gennaio 2010

L'ITALIA NON E' SPRINGFIELD

nuclearenucleareSapete chi è il signor Burns? E’ quel vecchietto rachitico, cinico e cattivo che possiede la cadente e pericolosissima centrale nucleare di Springfield, quella dove lavora Homer Simpson. Esatto, proprio quello che al posto del cuore ha una barretta d’uranio. Mi viene in mente lui e la geniale saga di Matt  Groening perché la foga con cui si sta spingendo il Paese all’atomo è sospetta e sembra che al governo ci siano tanti piccoli Mr Burns. L’Italia, però, non è la città dei Simpson e siamo ancora in tempo per impedire che tanti mr Burns si impadroniscano del territorio. Infatti ogni tanto arriva anche qualche buona notizia. Il nucleare, ad esempio, diventa off-limits in Campania. Dopo la Puglia, un’altra regione stabilisce che sul proprio territorio non potranno essere costruite nuove centrali, né impianti per lo stoccaggio e lo smaltimento delle scorie. Una decisione che ha scatenato la reazione del centrodestra, secondo cui le regioni in materia non hanno competenza. Così l’atomo diventa, giustamente, argomento centrale di dibattito nella campagna elettorale per le prossime regionali. E svela la schizofrenia di questo centrodestra: a Roma spinge per costruire centrali atomiche, nei territori, spesso, dice no. O ‘nì’, cercando di mediare tra la politica energetica nazionale e l’esigenza di non perdere voti. I cittadini, però, hanno il diritto di sapere se a qualche chilometro dalla loro casa sorgerà un sito nucleare. Non è questione da poco. Noi stiamo già lavorando al referendum, ma non solo. Assicuriamo che in tutte le regioni dove l’Italia dei Valori sarà al governo, ci batteremo per evitare la costruzione di centrali e di impianti atomici. Intanto invitiamo tutte le regioni amministratedal centrosinistra a seguire subito l’esempio di Puglia e Campania. Il governo ancora non ha reso noto dove sorgeranno le centrali ed è probabile che non lo farà sino alle elezioni, dimostrando, anche in questo caso, scarso rispetto per i cittadini. Greenpeace ha pubblicato un elenco di possibili aree, ma non una parola è giunta da governo ed Enel. Avanti nel buio dunque, anzi, indietro, visto che il referendum dell’87 è stato chiaro: gli italiani non vogliono il nucleare. Al di là delle chiacchiere, delle promesse e delle facili illusioni, c’è un fatto: torniamo all’atomo mentre tutti gli altri stati industrializzati dismettono le centrali ed investono sulle fonti rinnovabili. Complimenti al governo per la lungimiranza, ma i cittadini non consegneranno l’Italia ai signor Burns.

TRA LA PALICE E LIBERTA’ D’INFORMAZIONE

La PaliceLa PaliceOggi il presidente della Repubblica ha invitato tutte le forze politiche a non smarrire il senso comune dell’interesse generale. Una raccomandazione che si aggiunge ai ripetuti appelli per dialogo e le riforme. Tutti - governo, maggioranza, opposizione -  parlano di riforme e della necessità di un nuovo clima nel Paese, di unità nazionale. Tutto giusto, giustissimo. Chi sarebbe così pazzo da invocare un Paese spaccato, la divisione, l’odio tra le parti? Concetti generali condivisibili, quasi scontati in una democrazia parlamentare. Se al governo non ci fosse Berlusconi queste frasi potrebbero sembrare di Jaques de La Palice, quello che ‘se non fosse morto sarebbe ancora in vita’. Riforme sì, dunque, ma quali? L’opposizione, anche quella più dura, non può andare avanti solo con attacchi a testa bassa. Per questo pensiamo che si debba ragionare seriamente sulle riforme necessarie. Il presidente della Repubblica, le alte cariche dello Stato ed i leader di Pdl e Pd, quando ne parlano, pensano a quelle sulla giustizia o a quelle sull’ assetto istituzionale, sul presidenzialismo o sulle diverse competenze delle Camere. Io penso, invece, che si debba partire dalla prima, vera riforma, condizione indispensabile per avviare tutte le altre: quella per la libertà d’informazione. Oggi il vero arbitro della nostra democrazia non è più la presidenza della Repubblica, ma proprio la libera informazione. In Italia, da quando è sceso in campo Berlusconi, l’informazione non è più arbitro, ma dodicesimo, forse anche tredicesimo e quattordicesimo uomo in campo. Il nostro Paese nella classifica di Freedom House non se la passa troppo bene, tanto da essere stato inserito nel novero degli stati a libertà di stampa parziale. In nessun’altra democrazia esiste la possibilità per un magnate dei media di diventare presidente del Consiglio. Anzi no, scusate, un caso analogo c’è, o meglio, c’è stato: Thaksin Shinawatra in Thailandia. Continuare a parlare di riforme senza risolvere questa anomalia, questo enorme conflitto d’interessi che permette ad un solo uomo di influenzare così pesantemente l’opinione pubblica con il controllo di cinque reti televisive nazionali su sei, è pura  ipocrisia. Ve l’immaginate Rupert Murdoch primo ministro dell’Australia? No, semplicemente perché non sarebbe possibile. Con le sue televisioni e con il controllo più o meno diretto delle reti pubbliche e dei suoi telegiornali, per non parlare dei quotidiani di famiglia e di quelli vicini per convergenza d’interesse, politico o economico, Berlusconi dispone di un potere enorme. Ha potentissimi cannoni mediatici che utilizza per colpire i nemici e creare le condizioni per il suo successo politico. In sostanza inganna i cittadini. La mancanza di pluralismo nell’informazione televisiva è il vero male oscuro di questo Paese, dal quale tutto il resto discende come una naturale conseguenza. Non si può impedire alla metà degli italiani di pensare che la partita politica che si gioca sia in realtà truccata, quindi non c’è riforma che possa pacificare il Paese fino a che non sarà sciolto questo, che è il vero nodo. Per queste ragioni credo che l’opposizione dell’Italia dei Valori in questo momento debba mettere al centro la questione della libertà e del pluralismo dell’informazione e non semplicemente sottrarsi al dialogo. Non rifiutiamo il dialogo, ma ogni dialogo che non parta da questo è fasullo.

AL PD SERVONO IDEE CHIARE

Tag: Bersani , Idv , Pd , regionali , riforme

Il Pd dia risposte concreteIl Pd dia risposte concrete

Pubblico una mia intervista apparsa questa mattina sulle pagine de Il Tempo.

"A distanza di tre mesi dalla sue elezione non ho capito qual è la sua politica. Mi pare che Bersani non abbia le idee molto chiare". Il capogruppo dell' Idv alla Camera Massimo Donadi risponde così alle perplessità, espresse ieri dal vicepresidente del Pd Marina Sereni sulle pagine de Il Tempo , nei confronti del suo partito. "Le parole di Marina Sereni - spiega - ci hanno amareggiato perché sono le parole di un alleato che non ha ancora capito qual è la posta in gioco. Si possono fare tutte le riforme del mondo, ma non ci sarà una vera pacificazione fino a quando non si risolve il vero problema del Paese: quello del Quarto potere che è nelle mani di una parte politica. È come se in una partita di calcio l' arbitro fosse il dodicesimo giocatore in campo. Questo è il vero problema.
Fino a quando il Pd non lo capirà si farà trascinare in fantomatici tavoli delle riforme".

Lei ha capito cosa pensa Bersani dell' alleanza con l' Idv?                                                                   "Questo lo dovrebbe chiedere a Bersani".

Ma sono tre mesi che è segretario del Pd. Qualcosa dovrebbe aver capito della sua linea...
"Finora non è dato sapere quali sono gli elementi portanti che dovrebbero caratterizzare la sua politica. Abbiamo preso atto che Bersani ha fatto prendere le distanze del Pd dall'Idv. A noi interessa la chiarezza e la riforma sui mezzi di informazione televisivi".

Voi pensate di essere degli alleati affidabili per il Pd?                                                                       "Noi siamo molto affidabili. Si deve trovare un accordo su come andare avanti insieme. Se vogliamo essere un' alternativa a Berlusconi dobbiamo esserla domani. Bersani continua a dire che il più antiberlusconiano sarà quello che lo batterà nelle urne. Ma questo accadrà tra tre anni. Un' opposizione seria è anche un' opposizione che evita di fare danni permanenti alla democrazia e alle istituzioni del Paese. Mi pare che Bersani non abbia ancora le idee molto chiare".

Se è così chi è il vosto interlocutore nel Pd?                                                                                       "È Bersani. Lui è il solo interlocutore con il quale cercheremo il dialogo. Il Pd dovrebbe comprendere le ragioni dell' Idv come alleato, invece di cercare di ridimensionarci. Altrimenti rischia di fare la fine di Massimo D' Alema con la Bicamerale e quella di Walter Veltroni all' inizio della scorsa legislatura. Speriamo che Bersani non segua la stessa strada".

Lanfranco Palazzolo. Il Tempo

POPOLO VIOLA LINFA DELLA POLITICA

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Il 5 dicembre è stata una giornata straordinaria. Centinaia di migliaia di persone si sono riunite spontaneamente, senza nessuna bandiera, per urlare la propria disapprovazione nei confronti del governo Berlusconi e l’intenzione di mandarlo a casa. L’artefice di questo miracolo è la rete e la sua straordinaria capacità di mettere in “connessione” persone anche lontane tra loro, non solo in senso letterale del termine. A contribuire alla realizzazione dell’evento sono stati centinaia di ragazzi che si sono messi in moto nelle varie città italiane, organizzando pullman e treni. Domani, a Napoli il comitato organizzatore nazionale e locale del No B Day si ritrova per cercare di non lasciare isolata l’esperienza del 5 dicembre e per cercare di tradurla in un “manifesto del Popolo Viola”.  Ho deciso di sentire la loro voce, per cercare di capirne le intenzioni. Nel video Anna Mazza, referente del gruppo locale No B Day di Napoli, Gianfranco Mascia dell’associazione BO.BI e Massimo Malerba, del gruppo promotore del No B Day, ci raccontano le proprie idee e come, secondo loro, si evolverà l’organizzazione di questo “movimento”. Ci hanno spiegato che l’esperienza del 5 dicembre non si tradurrà certamente in un partito e che il Popolo Viola deve restare assolutamente autonomo dalla politica e dalle forze che di essa fanno parte.Ho molto apprezzato le parole di questi giovani e credo che la loro intenzione di rimanere fuori dalla politica sia positiva. Io credo che la società civile debba restare tale e non debba in alcun modo diventare un partito. Il 5 dicembre per la prima volta partiti ed esponenti politici hanno aderito ad un’iniziativa nata dal basso e organizzata in rete. Credo che il compito della società civile sia proprio quello di portare la politica sul piano della realtà e di aiutare i partiti a comprendere le esigenze e le istanze della gente. La politica, dal canto suo, deve essere la cinghia di trasmissione che pesca nella società civile e la coinvolge. La società civile deve essere uno stimolo per la politica, un faro a cui le forze politiche devono puntare, ascoltandone più approfonditamente la voce, perché essa riesce a cogliere velocemente i cambiamenti della società. Per questo, credo che il tentativo, da parte della società civile, di imbrigliarsi in un partito politico, si tradurrebbe inevitabilmente per essa in un irrigidimento che non le consentirebbe più di mutare in base alle istanze della gente. Si perderebbe, così, quello spirito camaleontico che rappresenta la forza di organizzazioni quali il Popolo viola, che nascono nella società civile e ad essa continuano a dare ascolto.

COMMISSIONE D'INCHIESTA SUL WATERGATE ITALIANO

WATERGATEWATERGATEServizi segreti, ma non tanto. E soprattutto al servizio di Berlusconi, non dello Stato. Una ‘Spectre’ che spiava gli avversari politici. Detta così vengono in mente i servizi segreti dei paesi comunisti, il Kgb, la Stasi, la Securitate di Ceausescu, e invece si tratta di tutta roba nostrana, di cui non si deve parlare troppo peraltro.  Niccolò Pollari e Pio Pompa, l’uno direttore del Sismi dal 2001 al 2006 e l’altro importante funzionario dello stesso servizio segreto che ora si chiama Aise, spiavano i vertici del centrosinistra, e anche poliziotti (addirittura De Gennaro come scrive il Fatto quotidiano), magistrati, giornalisti. Con loro Marco Mancini, allora numero tre del Sismi ed oggi sotto processo per l’attività di spionaggio illecita organizzata da Giuliano Tavaroli, capo della security di Telecom. Anche per Pollari e Pompa la procura di Perugia ha chiesto il rinvio a giudizio per l’archivio riservato scoperto a Roma. Fossimo in una democrazia normale, questa vicenda avrebbe portato alle immediate dimissioni del presidente del consiglio ed al suo ritiro dalla scena politica. Il caso watergate insegna. Nixon si dimise per aver spiato il quartier generale del comitato nazionale democratico. Ma siamo in Italia, Paese a democrazia limitata da quando Berlusconi fa politica per difendere i suoi interessi. E così succede che Niccolò Pollari viene addirittura nominato Consigliere di Stato a Palazzo Chigi e che la presidenza del Consiglio apponga il segreto di Stato sulla vicenda, in riferimento al processo che riguarda Marco Mancini. Gli ‘spioni’ in Italia, però, non sono tutti uguali. Capita, infatti, che un onesto funzionario dello Stato come Gioacchino Genchi, incaricato di compiere intercettazioni per conto delle procure, che ha operato sempre lealmente ed entro i confini della legalità, venga additato dal centrodestra come un pericoloso ricattatore e messo alla berlina. E’ chiara ed evidente la diversità di trattamento tra chi ha operato in una palude di illegalità, ricatti, deviazioni antidemocratiche e chi, invece, ha lavorato per la collettività, contribuendo a scoprire reati e inchiodare criminali. Emerge da questa vicenda un quadro oscuro di illegalità ailimiti dell’eversione, per questo penso che sia necessaria una commissione d’inchiesta sull’archivio segreto di Pollari e Pompa e sulla centrale d’intercettazione di Tavaroli.

LA FAVOLE DELLE ALIQUOTE

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L’ennesima balla elettorale. L’ennesimo spot ‘ad effetto’ architettato dai ‘Gianni e Pinotto’ della politica italiana: Tremonti-Berlusconi. Sto parlando della riforma del fisco proposta dal ministro del Tesoro.Ma andiamo a vedere nel dettaglio l’idea di Tremonti. Sul tavolo del confronto politico c’è la riduzione delle aliquote Irpef da tre a due (23 per cento fino a 100 mila euro e 33 per cento oltre i 100 mila euro) che costerebbe alle casse dello stato 20-25 miliardi di euro. Vorrei partire dal fatto che i 20-25 miliardi di euro non ci sono e Tremonti si guarda bene dal dire dove intende andare a pescarli. Già questo la dice lunga su quanto poco di serio ci sia in questa proposta. Ma passi. Quello che è più grave è il fatto che questa è una pessima idea. La nostra Costituzione, infatti, prevede la progressività dell’imposizione fiscale: chi guadagna di più, per un principio di equità sociale, deve pagare più tasse. Con questa riforma, invece, si va in direzione totalmente opposta, molto di più di quanto non appaia dal semplice passaggio da tre a due aliquote. La realtà è che si passerebbe di fatto ad un'unica aliquota se si pensa che il 99 per cento dei contribuenti italiani dichiara redditi fino a 100 mila euro, per cui l’aliquota del 33 per cento si applicherebbe soltanto ad una ristrettissima minoranza. In soldoni significa che il pensionato o l’operaio pagherà allo Stato, in percentuale, le stesse tasse di un imprenditore o di un avvocato. Tutto questo non farebbe altro che aumentare iniquità e le ingiustizie sociali, che già vedono il nostro paese svettare al sesto posto al mondo per la crescita delle disuguaglianze, superato solo da Messico, Turchia, Portogallo, Usa, e Polonia.Per questa ragione noi presenteremo una proposta completamente diversa che ha, invece, l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze sociali nel nostro paese e di attuare un grande trasferimento di fiscalità dal lavoro (sia dipendente che d’impresa) alle rendite e alle speculazioni.  Per questo proponiamo da un lato un’imposta di solidarietà sociale, sul modello francese che vada a colpire i grandi patrimoni e le grandi rendite e, dall’altro, di raddoppiare l’imposta sulle speculazioni finanziarie passando dall’attuale 12,5 al 25 per cento.Tutti i proventi di queste imposte dovrebbero essere utilizzati per un’unica grande azione di riduzione del costo fiscale sul lavoro, ottenendo il doppio risultato di aumentare il netto in busta paga per lavoratori e pensionati e facilitare la ripresa del mercato del lavoro rendendo le assunzioni meno onerose per le imprese.Due proposte che noi mettiamo sul tavolo del confronto. Due idee chiare e semplici contro la demagogia ormai surreale dei Gianni e Pinotto all’italiana che da quindici anni campano sullo slogan ‘meno tasse per tutti’ e invece di anno in anno propinano agli italiani specchietti per le allodole ogni volta che si avvicina una scadenza elettorale.

GLI ACCORDICCHI ELETTORALI SONO UN INSULTO AGLI ELETTORI

Candidati alle regionali 2010Candidati alle regionali 2010   In Italia, in questo momento, non è vero che c’è il bipolarismo. C’è una coalizione di centrodestra che, pur con tutte le sue divisioni interne, esiste ed è percepita come tale. Dall’altra parte, non c’è niente, c’è solo un pulviscolo di sigle. Dobbiamo avere il coraggio di dirlo con franchezza: dalla caduta del governo Prodi in poi, non c’è stata più una coalizione di centrosinistra. Anche il patto tra Pd e IdV delle scorse elezioni politiche era più frutto di un’intesa elettorale che  di una condivisione profonda e sincera di progetti ed idee. Finché andremo avanti così, come stiamo facendo ora, Berlusconi continuerà ad apparire il gigante che non è.Quello cui dobbiamo puntare, invece, è un’alleanza di valori, su progetti ed idee condivise. Questo è il primo, vero, obiettivo da perseguire e per il quale dobbiamo lavorare: una nuova fase fondativa di una coalizione di centrosinistra, che parta dall’individuazione di un modello di sviluppo e di paese da sottoporre al giudizio degli elettori. So bene che a qualcuno possa venire il mal di pancia ma per me fare politica significa ambire a governare, perché solo governando si può migliorare il paese e cercare di trasformare in azione politica i propri ideali. Ed oggi in Italia è impossibile pensare di costruire un’alternativa di governo se non partendo dal Pd, principale partito di opposizione, dalla sinistra radicale, se sceglierà una volta per tutte di abbandonare ogni forma di massimalismo sposando definitivamente un’impostazione progressista e di governo. E, se devo dirla fino in fondo, non può prescindere neanche dalla parte buona dell’Udc, quella che nulla ha a che fare con Cuffaro&co.Già queste elezioni regionali possono essere l’occasione giusta per lanciare il primo seme di una grande fase fondativa, che porti alla formazione di una vera coalizione di centrosinistra. In questo senso, le candidature di Emma Bonino e Niki Vendola potrebbero acquistare una luce diversa.Questo deve essere il discrimine. Non possiamo permetterci il lusso di accordicchi elettorali per sommare due percentuali. Questo ormai gli elettori non lo accettano più.E’ il rischio che vedo in Veneto. E’ proprio qui, nella distrazione generale, che si rischia di commettere un errore capitale. Invece di interrogarsi sulle ragioni che hanno portato il centrosinistra ad essere residuale e marginale in una delle regioni più dinamiche e innovative del Paese e, di conseguenza, progettare politiche credibili e competitive per un modello di Veneto diverso, si sta scegliendo scelta ancora una volta la strada più veloce, la scappatoia più facile, affidando la leadership di coalizione al partito di Casini, quell’Udc che, in Veneto, da quindici a questa parte e ancora oggi che vi scrivo, sta governando con Galan e Zaia. Tale scelta è totalmente priva di senso, ancor prima che di consenso. Per avere qualcosa da dire dobbiamo andare a prendere il candidato nel centrodestra? Non è serio per il centrosinistra, né dignitoso per l’Udc, che non avrebbe argomenti con cui difendersi. Non sorprendiamoci poi se continuiamo ad essere residuali e marginali. Quale credibilità ha un progetto che vede affidare la leadership di una coalizione ad un partito che oggi fa parte di quella opposta? Fermiamoci finché siamo in tempo. Non è serio e le cose non serie i cittadini le scartano. Quale sarà la differenza tra le due coalizioni? Questo è quello che abbiamo in mente per fermare lo strapotere della Lega? Così si costruisce l’alternativa?Quello che noi chiediamo è un atto d’amore per la coalizione che non può prescindere dal rispetto per gli elettori. Per questo, con forza e determinazione, chiediamo al Pd di avviare, sin da queste regionali, una nuova fase politica che, partendo da un’idea forte su valori condivisi, abbia come obiettivo finale la costruzione di coalizioni plurali credibili e convincenti agli occhi dei cittadini, da Nord a Sud, dalle Alpi agli Appennini.Ad ispirare questa nuova fase non deve essere la triste logica spartitoria di posti e poltrone. Per il futuro, quello immediato delle regionali e quello nazionale, più vicino di quanto si pensi, chiediamo uno spirito di costruzione nuovo per un progetto serio e credibile. Si può fare. Siamo ancora in tempo e ci crediamo a tal punto che sin da adesso diciamo con chiarezza che, di fronte ad una volontà fondativa forte, siamo disposti a fare anche qualche rinuncia. E’ tempo di ripartire. E’ questo il vero laboratorio da costruire: una nuova coalizione plurale su idee, progetti e contenuti. Solo così facendo potremo correre con dignità e aspirare, in qualche caso, alla vittoria. 

LEGGI AD LIBERTATEM... QUELLA "SUAM"

Silvio BerlusconiSilvio Berlusconi Legittimo impedimento, processo breve, lodo Alfano per via costituzionale, decreto blocca-processi, immunità parlamentare: è questo l’obiettivo di Berlusconi, approvare subito, nei prossimi mesi, una cinquina di leggi che lo mettano al riparo, a vita, e anche oltre, dai suoi guai giudiziari. E chissenefrega se il nostro sistema giudiziario se ne va allo scatafascio. Siamo al record mondiale di leggi ad personam, ribattezzate con faccia tosta dal premier “ad libertatem”. Si, ad libertatem suam, ribadisco io. Cinque leggi leggi confezionate su misura, che, con le 18 approvate dal 1994 ad oggi dai governi di centrodestra, fanno in totale 23, numero magico e scaramantico, che fa la fortuna di chi lo raggiunge. Sicuramente ha fatto la fortuna dell’attuale presidente del Consiglio. Un vero record, degno di entrare nel Guiness dei primati.Scorrendo, infatti, l’elenco di tutte le leggi ad libertatem suam si capisce chiaramente una cosa. Tutte le volte che gli interessi del premier, economici, finanziari, televisivi, calcistici, hanno trovato un’ostacolo o un impedimento sul loro cammino, la maggioranza di centrodestra li ha spazzati in men che non si dica per via legislativa. Mi riferisco, ad esempio, alla riforma del diritto societario del 2001, che ha depenalizzato il falso il bilancio e ha salvato Berlusconi dal processo All Iberian 2 e Sme Ariosto 2. Mi riferisco, alla ormai celebre legge Cirami del 2002, che introduce il legittimo sospetto sull’imparzialità del giudice, oppure, al cosiddetto decreto salva-calcio sempre dello stesso anno che ha consentito al Milan di ottenere benefici in termini fiscali, per usare un’espressione gentile e non parlare di evasione vera e propria. E poi ancora tutti i condoni tombali di cui si sono avvantaggiate le imprese Mediaset, i lodi per rendere immune Silvio, i decreti salva tv, l’aumento dell’Iva sulla pay tv concorrente: insomma, ce ne è per tutti i gusti, basta avere la pazienza di arrivare fino in fondo all’elenco.Dunque, se il 2010 si vede dal mattino, altro che riforme costituzionali o del fisco, altro che partiti dell’amore ci attendono per il nuovo anno! La musica non è cambiata, anzi, a dirla tutta è peggiorata. Girano voci a Montecitorio. A quanto riferiscono alcuni deputati del Pdl le indiscrezioni de la Repubblica e de l’Unità sono vere. Silvio, durante la cena con alcuni di loro, a proposito del processo Mills, avrebbe detto davvero che  “o i giudici decidono nel senso che sostengo io o faccio una dichiarazione a reti unificate per dire che la magistratura è molto peggio della mafia”.A questo punto, sorge una domanda: quando Silvio, qualche giorno prima di Natale, ha detto che sconfiggerà la mafia entro la fine della legislatura non è che pensava ai magistrati? I conti tornerebbero.Se non ci fosse da piangere verrebbe da ridere a ripensare al clima falso e intriso di melassa con il quale solo 20 giorni fa il mondo della politica e dei media, sia a sinistra che a destra, ci dipingeva come pericolosi eversori, perché ci eravamo permessi di dire quello che ogni italiano di buon senso pensava, ovvero, che sarebbe finita esattamente così.  A sentire oggi Bersani, che dice che si metterà di traverso sulle leggi ad personam, mi viene da chiedermi se ci sono o ci fanno… 

LA STRATEGIA DELLA BEATIFICAZIONE

Bettino CraxiBettino CraxiIeri sera il Tg1, con un editoriale del direttore, ha riscritto la storia in diretta televisiva. Tre minuti sono bastati per beatificare Craxi, paragonandolo addirittura a Papa Wojtyla e per relegare negli inferi dell’odio e del rancore politico l’intera inchiesta di Mani Pulite. E’ ormai sotto gli occhi di tutti che il tentativo di riabilitazione della figura politica di Craxi non è un moto spontaneo, ma una vera campagna politica che per diffusione e capillarità è seconda soltanto a quella di santificazione di Berlusconi dopo l’aggressione di Tartaglia e dietro la quale si intravedono con chiarezza attori e finalità.E’ evidente che, in questa operazione studiata a tavolino, a parte ovviamente ai figli e alla famiglia, di Craxi non interessi un gran che a nessuno ma che si perseguano obiettivi che stanno tutti all’interno dell’odierna battaglia politica. E’ chiaro infatti che vi è un’intera classe politica che, scontati anni di purgatorio a seguito di Mani Pulite e dopo aver a fatica riconquistato in questi anni posizioni di prima fila nella politica o nel governo del paese, vede nella riabilitazione politica di Craxi una sorta di lavacro collettivo di un’intera epoca politica della quale sono stati sciagurati protagonisti. E’ il tentativo maldestro di far dimenticare agli italiani che in quegli anni la politica ha ceduto il posto a un sistema di ruberie malversazioni grazie alle quali il nostro paese si trova ancora oggi in ginocchio indebitato e impoverito.L’altro regista, senza la cui smisurata potenza mediatica questa campagna sarebbe impensabile ancora prima che impossibile, è Silvio Berlusconi, le cui fortune come imprenditore sono legate a doppio filo ai favori del Craxi ‘statista’,  cui si deve la prima legge ad personam della Repubblica italiana, ovvero quel decreto con il quale il governo Craxi permise a Berlusconi, in violazione delle norma all’epoca vigente, di trasmettere in diretta televisiva sull’intero territorio nazionale. Per non parlare della strada che l’ex leader socialista gli spianò nell’accaparrarsi le frequenze pubbliche televisive, per passare ancora alle tracce di tangenti passate dal conto estero di Fininvest All Iberian ai conti svizzeri di Craxi e per finire con quell’epoca oscura venata di tentazioni golpiste nella quale fu possibile la nascita di quella loggia P2 che vide coinvolti tanto Berlusconi quanto molti dei dirigenti socialisti. Noi non permetteremo che tutto questo accada, non per odio verso Craxi, non per giustizialismo, ma soltanto per amore della verità. Quell’amore di verità che mi fa dire che non vi è dubbio che dal punto di vista politico Craxi abbia avuto importanti intuizioni e una visione anticipatrice, sapendo ancorare una parte della sinistra al  riformismo europeo vent’anni prima che lo facesse il Pci-Pds. Sicuramente l’analisi e il giudizio della vita e delle azioni di un uomo politico sono articolate e complesse. Ma non possiamo dimenticare che ogni politico sottoscrive con i cittadini innanzitutto, e sopra ogni altra cosa, un solenne patto di verità, lealtà e trasparenza. Questo patto Bettino Craxi lo ha violato nel modo più grave possibile, sia con le plurime e gravi responsabilità penali, sia con le evidenti responsabilità politiche, per essere stato uno dei protagonisti di quel complessivo decadimento della politica che ha trasformato la corruzione e il sistematico sperpero del denaro pubblico in normale e ordinario metodo di gestione dell’azione politica e di governo.

LA CORTE DEI MIRACOLI

 Le folli spese di Palazzo ChigiLe folli spese di Palazzo Chigi  Sono anni che ci fa credere che con lui a palazzo Chigi si spende meno. Più di una volta, il presidente del Consiglio, il miliardario Silvio Berlusconi, ha detto che quando vola, anche per ragioni di stato, usa i suoi jet privati, spendendo di tasca sua, che le guardie del corpo se li paga da solo, con i soldi suoi. Poi, si scopre la verità, ovvero, che il presidente del Consiglio avrà pure usato qualche volta i suoi aerei privati per ragioni di Stato ma gli è anche capitato, e non proprio raramente, di usare gli aerei dell’aeronautica militare, personale e carburante pagati con i soldi pubblici, per trasportare i suoi amici alle sue feste private in Costa Smeralda. Per non parlare delle sue guardie del corpo private, ex addetti alla sicurezza Fininvest, fatti assumere in blocco dai nostri servizi segreti per garantire loro stipendi alti a carico di Pantalone.  Insomma, il mito del miliardario generoso che fa risparmiare i soldi al suo paese e ce ne mette di suoi più passa il tempo e più si sta rivelando per quello che è, ovvero, una bufala.A completare il quadro, arriva oggi un’inchiesta de L’Espresso che, rivela fatti, circostanze, comportamenti ma soprattutto spese, imbarazzanti. Palazzo Chigi, da quando siede alla tolda di comando Silvio, è diventata la corte dei miracoli, dove si moltiplicano dipendenti (1.600 persone in più del previsto) e sprechi (5 milioni di euro solo per allestire i set televisivi del premier). Non colpiscono solo le cifre folli spese (un miliardo di euro l’anno a quanto rivela l’inchiesta de L’Espresso) ma soprattutto l’arroganza ai limiti del lecito con la quale segretarie e addetti all’Ufficio del Presidente vengono promossi generali con tanto di galloni e stipendi favolosi. La segretaria del presidente del Consiglio, ad esempio, è stata assunta con la qualifica di direttore generale. Stessa sorte è toccata alle segretarie particolari dei sottosegretari alla presidenza del Consiglio, alla famiglia e allo sport. Gli addetti all’immagine del presidente, addetti alla preparazione dei set televisivi, fatti assumere come direttori generali. E molto di più.Quando i soldi sono pubblici il presidente del consiglio non bada a spese. Quando i soldi sono i suoi la musica cambia. E mi vengono in mente, tanto per fare un esempio fulgido di questa doppia morale, le truccatrici Mediaset, in sciopero qualche giorno fa davanti agli studi del Biscione, che rischiano il posto di lavoro perché le aziende di Silvio devono risparmiare. Le aziende di Silvio, appunto. L’azienda Italia può sprecare. Tanto paga Pantalone, cioè i cittadini.   

IL GOVERNO HA LA SINDROME DI PENELOPE

PenelopePenelope Il taglio delle poltrone può attendere. Et voilà, l’ennesimo bluff del governo è servito. La maggioranza, per il secondo anno consecutivo, rinvia la questione di un anno, ovvero al 2011. E si sa che, in politica, rinviare, significa rimandare alle calende greche per non parlarne, ma soprattutto, per non fare più. Solo un ingenuo poteva pensare che, alla vigilia delle elezioni amministrative, la maggioranza avrebbe seriamente dato un taglio al numero delle poltrone degli amministratori locali. Per il momento, proconsoli, cacicchi e ascari, di destra, sinistra e centro, rimangono saldi alla tolda di comando, con buona pace del ministro Calderoli e di tutta la Lega che, sui tagli ai costi della politica e su Roma ladrona, ci hanno fatto tante chiacchiere in campagna elettorale ma nulla di più. Tecnicamente, è accaduto che la norma prevista in Finanziaria, che tagliava di 50.000 unità le poltrone di consiglieri e assessori di comuni e province, è stata congelata e rimandata ad un decreto che a sua volta rinvia al prossimo anno le grandi manovre per rendere più snelli e meno costosi gli enti locali.La norma contenuta in finanziaria prevedeva la riduzione di un quarto dei consiglieri e di un quinto degli assessori mentre per le province sarebbe dovuta scattare un diminuzione del 20% degli assessori. Conti alla mano, guardando per esempio ai comuni, le grandi città con più di un milione di abitanti si sarebbero viste decurtare ben 13 consiglieri: da 61 a 48. Se, invece, si parla di assessori, la riduzione maggiore avrebbe riguardato gli enti tra 30.000 e i 250.000 abitanti, con 4 assessori in meno. Ma il decreto ha congelato tutto fino al 2011, facendo slittare anche la soppressione del difensore civico e delle circoscrizioni comunali. Non è l’unico caso di questa strana sindrome di cui la maggioranza ed il governo sono affetti e che li porta a disfare di notte quello che fa di giorno. C’è anche la vicenda delle zone franche urbane che, in Francia e non solo, rappresentano un modello economico di successo. Nel 2006, l’Italia ha intrapreso la stessa strada con la prima finanziaria del governo Prodi e, nel 2008, il testimone è stato raccolto dal governo Berlusconi che ha chiesto un sofferto via libera da parte della Commissione europea, in modo da poter partire il 1 gennaio 2010. A due giorni dal varo delle 22 zone franche urbane, il governo ha emesso un decreto legge che modifica la normativa e che quindi costringe l’Italia a ripartire da zero. Il tutto, pare, per l’ingordigia della Lega irritata dal fatto che nessuna delle 22 zone franche autorizzate è nella sua area d’influenza elettorale e ne vorrebbe almeno due.Insomma, di giorno il Governo tesse la tela di Penelope, di notte la disfa. Su una sola tela lavora a spron battuto: è quella che gli serve per imbrigliare la giustizia e mettere il premier al riparo dei suoi guai.

LA CONGIURA DEI CONDANNATI

Antonio Di PietroAntonio Di Pietro  E’ in atto il tentativo di riscattare la classe politica della prima Repubblica, quella che Tangentopoli ha consegnato alla storia come corrotta, affarista e ladra. Quella che ha messo in ginocchio un intero Paese, regalandogli il più pesante debito pubblico mai visto, di cui paga ancora oggi le conseguenze. Per riscattare quella classe politica e i suoi epigoni, serve riscrivere la storia e far passare i ladri per santi e le guardie per mascalzoni. Così, dopo il tentativo di santificazione di Craxi, che abbiamo denunciato dalle colonne di questo blog pochi giorni fa, arriva ora puntuale la seconda parte dell’operazione studiata a tavolino, ovvero il castello di bugie, calunnie e veleni che i soliti quattro pennivendoli al soldo del padrone stanno costruendo ad arte. L’obiettivo è quello di continuare a denigrare, come stanno facendo ormai da vent’anni, non solo il lavoro ma anche l’onorabilità di chi ha fatto il suo mestiere, ovvero, i magistrati di allora, Antonio Di Pietro per primo ed il pool di Mani Pulite.Tutto ciò mi indigna perché io so. Per questo, sento il bisogno di raccontarvi un episodio, al di là di tante parole o frasi. E’ accaduto un anno e mezzo fa circa, protagonisti me e Di Pietro. Sono nel mio ufficio a lavorare e sento bussare alla porta. E’ lui che, con un’aria quasi timida, che stupisce anche me che conosco bene il fiero cipiglio del leader del mio partito, mi si avvicina con alcuni,  tanti per la verità, fogli in mano. Mi spiega che quei fogli altro non sono che la vecchia sentenza che lo scagiona completamente dalle accuse che allora lo avevano indotto alle dimissioni dalla magistratura e che, ovviamente, lo assolve da ogni addebito a suo carico. Per intenderci, parliamo dei 100 milioni di lire e della Mercedes di Gorrini. Altrettanto timidamente mi chiede di dare un’occhiata alla sentenza, di leggerla se ne avessi voglia, in particolare quelle 30 pagine sui cui egli stesso ha messo il segno, aggiungendo, infine, che è molto importante per lui sul piano della nostra amicizia che io legga quelle pagine.Sebbene fossimo amici da nove anni, con Di Pietro non avevo mai parlato dei dettagli di quei momenti e di quelle vicende. La sua richiesta mi inorgoglì.Ebbene, non solo lessi quelle trenta pagine, ma l’intera sentenza e, ad ogni riga, cresceva la mia rabbia ed il senso frustrazione per la vera storia che, mai nessuno in questo Paese, aveva avuto ed ha il coraggio di raccontare. Emergono fatti, circostanze, intercettazioni, dichiarazioni che, in un paese normale, avrebbero cambiato il corso della storia. Vi racconto qui, in sintesi, sempre che non abbiate voglia di leggervi la sentenza, quello che emerge e che, badate bene, non sono opinioni ma fatti interamente ed incontrovertibilmente ricostruiti da confessioni, dichiarazioni dei diretti interessati, documenti ritrovati e intercettazioni telefoniche effettuate. Non teorie, dunque, ma fatti.Il signor Giancarlo Gorrini, che nel ’94 era un imprenditore sull’orlo del fallimento e che rischiava di essere travolto da una serie di indagini giudiziarie, al fine di cercare di salvare se stesso, il suo patrimonio e le sue aziende dall’imminente tracollo, decise di fare mercimonio dei suoi pregressi rapporti di amicizia con Di Pietro, di alterare fatti, circostanze, significati e gravità di tali rapporti di amicizia, al fine di riversare questo cumulo di menzogne in un dossier da vendere al miglior offerente tra i tanti indagati o arrestati di Mani Pulite, che non difettavano certo né di soldi né di rancore verso il magistrato. Per primo, si reca da Paolo Berlusconi e gli offre un dossier esplosivo per incastrare Antonio Di Pietro. Paolo Berlusconi accetta, prende il dossier e, temendo perquisizioni, lo fa nascondere a casa del fidanzato della figlia. Qui, un giorno, si presenta una persona di fiducia dello stesso Paolo Berlusconi che si fa consegnare il dossier e lo porta alla Lega Nord, proponendolo anche a loro. La Lega, invece, denuncia quella persona che, fermata ed identificata dalle forze dell’ordine, racconta tutto. Nel frattempo, Gorrini e Paolo Berlusconi si recano dal capo degli ispettori del ministero della Giustizia, portando l’esplosivo dossier che inchioda l’ex pm. Ma le accuse di Gorrini contenute nel documento sono talmente sciocche che il magistrato le archivia all’istante.A quel punto, Gorrini si rivolge a Cusani, proponendo a lui l’affare. Si presenta con un nuovo dossier, visto che il primo è un totale flop, dove gli stessi fatti sono stati riscritti e stravolti per tentare di farli diventare quello che oggettivamente non sono, ovvero, penalmente rilevanti. Cusani e Gorrini decidono di andare direttamente alla procura della Repubblica per dare inizio ad un procedimento penale contro Di Pietro e il pool di Mani Pulite.Gorrini si mette d’accordo a tavolino con testimoni, familiari ed amici nel negare che in tutta la vicenda ci sia dietro Paolo Berlusconi. Omette questa circostanza e decide di raccontare che la sua decisione di andare dal pm scaturisce dal moto di indignazione suscitatogli dalla notizia, pubblicata dal Corriere delle Sera, di prossime indagini a carico di Silvio Berlusconi da parte del pm Di Pietro.Questa volta, di fronte a Gorrini e Cusani, c’è il giudice Fabio Salamone di Brescia, scelto ad hoc dai denuncianti, il cui fratello è stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta di Tangentopoli per corruzione e cui non difetta, dunque, rancore nei riguardi del pm. Da questo secondo assurdo dossier, capolavoro di menzogne artatamente costruite, partono le accuse ed i procedimenti contro Di Pietro che, nel frattempo, si dimette dalla magistratura per affrontare i processi e tutte le accuse a suo carico, da cui verrà interamente e totalmente prosciolto. Il Csm, qualche tempo dopo, ammonì il pm Fabio Salamone perché non si astenne dal processo su Di Pietro, riconoscendolo colpevole di aver violato il dovere di correttezza e di aver pregiudicato il prestigio dell’ordine giudiziario.Nella sentenza il giudice scrive che, all’epoca, c’era un vero e proprio partito degli indagati che aveva costruito un castello di falsità e che aveva tessuto una rete di calunnie per mettere Di Pietro ed il Pool definitivamente in trappola.Questo è ciò che accadde e questa è la verità, non la mia o quella di Di Pietro, ma la verità dei fatti e tentare di stravolgerla ancora una volta, è da vili e disonesti. Il tempo mi auguro posso aiutare a cancellare il dolore. Ma non può e non deve cancellare la verità.

CARO PRESIDENTE STAVOLTA DISSENTO

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Pubblico il testo della lettera che ho inviato oggi al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

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Caro Presidente,

rispettosamente, ma totalmente, dissento dal contenuto della lettera da Lei inviata ai familiari dell’on. Craxi.

Innanzitutto, perché constato che le sue parole non stanno servendo affatto ad una serena e più condivisa considerazione della figura di Craxi e di quel periodo della storia repubblicana ma, semplicemente, stanno dando un’insperata forza a quelle mille interessate voci che tentano oggi, unilateralmente e strumentalmente, di riscrivere la storia “a senso unico”.

Come si può immaginare, Signor Presidente, di giungere ad una memoria condivisa fino a quando a definire i contorni di questa memoria sono, Lei compreso, i protagonisti politici di quel tempo, protagonisti ancora oggi, e in tanti, della vita politica?

La serenità di una visione condivisa non potrà nascere altrimenti che dall’analisi distaccata di chi quegli anni non li ha vissuti in prima persona. Lasciamo, quindi, alla storia questo compito. Per questo, la mia sensazione, leggendo la Sua lettera è che, forse non intenzionalmente, in Lei per un giorno sia prevalsa la memoria di chi di quei giorni è stato autorevole testimone, piuttosto che il giusto distacco necessario per raggiungere il pur nobile obiettivo che Lei si è proposto.

Non si spiega, altrimenti, come del Craxi politico e uomo di governo Lei possa ricordare soltanto le innegabili positive intuizioni, dimenticando totalmente ed incomprensibilmente, di ricordarne anche il ruolo di assoluta primaria grandezza nel consentire e realizzare quel “sacco” della ricchezza pubblica che, in quindici anni, portò il debito pubblico dal 60 al 120%, togliendo a due generazioni future di italiani la speranza di un futuro migliore.

Un vero e proprio assalto alla diligenza, con il quale una classe politica già screditata e compromessa cercò di mantenere il consenso spendendo soldi che non c’erano. In quegli anni scellerati si mandarono in pensione quarantenni, si aumentò di un milione il numero dei dipendenti nelle pubbliche amministrazioni, si diede vita ad un sistema assistenziale di matrice clientelare e di illegalità diffusa che misero il paese in ginocchio. Caro Presidente, Le chiedo, come si può tacere tutto questo?

Non ho condiviso, Signor Presidente, nemmeno la parte nella quale Lei, oggettivamente, ribadisce il fatto che non si possono cancellare le responsabilità penali ma, ciò nondimeno lascia intendere, con le Sue parole, che anche quelle furono frutto di un clima che portò a far pagare a Craxi un prezzo più alto che a chiunque altro e La spinge ad evocare possibili ingiustizie, nei limiti in cui gli fu negato “un processo equo”, come stabilirebbe una sentenza della Corte di Giustizia Europea.

No, Signor Presidente, la mia memoria dei fatti, e quella di milioni di italiani che ieri non si sono ritrovati nelle sue parole, è diversa.

Craxi pagò oggettivamente più degli altri grandi leader di partito, ma solo perché soltanto Craxi risultò inequivocabilmente aver fatto ampio uso personale dei proventi di reati, compiendo quindi atti di corruzione e non semplice finanziamento illecito.

Quanto all’allora sentenza della Corte di Giustizia Europea questa si limitò a giudicare negativamente non il processo a Craxi ma una norma del diritto italiano. Norma che si applicò a tutti gli italiani imputati in processi penali, fino alla sua riforma.

Anche da questo punto di vista mi pare quindi che si rischi, ancora una volta, di avallare l’idea che la giustizia che vale per i cittadini comuni non debba essere la stessa che vale per i potenti.

Credo, Signor Presidente, che sia una china davvero pericolosa.

Conclusivamente, Signor Presidente, Le voglio dire che da Lei mi sarebbe piaciuto sentire un discorso diverso, che potesse contribuire a riedificare moralmente questa martoriata Repubblica. Un discorso che dicesse con chiarezza, una volta per tutte, che il politico, tanto più se uomo di governo, presta un giuramento solenne verso il popolo che rappresenta. Un giuramento di onestà, di trasparenza e di lealtà. E che quando vìola, così gravemente e durevolmente, questo giuramento, come fece Craxi, tradisce il suo Paese ed il suo popolo e niente, nemmeno il tempo, lo può riscattare.

Purtroppo, per la riedificazione morale del nostro paese, dovremo aspettare ancora a lungo.

Con rispetto,

                                                           Massimo Donadi

DIRITTO UCCISO, CALPESTATO E UMILIATO

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 I senatori di Italia dei Valori hanno occupato ieri l’Aula di Palazzo Madama. Hanno trascorso la notte lì, a presidio della democrazia, mentre il governo e la maggioranza stanno facendo scempio della legalità. Ai colleghi senatori va tutta la mia solidarietà e stima. Quando la legge sul processo breve, approvata oggi al Senato, l’ennesima vergognosa legge ad libertatem suam, ovvero del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, arriverà alla Camera metteremo in atto altrettante coraggiose forme di resistenza democratica. La nostra è un’azione di resistenza istituzionale nei confronti di una legge eversiva con la quale l’attuale maggioranza vuole infliggere, per gli interessi esclusivi del presidente del Consiglio, il colpo mortale alla giustizia, alla cultura della legalità e allo stato di diritto.Siamo di fronte a uno dei peggiori provvedimenti della Repubblica italiana, la diciannovesima legge ad personam in sedici anni. Se questo ddl diventerà legge la maggioranza ed il Governo, per sistemare i processi del re, farà un favore a tutti quei criminali, mafiosi in testa, che attendono con trepidazione. E’ una legge profondamente incostituzionale, tutta concepita nelle segrete stanze di Arcore, dall’avvocato del premier Ghedini.Il Governo e la maggioranza mentono spudoratamente quando, per lavarsi le coscienze, spacciano questo scempio del diritto per riforma della giustizia e affermano che finalmente verrà fissata la ragionevole durata dei processi. Sono ben altre le leggi da fare ed approvare per far ripartire la macchina della giustizia, a cominciare da fondi e risorse adeguate. La verità è che, nascondendosi dietro l’Europa e le direttive internazionali, il governo antepone agli interessi di un paese intero quelli di un uomo solo. La norma sul processo breve cancellerà, con un colpo solo, il processo Mills, che vede Berlusconi accusato di corruzione, e il processo Mediaset, che lo vede accusato di frode fiscale e metterà la parola fine a 100 mila processi, e farà tornare tranquillamente all’opera migliaia di criminali, delinquenti e mafiosi, aiutando di fatto coloro che hanno commesso reati, mentre decine di migliaia di vittime subiranno l’onta di uno stato che le umilierà per la seconda volta.Siamo di fronte a qualcosa di ben peggiore dell’indulto approvato nella scorsa legislatura, nonostante il voto contrario di Italia dei Valori. Il ddl sul processo breve è un’amnistia mascherata, un condono tombale sui processi del premier e su quelli di migliaia di criminali che torneranno a delinquere, celebrando la morte del diritto. Chi, come il senatore Maurizio Gasparri, oggi nell’Aula di Palazzo Madama, rivendica con orgoglio l’approvazione di questa norma, definendola un voto per la verità e la giustizia, ha ucciso, calpestato e umiliato il diritto. Alla Camera, metteremo in atto ogni forma di resistenza possibile, augurandoci che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, estremo garante della Costituzione, non firmi mai questo scempio.  

RINGRAZIO MA CONFERMO DISSENSO

Oggi, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha risposto alla mia lettera aperta pubblicata su questo blog. Questa è la risposta del presidente della Repubblica:

"Ho letto la sua lettera e prendo atto del totale dissenso da lei liberamente espresso. Desidero solo farle presente - avendo lei voluto contestare anche il mio riferimento a una sentenza della Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo (che lei confonde con la Corte di Giustizia europea, che e' cosa diversa) - che ho l'abitudine di documentarmi e di fare affermazioni precise.

Lei  non ha evidentemente letto la sentenza a cui mi riferisco, che sul punto da me indicato così recita: 'Non e' possibile ritenere che il ricorrente abbia beneficiato di un'occasione adeguata e sufficiente per contestare le dichiarazioni che hanno costituito la base legale della sua condanna'".

Ringrazio sentitamente il presidente della Repubblica per l’attenzione e la sensibilità che ha avuto nel rispondere alla mia lettera. Prendo atto delle sue precisazioni in punto di diritto che, però, lasciano immutato il significato politico del mio dissenso.

Detto questo, e ad onore del vero, ritengo opportuno linkarvi il testo tradotto in italiano della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo,  dalla cui lettura potrete trarre le vostre considerazioni e che comunque stabilisce due cose:

1) Di tutti i processi, con relative condanne ricevute da Craxi, solo in uno di questi la Corte Europea rinviene violazioni dei principi dell'equo processo.

2) Anche con riferimento a questa sentenza accoglie un'unica doglianza della difesa di Craxi e cioè di non aver potuto controinterrogare i testimoni o coimputati che hanno accusato Craxi. La Corte, tuttavia, riconosce che ciò avvenne nel pieno rispetto della legge italiana allora vigente, correttamente applicata dai giudici.

A voi ogni giudizio.

SU NAPOLITANO LE VERITA' NASCOSTE

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Tra ieri ed oggi si è avuta riprova che i media  italiani non sono al servizio della corretta informazione. I lettori dei quotidiani e i telespettatori dei tg nazionali, si sono trovati di fronte a una sorta di paradosso.  Giornali e tv hanno, infatti, dato ampio risalto alla risposta che il presidente Napolitano ha voluto inviare alla mia lettera aperta, in cui dissentivo sul messaggio mandato dal Capo dello Stato ai familiari di Craxi, senza, però, riportare una sola parola della stessa. Lettori e spettatori, in pratica, non sono stati messi in grado di formarsi una propria opinione.La verità è sempre la stessa: l’Italia dei Valori dà fastidio a tutti indistintamente. Non importa se moltissimi italiani la pensano come noi. L’informazione continua a incasellarci in vecchi cliché, a descriverci come esagitati, esaltati, come quelli che dicono sempre no e che insultano il capo dello Stato. La lettera che io ho mandato a al presidente della Repubblica era, forse, inenarrabile, perché troppo in contrasto con tale modello di partito. Era, infatti, un insieme di riflessioni, spunti culturali e valutazioni economiche e politiche, ben lontani da insulti e contestazioni. Su questo blog è stata pubblicata la mia lettera e la risposta di Napolitano.Ora guardate il video e traete voi le libere conclusioni.

IMMIGRAZIONE GOVERNATA A COLPI DI FLOP

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Lo avevamo previsto. Lo sapevamo e l’avevamo detto. L’introduzione del reato di clandestinità, come strumento per contrastare l’immigrazione irregolare, si è rivelato per quello che è un vero e proprio flop. A sei mesi dall’introduzione della norma che punisce con una sanzione amministrativa e l’espulsione l’ingresso e il soggiorno illegale nel nostro Paese, voluta con pervicacia e determinazione dalla Lega, i risultati sono scarsissimi: 12 condanne a Genova, nessuna condanna a Palermo e Agrigento, pochi fascicoli giunta dalla procura all’ufficio del giudice di pace di Firenze, Parma, Bologna e Napoli, 500 richieste di archiviazione a Milano, 40 processi a fronte di 611 decreti d’espulsione a Roma. I numeri parlano chiaro e se questo governo e questa maggioranza fossero onesti dovrebbero avere il coraggio di ammetterlo e di abrogare questa norma xenofoba ed inutile. Ma più in generale, tutta la politica, tanto a destra quanto a sinistra, dovrebbero trovare il coraggio di confrontarsi finalmente e seriamente con l’immigrazione, provando ad andare oltre i propri steccati ideologici, ormai buoni più solo per fare cassetta elettorale. Basta dare un’occhiata alle cifre per farsi un’idea precisa: 3 milioni di immigrati regolari negli ultimi 15 anni, 1,5 milioni di clandestini, solo in Italia. Una vera e propria massa migratoria che ha cambiato e sta cambiando sempre di più il volto di questo Paese, con le conseguenze sociali, di sicurezza e di integrazione che ogni giorno tocchiamo con mano e nei confronti delle quali il legislatore ha offerto sempre e solo armi spuntate.Per affrontare un fenomeno così importante e significativo come quello dell’immigrazione serve un approccio politico e culturale nuovo, che superi l’idiozia di norme come il reato di clandestinità e di pagliacciate come le  ronde. Serve una politica fatta di buon senso e di strumenti adeguati, a partire dalla riscrittura della legge sull’immigrazione Bossi-Fini, una vera e propria aberrazione legislativa, forte con i deboli e debole con i forti.Il finto buonismo del centrosinistra che accoglie tutto e tutti è una soluzione sbagliata e superficiale, che tampona ma non risolve. Così come altrettanto sbagliato è ridurre la questione dell’immigrazione ad un problema di ordine pubblico come fa il centrodestra. Solidarietà a tutti i costi da una parte, e tolleranza zero dall’altra sono due ricette sbagliate, una peggiore dell’altra. Non serve a niente scegliere l’una o l’altra strada. Serve il coraggio di scelte nuove ed uscire da logori schematismi ideologici. Noi questo coraggio lo abbiamo. 

GLI AFFARI OSCURI DEL CAVALIERE

Silvio Berlusconi e Fedele ConfalonieriSilvio Berlusconi e Fedele Confalonieri Appropriazione indebita, frode fiscale al fine di creare fondi neri. Questi i nuovi capi di imputazione che, da oggi, pendono sulla testa del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Con lui, indagati anche il figlio Piersilvio e Fedele Confalonieri. Puntuali come un orologio sono partite le difese d'ufficio. Quelle pseudo-tecniche, immancabili, dell'avvocato del premier, Niccolò Ghedini, che starà già pensando a qualche nuovo mirabolante cavillo da infilare in qualche leggina ad hoc per evitare al Cavaliere quest'altra grana giudiziaria, e quelle pseudo-politiche dei vari Gasparri, Bondi, Capezzone e Cicchitto, umili e proni a difendere gli interessi del padrone a capo di un impero che è sempre stato gestito, anzi è nato, con disinvoltura e spregiudicatezza. Il coro dei servitori è unanime: film già visto, giustizia ad orologeria, accanimento giudiziario, plotone d'esecuzione nei confronti dell'amato Presidente del Consiglio.Si dispiaceranno lor signori, ma francamente il film giù visto è tutto il loro. Mentono quando parlano di giustizia ad orologeria in vista delle elezioni regionali. L'inchiesta Mediatrade, e loro lo sanno bene, non nasce oggi dal nulla, ma parte da lontano ed era nell'aria da tempo.Le difese d'ufficio di chi tenta, invano, di dimostrare che nei confronti del presidente del Consiglio c'è accanimento giudiziario sono una litania trita e ritrita. Il loro tentativo maldestro di buttarla in caciara, come si dice a Roma, attaccando la magistratura non copre l'evidenza dei fatti inquietanti che i giudici di Milano hanno portato alla luce con questo nuovo filone d'inchiesta. E i fatti, le circostanze, i documenti e le testimonianze parlano di un presidente del Consiglio "che decide di trattare i diritti televisivi non direttamente con le majors americane ma di affidarle ad un signore egiziano, tal Frank Agrama, che acquistava i diritti e poi li rivendeva alle società di Berlusconi a prezzi enormemente gonfiati". A Los Angeles li comprava a cento, a Milano li rivendeva a mille. La differenza restava all'estero e l'amico Frank si preoccupava "di restituire i profitti su conti nella disponibilità di manager Mediaset, in Svizzera, nel Principato di Monaco, alle Bahamas". E ancora. Agrama continuava a riferire a Silvio Berlusconi sulle negoziazioni per l'acquisto dei film "anche dopo la sua nomina a presidente del Consiglio".Questi sono i fatti, le circostanze, i documenti e le testimonianze. Nessun plotone d'esecuzione. Nessun accanimento giudiziario. Nessun complotto. E' la giustizia che tenta di fare il suo naturale corso, di accertare i fatti, senza guardare in faccia a nessuno, nonostante gli ostacoli posti lungo il cammino da questo Governo e da questa maggioranza, processo breve, legittimo impedimento, lodo Alfano per via costituzionale, e chi più ne ha ne metta. O cercare la verità in questo Paese sta diventando un delitto?

7 PAGINE IMBARAZZANTI: IL PROGRAMMA ECONOMICO DI GIULIO TREMONTI

Tremonti bondsTremonti bonds Pubblico un interessante articolo del prof. Michele Boldrin, apparso sul sito www.noisefromamerika.org. Un sarcastico e formidabile saggio sulla politica economica del ministro Giulio Tremonti.

"A mezzo d'un mirabolante un-due-tre, l'incipit riassume tutta la politica economica tremontiana: socialismo populista + monopoli nazionali simbiotici al potere politico + rovesciamento della realtà:

1. Son anni che GT annuncia il "rientro della politica" senza che agli annunci seguano altro che condoni, o fallimenti. La lista di quest’ultimi è nota: Tremonti bonds, Banca del Sud, cartolarizzazione del patrimonio edilizio pubblico, richieste di dazi europei, vendita dell’oro della Banca d’Italia, social cards della miseria, riforme fiscali mai avvenute ...

2. Il barattolo di pelati Cirio: Tremonti rieccheggia la linea difensiva di Cragnotti. In realtà le frodi maggiori avvennero mentre Tremonti era ministro dell'economia, le tecniche finanziarie usate furono elementari e la legislazione che permise a Cragnotti di frodare e scamparla venne mantenuta in vigore (e in parte promulgata) mentre il nostro sedeva a quella medesima scrivania. La "finanza disinvolta" c’entra come i cavoli a merenda. C’entra, invece, la "politica disinvolta" che GT pratica sin da quando lavorava per Craxi, maestro della medesima.

3. La tassa di Obama: ennesimo attacco al libero mercato e ai piccoli risparmiatori. Tassa populista a suggello del patto mefistofelico fra Washington e Wall Street: il supporto della dirigenza bancaria (i cu ingiustificati redditi vennero e vengono preservati) a cambio della tosatura degli azionisti. A questo modello Tremonti s'ispira, il suo unico cruccio essendo quello che le banche italiane non hanno ancora ceduto alle sue, per niente timide ma senz'altro pelose, offerte d'aiuto.

Il resto dell'intervista si sviluppa quindi in una realtà parallela, farcendosi d'insensatezze (def: sequenza di parole prive di senso compiuto e/o riscontro nella realtà). Documentarle tutte richiederebbe un altro libro ... in fondo all'articolo elenco le peggiori, lasciando ai lettori il piacere di discuterle.Nei meandri di questo mondo capovolto, ho comunque rinvenuto tre importanti messaggi al popolo:

A. L'ennesima promessa, con scadenza a tre anni e mezzo, di riforma fiscale. Poiché sulla medesima non dice nulla di preciso, nulla possiamo commentare. Alla promessa di riforma non si accompagna la promessa d’una riduzione della spesa pubblica, il che implica (visto il debito e lo squilibrio di bilancio esistenti) che Tremonti sta promettendo di non ridurre il carico fiscale aggregato ma, al più, di redistribuirlo. L’affermazione secondo cui la spesa si ridurrà spontaneamente per effetto del federalismo fiscale è priva d’alcuna sostanza. In sintesi: carico fiscale e spesa pubblica invariati.

B. Nessun’altra riforma viene promessa: "riforma della pubblica amministrazione, della scuola, dell'università e delle infrastrutture sono in atto", afferma Tremonti. Si parva licet, mi ricorda Bob Lucas che, nel suo articolo del 1978 su Asset Prices in an Exchange Economy, affermava che sia il problema della dinamica dei prezzi (tâtonnement) che quello delle dinamiche di accumulazione (convergenza o meno alla crescita bilanciata) erano stati risolti. Bob fantasticava allora, Giulio Tremonti lo imita oggi nel suo piccolo. Il messaggio politico è chiarissimo: immobilismo totale. Guai a toccare i delicati equilibri che, sino ad ora, hanno permesso al suo capo ufficio d’essere eletto. Che il paese decada è poca cosa a fronte della rielezione del batka nostrano.

C. Il grande rientro della politica consiste nell'offrire sicurezze verbali, ossia fantasie. Il declino italiano non esiste, perché l'ha detto Tremonti. Non importa che i dati gli diano torto, lui continua a dichiarare che la crescita degli altri paesi, durante gli ultimi dieci-quindici anni, era falsa e drogata. Quindi non siamo rimasti indietro: abbiamo fatto solo a meno di drogarci ... Che il reddito pro-capite di Irlanda, Spagna e svariati altri sia tutt'ora superiore al nostro non va menzionato: essi devono affrontare squilibri non ben specificati e stanno quindi peggio di noi. Il loro essere andati avanti era apparente, come apparente era ed è il declino del reddito delle famiglie italiane. Chi lo nega è disfattista e anti-italiano, come la Banca d'Italia che non la smette di dire cose scarsamente coerenti con le fantasie che il ministro dell'economia ritiene necessario gli italiani credano. Se Giulio Tremonti dice che gli altri stanno peggio di noi, non importa che i dati dicano l'opposto: i dati sono probabilmente drogati da qualche economista determinista. La realtà non esiste, le statistiche non esistono, il declino italiano non esiste. Esistono solo le favole che raccontano le TV di stato e di Berlusconi. Favole che Giulio Tremonti sogna di notte e spiattella di giorno a giornalisti ossequiosi, perché le copino e le diffondano fra il popolo. Ecco, la nuova e grande politica economica di Giulio Tremonti che "rientra" è tutta qua, va da A. a C.

IL CENTROSINISTRA E LA RICERCA DELL’ANIMA

Nichi VendolaNichi Vendola   Congratulazioni a Nichi Vendola che, con la sua caparbietà e passione, ha prima imposto al Partito Democratico quel grande esercizio democratico che sono le primarie e ieri ha dimostrato che quando la politica, aperta e trasparente, sa essere vicina ai cittadini vince ogni ostacolo. A lui va il nostro pieno appoggio, nella convinzione che ora vi siano le condizioni migliori per riconfermare il centrosinistra alla guida di una regione importante come la Puglia.Ma dalle primarie pugliesi arriva un segnale ben più significativo. Vi è nel centrosinistra, soprattutto nel PD, una significativa maggioranza della classe dirigente convinta di due cose,  entrambe sbagliate.La prima è che in questo paese vi sia una inevitabile e fisiologica prevalenza elettorale del centrodestra. La seconda, in larga misura conseguenza della prima, che le alleanze abbiano una valenza esclusivamente elettoralistica, e che vadano, quindi, costruite a tavolino, volta per volta, come una specie di alchimia, mettendo insieme sigle, interessi, gruppi sociali, poteri.In quest’ottica, la scelta di un’alleanza preferenziale con l’UDC, della quale la Puglia doveva essere il laboratorio, per poi replicarla a livello nazionale, rispondeva a questa logica angusta. Un’alleanza di convenienza, fatta nella convinzione che per vincere si debbano prendere tout court pezzi del centrodestra e spostarli da questa parte, senza che a questo corrisponda un progetto politico per la gente o l’elaborazione di una visione culturale complessiva. Anzi, questa “alleanza a freddo”, proprio in quanto nasceva dai due errori di fondo di cui ho appena detto, portava in sé anche il germe del superamento del bipolarismo, concetto così caro a Casini, ma anche a D’Alema e ad una  parte non marginale della dirigenza PD.D’altra parte il ragionamento – se non fosse sbagliato nelle premesse – non farebbe una grinza: posto che la maggioranza degli elettori è di centrodestra, e non di centrosinistra, in un confronto bipolare, perderemo sempre. Meglio allora tornare al proporzionale dove “ognuno fa per sé” e le alleanze si fanno il giorno dopo il voto ….. a tavolino!Per fortuna gli elettori pugliesi del centrosinistra hanno bocciato, forse oltre ogni previsione, non solo e non tanto il candidato del PD, ma questa politica senza anima e senza cuore.Gli elettori italiani, in questi ultimi anni, hanno premiato il centrodestra anche perché, dopo la caduta del primo governo Prodi, il centrosinistra non è riuscito più a mettere in campo una coalizione degna di questo nome. Con un progetto chiaro e, soprattutto, condiviso. Quello che gli elettori hanno bocciato, al contrario, era proprio una coalizione avvertita come precaria, instabile, rissosa e conflittuale, oppure frutto proprio di quelle alchimie o convenienze elettoralistiche che non solo non salveranno mai il centrosinistra ma lo condanneranno in perpetuo ad una dimensione minoritaria, come lo è (in ultima analisi) la cultura di chi le propone.Questo è il grande compito che, se vogliamo tornare a vincere, dobbiamo svolgere, tutti ed insieme, senza perdere  tempo. Ripartire dai valori, dalle idealità, da un progetto di ampio respiro dove una pluralità di soggetti politici si mette in discussione per offrire al paese un modello di governo valido per i prossimi 10 anni. Se vorrà anche l’UDC, ma secondo una scelta chiara e coerente. Bisogna ripartire da una politica fatta soprattutto di anima e cuore. Ma anche di cultura di governo. Quella cultura fatta di responsabilità e di positivo pragmatismo che non può più essere sacrificata a visioni ideologiche della politica. L’IDV è pronta a questa sfida. Vedremo se, nei prossimi giorni, anche il PD avrà il coraggio di cambiare marcia e ripartire dal cuore e dall’anima.

LA DISCESA IN CAMPO DI BAGNASCO

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   Ieri, il cardinal Bagnasco è sceso ufficialmente in campo in vista delle regionali e si è schierato in maniera inoppugnabile da una parte politica ben precisa. Anzi, è andato oltre. Con un discorso che non lascia spazio a dubbi o interpretazioni, ha separato le forme dai contenuti, stigmatizzando e condannando i toni duri di una parte politica, senza analizzare le ragioni o le cause che hanno determinato certe reazioni o parole. La sua dichiarazione di intenti politici ha operato una vera e propria rimozione dei fatti, per mettere la parole fine alle malefatte del premier.Il presidente della Cei, pastore di anime, monsignor Bagnasco, tra le pieghe di un finto appello alla politica ad abbassare i toni, ha colto lo spunto per additare “il pericoloso riaffiorare all’orizzonte di maestri nuovi del sospetto e del risentimento che, lanciando parole violente e ripetute, possono resuscitare mostri del passato”. Non ha rivolto un appello alle parti per invitare ad un clima e a un confronto politico più sereno e conciliante. Ha sposato la tesi di una parte politica, puntando il dito solo verso l’eccesso di toni di una parte, lasciando l’altra fuori da ogni responsabilità o addebito, come se fosse innocente od esente da colpe. E’ come se io, di fronte ad un omicidio, lanciassi un urlo di allarme e qualcuno, invece di prendersi la briga di fermare la mano assassina, sentisse primariamente l’urgenza di riprendere me che mi sono macchiato del grave delitto di aver urlato ad alta voce in pubblico.Non credo vi possano essere dubbi su chi siano i destinatari del messaggio di Bagnasco. E per capirlo, basta riascoltare l’intervento di Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera del Pdl, due giorni dopo il grave ed inqualificabile episodio di Milano. Colpisce come un pugno nello stomaco monsignor Bagnasco, presidente della Cei, che fa uso dello stesso modulo comunicativo del centrodestra, che parla con le stesse parole di Cicchitto, che sposa la tesi dei cattivi maestri, del partito dell’odio e del rancore, che evoca l’armamentario berlusconiano quando parla di responsabili politici dell’aggressione di Milano. Non si ferma qui, monsignore. Mette i puntiti sulle i anche per la corsa alla regione Lazio. Riporta, con astuzia e furbizia, al centro del dibattito per la corsa alla presidente della regione la pillola RU486 ed il testamento biologico. E la Bonino è servita.Speriamo di aver capito male. Nutriamo speranza che monsignore voglia chiarire il significato delle sue parole nei prossimi giorni, perché interventi come questi, alla fine dei conti, non favoriscono sereni rapporti tra Stato e Chiesa ma non aiutano neanche a rasserenare il clima tra maggioranza ed opposizione.

CIARPAME ALLA RISCOSSA

Veline e candidatureVeline e candidature  Così la bella e disinvolta Noemi ha avuto la sua ricompensa. A breve debutterà in televisione con uno show televisivo fatto su misura per lei. Siccome la fanciulla, però, non ha nessun talento, alla faccia delle tante attrici, ballerine o conduttrici che di talento ne hanno da vendere ma che, ahimè, hanno ancora il pudore di non offrire altra merce al drago, si sta sottoponendo ad un tour forzato di lezioni per imparare un’arte che non ha e che, probabilmente, non avrà mai. Il presidente del Consiglio, il sultano Silvio Berlusconi, che nonostante tutto è ancora lì incollato alla sua poltrona mentre il sindaco di Bologna si è dimesso – altra vicenda, altro stile -  paga il suo cadeaux alla favorita di turno. Ma non lo fa con i suoi soldi. La signorina senza talento artistico, di cui attendiamo trepidanti la prima volta, non debutta su una delle tante reti Mediaset. Papi, sicuramente più preoccupato da eventuali ascolti bassi e conseguenti crolli commerciali di pubblicità sulle tv di sua proprietà piuttosto che della possibilità di rimetterci definitamene la faccia, la spedisce a sgambettare sulle reti Rai, altro suo possedimento a reti unificate, ma a carico dei cittadini contribuenti però.Dire che tutto questo è una disgustosa vicenda da basso impero è poco. Non c’è solo la vicenda di Noemi a ricordarci quanto siamo scesi in basso. In occasione della corsa alle regionali, il sultano ha rispolverato il suo personalissimo caravanserraglio di nani e ballerine, il ciarpame senza pudore da ricompensare con una bella candidatura. E’ così che il Cavaliere avrebbe negato la candidatura a Riccardo Migliori a governatore della Toscana, reo di “non avere proprio il fisico adatto”, preferendogli Monica Faenzi, l’ex sindaco di Castiglione della Pescaia, che vanta il merito di aver maltrattato Prodi quando era presidente del Consiglio e andava in vacanza nella sua città. Ed ecco che il sultano ritira fuori dal turbante di sultano le varie ex miss Veneto, le varie Miss Muretto, le starlette di Telecafone, le meteorine di Fede, la fisioterapista e financo l'igienista dentale, senza neanche più avere la scocciatura di sua moglie Veronica che lo richiama ad un minimo di decenza. Il tutto, condito dai giornali di famiglia, Libero in testa, che oggi decide di sbattere in prima pagina Luciana Littizzetto, inarrivabile e ineguagliabile talento, colpevole di essersi fatta strada da sé, di essere colta, talentuosa e perfidamente intelligente, rea di sbeffeggiare i potenti con il suo gramelot nato e cresciuto sotto la Mole ogni domenica in tv, doti, talento ed impegno che le hanno procurato un po' di soldi con i quali si è comprata, almeno a quanto scrive il quotidiano, diverse case. Ma questa è proprio tutta una altra storia.

A.A.A. ALLEANZA CERCASI

 Casini - MastellaCasini - Mastella Pensavo non mi sarebbe mai accaduto. Eppure, al punto in cui siamo arrivati vi devo confessare che rimpiango i bei tempi andati, quando nell’alleanza di centrosinistra ci stavano Mastella e Dini.Mi direte voi, ma sei impazzito? Quelle banderuole che ogni cinque anni cambiavano maggioranza? Ebbene si, proprio loro. Perché almeno uno poteva confidare che in quei cinque anni non cambiavano idea e che, per lo meno un giro di valzer, europee, regionali o amministrative che fosse, si riusciva a fare con gli stessi alleati.Mi rendo conto non è un granché ma vi confesso che, in queste ultimi tempi, il rimpianto è forte. Ormai, siamo alle alleanze last-minute, agli accordi dell’ultima ora. Siamo all’alleanze a geometria impazzita, più che variabile. Come avrete capito, ogni riferimento all’Udc è puramente intenzionale. Siamo arrivati ormai al ridicolo e forse lo abbiamo superato da un pezzo. Esponenti dell’Udc che si svegliano alla mattina e sono candidati con il centrosinistra e vanno a dormire la sera che sono candidati alla stessa carica ma con il centrodestra. L’unica cosa sicura è la poltrona. Purtroppo, non sto scherzando. E’ accaduto ieri a Bologna. Ieri mattina, dopo le dimissioni di Del Bono, l’alleanza di centrosinistra, d’intesa con l’Udc, ipotizzava di candidare l’on. Galletti, del partito di Casini, alla carica di sindaco, in rappresentanza dell’intero centrosinistra. La notizia sembrava così probabile che qualche giornale, anche autorevole, sottovalutando lo spirito di intraprendenza dei prodi centristi, ne dava oggi addirittura notizia, ignaro che, passando da una riunione di coalizione all’altra, con disinvoltura e freschezza, verso sera aveva preso consistenza l’ipotesi che lo stesso Galletti, fosse si candidato sindaco ma per il centrodestra. Non molto diversamente, è andata in Puglia dove in soli quattro giorni l’Udc ha cambiato indicazione di voto per ben quattro volte: col centrosinistra, da soli, con il centrodestra, da soli. Siamo convinti che non sia finita qui. Peccato che di coalizioni ve ne siano solo due. Chissà, altrimenti, quante di più ne avremmo viste.In poche occasioni, come in questa, i fatti si commentano da soli. A questo punto, riconosciamo senza ombra di dubbio a Mastella e Dini di essere alfieri di una coerenza senza pari, che purtroppo la politica ai nostri giorni ha smarrito.

LA CASTA SI AUTOASSOLVE

Cosentino-BerlusconiCosentino-Berlusconi La casta ancora una volta si autoassolve. Se lo scorso 10 dicembre il Parlamento avesse votato a favore della richiesta di arresto per Cosentino, ora il sottosegretario all’Economia sarebbe in carcere. Per l’ennesima volta è stata la Parlamento a negare la possibilità che la giustizia faccesse il suo corso. Ancora una volta, per uno dei suoi affiliati, non è valso il principio “la legge è uguale per tutti”.Niente di nuovo sotto il sole, dunque. Ieri la cassazione ha infatti confermato l’ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip di Napoli in cui il sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino, è accusato di concorso esterno in associazione camorristica per i rapporti con i clan dei Casalesi. Lo scudo parlamentare lo ha protetto, ancora una volta, come succede ormai sistematicamente da vent’anni a questa parte. Dal 1993 ad oggi, infatti, tutte le richieste di arresto nei confronti di parlamentari di destra, di centro e di sinistra sono state respinte. Ben 18 volte la Camera ha voltato le spalle alle magistratura.Altro che Magistratura ad orologeria. La Camera per queste 18 volte si è appropriata del potere giurisdizionale. Per 18 volte la casta si è garantisce un'impunità senza limiti. Un'impunità che va oltre le regole della giurisdizione.Ma questa volta c’è qualcosa di più. Ieri a reti unificate abbiamo assistito allo sproloquio di Berlusconi e dei suoi ministri sulla lotta che il Governo sta portando avanti contro la mafia.Nello stesso giorno il sottosegretario Consentino, un membro del Governo, si è visto confermare la richiesta di arresto per i suoi rapporti con i Casalesi senza che nessun membro dell’esecutivo si sia alzato a chiedere le sue dimissioni. Questi sono i fatti. Cosentino ha ancora la sua bella poltrona. I discorsi e le belle parole stanno a zero. Chi ieri non ha chiesto le dimissioni di Cosentino e chi lo scorso dicembre ha votato contro l’autorizzazione a procedere abbia, almeno il buon gusto, di non parlare mai più di lotta alla criminalità organizzata. Tacciano se gli è rimasta un po’ di dignità.Questa volta la casta è senza pudore e stavolta, pur di salvare un suo membro, non ha esitato a fare un favore al clan dei Casalesi. Il caso Cosentino è una vergogna nazionale.

IL METADONE DEGLI INCENTIVI FIAT

FiatFiatLa Fiat ha deciso il blocco di tutti gli stabilimenti dal 22 febbraio al 5 marzo. E lo fa il giorno dopo aver annunciato lauti profitti e dividendi per gli azionisti. Tale decisione colpirà  30.000 operai che si ritroveranno con circa 300 euro di meno in busta paga. Tanti, anzi, tantissimi soldi in meno per chi guadagna in media 1200 euro mensili. Il 31 dicembre sono scaduti gli incentivi per l’acquisto di autovetture. Il Governo ne ha promessi di nuovi, ma meno consistenti. Così la casa automobilistica di Torino ha deciso per la cassa integrazione. Un ricatto, secondo il Governo, una scelta inevitabile secondo l’azienda torinese.La verità è che in questa vicenda non ci sono buoni e cattivi. Ci sono due attori in commedia, governo e fiat, che pensano entrambi a prendersi tutta la scena. Si curano dei loro affari ed interessi e poco, anzi per nulla, degli operai rimasti senza lavoro. L’azienda Fiat costituisce da sempre un’anomalia. E’ l’unica azienda privata, in Italia, che viene finanziata con i soldi dello Stato. Forte della sua funzione sociale, ha sempre chiesto ed ottenuto incentivi statali, che altro non sono che un finanziamento pubblico mascherato. Morale della favola, in tutti questi anni, la Fiat ha capitalizzato gli utili e risocializzato i debiti.Negli ultimi anni, il mercato è profondamente cambiato, come si dice in gergo si è globalizzato. L’unica strategia aziendale perseguita dalla Fiat per reggere l’impatto con la globalizzazione si è basata sugli incentivi statali, sulla delocalizzazione degli stabilimenti per ridurre i costi e, da ultimo, sulle fusioni con grandi aziende automobilistiche come la Chrysler. E’ chiaro ed evidente la strategia dell’azienda automobilistica di Torino che ormai ha cuore, testa e portafogli in America, Polonia e Brasile.Dall’altra, c’è un Governo che non è in grado di fornire ricette di ampio respiro. Gli  incentivi statali sono la strada più facile e veloce ma è come fornire il metadone ad un tossicodipendente. Non si può continuare a fornire soldi ed in cambio ottenere licenziamenti e disoccupati in più. Tanto varrebbe, allora, finanziare il coraggio e l’intraprendenza di tante piccole e medie imprese. Come ha scritto bene Giannini su Repubblica, qualche giorno fa, questo Paese ha un disperato bisogno di una politica industriale. Ben vengano, dunque, anche gli investimenti pubblici ma a fronte di investimenti veri, ricerca, formazione e occupazione. Il futuro passa da qui.