, De Gasperi.

“Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

Addì, 15 aprile 2009, Berlusconi, Fini, Masi.

“Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. A patto che nessuno osi parlare male del Governo”.

Sessantadue anni di democrazia non sono serviti a niente.

Per Berlusconi gli articoli della Costituzioni sono 138. La sua Costituzione, quella stampata nelle segrete tipografie di Arcore, con impresse a fuoco le iniziale del Re, SB, dall’articolo 20 passa direttamente al 22. Ma nelle segrete tipografie di Arcore si sta già lavorando alacremente ad una nuova edizione della Costituzione, con un solo articolo: Lo Stato sono io.

E’ strisciante il regime ma colpisce feroce. Vuole la sospensione di Vauro, vuole la cacciata di Santoro. Scherza il regime, usa l’ironia per giustificare l’uso del manganello ma poi si abbatte furioso. E’ infido il regime. Si nasconde dietro al linguaggio astruso ed incomprensibile dei burocrati ma chiude le bocche, ottunde i cervelli e appiattisce.

Al regime non piace la verità. Nessuno ha colpa se le case sono crollate. Il Governo c’è. Il regime è ordine. Il regime interviene, il regime piange i suoi morti, il regime ripulisce, mette ordine e nessuno osi dire il contrario. Nessuno osi dire che il terremoto è una calamità naturale di cui si possono contenere i danni, se non si costruiscono case ed edifici pubblici sulla sabbia, se si impedisce agli speculatori di ieri di speculare domani.

Ebbene, io sono dalla parte di Vauro. Perché tante  volte mi sono sentito uno dei suoi personaggi stralunati, gagliardi e irriverenti. Perché tante volte, attraverso la sua matita, ho trovato la forza ed il coraggio di essere politicamente scorretto. Perché la satira è una forma libera ed assoluta che, attraverso la risata, veicola la verità, semina dubbi, smaschera ipocrisia, attacca i pregiudizi e mette in discussione le convinzioni. Perché un paese dove il demagogo Cleone mette il bavaglio al poeta Aristofane è un Paese triste, è un Paese che muore.

Il coraggio e la paura

di-pietro-a-brescia2

 

 

Ormai è chiara la strategia di Franceschini per queste Europee: un buffetto a Berlusconi e due ceffoni a Di Pietro, colpevole, secondo lui, di averci messo la faccia. La verità è che il leader del Pd non è animato da nessun afflato democratico ma dalla fifa blu di un flop personale, la stessa fifa blu che anima tutti gli altri big del Pd che, ad uno ad uno si sono sfilati dalla candidatura, per paura di perdere la faccia di fronte alla debacle del partito.

A noi poco importa dei tanti Don Abbondio del Pd. Il punto è che la loro mancanza di coraggio farà pagare un prezzo altissimo all’intera coalizione di centrosinistra che alle corazzate di Berlusconi e Bossi non avrà da contrapporre nient’altro che truppe di semisconosciuti o vecchie glorie in disuso, rispolverate all’occorrenza.

Ebbene, noi il coraggio ce l’abbiamo. Qualcuno nell’opposizione deve avere il coraggio di metterci la faccia. Deve esserci un leader del centrosinistra che contenda il campo a Berlusconi e Bossi e se, questo coraggio non lo trova nessuno del Pd, il coraggio ce lo mette Antonio Di Pietro e Italia dei Valori.

Strano come vada di questi tempi il mondo. La sinistra, quella sinistra con la S maiuscola che un tempo andava fuori dalle fabbriche a solidarizzare con gli operai, in questi tempi di crisi, preferisce veleggiare a bordo della propria barca a vela intorno alle calme e placide acque del Mar Mediterraneo. Così capita che fuori dalle fabbriche a stingere le mani stanche e sudate degli operai che non arrivano alla fine del mese ci sia Antonio Di Pietro.

Qualcuno ha perso la strada. Noi no. Qualcuno si è arreso ancora prima di giocare la partita. Noi no. Qualcuno ha deciso di non metterci la faccia per non perderla del tutto. Noi no. Mentre i big del Pd gridano “armiamoci e partite”, noi ci armiamo e partiamo, ma sul serio.

Quei generali del Pd che, dalle tende, urlano alle proprie truppe smarrite “armiamoci e partite” sono gli stessi che ieri hanno detto di votare sì al referendum e oggi si mettono d’accordo con il nemico, violano i regolamenti parlamentari e votano una leggina della maggioranza vergognosa, che ha stabilito al 21 giugno il voto per il referendum, quando tutti se ne andranno al mare. Un doppio imbroglio a danno dei cittadini che manderà in fumo 400 milioni di euro. Eppure una soluzione diversa c’era. Così come, in fretta e furia, è stata approntata una leggina per far votare gli italiani il primo giorno d’estate, si poteva farne una che, accorciando i tempi della campagna referendaria, portandoli per questa volta da 50 a 40 giorni, permettesse di andare al voto il 6 e 7 giugno, così come avevamo chiesto il Comitato Promotore.

Noi davanti alle grandi sfide scegliamo di scendere in campo a combattere in prima persona. Noi scegliamo la coerenza, anche quando questa ha un prezzo alto. Con le nostre facce e la nostra coerenza ci presentiamo sereni al giudizio degli elettori.

La rivoltella puntata sulla democrazia

berlusconi-saluto-fascista1

 

Berlusconi ha detto che voterà sì al referendum. La cosa mi preoccupa  e non poco. Il suo sì è carico di insidie, cambia le carte in tavola ed apre uno scenario nuovo su cui dobbiamo aprire una riflessione. C’è il forte rischio che le nostre migliori intenzioni di cambiare una legge elettorale pessima diventino la via per l’inferno. E l’inferno, per me, è consegnare la nostra democrazia a Berlusconi: la dittatura, insomma.

Il nostro obiettivo è quello di cambiare una legge elettorale che, a detta del suo stesso autore, fa letteralmente schifo. Il referendum è lo strumento per scardinarla ma per arrivare poi a fare una nuova legge elettorale in Parlamento. E’ qui che scatta l’insidia.

Oggi, c’è un partito padronale, che si chiama Pdl, con un consenso che si aggira intorno al 40%, grazie al lavaggio dei cervelli che le tv del biscione operano quotidianamente. La legge elettorale scardinata che uscirebbe dal referendum consegnerebbe il Paese al partito che prende più voti. L’insidia è tutta qui, in uno scenario incerto ma non fantascientifico. Berlusconi dice che voterà sì, si mette pancia a terra in una campagna pro-referendum senza precedenti. Passa il referendum. Credete che Berlusconi, si lascerebbe sfuggire l’occasione ghiotta di immediate nuove elezioni con una legge elettorale scardinata dal referendum che gli consegna su un vassoio d’oro le chiavi della nostra democrazia?

Flashback. E’ il 21 luglio 1923. La Camera dei Deputati approva la legge elettorale Acerbo con 223 sì e 123 no. Il 18 novembre del 1923,  la legge Acerbo, dopo il si definitivo del Senato,  entra in vigore. Prevede l’adozione del sistema maggioritario plurinominale all’interno di un collegio unico nazionale. La lista che ottiene la maggioranza con una percentuale superiore al 25% elegge in blocco tutti i suoi candidati.

Alle elezioni del 6 aprile 1924, il Listone Mussolini prende il 61,3% dei voti. Il premio di maggioranza è scattato, come prevedibile, per il Partito nazionale fascista. Il resto è noto.

Giovanni Sabbatucci definì l’approvazione della legge Acerbo un classico caso di “suicidio di un’assemblea rappresentativa”, accanto a quelli del Reichstag che vota pieni poteri a Hitler nel marzo del 1933 o a quello dell’Assemblea Nazionale francese che consegnò il Paese a Petain nel luglio del 1940.

Dunque, è già accaduto. Il fascismo non nacque da una rivoluzione ma da un’elezione democratica, almeno nelle apparenze, grazie ad una legge elettorale non molto diversa da quella che uscirebbe dal referendum.

Oggi mi chiedo, e vi chiedo, per la sincerità che ha sempre caratterizzato il mio blog, se non stiamo consegnando a Berlusconi la rivoltella per sparare il colpo finale alla nostra democrazia. Dobbiamo aprire un confronto e decidere insieme cosa fare di fronte a questo nuovo ed inquietante scenario. Per parte mia, non sarei capace di sopportare un nuovo caso di suicidio di un’assemblea rappresentativa ma alle vostre decisioni e a quelle del partito mi atterrò.