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LE BALLE TECNICHE NON CI SALVERANNO

Studio della Confcommercio. Nel 2012 la pressione fiscale, in Italia, ha raggiunto quota 55 per cento. Non solo è il più elevato della nostra storia recente, ma costituisce un record mondiale assoluto. Siamo davanti a Danimarca, Francia e Svezia. Non solo. Il sommerso economico italiano, nel nostro Paese, è pari al 17.5 per cento del Pil e l’imposta evasa ammonta a circa 154 miliardi di euro.

Studio Confindustria. Lo spread tra Btp e Bund è molto più alto di quello che i fondamentali giustificano e l’Italia paga oltre 300 punti in più del dovuto. Il maggior spread causa perdite pari al nostro Pil, a 144 mila posti di lavoro, maggiori oneri a carico del bilancio pubblico e, infine, maggiori costi sui conti delle famiglie e delle imprese. In parole povere, le perdite di prodotto interno lordo e occupazione sono una mannaia sulle nostre prospettive di crescita.

Allarme del Fmi. La crisi europea si è intensificata, la ripresa è debole e ora emergono anche incognite sulla stessa sopravvivenza dei Eurolandia.

In questi ultimi mesi l'Europa non è stata all'altezza dei principali problemi che ha dovuto affrontare, neanche il governo Monti. Anzi è stata il maggior alleato di chi ha minato l'euro. Lo spread è risalito. La pressione fiscale è alle stelle, l’evasione pure. A pagare, famiglie, imprese e lo Stato.

Non ci possiamo più permettere di andare avanti a chiacchierare, a dire che non ci saranno manovre correttive. Il governo Monti continua a non avere il coraggio di fare l’unica cosa che serve al Paese, mettere mano alla spesa politica improduttiva, agli sprechi veri, ai privilegi, alla “spoliticizzazione” della cosa pubblica, soffocata dagli appetiti dei partiti. E’ tempo di dare una svolta. Se non ora, mai più.

IL PAESE DEGLI EVASORI VOLANTI

Notizia clamorosa, i lavoratori guadagnano più dei propri datori di lavoro. O forse no, più probabilmente i lavoratori non possono evadere il fisco. Questo è il paese degli evasori volanti, gente che guadagna milioni di euro, vola in elicottero e dichiara cifre da assistenza sociale.

Leggete i dati ufficiali: il reddito medio degli italiani è di 19.250 euro. E' quanto risulta dalle ultime dichiarazioni dei redditi Irpef (dichiarazioni 2011 su anno di imposta 2010. Il 49% dei contribuenti italiani ha un reddito complessivo lordo annuo che non supera i 15.000 euro l'anno. Un terzo invece non supera i 10.000 euro. E nonostante tutto, in un anno, il reddito medio, secondo il Dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia è cresciuto dell'1,2%. Dall'analisi del ministero emerge anche che, circa 10,7 milioni di contribuenti, "hanno imposta netta pari a zero", in pratica non pagano l'Irpef.

Si tratta di contribuenti a basso reddito compresi nelle soglie di esenzione o la cui cui imposta lorda si azzera con le numerose detrazioni del Fisco. Solo l'uno per cento dei contribuenti dichiara redditi superiori ai 100mila euro. I lavoratori autonomi hanno il reddito medio più elevato, 41.320 euro, mentre il reddito medio dichiarato dagli imprenditori è di 18.170 euro.

Il reddito medio dichiarato dai lavoratori dipendenti è pari a 19.810 euro e quello dei pensionati è pari a 14.980 euro. L’evasione fiscale è una piaga da estirpare, un passo fondamentale anche per ridurre le tasse. I risultati ottenuti dalla lotta all’evasione sono solo il primo passo per estirpare questo male sociale che strozza la crescita e lo sviluppo dell’economia italiana. I dati del dipartimento delle Finanze fotografano una situazione di illegalità diffusa in tutto il Paese.

Una situazione insostenibile per uno stato in crisi. Italia dei Valori ha presentato una proposta di legge rivoluzionaria che prevede la ricostruzione degli importi di spesa dei contribuenti e la verifica della loro congruenza con i redditi dichiarati, attraverso l’ausilio di strumenti informatici, tecnici e giuridici. Se si vuole davvero combattere l’evasione, è fondamentale approvare la nostra proposta di legge, che prevede anche la riduzione delle tasse attraverso i proventi ottenuti. Non è solo una questione economica, ma un semplice principio di giustizia sociale.

EVASIONE, IDV INCROCIA I DATI NON LE DITA


Vi do una notizia, una bella notizia. In questi giorni, ho avuto rapporti ravvicinati e contatti stretti con i sottosegretari Giarda e Vieri Ceriani. Oggetto dei nostri incontri la mozione di Italia dei Valori sulle misure di contrasto all’evasione ed elusione fiscale. Il Governo, attraverso i sottosegretari, ha mostrato molto interesse riguardo alle nostre proposte e questo ci conforta molto.

Siamo doppiamente soddisfatti: “qualcosa” di grande e rivoluzionario su “questo” si può fare e siamo stati noi a proporlo. Ci sono questioni, importanti, nella nostra mozione, che segna una svolta radicale nel sistema di lotta all’evasione.

La prima, il metodo della rivoluzione tecnica e culturale. Questa è la rivoluzione che noi chiediamo venga applicata: incrociare i dati che emergono da tre voci: dichiarazioni di reddito, spese effettuate e informazioni fornite dallo spesometro. Insomma, passare dal metodo attuale delle dichiarazioni dei redditi, che rappresenta ormai la preistoria della lotta all’evasione, ad un sistema che, ogni anno e per tutti gli anni, incroci i codici fiscali di ogni famiglia, con i redditi totali, le spese sostenute e i dati dello spesometro.

Seconda questione. Con la nostra proposta, chiediamo che venga sottoscritto un patto d’onore, sacro, tra “governo-contribuente”, per far sì che ogni euro recuperato dall’evasione sia un euro in meno di tasse.

Terza questione, l’introduzione di una norma di legge, in nome della trasparenza, che preveda l’inserimento in bilancio della voce “tax gap”, ovvero la cifra che il governo prevede di recuperare dalla lotta all’evasione.

Quarta, e ultima questione. Il sistema da noi proposto diventa strumento indispensabile per la lotta alla criminalità organizzata, che rappresenta il più grande produttore di liquidità non giustificata. Il nostro modello è un colpo mortale all’evasione, all’illegalità, alla criminalità. Secondo i nostri calcoli, si possono recuperare fino a 200 miliardi l’anno, fin qui totalmente evasi. Italia dei Valori ha fatto la sua proposta. Il Governo ha battuto un colpo. Ora, si proceda velocemente.

ABOLIRE PROVINCE PER ABBASSARE TASSE

Venti anni. Sono venti anni almeno che l’abolizione delle province è nell’agenda di ogni forza politica. E’ stato uno dei punti forti della campagna elettorale del 2008. Tutti gli schieramenti erano d’accordo: aboliremo le province. Tutti a favore del taglio dei costi della politica. A parole. Nei fatti, oggi, il parlamento ha sancito, ancora una volta, la differenza tra chi ha mentito agli elettori e chi ha detto la verità. Il governo da un lato, Italia dei Valori dall’altro. Com’è naturale…In Aula ho ascoltato esimi colleghi difendere l’esistenza delle province. A volte persino con argomentazioni non del tutto pretestuose. D’altronde delle ragioni per non abolirle certi bravi politici le trovano sempre. Ma questo dibattito rischia di far perdere di vista la vera dimensione del problema, che è costruire una nuova architettura dello Stato. E questo si può fare solo con una vera riforma istituzionale, di cui l’abolizione delle province è un cardine. Riconosciuto peraltro anche dal Pdl, anche dalla Lega. Ma solo in campagna elettorale evidentemente. Il ministro Calderoli disse che l’abolizione delle province sarebbe stato inserito nel codice delle autonomie. Poi si ridimensionò e si passò alla soppressione di 17 province inutili (meglio di niente, un primo passo) poi a 7 (ma che ci state prendendo in giro?) poi a 3 (sì ci stanno prendendo in giro), poi a 0 (che faccia tosta). Le province costano un mucchio di soldi, che potrebbero essere destinati al rilancio dell’economia. Pensate che l’Italia è cresciuta proporzionalmente nell’ultimo anno meno di Haiti, l’isola devastata da un terremoto terrificante. Abolire le province, e sfoltire gli enti statati inutili, permetterebbe anche di varare una seria riforma fiscale, strutturale, con la possibilità di recuperare risorse e abbassare le tasse. Berlusconi e Tremonti da 17 anni, dal giorno della ‘discesa in campo’, promettono meno tasse per tutti. Basta, ci siamo stancati, non ci credono più neanche i più fedeli deputati del Pdl. Per abbassare le tasse e rilanciare l’economia si devono reperire risorse attraverso il taglio della spesa pubblica. Non tagli lineari o il taglio della spesa sociale, ma la sforbiciata netta ai costi della politica. Oggi il Pdl non ha voluto farlo. Anche di questo dovrà assumersi le responsabilità.

7 PAGINE IMBARAZZANTI: IL PROGRAMMA ECONOMICO DI GIULIO TREMONTI

Tremonti bondsTremonti bonds Pubblico un interessante articolo del prof. Michele Boldrin, apparso sul sito www.noisefromamerika.org. Un sarcastico e formidabile saggio sulla politica economica del ministro Giulio Tremonti.

"A mezzo d'un mirabolante un-due-tre, l'incipit riassume tutta la politica economica tremontiana: socialismo populista + monopoli nazionali simbiotici al potere politico + rovesciamento della realtà:

1. Son anni che GT annuncia il "rientro della politica" senza che agli annunci seguano altro che condoni, o fallimenti. La lista di quest’ultimi è nota: Tremonti bonds, Banca del Sud, cartolarizzazione del patrimonio edilizio pubblico, richieste di dazi europei, vendita dell’oro della Banca d’Italia, social cards della miseria, riforme fiscali mai avvenute ...

2. Il barattolo di pelati Cirio: Tremonti rieccheggia la linea difensiva di Cragnotti. In realtà le frodi maggiori avvennero mentre Tremonti era ministro dell'economia, le tecniche finanziarie usate furono elementari e la legislazione che permise a Cragnotti di frodare e scamparla venne mantenuta in vigore (e in parte promulgata) mentre il nostro sedeva a quella medesima scrivania. La "finanza disinvolta" c’entra come i cavoli a merenda. C’entra, invece, la "politica disinvolta" che GT pratica sin da quando lavorava per Craxi, maestro della medesima.

3. La tassa di Obama: ennesimo attacco al libero mercato e ai piccoli risparmiatori. Tassa populista a suggello del patto mefistofelico fra Washington e Wall Street: il supporto della dirigenza bancaria (i cu ingiustificati redditi vennero e vengono preservati) a cambio della tosatura degli azionisti. A questo modello Tremonti s'ispira, il suo unico cruccio essendo quello che le banche italiane non hanno ancora ceduto alle sue, per niente timide ma senz'altro pelose, offerte d'aiuto.

Il resto dell'intervista si sviluppa quindi in una realtà parallela, farcendosi d'insensatezze (def: sequenza di parole prive di senso compiuto e/o riscontro nella realtà). Documentarle tutte richiederebbe un altro libro ... in fondo all'articolo elenco le peggiori, lasciando ai lettori il piacere di discuterle.Nei meandri di questo mondo capovolto, ho comunque rinvenuto tre importanti messaggi al popolo:

A. L'ennesima promessa, con scadenza a tre anni e mezzo, di riforma fiscale. Poiché sulla medesima non dice nulla di preciso, nulla possiamo commentare. Alla promessa di riforma non si accompagna la promessa d’una riduzione della spesa pubblica, il che implica (visto il debito e lo squilibrio di bilancio esistenti) che Tremonti sta promettendo di non ridurre il carico fiscale aggregato ma, al più, di redistribuirlo. L’affermazione secondo cui la spesa si ridurrà spontaneamente per effetto del federalismo fiscale è priva d’alcuna sostanza. In sintesi: carico fiscale e spesa pubblica invariati.

B. Nessun’altra riforma viene promessa: "riforma della pubblica amministrazione, della scuola, dell'università e delle infrastrutture sono in atto", afferma Tremonti. Si parva licet, mi ricorda Bob Lucas che, nel suo articolo del 1978 su Asset Prices in an Exchange Economy, affermava che sia il problema della dinamica dei prezzi (tâtonnement) che quello delle dinamiche di accumulazione (convergenza o meno alla crescita bilanciata) erano stati risolti. Bob fantasticava allora, Giulio Tremonti lo imita oggi nel suo piccolo. Il messaggio politico è chiarissimo: immobilismo totale. Guai a toccare i delicati equilibri che, sino ad ora, hanno permesso al suo capo ufficio d’essere eletto. Che il paese decada è poca cosa a fronte della rielezione del batka nostrano.

C. Il grande rientro della politica consiste nell'offrire sicurezze verbali, ossia fantasie. Il declino italiano non esiste, perché l'ha detto Tremonti. Non importa che i dati gli diano torto, lui continua a dichiarare che la crescita degli altri paesi, durante gli ultimi dieci-quindici anni, era falsa e drogata. Quindi non siamo rimasti indietro: abbiamo fatto solo a meno di drogarci ... Che il reddito pro-capite di Irlanda, Spagna e svariati altri sia tutt'ora superiore al nostro non va menzionato: essi devono affrontare squilibri non ben specificati e stanno quindi peggio di noi. Il loro essere andati avanti era apparente, come apparente era ed è il declino del reddito delle famiglie italiane. Chi lo nega è disfattista e anti-italiano, come la Banca d'Italia che non la smette di dire cose scarsamente coerenti con le fantasie che il ministro dell'economia ritiene necessario gli italiani credano. Se Giulio Tremonti dice che gli altri stanno peggio di noi, non importa che i dati dicano l'opposto: i dati sono probabilmente drogati da qualche economista determinista. La realtà non esiste, le statistiche non esistono, il declino italiano non esiste. Esistono solo le favole che raccontano le TV di stato e di Berlusconi. Favole che Giulio Tremonti sogna di notte e spiattella di giorno a giornalisti ossequiosi, perché le copino e le diffondano fra il popolo. Ecco, la nuova e grande politica economica di Giulio Tremonti che "rientra" è tutta qua, va da A. a C.

LA FAVOLE DELLE ALIQUOTE

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L’ennesima balla elettorale. L’ennesimo spot ‘ad effetto’ architettato dai ‘Gianni e Pinotto’ della politica italiana: Tremonti-Berlusconi. Sto parlando della riforma del fisco proposta dal ministro del Tesoro.Ma andiamo a vedere nel dettaglio l’idea di Tremonti. Sul tavolo del confronto politico c’è la riduzione delle aliquote Irpef da tre a due (23 per cento fino a 100 mila euro e 33 per cento oltre i 100 mila euro) che costerebbe alle casse dello stato 20-25 miliardi di euro. Vorrei partire dal fatto che i 20-25 miliardi di euro non ci sono e Tremonti si guarda bene dal dire dove intende andare a pescarli. Già questo la dice lunga su quanto poco di serio ci sia in questa proposta. Ma passi. Quello che è più grave è il fatto che questa è una pessima idea. La nostra Costituzione, infatti, prevede la progressività dell’imposizione fiscale: chi guadagna di più, per un principio di equità sociale, deve pagare più tasse. Con questa riforma, invece, si va in direzione totalmente opposta, molto di più di quanto non appaia dal semplice passaggio da tre a due aliquote. La realtà è che si passerebbe di fatto ad un'unica aliquota se si pensa che il 99 per cento dei contribuenti italiani dichiara redditi fino a 100 mila euro, per cui l’aliquota del 33 per cento si applicherebbe soltanto ad una ristrettissima minoranza. In soldoni significa che il pensionato o l’operaio pagherà allo Stato, in percentuale, le stesse tasse di un imprenditore o di un avvocato. Tutto questo non farebbe altro che aumentare iniquità e le ingiustizie sociali, che già vedono il nostro paese svettare al sesto posto al mondo per la crescita delle disuguaglianze, superato solo da Messico, Turchia, Portogallo, Usa, e Polonia.Per questa ragione noi presenteremo una proposta completamente diversa che ha, invece, l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze sociali nel nostro paese e di attuare un grande trasferimento di fiscalità dal lavoro (sia dipendente che d’impresa) alle rendite e alle speculazioni.  Per questo proponiamo da un lato un’imposta di solidarietà sociale, sul modello francese che vada a colpire i grandi patrimoni e le grandi rendite e, dall’altro, di raddoppiare l’imposta sulle speculazioni finanziarie passando dall’attuale 12,5 al 25 per cento.Tutti i proventi di queste imposte dovrebbero essere utilizzati per un’unica grande azione di riduzione del costo fiscale sul lavoro, ottenendo il doppio risultato di aumentare il netto in busta paga per lavoratori e pensionati e facilitare la ripresa del mercato del lavoro rendendo le assunzioni meno onerose per le imprese.Due proposte che noi mettiamo sul tavolo del confronto. Due idee chiare e semplici contro la demagogia ormai surreale dei Gianni e Pinotto all’italiana che da quindici anni campano sullo slogan ‘meno tasse per tutti’ e invece di anno in anno propinano agli italiani specchietti per le allodole ogni volta che si avvicina una scadenza elettorale.