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In piazza con la Fiom per i lavoratori

Italia dei Valori in piazza con la Fiom per difendere il lavoro, perché tira una brutta aria. Qualcuno pensa di risolvere i problemi economici dell'Italia trasformandola in una piccola Cina. Ci sono sempre meno diritti e stipendi sempre più bassi. Il governo mente quando sostiene che l'abolizione dell'Art 18 metterebbe le ali all'economia. Non è assolutamente vero, i vincoli che impediscono all'Italia di crescere sono ben altri e noi siamo qui per dire che esiste un altro modello.

FIAT, UNA VICENDA EPOCALE SU CUI CONFRONTARCI

La vicenda aperta dagli accordi Fiat è assai complessa. Nessuna delle parti in causa ha solo torti o solo ragioni. Non c'è dubbio che le vicende di Mirafiori e Pomigliano abbiano dimostrato l'importanza delle proposte di Italia dei Valori in materia di nuove regole per la rappresentanza sindacale. Ma da qui a sposare indistintamente le ragioni della Fiom e di avviare forme di resistenza comune e duratura ne passa. Io credo sia necessario, per la portata storica di questa vicenda avviare, piuttosto, un serio e approfondito dibattito anche nel nostro partito per addivenire ad una soluzione comune e condivisa. Perchè, in questo caso, più voci distinte e diverse che si confrontano sono una straordinaria risorsa. Solo i partiti tetragoni, su questioni tanto dirimenti, non nutrono dubbi e procedono come falangi macedoni. Non bisogna, dunque, gridare allo scandalo se, anche all'interno del nostro partito, come in tutti gli altri, vivano posizioni diverse ed il dibattito è aperto e vivace. In una fase così rivoluzionaria, è normale che proprio a sinistra, che da sempre ha a cuore i diritti e la tutela del lavoro, si accendano discussioni a più voci. A mio parere, se da una parte è vero che gli accordi di Mirafiori e Pomigliano, nell'ottica di un recupero di efficienza e di competitività dell'azienda, richiedono ai lavoratori sacrifici significativi, dall'altra sono oggettivamente in linea con gli standard dei principali stabilimenti europei. E' chiaro che l'azienda dovrà metterci del suo, proprio in virtù dei sacrifici richiesti ai lavoratori. Quello che l'azienda dovrà fare sarà avviare investimenti straordinari ma soprattutto mettere in atto una chiara e lungimirante politica industriale e finanziaria dell'azienda. La sfida della globalizzazione, che ha profondamente cambiato il mercato del lavoro, soprattutto quello automobilistico, impone la necessità di aprire una fase nuova, dove ciascuna parte in causa e per quanto di sua competenza, deve compiere lo sforzo epocale per ricercare una nuova forma di dialogo, rinunciando a posizioni preconcette o a sterili arroccamenti su posizioni precostituite e ormai obsolete. I sindacati, in un quadro che ogni giorno cambia, devono immaginare e reinventare basi nuove, più complesse ed articolate, per mettere in atto la tutela dei diritti dei lavoratori. Un conto è la tutela dei diritti dei lavoratori in settori nuovi ed in crescita come la robotica, un conto sono quei settori asfittici e in crisi come quello automobilistico, a maggior ragione se si producono utilitarie e non suv. Le imprese, dal canto loro, non possono solo chiedere sacrifici in tempi di vacche magre, ma sapere immaginare nuove forme di partecipazione dei lavoratori al piano industriale, agli utili, al futuro e allo sviluppo di nuove realtà e percorsi aziendali in tempo di vacche grasse. Schiacciarsi sulle posizioni della Fiom, come qualcuno a sinistra sta facendo, o su quelle di Marchionne, come qualcuno a destra sta facendo, non aiutano a mio avviso di certo il lavoratore a conservare il suo posto di lavoro. Chi, a maggior ragione a sinistra, non si interroga su cosa si può e si deve fare, mostra solo di voler conservare uno status quo che di fatto non esiste più da un pezzo. Quanto all'esclusione della Fiom dalla rappresentanza sindacale è sicuramente incostituzionale ma ancor di piu' è una scelta miope, in quanto rischierà di vanificare il contenuto degli accordi, dando vita ad una permamente conflittualità interna all'azienda. Ma anche dalle parti della Fiom, delle riflessioni andranno aperte perchè non è pensabile che un sindacato, così largamente rappresentativo dei metalmeccanici, si arrocchi pregiudizialmente sul fronte del no, rifiutando addirittura di partecipare al tavolo delle trattative e di prendere atto che la globalizzazione dell'impresa e del lavoro non può vedere lavoratori ed imprese come nemici su fronti contrapposti ma richiede necessariamente nuove e straordinarie capacità di confronto. In questo senso, non mi sento di sbagliare quando dico che la Fiom sta mancando l'occasione di diventare quello straordinario sindacato, capace di rappresentare i diritti di tutti i lavoratori. Per quanto riguarda il settore specifico dell'auto, doveva farsi carico di una battaglia per la rivendicazione di un contratto nuovo, che tenesse conto di un mercato con problematiche evidenti rispetto ad altri settori metalmeccanici, che va da quello minerario alla robotica. La Fiom doveva avere il coraggio di sfidare la Fiat su questo, di immaginare una compartecipazione dei lavoratori alla gestione degli utili aziendali, invece di buttare via tutto in nome di una conservazione tout court. Detto questo, credo è tempo per tutti di abbassare i toni, perchè il rischio di una politicizzazione della vicenda Fiat potrebbe far perdere di vista la questione più importante, ovvero quella contrattuale. La parola, dunque, ai lavoratori che si esprimeranno presto attraverso il referendum. Attendo le vostre riflessioni, idee e suggerimenti.

Vi auguro con tutto il cuore un felice anno nuovo.

I DIRITTI NON SI TOCCANO MA I DOVERI NEANCHE

Pomigliano - FiatPomigliano - Fiat

La partita che si sta giocando a Pomigliano d’Arco è di straordinaria importanza e lo è innanzitutto per la Campania ed i lavoratori del comparto. L’impianto Fiat di Pomigliano d’Arco è uno stabilimento strategico sotto il profilo occupazionale.  Ai 5.000 dipendenti Fiat che lavorano a Pomigliano si sommano infatti circa 8.000 lavoratori dell’indotto, parliamo quindi di circa 13.000 posti di lavoro che, direttamente o indirettamente, sono garantiti  dall’esistenza di  quello stabilimento. Ma è strategico anche, e forse soprattutto, perché è localizzato in una regione nella quale immense sono le difficoltà del mercato del lavoro e nella quale estesa è la presenza delle organizzazioni criminali. Qualcuno in passato ha osservato, proprio per segnarne in positivo la differenza, che Pomigliano non è una cattedrale in un deserto, ma una “cattedrale in un cimitero”. In questi giorni la polemica divampa sul contenuto dell’accordo siglato tra Fiat e molte sigle sindacali, ma con la ferma opposizione della Fiom che contesta il fatto che l’intesa in questione mette i lavoratori di fronte alla scelta tra un accordo capestro e la perdita del posto di lavoro . Insomma, una finta scelta che cancella e calpesta diritti fondamentali dei lavoratori. Crediamo che dipingere in questo modo l’accordo di Pomigliano non sia però raccontare per intero la verità sulla vicenda. La verità, infatti, è che Fiat ha scelto la strada sbagliata di imporre un’intesa che cancella o limita fortemente diritti dei lavoratori non per avere una fabbrica “cinese” ma nella speranza di riuscire, almeno così, ad avere una fabbrica “normale”. Cioè una fabbrica che rispetti standard minimi di efficienza e produttività europei, non cinesi. Non si può tacere l’altra metà della verità su Pomigliano. Sulla fabbrica che ha una delle più bassa produttività del Paese, perché ha uno dei più alti tassi di assenteismo del paese. Dove in occasione di ogni sciopero indetto, il giorno successivo, per eludere la trattenuta sullo stipendio, gran parte dei lavoratori porta il certificato di malattia. Dove nei sabati lavorativi, previsti da anni per contrato, un lavoratore su tre non si presenta ai cancelli e porta poi il certificato di malattia. Dove in periodo di raccolta dei pomodori si verificano strane ed inspiegabili epidemie che costringono molti lavoratori in malattia. Dove si parla di secondi lavori e via dicendo. Dove, in occasione del giorno delle elezioni del 2008 su 4.600 dipendenti quasi 1.600 si sono messi in permesso perché dovevano stare presso i seggi elettorali come rappresentanti di lista o altro. Allora dobbiamo dire con forza che l’errore di metodo della Fiat si specchia in un errore almeno altrettanto grave di quelle forze sindacali che, in questi anni, hanno tollerato il menefreghismo, l’assenteismo, la mancanza di lealtà del lavoro, e che oggi salgono sulle barricate per difendere diritti sacrosanti, in astratto, ma dei quali si è in questi anni abusato al di là del lecito e anche di più. In questa partita si sommano due errori contrapposti, per questo speriamo che le parti trovino, entrambe, il coraggio di rimettere in discussione ciò che è indifendibile: da una parte la volontà di comprimere il diritto di sciopero o di colpire indiscriminatamente nel mucchio i lavoratori con sanzioni senza accertare le responsabilità individuali, dall’altra quella di pensare che si possa andare avanti senza isolare chi crede che un posto di lavoro comporti solo diritti e nessun obbligo. Perché anche questo è affermare un principio di legalità. Voi cosa ne pensate?

Massimo Donadi

Antonio Borghesi

Sandro Trento