novembre 2009

A BERLUSCONI FANNO SCHIFO L’ITALIA E GLI ITALIANI

berlusconiberlusconiA Berlusconi fanno schifo l’Italia e gli italiani. E’ per questo che da quindici anni li inganna, gli mente, fa e promette di tutto senza mantenere mai nulla, solo per perseguire un disegno personale di impunità.Dileggia le istituzioni, le offende, le delegittima, basta solo che si permettano di incrociare le sue scelte, i suoi  voleri o i suoi obiettivi.Di questo ha pagato il prezzo soprattutto la magistratura, rea di aver osato mettere il naso nei suoi “affari di famiglia”. Di aver cercato di scoperchiare il pentolone delle società off-shore, dei fondi neri Mediaset, delle tangenti pagate con quei soldi, delle corruzioni commesse con quei soldi.Da qui LA VERITA’  personale che Berlusconi si è costruito e che ha propagato ai quattro venti con la sua armata di televisioni e giornali: i giudici sono tutti bravi TRANNE quelli che si occupano di lui o degli amici suoi. Le sentenze vanno tutte rispettate TRANNE  quelle che condannano lui o gli amici suoi. Non c’è speranza  che un giudice lo condanni  a ragione. No. Perché solo i giudici comunisti cercano di processarlo, anzi, lo perseguitano. Se un giudice è “perbene” sa che Berlsuconi  è innocente per definizione e quindi se ne tiene alla larga.Noi di Italia dei Valori abbiamo chiamato questo:  nuovo fascismo. Ovvero la sistematica rimozione dei fatti e delle verità per sostituirle con una verità imposta. Non più imposta con la forza ma con la pervasività delle televisioni che trasformano qualsiasi frottola, ripetuta fino all’ossessione, in una verità. Con lo stesso meccanismo con cui la pubblicità ripetuta trasforma qualsiasi “cazzata” di prodotto in un bisogno assoluto.Oggi la VERITA’ personale di Berlusconi si arricchisce di un nuovo passaggio.  Dato che io sono innocente per definizione e che chiunque indaga su di me è conseguentemente un comunista  e un mascalzone, anche se sarò condannato non mi dimetterò. Non c’è dubbio che nei prossimi mesi questo nuovo capitolo della verità del  nostro  caro leader sarà ripetuto fino alla nausea dai cento lacchè che per suo conto popolano quotidianamente ogni possibile contenitore televisivo, per sedare preventivamente le coscienze dell’ODIATA ITALIA e degli ODIATI ITALIANI all’eventuale condanna.Noi non avevamo molti dubbi sul fatto che Berlusconi non si sarebbe dimesso in caso di condanna. Qualche dubbio ora comincia a venirci sul fatto che si dimetterà alla fine della legislatura, dopo le nuove elezioni!!!

BIOTESTAMENTO, RITORNO AL MEDIOEVO

testamento biologicotestamento biologicoDal Parlamento italiano esce l’ennesima pagina da cancellare. Mercoledì la commissione affari sociali della Camera ha deciso di adottare come testo base sul biotestamento il medesimo uscito dal Senato. A parte il fatto che così facendo si sono buttati al vento tre mesi di lavoro e di acceso dibattito della commissione della Camera, quel che è ancora più grave è che si riparte da un testo che prevede l’obbligatorietà di alimentazione e idratazione artificiali nel fine vita.In altre parole si chiama legge sul testamento biologico ciò che, in realtà, è una legge che vieta il testamento biologico e che stabilisce d’imperio che sul nostro fine vita non siamo noi, singoli esseri umani a decidere, ma è lo Stato che lo fa per tutti e per legge.Si tratta di un’impostazione oscurantista e confessionale, che ci riporta al Medio Evo dei diritti civili, in quanto nega quello che dovrebbe essere un valore da salvaguardare imprescindibilmente in una democrazia laica e liberale, e cioè, il principio per cui, considerata la delicatezza e i valori etici, religiosi e morali, che le scelte in ordine al fine vita chiamano in causa, lo Stato dovrebbe rispettare le scelte del singolo individuo, che non siano in contrasto con la coscienza collettiva e con la scienza medica.La libertà cui ogni persona ha diritto relativamente ai trattamenti sanitari cui essere o non essere sottoposta, non può e non deve essere ignorata. E’ impensabile che in un paese civile accada ciò. E’ lesivo della libertà individuale che una persona debba essere obbligata a rimanere attaccata ad una macchina. Eppure, di fatto, è quello che decide questa legge oscurantista. Una sorta di moneta di scambio che il governo offre alla Chiesa per far dimenticare i peccati di Silvio.Italia dei Valori si impegnerà con ogni mezzo a sua disposizione perché si portino avanti i diritti civili della persona, perché si salvaguardi quella sfera individuale, il cui rispetto è alla base di ogni società civile. E non penso soltanto al biotestamento, ma anche ad altri temi che reputo assolutamente centrali, quale quello sulla procreazione assistita, dove una legge delirante ha portato l’Italia ad uscire dal novero dei paesi civili, al contrasto dell’omofobia, che ultimamente ha  assunto dimensioni allarmanti, alla definizione di un codice di diritto per le coppie di fatto, che riguarda milioni di persone, sia etero, che omosessuali, ma che pure sembra caduta nel dimenticatoio. Noi riteniamo che la coscienza e la libertà di ciascuno debbano tornare al centro della politica e ci batteremo perché questo accada. 

IL FUTURO "IN CASSA INTEGRAZIONE"

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Riparte dalla Calabria il nostro viaggio nella crisi, da quel Sud colpito due volte, da un lato da un crollo dell’economia spaventoso, che ha messo in ginocchio quelle poche realtà di piccola e media impresa che a fatica e tra mille difficoltà cercano di affermarsi in un ambiente per molti aspetti ostile a chi fa impresa e, dall’altro, da decenni di politica assistenzialista, fatta di soldi, tanti, ma priva di progettualità e sostegno reale.Una politica che ha spesso portato ad investire nel Sud d’Italia non le aziende più competitive ma i carrozzoni di tutta Europa, quelle aziende ambulanti che si trasferiscono ed aprono sedi dove c’è il contributo pubblico più ghiotto e che, al primo accenno di crisi o di contributi che non arrivano, chiudono i battenti. Sono state politiche di corto respiro che non hanno portato vero arricchimento e lavoro al Sud ma solo vantaggi ad imprese che ne beneficiano.In Calabria, fino a maggio di questo anno, erano 27.000 i posti di lavoro persi. Prima della fine dell’anno, secondo stime della Cgil, arriveranno a 35.000. Ad oggi, sono 5.655 i lavoratori in trattamento di sostegno al reddito. La percentuale di disoccupazione è al 12.78%. Nel 2009, sono stati 8.000 i calabresi emigrati, di questi 4.000 sono giovani. Migliaia di giovani e donne non hanno mai lavorato né potranno farlo.Il Governo nasconde queste verità. Le tv nazionali, insabbiano, silenziano, stendono veli pietosi. C’è solo il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che, a reti unificate, dice che la crisi è finita. C’è solo Tremonti che, a reti unificate, sforna l’ennesima ricetta assistenzialista e miracolista, la Banca del Sud, ovvero l’ennesimo carrozzone pubblico di cui il Paese non sente e non ha alcun bisogno.Abbiamo incontrato a Roma gruppi di lavoratori calabresi durante una manifestazione. Sono dipendenti di aziende che hanno sedi su tutto il territorio nazionale. Molti sono in cassa integrazione, altri senza stipendio da mesi. Tutti sono preoccupati per il loro futuro e per quello delle loro famiglie. Tutti chiedono una sola cosa: una nuova politica per il Mezzogiorno del Paese.Noi crediamo che serva innanzitutto  una misura urgente di carattere nazionale, ovvero, il raddoppio della cassa integrazione, da 52 a 104 settimane, per tutto il tempo della crisi, affinché centinaia di migliaia di lavoratori non escano dal mercato del lavoro. Per il Sud, crediamo servano due cose contemporaneamente: grandi investimenti sulle reti infrastrutturali,  sia stradali che ferroviarie che telematiche, e grandi investimenti, umani più che economici, per sconfiggere la criminalità organizzata ed affermare finalmente la supremazia dello Stato e della legalità sulle mafie.

SIAMO DAVVERO ALLA RIVOLTA DELLA BASE?

Italia dei ValoriItalia dei ValoriSono convinto che Italia dei Valori abbia due strade davanti: avere un grande futuro o non averne nessuno. Per noi non ci sono vie di mezzo. O riusciremo a costruire un partito davvero innovativo e coerente con i principi che proclamiamo o scompariremo. La scommessa si gioca intorno a quattro pilastri fondamentali in cui credo e per i quali, da sempre, mi batto.1) Italia dei Valori dovrà continuare ad essere un partito di uomini liberi che non deve niente a nessuno, se non ai propri elettori. Nel suo futuro, così come nel suo passato, non dovrà esserci nessun compromesso, nessun pacchetto di scambio con i cosiddetti poteri forti, quei potentati economici e finanziari cui oggi molto devono altri partiti.2) Italia dei Valori dovrà essere il partito del nuovo Rinascimento della politica italiana, che concepisce la politica come servizio civile, come ricerca del bene del cittadino e non della poltrona per il dirigente politico di turno.3) Italia dei Valori dovrà essere il partito dei militanti e non dei tesserati. Per questo, il tesseramento dovrà basarsi su un principio imprenscindibile, ovvero il passare di un ragionevole lasso di tempo tra il momento in cui ci si iscrive e quello in cui ci si candida a incarichi pubblici o di partito. Solo così Idv potrà selezionare una classe dirigente coerente ed “appassionata” e non ridursi ad essere un autobus sul quale si sale per  fare carriera.4) Italia dei Valori dovrà continuare ad essere il partito delle regole, che significa una cosa sola. Chi sbaglia paga ed è fuori un secondo dopo, a tutti i livelli, qualunque sia il suo incarico o il suo ruolo. Solo così facendo, Idv potrà continuare ad essere quel partito integerrimo che fa del rispetto delle regole e della questione morale il suo punto qualificante e  di partenza per un vero rinnovamento della classe politica italiana.E’ questa Italia dei Valori oggi? In parte, non ancora del tutto. Quello che Italia dei Valori è oggi, grazie all’intuizione di un uomo solo e di 4 o 5 persone che ci hanno creduto sin dall’inizio, è comunque già un miracolo. La crescita tumultuosa ed esponenziale degli ultimi tempi ha rappresentato una sfida che, dobbiamo riconoscerlo, ci ha colti per molti aspetti impreparati ma non distratti.C’è ancora molto da fare sul piano del rispetto delle regole, sul consolidamento di una classe dirigente che ami a fondo questo partito, sulla democrazia interna. Nessuno deve tirarsi indietro, soprattutto chi più di altri ha responsabilità politiche importanti.Per parte mia, questo l’ho fatto da sempre nell’unico modo che credo corretto e, cioè, senza clamore, senza ricerca di momenti di “gloria”, convinto come sono che un partito non si rinnova con interviste sui giornali ma rimboccandosi le maniche e lavorando sodo, affinché, passo dopo passo, mattone dopo mattone, questo partito somigli sempre di più al modello ideale che molti di noi hanno nell’animo.Ho deciso di parlarvi di tutto questo, nel post di oggi, perché molti giornali e televisioni in questi giorni stanno dedicando grande spazio a quella che è stata definita “la rivolta della base” di Italia dei Valori per chiedere più democrazia e trasparenza. Di questo vorrei distinguere due aspetti, uno positivo, uno negativo. Quello negativo riguarda, esclusivamente, la strumentalizzazione che, di questa legittima e naturale forma di dissenso democratico, stanno dando i mezzi di informazione. Siamo di fronte ad una vera e propria disinformazione, da parte di media che non ci amano perché sanno di non poterci controllare. Giusto per capirci, alla riunione autoconvocata di Bologna, mi risulta ci fossero state una cinquantina di persone che, se fossero state di un qualunque altro partito che non fosse IDV, non avrebbero avuto neanche l’onore di una riga nel giornale locale. Ma l’altro aspetto, quello positivo, ci impone di non minimizzare e anzi, di rispettare, il dissenso che quelle persone hanno voluto esprimere. Perché il dissenso è democrazia e un partito come  l’Italia dei Valori non può aver paura del dissenso al proprio interno ma anzi deve fare ogni sforzo per creare occasioni ed opportunità affinché ogni ragione o dissenso trovi il suo spazio e si possa esprimere. Anche questo blog sarà sempre a disposizione di tutti, come è doveroso che sia nella rete che è l’unico spazio di democrazia privo di controlli e censure.Credo anche che il partito abbia il dovere di ascoltare questo dissenso e di interrogarsi sulle ragioni di chi lo esprime o sul fatto se siano stati commessi degli errori.Coerentemente con quello che dicevo prima credo, però, che tutto questo vada fatto nel dialogo e nel confronto e non sui giornali. Ma su questo vorrei davvero sentire il vostro parere. E se riterrete che, in questa fase, anche il parlare pubblicamente di questi problemi sia un mezzo di crescita, credetemi, non mi mancheranno né le idee, né il coraggio per esprimerle. Per sostenere anche pubblicamente l’impegno per migliorare il nostro partito che spesso, in questi dieci anni, mi è valso l’appellativo di “asburgico”, per l’intransigenza con la quale concepisco la realizzazione di questi valori.

GRAZIE

letteralettera

SU CUCCHI NON CALI IL SILENZIO

Tag: alfano , carcere , cucchi
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Tutta la verità, nient’altro che la verità. E’ quello che chiediamo per Stefano Cucchi e la sua famiglia, cui sono stati negati troppi diritti quando Stefano era ancora vivo e a cui, ora che Stefano non c’è più, dobbiamo almeno la consolazione, seppur magra, della verità.Si può entrare vivi in una stazione dei carabinieri, dopo un arresto per droga, si può essere trasferiti in una stanza di ospedale sotto tutela, ed uscirne morti dopo sei giorni, come è accaduto a Stefano in circostanze misteriose? Mi chiedo, e vi chiedo, è  possibile ed accettabile dover guardare, impotenti, il corpo profanato del proprio figlio o del proprio fratello, colpito e spezzato in due, sul freddo marmo di un tavolo dell’obitorio? Quali sono stati i gravissimi motivi che hanno impedito ai genitori di incontrare il figlio per quei lunghi sei giorni di agonia? Perché non gli sono stati concessi gli arresti domiciliari, neanche fosse il più efferato dei criminali? Le parole, pur condivisibili in linea di principio, del ministro Alfano, che qualche giorno fa ha riferito in Senato sulla vicenda dopo la richiesta dell’opposizione, non bastano a rispondere ai tanti, troppi interrogativi, alle troppe zone d’ombra che questa vicenda reca con sé. Nella relazione del ministro rimangono troppi vuoti, troppe mancanze nella ricostruzione dei fatti e dell’ultima giornata di Stefano. Chi ha sbagliato? Chi è responsabile di questa morte assurda? Chi non ha vigilato? Chi, nell’esercizio del proprio dovere, di sicurezza o sanitario, non si è preso cura di Stefano? Perché, durante l’udienza durata circa mezz'ora, non è stata riferita né rilevata nessuna anomalia? Perché, alle 13.30 di quello stesso giorno, a distanza di appena un'ora dalla conclusione dell'udienza, Stefano viene sottoposto a visita medica nell'ambulatorio del tribunale, dove gli vengono riscontrate lesioni ecchimotiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente e lesioni alla regione sacrale dagli arti inferiori? Perché quando Stefano, appena giunto in caserma nella notte tra il 15 e il 16 ottobre, chiedeva di avvertire il proprio avvocato di fiducia, di cui forniva il nome, ma non gli venne dato ascolto?Sono queste le domande che esigono una risposta. Noi continueremo a chiederlo da oggi e per sempre, fino al giorno della verità, perché chi ha sbagliato paghi, perché su questa morte assurda non si spenga mai la luce dei riflettori.

LE BATTAGLIE DI LAICITA' SONO ALTRE

 crocifissocrocifissoIntervengo, anche se tardivamente, sulla questione della sentenza della Corte di Giustizia Europea, che ha sancito il divieto di esporre crocifissi nelle scuole pubbliche. In questi ultimi giorni, infatti, ho letto due cose che mi hanno fatto trasalire, per opposte motivazioni. La prima è la frase chiave contenuta nella motivazione della sentenza  della Corte di Giustizia Europea, dove si legge: “La presenza del crocefisso nelle aule scolastiche costituisce una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni”. La seconda è del cardinale Bertone che per tutta risposta asserisce: “Questa è l’Europa del terzo millennio. Ci lascia solo le zucche di Halloween”. La mia sensazione, devo dire piuttosto istintiva, è che entrambi abbiano davvero perso il senso della misura lasciandosi trascinare in contrapposte crociate ideologiche. L’ha perso, secondo me, innanzitutto la Corte di Giustizia Europea, che ha scambiato un’istanza ideologica per una battaglia di laicità. E lo affermo proprio perché sono convinto che in un paese come il nostro, con gerarchie ecclesiastiche sempre più invadenti ed invasive rispetto alla politica e alle libertà dei cittadini, di battaglie di laicità da fare ve ne sarebbero ben altre. Tra tutte, questa mi sembra la più pretestuosa e insensata, visto che nessuno pensa di mettere il crocifisso lì dove non c’era, ma semplicemente di lasciarlo, lì dove c’è sempre stato. Sarebbe un po’ come se io andassi, che so, a vivere in Egitto e pretendessi non solo o non tanto la piena libertà di esprimere e praticare i miei convincimenti religiosi, ma che pretendessi pure di togliere i simboli dell’Islam da tutti i pubblici uffici egiziani in quanto, in quei simboli non mi ci riconosco. Sinceramente non mi passerebbe mai per la mente, né me ne sentirei turbato sapendo che è la loro cultura. Il senso della misura però lo ha perso anche la Chiesa. Forse teme di avere sempre meno peso nella società e per questo, a mio avviso, è troppo incline, negli ultimi anni, a trasformare in veri e propri scontri di civiltà quelli che in modo del tutto normale e fisiologico sono conflitti  tra la sua dottrina e quelle che sono le libere scelte di liberi stati. Per cortesia: parliamo di cose serie.

TUTTE LE BALLE DEL TELE IMBONITORE

Berlusconi-NeroneBerlusconi-NeroneL’Italia è diventata il paese delle favole. Dove un popolo di videodipendenti vive, cornuto e mazziato ma felice, grazie alle dosi industriali di valium via etere che il grande tele imbonitore quotidianamente sparge a piene mani. Le ultime due “telecazzate” a giornali e tv unificati ce le hanno raccontate: A) una a proposito della crescita del “superindice Ocse”, cresciuto in Italia più che in altri paesi europei e che, secondo l’informazione di regime, starebbe addirittura a significare che l’Italia diventerà una specie di locomotiva dell’economia mondiale. B) l’altra riguarda il presunto sorpasso da parte dell’economia italiana di quella inglese, che ci avrebbe fatto diventare la sesta potenza economica mondiale. Tutte balle, buone nemmeno per farci l’albero di Natale. Cominciamo dalla prima. Il superindice Ocse serve soltanto a cercare di prevedere, con sei mesi di anticipo, le possibilità di svolta del ciclo economico, non a misurarne l’intensità. Va quindi chiarito, innanzitutto, che questa è solo una previsione, e come tale può verificarsi oppure no e, soprattutto, ciò che questo ormai famoso superindice ci può dire nel caso specifico, è che ci sono ragionevoli probabilità che l’Italia, nella primavera del 2010, cominci ad intravvedere la luce alla termine del tunnel e, cioè, la fine della recessione, ma non ci può dire nulla su quanto la ripresa ci sarà e se sarà maggiore o minore di quella degli altri paesi. L’unico istituto che ha fatto previsioni su questo aspetto è il Fondo Monetario Internazionale, il quale ha previsto che l’Italia uscirà dalla crisi più tardi e più lentamente degli altri paesi e pagando un prezzo più alto, in quanto, in questo anno e mezzo, il governo italiano non ha adottato misure di sostegno della domanda né ha avviato le riforme di sistema di cui il paese ha bisogno. Le uniche certezze che oggi abbiamo, quindi, sono quelle di un Pil caduto nei primi sei mesi di quest’anno del 6 per cento e di un’economia che, negli ultimi dodici mesi ha perso il 25 per cento della produzione industriale. Quanto, poi, al presunto sorpasso del Regno Unito, va osservato che si tratta soltanto di un’illusione ottica, dovuta al fatto che negli ultimi mesi la sterlina ha perso un quarto del suo valore sull’euro. Tanto è vero che la classifica del Fondo Monetario Internazionale, che è stilata in base al potere di acquisto invariato tra le valute, piazza l’Italia al decimo posto e l’Inghilterra al settimo, con un Pil superiore al nostro del 20 per cento. Ma se si guarda al reddito pro capite è peggio che andar di notte. L’Italia scivola al ventisettesimo posto, superata persino dalla Grecia. La verità che ci consegnano questi dati è di un paese impoverito, con centinaia di migliaia di disoccupati, con quasi un milione di aziende sull’orlo del fallimento. E in tutto questo Berlusconi è un po’ come Nerone: mentre Roma brucia, lui suona la lira.

NEGATIVO!

Ecco il mio test anti droga. Nella foto qui accanto ci sono i risultati preliminari delle analisi cui mi sono sottoposto ieri pomeriggio. Ho scelto di farlo nel primo giorno utile in segno di rispetto nei confronti dei cittadini. Ritengo, infatti, si tratti di un atto doveroso principalmente verso di loro. Un atto di lealtà cui tutti i parlamentari  dovrebbero sottoporsi senza minimamente esitare. Io credo che le persone che scelgono di rappresentare il popolo italiano in Parlamento abbiano anche il dovere di farlo assumendosene ogni onere, prima che ogni onore.  E’ fondamentale in noi parlamentari il senso di responsabilità: comportamenti e stili di vita devono essere all’altezza del compito di legislatori che la Costituzione ci consegna.Per questo trovo ipocrita che il test sia facoltativo. Dovrebbe non solo essere obbligatorio, ma anche fatto a sorteggio, come accade per l'antidoping nelle competizioni sportive, in quanto solo così ci si troverebbe di fronte alla sicura veridicità dei risultati. Penso, inoltre, che sarebbe il caso di render noti i nomi dei parlamentari che non si sono voluti sottoporre agli esami, così come pubblici dovrebbero essere i risultati di coloro che lo hanno fatto. E’ legittimo, infatti, che i cittadini sappiano se tra chi li rappresenta in Parlamento ci sono persone che fanno uso di droga. Per chi ricopre incarichi politico-istituzionali ed è chiamato a decidere nell’interesse della collettività ogni forma di trasparenza è un dovere.  

CHIEDIAMO LE DIMISSIONI DI COSENTINO

Dal film GomorraDal film Gomorra “Contribuiva, sin dagli anni novanta, a rafforzare vertici e attività del gruppo camorrista facente capo alle famiglie di Bidognetti e Schiavone”. Avrebbe “garantito il permanere dei rapporti tra imprenditoria mafiosa e amministrazioni pubbliche”. Non solo: a metà degli anni novanta, "avrebbe assicurato al clan dei Casalesi che Forza Italia avrebbe ridimensionato i giudici di sinistra”. E infine, ma non è tutto, avrebbe esercitato “indebite pressioni su enti prefettizi per incidere nelle procedure sul rilascio delle certificazioni antimafia”.Queste sono le accuse, gravissime, che si leggono nelle 352 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, coordinatore del Pdl in Campania. In un paese normale ciò sarebbe sufficiente non solo a impedirne la candidatura a qualunque incarico pubblico ma anche a chiederne le immediate dimissioni da ogni incarico ricoperto.In Italia, invece, non accade nulla. Neppure di fronte a 352 pagine di accuse precise e circostanziate la classe politica ha un sussulto di dignità. Io sono convinto che, in un Paese in cui le mafie controllano 4 regioni su 20 e sono un cancro che impedisce il riscatto economico e sociale per 20 milioni di italiani, pensare che un politico che, per ammissione di ben 6 pentiti, avrebbe contratto “un debito di gratitudine con un clan camorristico cui deve le sue fortune”, possa restare al Governo è inimmaginabile e intollerabile.La prossima settimana il Parlamento voterà sulla richiesta di arresto inviata dalla magistratura. Sarebbe bello poter pensare il contrario ma già sappiamo che la Casta, mi auguro solo una parte di essa, farà quadrato intorno al sottosegretario Cosentino e lo proteggerà dalla giustizia.Per questo, proprio oggi, ho inviato una lettera a tutti i capigruppo dei partiti di opposizione chiedendo di decidere tutti insieme sulle iniziative da intraprendere insieme, sia in sede parlamentare che nel Paese, stabilire per giungere alle dimissioni del sottosegretario Cosentino, la cui permanenza al Governo danneggia irreparabilmente la credibilità delle istituzioni.Sarà un test per verificare il nuovo corso del Pd e se potremmo contare anche sulle altre forze di opposizione per fermare la deriva antilegalitaria del Pdl.

DALLE PAROLE AI FATTI: ECCO LA MOZIONE

Avevo promesso risposte sul tema del dibattito interno al partito ed ecco qui la mia prima risposta insieme ad una prima proposta. Ve ne saranno altre, nelle prossime settimane.
Partiamo dalla risposta alla prima delle 5 domande poste dagli amici che si sono riuniti a Bologna. Una risposta schietta, diretta, senza peli sulla lingua, non fatta per compiacere qualcuno ma per avere un confronto serio.
Analisi delle cause del disagio degli iscritti. A mio avviso le cause vere e serie del disagio sono due. Una causa  è legata al grande numero di arrivi di personale politico da altri partiti, che vi è stata negli ultimi due anni. Sia chiaro, il nostro partito, in molte realtà, aveva un bisogno disperato di innestare classe dirigente sul territorio, perché in molte aree del paese la nostra era rimasta, pur a distanza di anni, una presenza territoriale poco più che virtuale. La scelta di aprire il partito era inevitabile ed indispensabile per consolidare la contemporanea crescita di consenso. Poi, come sempre accade, pur in un  contesto che ritengo complessivamente molto positivo, qualche volta non si è scelto bene o non si è gestito al meglio l’inserimento, creando amarezze, tensioni, conflitti. Anche questi, talora causati dalla supponenza dei nuovi arrivati, talora dalle esasperate chiusure di chi pensava di controllare una provincia o una regione con una manciata di iscritti e di vivere di rendita del consenso nazionale del partito. Una cosa è certa: non esiste una divisione manichea tra “personale politico” per definizione “cattivo” e società civile per definizione “buona”. In questi anni abbiamo trovato grande passione e grandi qualità piuttosto che grande opportunismo e grandi meschinità in modo perfettamente identico sia tra gli uni che tra gli altri. L’altra causa seria del disagio, soprattutto tra i giovani, è che molto spesso chi arriva pieno di passione e di buona volontà si trova davanti un partito chiuso da un muro, per niente accogliente, per niente ospitale. Dove chi arriva viene guardato con sospetto, quasi venisse a disturbare. Anche questo atteggiamento, laddove esiste, non conosce distinzioni. Lo praticano in perfetta “par condicio” alcuni nostri dirigenti territoriali sia vecchi che nuovi, sia “provenienti dalla società civile” che dalla ”prima repubblica”.
Tutto quanto ho fin qui detto riguarda, in larga parte, anche chi oggi esprime dissenso nel partito. C’è di tutto, giovani che si sono sentiti respinti dal partito. Alcuni vecchi iscritti che si sono sentiti ingiustamente scavalcati o messi in disparte. Talora avendo ragione talora no. C’è anche chi nel partito non ci sta più, a volte anche da tempo, o chi è deluso soltanto per il mancato raggiungimento di obiettivi personali. Insomma ci sono ragioni, mezze ragioni e torti pieni.
Per questo credo che quello che conta, e che posso cercare di fare in prima persona, sia di individuare alcuni strumenti generali per migliorare sempre più il nostro partito.
Ed ecco la mia prima proposta. Dovevamo irrobustirci e lo abbiamo fatto, ma oggi deve finire la fase in cui questo partito corre anche solo il rischio di essere usato come un autobus sul quale salire, prendere quello che c’è da prendere, e poi scendere alla prima fermata. Deve anche finire la fase in cui basta avere un pacchetto di tessere, vecchio stile, per cercare di scalare il partito, con persone che vengono il giorno del congresso e poi non si fanno più vedere, magari reclutate per telefono.
Per questo vi comunico che, al prossimo congresso nazionale, presenterò la mozione che potete scaricare qui in allegato che ha lo scopo di trasformare il partito da partito dei tesserati in partito dei militanti. Fatemi sapere cosa ne pensate. Per parte mia, se la condividerete, ho intenzione di fare il possibile per ottenere l’approvazione di questa mozione.

Ecco il testo della Mozione:

1) Le adesioni al partito Italia dei Valori possono avvenire a titolo di “iscritto” oppure di “attivista”.

a) Iscritto è colui che intende aderire al partito per condividerne finalità, idealità e per sostenerne l’iniziativa. L’iscritto ha la facoltà di partecipare a tutte le iniziative del partito e a tutte le attività promosse dallo stesso senza aver tuttavia alcun obbligo in tal senso.

La qualifica di iscritto si acquista presentando richiesta nelle modalità previste dal presente statuto e versando, annualmente, la quota associativa.

L’iscritto può essere candidato a pubbliche elezioni di qualsiasi livello, nel rispetto dei tempi e alle condizioni stabiliti al punto 3). L’iscritto non ha invece diritto di elettorato, né attivo né passivo, ai congressi del partito.

b) Attivista è l’iscritto che sceglie di partecipare attivamente alla vita politica e organizzativa del partito. Ha tutte le facoltà riconosciute all’iscritto. L’attivista, inoltre, ha diritto di elettorato attivo e passivo nelle assise congressuali

2) La qualifica di attivista si ottiene presentando specifica richiesta all’atto dell’iscrizione o in uno dei successivi rinnovi annuali. A seguito della richiesta, l’iscritto dovrà partecipare per un anno, in modo sufficientemente continuativo, alla vita politica ed organizzativa del partito. Al termine dell’anno il Coordinamento provinciale, nel quale risulti effettuata l’iscrizione, deciderà sull’ammissione della stessa. Il mantenimento della qualità di attivista per i successivi anni di rinnovo dell’iscrizione è subordinato al permanere della condizione di partecipazione alle attività politico organizzative del partito con sufficiente continuatività.

3) L’iscritto può essere  candidato a qualsiasi carica elettiva solo  una volta trascorsi dodici mesi dalla data della prima iscrizione. Gli stessi termini valgono anche per i rispettivi ruoli di governo. Tale termine minimo può essere derogato soltanto in caso di riconosciuta particolare meritevolezza, secondo decisione  di competenza esclusiva dell’Ufficio di Presidenza ed avente carattere di eccezionalità. Per le elezioni circoscrizionali, comunali e provinciali, il requisito dell’avvenuta iscrizione da almeno dodici mesi, si applica a partire dal momento in cui, in quella realtà territoriale, il numero degli iscritti nella circoscrizione, nel comune o nella provincia è almeno 5 volte superiore al numero massimo di candidati da inserire in lista per l’elezione del rispettivo consiglio. (puoi scaricare la  versione pdf della mozione negli allegati)

 

Fatemi sapere cosa ne pensate. Per parte mia, se la condividerete, ho intenzione di fare il possibile per ottenere l’approvazione di questa mozione

 

 

 

I FANTASMI DI EUTELIA

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 Si definiscono fantasmi perché si sentono invisibili. E di fatto lo sono, soprattutto agli occhi del governo. Sono i tanti lavoratori della Agile, ex Eutelia, che hanno occupato la sede nella speranza che qualcuno senta il loro grido d’aiuto. In cambio, fino ad ora, hanno ottenuto solo un blitz di uomini in divisa scura che hanno tentato di buttarli fuori da quelle mura, con spinte e strattona menti. Siamo andati ad incontrarli ed abbiamo scoperto una realtà surreale: ingegneri e tecnici specializzati che non ricevono lo stipendio da tre mesi e sanno bene che dietro questo fatto c’è la mano di società fantasma che comprano fabbriche in difficoltà al solo scopo di agguantare tfr e proprietà immobiliari e non si fanno scrupoli a lasciare per strada i lavoratori. Italia dei Valori è dalla loro parte e ha portato la questione in Parlamento, presentando un'interpellanza parlamentare.Non convincono le parole pronunciate in proposito dal sottosegretario Romani: “Cercheremo di sviluppare tutte le iniziative possibili pur nella consapevolezza di non avere mezzi adeguati per incidere sulle politiche della proprietà” . Italia dei Valori chiede un intervento immediato del governo e continuerà a combattere contro il muro che l’esecutivo ha alzato su questa vicenda.

BERLUSCONI SI FACCIA PROCESSARE

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Il 5 dicembre Italia dei Valori scenderà in piazza. La manifestazione del 5 dicembre, promossa spontaneamente dalla rete, è un’occasione straordinaria per dimostrare che c’è ancora chi in questo Paese non vuole condannare a morte il diritto. Non ci saranno bandiere, né loghi. Ci saranno innanzitutto uomini e donne, semplici cittadini, che rifiutano l’idea di vedere un Paese e le sue istituzioni piegate agli interessi di un uomo solo.Il Parlamento sta per varare l’ennesima scandalosa legge ad personam. Il processo breve è una vergogna, un’amnistia mascherata che, pur di salvare il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dai suoi processi, garantirà l’impunità a migliaia e migliaia di criminali. Se questo è antiberlusconismo, allora ne andiamo fieri. Se l’antiberlusconismo è dire no a chi ha in mente di “sfasciare la giustizia” per gli interessi personali del premier, allora lo rivendichiamo con orgoglio. Se l’antiberlusconismo è provare a fermare la mano di chi sta condannando a morte la giustizia italiana ed il diritto per garantire l’impunità al presidente del Consiglio, allora siamo ferocemente e implacabilmente antiberlusconiani.C’è un Paese, l’Italia, che sta vivendo una crisi economica senza precedenti. C’è un Paese reale, là fuori, nelle piazze, nelle fabbriche, nelle aziende, tra le piccole e medie imprese, che sta  vivendo una stagione drammatica. Di fronte a tutto questo, il Governo è fermo. Non ci sono risposte, iniziative, provvedimenti per risolvere i problemi veri e concreti della gente. C’è, invece, un impegno spasmodico, isterico, affannato per trovare la soluzione più idonea a salvare il premier dalla giustizia. L’ultima, proprio di queste ore, è la riesumazione del Lodo Alfano rivisto e corretto, in salsa costituzionale, che faccia compagnia al processo breve.Il 5 dicembre, in piazza, ribadiremo quello che diciamo da sempre. E’ tempo che il Parlamento si occupi di cose serie, di un Paese che annaspa a causa di una crisi economica drammatica, e che il presidente del Consiglio si faccia processare. Quello che hanno fatto sinora è irresponsabilità politica allo stato puro e disprezzo per le necessità degli italiani.

I DIRITTI NON SI METTONO IN VENDITA

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L’acqua non è un bene, è un diritto e i diritti non si mettono in vendita. Se non voglio mangiare carne, ho un’alternativa. Se non voglio usare il petrolio ho fonti alternative di energia. Per l’acqua, così come per l’aria, non c’è nessuna alternativa possibile. Per questo, l’acqua non è un bene, è più di un bene, è un diritto.Ebbene, questo Governo vuole vendere l’acqua pubblica, vuole svendere questo diritto al miglior offerente. Se ne infischia che l’acqua sia un diritto imprescindibile e va avanti per la sua strada, tradendo la volontà e i bisogni dei cittadini. Mentre, in Commissione Ambiente alla Camera si sta discutendo la legge di iniziativa popolare che chiede al governo la gestione pubblica delle acque e la ripubblicizzazione del servizio pubblico, l’Esecutivo sta per porre l’ennesima questione di fiducia per privatizzare l’acqua pubblica, imbavagliando l’opposizione.Siamo di fronte ad un doppio imbroglio. Il Governo vuole mantenere la rete idrica pubblica, mentre vuole regalare ai privati la gestione dell’acqua. Cosa vuol dire? Che si lascia la parte peggiore, ovvero, una rete idrica allo sfascio di proprietà pubblica – da oltre 20 anni non si costruiscono acquedotti e la loro manutenzione è praticamente scomparsa dai bilanci comunali – mentre si concede ai privati di lucrare sui rubinetti dell’acqua, la parte sana, ovvero, redditizia di questo affare. Un po’ quello che è stato fatto con Alitalia, tanto per capirci, l’indiscusso capolavoro del governo Berlusconi.Non staremo con le mani in mano. Non assisteremo inermi a questa seconda, vendita, anzi, svendita di Stato. Italia dei Valori si batterà in Parlamento per cancellare questa svendita meschina. Impediremo con tutte le nostre forze che la gestione di un diritto finisca nelle mani di lobby e multinazionali senza scrupoli. E se, come sembra scontato, il Parlamento approverà questa scandalosa norma che privatizza l’acqua, contenuta nel decreto Ronchi salva-infrazioni, Italia dei Valori promuoverà un referendum abrogativo, insieme a quello contro il nucleare e, in caso, a quello sulla prescrizione breve.

SU COSENTINO IL PD CI FA O C'E'?

Cosentino-BerlusconiCosentino-Berlusconi

Quando ieri ho appreso che il Pd non avrebbe sottoscritto la mozione di Italia dei Valori, che chiede le dimissioni del sottosegretario Cosentino, ho pensato due cose. La prima, è che si trattasse di una questione tra prime donne, la seconda che si trattasse di un impazzimento generale. Poi, dopo aver a lungo riflettuto, mi è tornato in mente quanto è successo mercoledì 28 gennaio 2009. Quel giorno, di non molti mesi fa, il Pd contribuì a salvare il sottosegretario Cosentino, con colpevoli assenze e sparizioni improvvise. Quel giorno, infatti, la Camera respinse una mozione, presentata da Pd, Idv e Udc, per far dimettere il sottosegretario all’Economia, accusato da ben sei pentiti di fiancheggiare il clan dei Casalesi. A gennaio, la mozione fu respinta perché, ovviamente, la maggioranza fece quadrato intorno al sottosegretario. Ma anche il Pd ebbe la sua parte di responsabilità, perché se tutti i deputati fossero stati quel giorno al loro posto, viste le numerose assenze nel Pdl, la mozione sarebbe passata. Quel giorno, erano assenti 24 deputati del Pd, tra cui l’allora segretario Walter Veltroni che,qualche giorno prima, in un’intervista all’Espresso, chiedeva le dimissioni di Cosentino. Quel giorno, 2 deputati del Pd votarono contro la mozione presentata dal loro partito. Quel giorno, 25 deputati del Pd si astennero. Quel giorno, 49 deputati del Pd non parteciparono al voto, nonostante fossero presenti in Aula. Al momento del voto sparirono improvvisamente, per riapparire in Aula qualche istante dopo e riprendere a votare le altre risoluzione all’ordine del giorno in tutta tranquillità. Qui di seguito riporto l’elenco dei parlamentari del Pd che, quel giorno, con il loro voto contrario, con la loro astensione o la loro assenza, hanno contribuito a salvare Cosentino. Ci auguriamo che, stavolta, non vada in scena lo stesso copione. Qui non c’è in gioco un pugno di voti in più. C’è in gioco molto di più, ovvero, l’immagine e la dignità di un Paese.

Votarono contro:
Capano, Sposetti.

Si astennero:
Bachelet, Cuperlo, Parisi, La Forgia, Bernardini, Madia, Mantini, Maran, Boccia, Capodicasa, Concia, Coscioni, Ferrari, Giachetti, Ginefra, Marini, Mecacci, Recchia, Sarubbi, Schirru, Tempestini, Turco Maurizio, Vannucci, Viola, Zamparutti Zumino.

Non parteciparono al voto, nonostante fossero presenti in Aula:
Tenaglia, Calearo, Fioroni, Gasbarra, Lanzilotta, Letta Enrico, Morassut, Bobba, Sereni, Vassallo, Merloni, Boffa, Bonavitacola, Bressa, Bucchino, Carra, Castagnetti, Corsini, Cuomo, D’Antona, De Pasquale, De Torre, Fadda, Ferranti, Fiano, Fiorio, Genovese, Giacomelli, Giovannelli, Gozi, Losacco, Lovelli, Lulli, Marantelli, Margiotta, Mosca, Murer, Narducci, Pedoto, Piccolo, Rosato, Russo, Samperi, Scarpetti, Servodio, Testa, Vaccaro, Vernetti, Vico.

Erano assenti:
Veltroni, Bersani, Colannino, D’Alema, Lusetti, Melandri, Pistelli, Touad, Ventura, Gentiloni, Beltrandi, Calvisi, Cenni, Colombo Furio, Damiano, Gaglione, Luongo, Lusetti, Marroccu, Melis, Motta, Portas, Tullo, Calipari.

 

A CHI GIOVA IL VACCINO ANTI-SUINA?

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Questo Governo ha gestito l’influenza suina come la crisi economica. Prima ha negato che ci fosse il benché minimo rischio di epidemia per il nostro Paese, poi ha detto che qualche rischio c’era ma sarebbe stato contenuto, infine ha affidato a Topo Gigio il compito di convincere gli italiani che l’influenza A è un cosa seria e bisogna vaccinarsi. Basta dare un’occhiata alle dichiarazioni del sottosegretario alla Salute, Ferruccio Fazio, da aprile ad oggi, per farsi un’idea della confusione e del pressappochismo che regna sovrano in questo Esecutivo.In realtà, come l’intera comunità scientifica ha ampiamente dimostrato, la suina è una febbre ad alto contagio ma molto meno potente dal punto di vista letale dei normali virus influenzali che periodicamente colpiscono il nostro Paese. Eppure, si è scatenata una vera e propria psicosi. Perché? La risposta è nel comportamento schizofrenico di questo Governo che, sin dall’inizio, ha mostrato tutta la sua inadeguatezza. Un Governo serio avrebbe dovuto pianificare in tempo e per tempo, e fino all’ultimo dettaglio, un piano di emergenza per far fronte alle varie problematiche, a maggior ragione se in gioco c’è la salute dei cittadini. Invece, così come accade un po’ troppo spesso a questo esecutivo, vengono improvvisati piani che non risolvono ma tamponano le situazioni, una volta che sono deflagrate e divenute di conseguenza incontrollabili.Detto questo, c’è un altro aspetto in questa  vicenda che proprio non quadra e sul quale chiederemo al Governo di chiarire in Parlamento al più presto.I Tg, negli ultimi mesi,ci hanno martellato con l’emergenza pandemia. Poi, improvvisamente, anche Fazio, che ormai tutti danno vicino alla promozione a ministro, è sparito dai tg di sera e non invita più gli italiani ad andare a vaccinarsi.  Il Governo ha speso 184,8 milioni di euro per comprare le dosi necessarie a vaccinare 24 milioni di italiani ma la vaccinazione si è rivelata un clamoroso flop: ad oggi, solo 167.680 cittadini si sono sottoposti all’anti-suina. Per la cronaca, il Governo italiano ha speso anche 2,5 milioni di euro per la campagna di informazione istituzionale che, per giunta, non si capisce e si vede poco e male.I 184,8 milioni di euro sono andati alla Novartis, casa farmaceutica svizzera, che ha fornito all’Italia le dosi di vaccino “Focetria”. La cosa a dir poco strana è che la Novartis, come si legge nel contratto sottoscritto con il Governo italiano, tenuto secretato perché la salute degli italiani è considerata “informazione riservata”, è sollevata da qualunque responsabilità ed esentata dai risarcimenti per qualsiasi danno patito dagli utenti. Anzi il ministero della Salute è tenuto a risarcire la Novartis in caso di danni a persone causate dal vaccino. In Polonia, il ministro della Salute, ha tuonato in Parlamento: “Quale è il dovere di un ministero della Salute? Concludere accordi nell’interesse dei cittadini o quello delle case farmaceutiche”. Ovviamente, in Polonia il vaccino non è stato acquistato. In Germania, sono state acquistate 50 milioni di dosi di Pandemrix ma solo il 10% delle dosi è stato utilizzato e, dopo il vaccino, sono morte 7 persone.I casi sono due, o c’è qualcosa sotto o è la solita cialtroneria del Governo italiano. In tutte e due i casi, non c’è di che stare tranquilli.

LA FINANZIARIA CHE NON C'E'

 TremontiTremontiI ministri del Governo Berlusconi sono sul piede di guerra per i tagli inflitti ai loro dicasteri. Urlano e strepitano contro il collega dell’Economia. In realtà, è tutta una pantomima, un’ipocrita gioco delle parti. Il bastone del comando ce l’ha in mano Giulio. E’ lui che apre e chiude i cordoni della borsa e tutto è già stato deciso. Agli altri non resta che fingere di essere indignati.E’ avvilente dover constatare che la politica economico-finanziaria di questo Governo si riconferma essere solo una politica di tagli, che colpisce nel mucchio, senza andare a distinguere il grano dalla gramigna. Si taglia sulla sicurezza. A fronte dei 3 miliardi di euro soffiati alle forze dell’ordine negli ultimi tre anni, si ridà loro 100 milioni, una colossale presa per i fondelli.Si taglia sulla giustizia. In tre anni, hanno ridotto del 40 per cento le spese correnti, però di contro pretendono di fare i processi in sei anni. Si taglia sulla scuola. In quattro anni hanno tagliato 7 miliardi e mezzo di euro, dimezzando i fondi per le università e la ricerca, però di contro parlano di merito e qualità.Le risorse messe in campo dal Governo in questa Finanziaria sono solo di 3 miliardi di euro. Il resto è affidato dal gettito che verrà, se verrà, dallo scudo fiscale.Di sgravi fiscali per i cittadini e le famiglie si parla eccome, anzi si fa solo quello, perché non c’è un soldo vero. Come e quanto sgravare dipenderà dall’andamento dello scudo fiscale, ovvero, da quanti soldi evasi rientreranno in Italia, grazie alla garanzia dell’anonimato e dell’impunità. Con i soldi che forse verranno, quando e quanto non si sa, il Governo dice che farà di tutto, anzi di più. Rinnoverà il contratto del pubblico impiego, gli incentivi per il risparmio energetico, i fondi per l’Università, per le missioni all’estero, per diminuire le tasse sui lavoratori dipendenti e dei pensionati e la detassazione delle tredicesime. Tutte buone intenzioni, un po’ troppe forse, che, rimarranno tali, se il povero scudo non ce la farà, come è probabile, a coprire tutto.Del promesso taglio dell’Irap si è persa ogni traccia. Così come dello sblocco dei fondi per la ricerca, la detrazione fiscale per il risparmio energetico degli edifici, le misure fiscali a favore del lavoro chieste dai sindacati e, infine, le risorse per la sicurezza e la giustizia. Una cosa colpisce, però, di questa Finanziaria. Tremonti taglia qualunque voce di spesa, paralizza l’attività legislativa del Parlamento perché le leggi in discussione non hanno copertura finanziaria, ignora le legittime esigenze di tante famiglie e delle imprese, ma trova i soldi per rifinanziare la legge Mancia, quel caravanserraglio di  onorevoli prebende, con ben 50 milioni di euro. Alla faccia della finanziaria leggera e della gravità della situazione economica italiana.Noi non solo chiederemo, così come in passato, l’abolizione di questa scandalosa legge ma presenteremo la nostra Finanziaria che, con responsabilità e realismo, affronterà i reali problemi economici del Paese.

I POTERI DEL PRESIDENTE VANNO E VENGONO

Ciampi-NapolitanoCiampi-NapolitanoPoche settimane fa il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha controfirmato la legge sul condono fiscale, una legge profondamente sbagliata perché favorisce ladri, evasori, mascalzoni e criminalità organizzata.Rispetto a quella firma,  Di Pietro si indignò  perché la ritenne un atto di abdicazione e di resa, un atto di svilimento delle prerogative costituzionali e presidenziali, proprio in virtù delle spiegazioni che lo stesso presidente ebbe a dare ad un ignaro cittadino, durante una visita ufficiale in quel di Matera. “Chiedermi di non firmare non significa niente – disse Napolitano – nella costituzione c’è scritto che il presidente promulga le leggi. Se non firmo oggi il Parlamento rivota un’altra volta la stessa legge ed è scritto che a quel punto io sono obbligato a firmare”. Fu questa l’affermazione che Di Pietro contestò giustamente ma con toni forse eccessivi, tanto da pentirsene qualche tempo dopo pubblicamente. Nei giorni successivi alla promulgazione dello scudo fiscale, molti commentatori illustri intervennero a sostegno di Napolitano. Il presidente della Repubblica non ha potere di veto, scrissero tutti. Come a dire, è la solita Italia dei Valori che le spara grosse.Oggi, alla vigilia dell’ennesima legge ad personam, la sfascia-processi, è un ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, a dire che “se una legge non va, non si firma”. E che “non si deve usare come giustificazione il fatto che il presidente poi comunque è costretta a firmarla”. “Respingere una legge sbagliata è un modo per lanciare un segnale forte a chi vuole alterare le regole”. Arriva addirittura a citare Francesco Saverio Borrelli “Oggi l’unica regola per chi ha a cuore le istituzioni è resistere”. Parole pesanti, di alto spessore politico, proprio perché giungono da un presidente emerito e che, come a nessuno può sfuggire, ribadiscono la stessa critica avanzata a suo tempo da Di Pietro.Improvvisamente, però, illustri “commentatori pret a porter”, quegli stessi che ebbero a dirne di tutti i colori a Di Pietro, oggi riscoprono il valore del potere del presidente della Repubblica. E allora, tutti giù a scrivere che bocciare una legge non è inutile, che il rinvio non è un gesto vano e che va fatto a prescindere dalla possibile riapprovazione del Parlamento. Insomma, tutti improvvisamente danno ragione a Ciampi.Viene da chiedersi come mai la stessa identica critica susciti opinioni così diametralmente opposte. Viene forte il dubbio che i fatti o le opinioni non vengano giudicati con lo stesso metro, per via di irragionevoli ed inespugnabili pregiudizi.In questo Paese, ahimè, la verità in politica è un lusso che non tutti si possono permettere e la verità è l’unico vizio per il quale si paga sempre dazio.

I COLLEZIONISTI DI POLTRONE

I collezionistiI collezionistiDice il proverbio che “tropa carna ar fogu, la brusa”. Vuol dire che a far troppe cose contemporaneamente si corre il rischio di farle male. Gli antichi adagi non sbagliano mai e sarebbe buona regola attenersi ai saggi consigli dei padri, a maggior ragione se si svolgono funzioni pubbliche importanti su mandato dei cittadini e per le quali si viene pagati tanto e bene.In Parlamento, invece, sono in molti a fare l’esatto contrario e, in barba alle regole del Comitato parlamentare che stabilisce le incompatibilità tra mandato parlamentare e incarichi in società pubbliche e private, fanno mambassa di incarichi. Il primo è Lucio Stanca che fa il deputato della Repubblica per il Pdl e contemporaneamente l’amministratore delegato dell’Expo 2015. Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera dei Deputati per il Pdl e amministratore delegato di Fiera Milano congressi. Vincenzo Galioto, senatore del Pdl e amministratore dell’Amia, l’azienda municipalizzata dei rifiuti di Palermo, in dissesto finanziario e chissà perché. Claudio Fazzone, senatore del Pdl e presidente di Acqualatina, la società che gestisce il servizio idrico, che ha aumentato la bolletta dell’acqua del 500% ai cittadini di Latina e che fa parte di quella stessa maggioranza che, qualche giorno fa, ha approvato la legge sulla privatizzazione dell’acqua.Poi c’è chi riveste più incarichi istituzionali, cioè fa il parlamentare e il sindaco o il vicesindaco contemporaneamente (Mauro Cutrufo, Riccardo De Corato, Raffaele Stancanelli, Adriano Paroli, Vicenzo Nespoli); il parlamentare e il presidente della provincia (Maria Teresa Armosino, Antonio Pepe, Luigi Cesaro). C’è chi addirittura fa il ministro e il sindaco contemporaneamente (Altero Matteoli), il sottosegretario e il presidente della provincia contemporaneamente (Daniele Folgora), il viceministro e l’assessore contemporaneamente (Paolo Romani). I collezionisti di poltrone sono in tutto 100. C’è una norma che vieta il doppio incarico fra il parlamento e i comuni oltre 20 mila abitanti e le province ma non viene rispettata. Siamo al paradosso: il legislatore fa le leggi ma poi non le rispetta.Come fanno questi signori a fare tutto e bene? Sono tutti Superman, Nembo Kid, Speedy Gonzales? Che fine ha fatto il rispetto delle norme? La risposta la lascio a voi. Noi chiediamo una cosa semplice e chiara: il rispetto delle regole. Non si possono rivestire doppi incarichi. E siamo convinti che, in paese civile, le norme, al di là che esistano o meno, non possano sostituirsi al senso civico e morale.E del resto, dietro a ogni malefatta italiana, fa capolino il presidente del Consiglio SilvioBerlusconi che, invece di strigliare i suoi per le vistose assenze a causa dei doppi incarichi, li ha giustificati abbondantemente sostenendo che hanno tutti un altro lavoro. Come se accumulare poltrone, pagati profumatamente con i soldi dei cittadini, fosse un titolo di cui andare fieri.

Gli invisibili della crisi

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Va tutto bene. E’ questo il ritornello del ministro dell’Economia Tremonti. Il Paese è in ripresa, i conti tornano ma serve rigore. Così la Finanziaria che arriva proprio in questi giorni in Parlamento contiene solo tagli e tante bugie. Nessuna risorsa per l’Italia in crisi, quella vera, fatta di operai che stanno perdendo il lavoro, di famiglie che non arrivano alla fine del mese, di poliziotti che fanno sicurezza sul territorio senza soldi e risorse, di ricercatori che non ricercano più e vanno all’estero, nel migliore dei casi. C’è un’Italia in crisi fuori dalle stanze dorate dei palazzi, quell’Italia che telegiornali e tv asservite al padrone, continuano a negare e che noi testardamente continueremo a mostrarvi.Oggi, solo a Roma, c’erano quattro manifestazioni. C’erano gli operai dell’Alcoa, davanti al ministero dello Sviluppo Economico, azienda leader nel settore della produzione in alluminio, con 3.000 operai che rischiano di perdere il posto di lavoro, in una regione come la Sardegna già in grosse difficoltà occupazionali. C’erano i vigili del Fuoco, a piazza Navona, senza più risorse e mezzi. C’erano lavoratori di Eutelia, davanti a palazzo Chigi, società spezzettata e venduta a pluricondannati specializzati non nel rilanciare l’economia del Paese ma nel lucrare sullo smantellamento di aziende. C’erano, infine, i ricercatori dell’Ispra, in rivolta sui tetti dell’istituto, in procinto di essere tutti licenziati da uno Stato che ormai non investe più un euro in ricerca.Noi da tempo siamo al fianco di questi pezzi d’Italia dimenticati dalla tv di regime. E più assordante sarà il silenzio imposto dal Governo, più noi continueremo a gridare a voce sempre più in alta che in Italia le cose non vanno bene per niente.

LA STUPIDA GUERRA SUL CORPO DELLE DONNE

Pillola RU486Pillola RU486 Sono, indignato, deluso, amareggiato. La decisione della maggioranza, Pdl e Lega, di bloccare l’utilizzo della pillola abortiva RU486 è insensata, sciocca, stupida per una serie infinita di ragioni. Indigna innanzitutto la motivazione “pseudoscientifica” che è alla base del respingimento, ovvero, perché non garantirebbe la salute delle donne. Prima colossale sciocchezza. La pillola RU 486 è stata approvata dall’Oms, dall’Ente europeo per il controllo dei farmaci e dall’Aifa e quindi introdotta progressivamente in quasi tutti i paesi europei, fatta eccezione per l’Irlanda ed il Portogallo. In Francia, dove è in uso da più di 20 anni, il numero degli aborti è diminuito.L’aborto per via farmacologia evita alla donna una serie di rischi per la salute che la strada chirurgica non le risparmia, per non parlare dell’aspetto psicologico. Ed arriviamo alla seconda ragione della mia indignazione profonda. Ancora una volta, la politica sceglie di non servire i cittadini ma altri padroni, quelli che stanno Oltretevere. Ancora un volta rinnega i suoi doveri di laicità e pianta bandierine ideologiche sul corpo delle donne le cui esigenze, bisogni, necessità e volontà vengono come sempre calpestate.Chi, come alcuni illustri esponenti di Governo, dice che la decisione parte dall’esigenza di tutelare la salute delle donne mente. La verità è che delle donne non gliene frega niente. Per loro, lanciare segnali antiabortisti a chi li attende è più importante di qualunque altra cosa ed è l’unica vera esigenza.Io credo che nessuna donna affronti con leggerezza un aborto e chi nega questo o è uno sciocco o non conosce le donne. Io credo che promuovere l’utilizzo di una tecnica alternativa di interruzione di gravidanza, ampiamente riconosciuta nella farmacologia dei paesi più avanzati, significhi rimettere alle donne e ai medici ogni decisione. Io credo che non sia mio dovere di legislatore passare al microscopio i sentimenti o le ragioni di chi si trova nella tragica necessità di dover abortire. Io credo che la tutela della salute dei cittadini attenga alla sfera del rapporto tra medico e paziente e che noi, come legislatori, abbiamo l’unico dovere di fornire ai cittadini gli strumenti più adeguati che la scienza mette a disposizione per le loro cure.Garantire l’uso della RU486 non significa promuovere l’aborto. Significa fare bene il proprio mestiere di legislatore al servizio dei cittadini, capace di mettere da parte i suoi valori e i suoi principi anche più profondi, ed indossare l’unica veste appropriata, quella della laicità.

BERLUSCONI, E' ORA DI DIRE LA VERITA'

Dell'Utri-BerlusconiDell'Utri-Berlusconi “Tra il 1975 e il 1984 alcune operazioni finanziarie effettuate dal gruppo Fininvest erano potenzialmente non trasparenti”. A dirlo non sono i soliti giudici eversivi e comunisti. A dirlo non è quel solito giustizialista di Di Pietro, “l’uomo ch fa orrore” al Cavaliere. E’ scritto nero su bianco nelle dichiarazioni rese in aula dal consulente della difesa che avrebbe dovuto scagionare Marcello Dell’Utri durante il processo che, nel 2004, lo ha condannato in primo grado a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Questo è il vero grande nodo. La questione mai accantonata della provenienza dei capitali serviti al premier per costruire l’impero di Mediaset. Il nodo mai sciolto dai giudici e  mai spiegato neppure da Berlusconi, che il 26 novembre del 2002, interrogato dai magistrati, si “e’ avvalso della facoltà di non rispondere”. Queste rivelazioni sono state riprese da un articolo di Repubblica, scritto da Giuseppe D’Avanzo, per le quali Mediaset, invece di rispondere, ha deciso di querelare nuovamente il gruppo Espresso. In questi giorni, poi, in ambienti giudiziari e non circolano i nomi di  Berlusconi e del suo braccio destro come personalità legate alle stragi di mafia del ’92 - ‘93. La questione che mi sembra dirimente non è sapere se sarà o no indagato, se sarà o no coinvolto anche in questi processi. Il punto reale è: in quale paese un uomo sul cui capo pesano tali insinuazioni può pretendere di continuare a fare indisturbato il presidente del Consiglio?Le inchieste portate avanti tutti questi anni raccontano che Berlusconi, per avviare la sua attività imprenditoriale nel 1961, ottenne una fideiussione dalla Banca Rasini, indicata da diversi documenti della magistratura come la principale banca usata dalla mafia al Nord per il riciclo di denaro sporco e fra i cui clienti c’erano Totò Riina, Bernardo Provenzano e Pippo Calò, il cassiere di Cosa Nostra. Da dove arrivano i 94 miliardi di lire che dai conti svizzeri sono transitati alla Fininvest tra il 1975 e il 1978? Perché ha tenuto in casa sua Mangano, l’uomo che Giovanni Falcone indicò come la testa di ponte degli interessi della mafia al nord? Come è possibile che uno degli imprenditori più ricchi d’Italia abbia dato il compito di proteggere i propri figli senza sapere chi fosse costui? Come è possibile che alcuni pentiti lo indichino come il mandante politico delle stragi di mafia compiute nei primi anni Novanta?Questi sono solo alcuni degli interrogativi rimasti in sospeso e che inficiano la sua credibilità di premier. Quesiti ai quali nessuna querela potrà dare delle risposte. E’ ora, invece, che il premier venga in Parlamento con i documenti alla mano e chiarisca tali spericolate e pericolose relazioni avute in questi anni. E’ ora che  Berlusconi, invece di continuare a sfuggire alla giustizia attraverso gli escamotage congegnati dal suo legale di fiducia, si impegni a fugare il dubbio che la sua discesa in campo sia servita a coprire l’opacità, per non dir di peggio, dei suoi affari.