Taggati con: Usa

WIKILEAKS E GLI ALIBI DELL’OPPOSIZIONE

WikiLeaksWikiLeaks“Incapace, vanitoso, inefficace”. E poi: “stanco per le feste selvagge, non dorme a sufficienza”. E ancora: “un leader politicamente e fisicamente debole”. Sono i giudizi tranchant su Silvio Berlusconi, che WikiLeaks ha messo in rete. Vado un po’ controcorrente rispetto al clima di queste ore, anzi di questi giorni. Non c’è nessuna rivelazione clamorosa, a mio avviso, solo ciò che è sotto gli occhi di tutti. Per arrivare a quelle conclusioni bastava un po’ di buonsenso, nulla più. In molti hanno atteso quasi messianicamente la pubblicazione dei documenti di WikiLeaks, nella speranza che fossero così scandalose da costringere Berlusconi alle dimissioni. Errore. Non dall’esterno, ma al proprio interno le forze dell’opposizione devono trovare la forza per far cadere politicamente Berlusconi. Altrimenti non saremmo molto diversi da lui e dal suo governo, che per tirarsi fuori dai guai ha avuto il coraggio di evocare un complotto internazionale ai suoi danni. Hanno messo sullo stesso piano il crollo di Pompei, l’emergenza rifiuti in Campania, l’inchiesta Finmeccanica e WikiLeaks. Roba da non credere. Può anche darsi che nei prossimi giorni su WikiLeaks esca di più e di peggio, ma non è questo il punto politico. Non oggi. Se in Italia ancora governa questo imbonitore televisivo nonostante i ripetuti fallimenti dobbiamo farci delle domande. E assumerci delle responsabilità. Non possiamo più continuare a dire che governa perché controllale tv e l’informazione. E’ senz’altro vero, ma è un’analisi incompleta. Ci sono anche altri fattori. Crogiolarsi nell’impossibilità di scalfire il suo controllo sui media è diventata un’abitudine, un alibi, un modo per deresponsabilizzarsi. Invece no, dobbiamo essere coraggiosi e dire la verità: il centrosinistra non ha saputo proporre ai cittadini un programma alternativo serio e credibile. E di certo non aiuta avanzare ogni giorno formule sempre più ardite di alleanza. Per spodestare il satrapo e tornare al governo, non si deve far contro sull’alchimia dei numeri, che non è una scienza esatta, ma su una proposta politica e programmatica seria e credibile. Continuare a sperare ancora in fattori esterni, in nuovi scandali, in altre rivelazioni sarebbe l’ennesimo errore.

ECCO PERCHE' DICIAMO NO

militari italianimilitari italiani Per prima la volta in cinque anni l’Italia dei Valori non ha votato a favore del rifinanziamento delle missioni di pace all’estero. La nostra non è una scelta ideologica, da sempre rivendichiamo di essere un partito post ideologico che orienta le sue scelte con pragmatismo per il bene del paese.Per capire la ragione di questo voto è importante fare un passo indietro e vedere cosa è successo in questi anni.In Afganistan ci sono due missioni internazionali. La prima, sotto l’egida dell’Onu, alla quale partecipa anche l’Italia e che aveva come obiettivo il rafforzamento della pace nell’Afghanistan liberato. L’altra, promossa unilateralmente dagli Stati Uniti che, fin dall’inizio, è dichiaratamente  guerra per liberare il territorio dalle residue forze talebane. Mentre la missione Onu ha dato i suoi frutti, l’altra si è impantanata e dopo otto anni l’azione di guerra degli Usa, lungi dall’esaurirsi, ha visto un sostanziale insuccesso con il progressivo estendersi della guerra a parti sempre più ampie del paese. Per questa ragione gli Usa oggi, nel tentativo di forzare e chiudere la partita, stanno per rafforzare di trenta mila unità il loro contingente, sia chiaro, di guerra, non di pace. Questo ha comportato un contrasto crescente con la missione Onu. Perché anche le zone una volta pacifiche dove operavano le missioni di pace sono diventate teatro di guerra. Sicché appare evidente che è impossibile parlare di missione di pace in un paese dove ormai è arrivata la guerra. Questa situazione è ormai evidente da tempo, ma, per senso di responsabilità abbiamo evitato fino ad ora di sollevare alcuna polemica nell’attesa che in Afghanistan si svolgessero le prime elezioni democratiche, anche nella speranza che questo avrebbe portato a una forte pacificazione. In realtà così non è stato ed anzi, a causa dell’estensione dei brogli le elezioni hanno creato ulteriori focolai di tensione e di crisi interna al paese. Per questo tre mesi fa, in occasione dell’ultimo rifinanziamento della missione, che sempre con senso di responsabilità abbiamo votato, abbiamo chiesto alla maggioranza di avviare un serio confronto parlamentare che manca ormai da otto anni, per capire se la missione italiana, come era concepita, avesse ancora un senso oggi o se dovesse essere o modificata o conclusa. Abbiamo anche chiesto al Governo di farsi promotore di un’analoga verifica in sede Nato, avvisando che in caso contrario si sarebbe aperto per noi un problema politico. Per tutti questi mesi abbiamo atteso invano risposte che non sono arrivate. La maggioranza è spaccata al suo interno e, dunque, ha paura di affrontare la questione in Parlamento. Il Governo invece che fa? Mentre gli altri paesi europei, Berlino e Parigi in testa, non ci pensano nemmeno per un attimo a mandare altri uomini in questo contesto, Berlusconi si precipita  a promettere agli Usa nuovi militari, senza nemmeno consultare il Parlamento, solo perché è talmente screditato a livello internazionale che dicendo di sì a tutti spera di riacquistare un po’ di credibilità.Per queste ragioni ci è sembrato il caso di dover lanciare un segnale politico forte. Noi crediamo che oggi non sia più possibile rinviare un dibattito serio e responsabile sul senso e sul ruolo della presenza militare italiana sul territorio afghano. Per questa ragione abbiamo deciso di astenerci e lo faremo finchè non ci sarà un confronto sia in Parlamento che nelle sedi opportune dell’Alleanza Atlantica. Siamo stanchi di assistere al coro di cordoglio e lutto dopo ogni incidente che costa la vita a un nostro soldato. E’ un rituale ipocrita messo in scena da chi si rifiuta di discutere in Parlamento il senso di una missione profondamente mutata. E’ inutile fare finta che siamo in Afghanistan in missione di pace, ora lì c’è una vera e propria guerra. E’ ora di parlare chiaro, lo dobbiamo ai cittadini italiani e ai nostri militari.