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GIUSTIZIA PER STEFANO GUGLIOTTA

Federico Aldovrandi fu colpito da agenti delle forze dell’ordine su tutto il corpo con pugni, calci, colpi di manganelli, fino ad venire ammanettato in una posizione che lo fece soffocare. Federico è morto così. Stefano Cucchi è morto di carcere. E’ morto di sete e di botte. Fu picchiato da alcuni agenti delle forze dell’ordine e poi non adeguatamente curato presso l’ospedale dove era stato ricoverato. Fu considerato, probabilmente, una paziente di serie B. Picchiato e abbandonato. L’elenco dei pestaggi da parte di agenti delle forze dell’ordine, mele marce che disonorano i corpi cui appartengono, non finisce qui. L’ultima drammatica vicenda è solo di qualche giorno fa. Stanno facendo il giro del mondo le immagini di Stefano Gugliotta, il giovane fermato il 5 maggio scorso, fuori lo stadio Olimpico a bordo del suo motorino, malmenato e picchiato. La sua unica colpa è aver indossato quel giorno una maglietta rossa. Quando lo hanno fermato gli hanno detto che era lui il ragazzo con la maglietta rossa che cercavano. E giù botte. Senza sapere se fosse colpevole o meno. Botte da orbi, tanto da pestargli il viso, rompergli due denti e provocargli una profonda ferita alla testa. Non voglio certo fare di tutta l’ erba un fascio. Per fortuna, in questo Paese, per un poliziotto, o un carabiniere cattivo ce ne sono mille buoni. Ma non per questo quanto è accaduto è meno grave. Anzi, paradossalmente, lo è di più. Perché chi indossa una divisa deve garantire l’ordine pubblico. Questo fanno la maggior parte dei nostri agenti, per fortuna. Non deve alzare le mani, picchiare senza ritegno, sfogare su chi è oggettivamente in una situazione di sudditanza psicologica e fisica la sua rabbia e frustrazione. Ebbene, queste persone non solo disonorano la divisa che portano ma disonorano il lavoro dei mille agenti per bene che, ogni giorno, con senso di sacrificio, tutelano e proteggono le nostre vite. E’ per questo che lo Stato, di fronte a questi esecrabili episodi, non deve mostrare il minimo tentennamento: isolare le mele marce, i violenti. Solo questo può restituire credibilità e onorabilità a tutte le forze dell’ordine. Italia dei Valori, con il senatore Stefano Pedica, è andato a trovare Stefano in carcere. Ha fornito assitenza morale a lui e alla sua famiglia, dimostrando loro la vicinanza del nostro partito e delle istituzioni. Non avremo pace finché Stefano non avrà giustizia e finché non si scriva finalmente la parola fine a questi vergognosi ed ignobili episodi di violenza in divisa.

SU CUCCHI NON CALI IL SILENZIO

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Tutta la verità, nient’altro che la verità. E’ quello che chiediamo per Stefano Cucchi e la sua famiglia, cui sono stati negati troppi diritti quando Stefano era ancora vivo e a cui, ora che Stefano non c’è più, dobbiamo almeno la consolazione, seppur magra, della verità.Si può entrare vivi in una stazione dei carabinieri, dopo un arresto per droga, si può essere trasferiti in una stanza di ospedale sotto tutela, ed uscirne morti dopo sei giorni, come è accaduto a Stefano in circostanze misteriose? Mi chiedo, e vi chiedo, è  possibile ed accettabile dover guardare, impotenti, il corpo profanato del proprio figlio o del proprio fratello, colpito e spezzato in due, sul freddo marmo di un tavolo dell’obitorio? Quali sono stati i gravissimi motivi che hanno impedito ai genitori di incontrare il figlio per quei lunghi sei giorni di agonia? Perché non gli sono stati concessi gli arresti domiciliari, neanche fosse il più efferato dei criminali? Le parole, pur condivisibili in linea di principio, del ministro Alfano, che qualche giorno fa ha riferito in Senato sulla vicenda dopo la richiesta dell’opposizione, non bastano a rispondere ai tanti, troppi interrogativi, alle troppe zone d’ombra che questa vicenda reca con sé. Nella relazione del ministro rimangono troppi vuoti, troppe mancanze nella ricostruzione dei fatti e dell’ultima giornata di Stefano. Chi ha sbagliato? Chi è responsabile di questa morte assurda? Chi non ha vigilato? Chi, nell’esercizio del proprio dovere, di sicurezza o sanitario, non si è preso cura di Stefano? Perché, durante l’udienza durata circa mezz'ora, non è stata riferita né rilevata nessuna anomalia? Perché, alle 13.30 di quello stesso giorno, a distanza di appena un'ora dalla conclusione dell'udienza, Stefano viene sottoposto a visita medica nell'ambulatorio del tribunale, dove gli vengono riscontrate lesioni ecchimotiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente e lesioni alla regione sacrale dagli arti inferiori? Perché quando Stefano, appena giunto in caserma nella notte tra il 15 e il 16 ottobre, chiedeva di avvertire il proprio avvocato di fiducia, di cui forniva il nome, ma non gli venne dato ascolto?Sono queste le domande che esigono una risposta. Noi continueremo a chiederlo da oggi e per sempre, fino al giorno della verità, perché chi ha sbagliato paghi, perché su questa morte assurda non si spenga mai la luce dei riflettori.