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SCAVALCHIAMO IL RECINTO E COSTRUIAMO IL FUTURO

Italia in declinoItalia in declinoL’Italia è in mezzo ad un mare di  guai e la politica invece di accorrere per aiutarla sta in un angolo agonizzante ed incapace anche solo di sollevarsi da terra. Cosa le è successo? Perché in questi giorni in cui è evidente che nemmeno tutti i soldi del mondo, nemmeno tutta la spregiudicatezza del mondo sono più in grado di arrestare il crepuscolo di Berlusconi  non emerge un’alternativa, a destra come a sinistra, una politica più illuminata con una vera tensione etica e sociale? Eppure di gente libera, onesta e capace ce n’è davvero molta più di quanta possiate immaginare nei partiti, in ogni schieramento. La politica si è persa tanto tempo fa. Quando, come in tutto il mondo, la TV ha imposto l’avvento di un modello leaderistico che,  però,  in Italia si è fuso con l’inamovibilità genetica del nostro sistema sociale. Ne è uscito un ibrido mostruoso tale per cui il leader non è la personalità forte e carismatica che per un più o meno breve periodo di tempo incarna quel sistema di valori, di idee e di aspirazioni che si chiamano partito. Ma al contrario il partito è divenuto solo lo strumento, intercambiabile, che si può fare o disfare nel giro di pochi mesi o giorni, e che ha l’unico scopo di “contenere”  il leader. Un mondo con la testa sottosopra dove temporaneo e strumentale è diventato il partito e permanente il leader. La prima conseguenza di questa malattia della politica italiana è che la politica diventa sempre più demagogica, perché nessun leader ha interesse a dire al paese la verità nuda e cruda  che – come è risaputo – spesso fa male. Perché se sei di passaggio puoi anche permetterti di dirla (sapendo che lascerai una buona eredità a chi verrà dopo di te) ma se sei destinato a restare fa paura a dirsi. La seconda conseguenza è che le aggregazioni e le divisioni all’interno degli schieramenti  ma anche dei singoli partiti non sono più rappresentate dal fatto di pensarla allo stesso modo o meno sul futuro dell’Italia, ma dal fatto di essere pro o contro Tizio, piuttosto che Caio o Sempronio. Non è colpa di una persona o di un leader, ma resta il fatto che questa politica sta diventando un problema per il paese e che bisogna cominciare a porre le basi per il suo superamento. Non so come usciremo nei prossimi mesi da questi crisi, non solo economica ma anche istituzionale e politica. Per parte mia lo farò continuando, come sempre, a lavorare con passione e lealtà nel mio partito. Ma ho ben chiaro come si può uscire, non nel giro di qualche mese, ma di qualche anno, da questa fase insopportabile della nostra vita politica. Cominciando ad abbattere gli steccati fasulli. Cominciando a parlarsi tra persone che la pensano allo stesso modo, costruendo relazioni e rapporti fatti di idee e di progetti per il futuro e non di tifoserie contrapposte. Mettendo al centro la necessità di servire il paese e la consapevolezza di essere solo pedine temporanee di questo progetto. Che dite? Solo fantasie di un idealista? Non so, ma ci voglio provare!

VENDOLA SI’ O VENDOLA NO?

Nichi VendolaNichi Vendola

Ci sono due o tre cose che, a mio parere, rendono la discesa in campo di Niki Vendola paradossale. Il governatore della Puglia, perché questo è stato chiamato per il momento a fare, si candida a leader del centrosinistra senza un programma, senza un progetto, senza un’idea concreta per il Paese. Offre solo il suo corpo mediatico, senza dubbio fortemente carismatico, come mezzo per la conquista del consenso intorno a sé. Parla di narrazione, di sparigliamenti, di gare feconde, di nuova speranza in moto, di fiammate violente, di nuovo ossigeno da portare nell’obitorio della politica. Parole seducenti, suggestive, a forte impatto evocativo ed emozionale ma che, al netto della fascinazione, rimangono effimeri apparati retorici, roboanti e barocchi. C’è molto, troppo, Berlusconi, in questa paradossale discesa in campo di Vendola, in questo suo singolare modo di porsi in campo a fare il leader. Ai cieli azzurri e ai bambini felici di Silvio, Niki sostituisce la gramsciana connessione sentimentale con il popolo, le fabbriche di Niki, come luoghi di eruzione di buona politica, ma il modello offerto dai due è identico:  leaderismo allo stato puro senza idee né programmi. Quando, invece, al di là degli effetti speciali, si cercano frammenti di contenuti ed un’idea su cui ragionare e lavorare, crolla l’impalcatura. Come il tentativo compiuto da Vendola di mettere sullo stesso piano Carlo Giuliani, Falcone e Borsellino. Carlo Giuliani è un giovane ragazzo che ha perso la vita e che merita tutto il nostro rispetto e cordoglio, ma definire eroe chi partecipava ad un’azione violenta e che è stato colpito mentre si avventava a volto coperto contro un carabiniere brandendo un estintore, è francamente inaccettabile. Soprattutto, se si mettono sullo stesso piano Falcone e Borsellino, servitori dello Stato, massacrati dalla mafia che combattevano da una vita con intransigenza, coraggio e abnegazione totale di se stessi. Oppure, per fare un altro esempio, quando, in un’intervista di qualche giorno fa, discettando di economia, proponeva di sostituire tout court il modello di competizione capitalistica con quello della cooperazione che, per quanto sia importante e tuttora attualissimo, è una proposta che fa cadere le braccia e che, per dirla come Niki, è davvero il modo più vecchio che c’è nel mondo occidentale per pensare di dare una speranza di futuro a questo paese. Per queste ragioni, sono convinto che la candidatura di Vendola sarebbe disastrosa per il centrosinistra. E’ sicuramente oggi l’esponente più credibile, più moderno e carismatico di una sinistra radicale che rappresenta, però, una componente significativa ma nettamente minoritaria del centrosinistra, non certo un leader che possa guidare una coalizione capace di aggregare la maggioranza assoluta degli italiani. Sarò all’antica ma per me prima viene il programma, inteso nel senso nobile di una visione condivisa di sviluppo del Paese e dopo viene il leader che deve essere la persona capace di impersonare al meglio quel progetto e quelle idee. Per me, la proposta di governo alternativo del centrosinistra non parte dall’ostentazione del corpo carismatico di un leader ma dal coraggio e dalla generosità di partiti, movimenti, società civile, associazioni che finalmente scelgano di parlare con sincerità al paese e, così come fece Prodi nel ’96 – chiedendo sacrifici per portare l’Italia nell’euro – sappiano proporre al Paese una via d’uscita concreta dalle secche nelle quali si trova oggi.