giugno 2012

Lontani dalla realtà

Crisi economica di eccezionale portata. Vuoto politico non da meno. Casse vuote e teste politiche sempre più vacillanti alla ricerca di una direzione che sembra sempre più sfocata.

In un momento come questo, dal debutto di Visco come governatore della Banca d’Italia ci saremmo aspettati qualcosa di più.

L’impressione è che, con il tecnico Monti a Palazzo Chigi, da Palazzo Koch non possa uscire una valutazione totalmente imparziale della politica economica. Proprio ciò che servirebbe all’Italia di oggi.

Mentre, insomma, l’eccezionalità del momento, politico ed economico, avrebbe fatto sperare in un’altrettanta particolarità nella visione del futuro economico, da Visco abbiamo ascoltato parole un po’ troppo bilanciate. Abituati ad una relazione di Bankitalia ben più severa nei confronti dei metodi politici e orientata a dare soluzioni risolutive dei problemi, gli italiani hanno dovuto ascoltare, invece, parole troppo vaghe per il momento particolarmente critico.

Certo, è vero, come ha sottolineato Visco, che a questo governo va riconosciuto il merito di aver riportato il bilancio pubblico “su una dinamica sostenibile e credibile”. E’ vero anche, però, che lo stesso governo continua a rivelarsi, come dall’inizio è stato, lontano anni luce dalla realtà della popolazione, poco adatto a sentire i veri bisogni dei cittadini.

Le critiche, da Visco, sono invece mancate. Il neogovernatore di Bankitalia non ha dato neanche alcuna valutazione, che non necessariamente avrebbe dovuto essere critica, di quella discutibilissima riforma del lavoro approvata al Senato proprio poche ore prima.

Noi restiamo dell’idea che il Paese debba voltare pagina, perché gli va restituita una politica più autenticamente attenta alle esigenze reali della popolazione ed una valutazione dell’andamento economico più veritiera e incisiva. Il punto da cui partire per affrontare i problemi è il riconoscimento di essi. Ignorarli porta solo ad un aggravarsi dei problemi stessi.

Solidarietà per uscire dalla crisi

Oggi è la Festa della Repubblica e anche l’Italia dei Valori intende celebrarla degnamente. Al di là delle polemiche di questi ultimi giorni. Siamo già oltre il dibattito e il nostro pensiero va alle zone terremotate, alle migliaia di cittadini che vivono una situazione d’emergenza. A loro dedichiamo la Festa della Repubblica.

La solidarietà non è solo una parola, un concetto nobile, ma un’esigenza, uno strumento per uscire dalla crisi. Ma non è la parola d’ordine del governo e del sistema bancario italiano.

Qualche giorno fa, il deputato dell’Idv Ignazio Messina ha presentato delle interrogazioni ai sottosegretari Polillo e Vieri Ceriani in commissione Finanze. Le risposte (e le non risposte) sono state sconcertanti. Il governo ha di fatto confermato che dei 255 miliardi ricevuti dalle banche italiane, neanche un euro è stato speso per famiglie e imprese. Il tutto con la piena compiacenza del governo stesso che, al di là dei proclami ai cittadini, ha avallato la scelta delle banche di acquistare i titoli del debito pubblico. Una doppia fregatura per famiglie e imprese: non solo non ottengono finanziamenti che permetterebbero di rilanciare l’economia e aumentare i consumi, ma dovranno anche contribuire a pagare il debito pubblico.

L’esecutivo ha scelto di non aiutare e quindi far morire tante piccole e medie imprese, per non parlare di commercianti e artigiani. Una scelta economicamente e socialmente scellerata.

UN TOCCO DI “ROSA” NELL’AGENDA DEL PROSSIMO GOVERNO

Donne: forza, talento, bravura, non riconosciute. E quanto emerge da uno studio pubblicato oggi in anteprima su la Repubblica, dal titolo “Il gap salariale nella transizione scuola lavoro”, realizzato dalla Fondazione Rodolfo De Benedetti. Anche nelle classi più alte e negli impieghi più remunerativi, il divario di stipendio tra uomini e donne è in media del 37 per cento. Sul gap influisce la scelta della facoltà. Le donne prediligono indirizzi universitari umanistici, per poi approdare a lavori che vengono oggettivamente remunerati di meno, come l’insegnamento ad esempio. Ma il dato sconcertante è che, a parità di ruolo e di orario, le donne guadagnano mediamente il 16,3 per cento in meno rispetto ai colleghi maschi. Eppure, ci dice sempre la stessa ricerca, nello studio le donne surclassano regolarmente i compagni.

Cosa succede allora nel momento in cui le donne si affacciano nel mondo del lavoro? Pesa sulla scelta lavorativa delle donne la mancanza di infrastrutture e welfare che permettano loro di dedicarsi al lavoro senza preoccuparsi di bambini e anziani. Dati Istat: il 68,8 per cento delle donne che tra il 2011 e il 2012 si sono dimesse dal lavoro lo ha fatto perché diventate madri.

Cosa ne pensi il governo Monti di tutto questo non è dato sapere. Certo è che, viste le riforme messe finora in atto, a cominciare da quella sul lavoro, poco se ne cura. Io credo, anzi, sono convinto che si debba cominciare anche da qui.

Scrive Bankitalia che la ripresa del Paese deve passare necessariamente attraverso la soluzione della questione femminile. Qualche giorno fa ho scritto su questo blog: l’Italia è un grande paese, pieno di risorse e di energie. Mi correggo. Pieno di risorse e di energie “rosa”. Nell’agenda programmatica del governo riformista, riformatore, progressista e innovativo che rilancerà il Paese, la questione femminile dovrà essere tra i primi punti. L’Italia è un cantiere, ci sono lavori in corso. Dipingiamoli di rosa.

FASSINA E IL SIERO DELLA VERITA’

 Complimenti a Stefano Fassina, che ha detto ciò che molti pensano nel Pd, ma che pochissimi hanno il coraggio di dire pubblicamente. Sarà stata un’iniezione di siero della verità, realismo politico, un lapsus freudiano o altro, ma Fassina ha centrato la questione: meglio il voto delle sciagurate misure recessive e antisociali del governo Monti. In Transatlantico sono molti quelli che a quattr’occhi ti dicono che non ne possono più di questo governo, di dover votare provvedimenti in cui non credono per tenere in piedi il governo.

La pazienza si sta esaurendo anche in coloro che, a destra e a sinistra, hanno anteposto la tenuta del governo alla politica. Fassina ha semplicemente preso atto di una realtà che è davanti agli occhi di tutti. Questo governo non ha più una maggioranza parlamentare in grado di fare le riforme e di esprimere una linea economica, politica e sociale univoca.

 La pseudo-coalizione che sostiene il governo Monti è divisa su tutto ed ogni provvedimento è il frutto di un compromesso al ribasso. Dunque siamo d'accordo con Fassina: prima si va a votare meglio è. Il Paese ha bisogno di una guida politica stabile, condivisa dalla maggioranza degli italiani, in grado di fare il bene del paese.

COMPETENZA E TRASPARENZA: E’ CHIEDERE TROPPO?

Tag: Agcom , Bersani , nomine , Pd , privacy , Rai , Vendola

Ieri, 5 giugno, ad un giorno dal voto per i nuovi commissari di Rai, Agcom e Privacy, le agenzie battono le seguenti notizie:

- FLASH -AGCOM: PD E TERZO POLO VOTANO DECINA E POSTERARO.

 - FLASH -AGCOM: VERTICE BERSANI-CASINI, PD PRONTO FAR SPAZIO TERZO POLO

- FLASH - AUTHORITY: INTESA PD-TERZO POLO SU POSTERARO

- FLASH - AGCOM: PDL DA' INDICAZIONE DI VOTARE MARTUSCIELLO E PRETO =

- FLASH - AUTHORITY: BERSANI VEDE CASINI, PD 'CEDE' COMMISSARIO AL TERZO POLO =.

 Intese, manovre, vertici segreti, trame nell’oscuro. In ossequio alla logica spartitoria tra i partiti, la nomina è servita.

E’ così che alla fine sono andate le cose. La vicenda delle nomine dei nuovi membri delle authorities, Rai, Agcom e Privacy, è stata una clamorosa presa per i fondelli del Parlamento e dei cittadini. Ancora una volta, in questo paese, non si è riuscito a spezzare quel perverso sistema di nomina che si basa su una logica spartitoria dei partiti, dei capi partito o dei loro rappresentanti che tramano all’oscuro, decidono nelle segrete stanze e poi, con un fogliettino o un sms, comunicano ai loro parlamentari i nomi da votare, senza conoscerli, senza sapere nulla riguardo alle loro competenze, capacità e autonomia.

Avevamo chiesto ai presidenti di Camera e Senato una svolta, un cambio di marcia, semplicemente di adottare un metodo trasparente e pubblico di selezione delle candidature, da valutare in commissione. Ritenevamo e riteniamo che per la Rai e le Authority ci vogliano persone che mantengano una chiara distanza dai partiti, che non siano in conflitto di interesse, che non abbiamo mai avuto rapporti con gli interessi vigilati. Competenza, trasparenza e autonomia per mettere fine alla partitocrazia, alla pratica lottizzatoria e di spartizione tra i partiti: era questa la nostra richiesta per la quale ci siamo battuti.

Ci hanno preso per i fondelli. E' stata sì data la possibilità di presentare candidature per quei ruoli ma i partiti di maggioranza avevano già deciso e si sono scelti da soli i controllori.

Per questo, Idv non parteciperà oggi alle operazioni di voto per le nomine e non vi parteciperà fino a quanto i controllati si nomineranno i controllori, fino a quando prevarrà la logica spartitoria.

SENTENZE UE E ASSALTI NEONAZI

++ TV: EUROPA 7; CORTE STRASBURGO ITALIA PAGHI 10 MLN ++ (ANSA) - STRASBURGO, 7 GIU - La Corte europea dei diritti umani ha condannato l'Italia per non avere concesso per 10 anni le frequenze all'emittente televisiva Europa 7 di Francescantonio Di Stefano. La Corte ha riconosciuto all'imprenditore 10 milioni di euro per danni materiali e morali contro una richiesta di due miliardi di euro.(ANSA).

Un altro ‘regalino’ di Berlusconi. L’uomo che aveva promesso un milione di posti di lavoro nel 1994 è costato in un colpo solo dieci milioni di euro allo Stato. Un esborso che grava su casse statali già dissestate dal ventennio berlusconiano. Questa sentenza europea è una fotografia dell’eredità lasciata dai governi di centrodestra. Ed è soprattutto un monito a non ripetere gli stessi errori. Oggi ancor più di prima serve una vera legge sul conflitto d’ interessi e sulle televisioni.

La Gasparri è ridicola ed è stata per dieci anni funzionale al controllo dei media da parte di Berlusconi ed al duopolio Raiset che ha affossato la concorrenza e lo sviluppo di altre emittenti. Siamo ad un punto di svolta. Le scelte che prenderemo nei prossimi mesi e soprattutto con le prossime elezioni, determineranno il futuro dell’Italia per molti anni. Abbiamo la possibilità di ricostruire l’Italia. Rilanciarla ed innovarla. Un futuro carico di promesse dunque, ma anche di rischi e di insidie.

Guardiamo, per esempio, cosa è successo in Grecia. Nonostante una legge elettorale truffa che premiava con cinquanta seggi il primo partito (indipendentemente dal risultato), non si è riusciti a formare un governo. Ed i neonazisti sono entrati in Parlamento. Uno di questi ‘parlamentari’ ha aggredito due colleghe della sinistra in diretta televisiva. Una scena raccapricciante. In Italia non succederà, ma è meglio non dimenticare che queste cose stanno accadendo nella culla della civiltà occidentale, in un paese membro dell’Ue e della Nato, non in uno sperduto staterello delle banane. La politica italiana ha grandi responsabilità, ha in mano il futuro dello Stato. Dobbiamo esserne consci.

AGCOM, DOPPIA SEDE CON VISTA FORI E VESUVIO

Due sedi, una a Napoli e una a Roma. L’Agcom, autorità garante per le comunicazioni, ha sempre avuto una “doppia sede”. Eppure, la legge istitutiva dell’autorità (legge n.249/1976) stabiliva che l’Agcom fosse insediata nel capoluogo campano, per decentrare le autorità amministrative indipendenti, privilegiando in questo caso il Sud Italia.

Ebbene, non è mai accaduto nulla di quanto previsto dalla legge istitutiva. Anzi, da nostre informazioni, che abbiamo prontamente messe nero su bianco in un’interrogazione parlamentare al presidente e ministro dell’Economia ad Interim Mario Monti, risulterebbe che, in tutti questi anni, tutti i membri dell’Agcom, nonché i loro nutriti staff (presidenti, commissari, segretarie e autisti), si siano riuniti solo di tanto in tanto nella sede di Napoli, pur essendo questa la sede “principale”. Vi lascio immaginare le conseguenti spese ed indennità di trasferta che seguono a ruota.

Il governo Monti, nell’ottica di ridurre le spese che gravano sul bilancio dello Stato, ha giustamente ridotto il numero dei componenti dell’Agcom da 9 a 5, diminuendo al contempo gli emolumenti del 30 per cento. Ora, non si capisce dunque davvero perché lo Stato continui di fatto a pagare una doppia sede per l’Agcom, e l’affitto di un edificio, che non solo appartiene al noto immobiliarista e proprietario di numerose testate giornalistiche quali “Il Messaggero” di Roma, il “Mattino” di Napoli e il “Gazzettino” di Venezia, soggetto dunque controllato dall’Agcom stessa, ma che nel corso di questi anni, risulterebbe essere stato utilizzato in modo del tutto marginale rispetto alle effettive esigenze.

Ieri, dopo aver dato l’annuncio della nostra interrogazione, nella quale chiedevamo di conoscere i costi connessi al mantenimento della doppia sede e, in particolare quale sia l’entità delle risorse pubbliche che sino ad oggi siano state impiegate per pagare le trasferte da Roma a Napoli e viceversa dei componenti dell’Agcom e del loro staff, è arrivata puntuale la risposta da ufficio apposito dell’autorità medesima.

Confermata l’esistenza della doppia sede. Un sforzo è stato fatto, però: nell’ottica di un’organizzazione più efficiente e razionale, si è riuniti in un unico ufficio gli uffici di Roma, provvedendo altresì a ridurre i piani occupanti nella sede napoletana, passando da 24 a 14 (!). Nessun cenno sui costi. Su quello, cade un velo. Ora, aspettiamo di conoscere da Monti le cifre. La domanda è: che senso ha parlare di spending review se poi si mantengono, a caro prezzo, due sedi per un’unica autorità?

Che fine fanno i preziosi sms?

"Con la speranza che i soldi arrivino dove devono arrivare" dice Stefania in un suo tweet. "Ma siamo sicuri che arrivino?" si chiede Marco su Facebook. I dubbi e le domande sono legittimi. A maggior ragione dopo l'istituzione del numero 45500 che consente di inviare, con un sms, due euro per aiutare le popolazioni colpite dal sisma in Emilia del 20 e 29 maggio. 

Dove vanno a finire allora questi soldi? Che fine fanno le centinaia di migliaia di euro che transitano verso i conti correnti appositamente creati? E poi, quali garanzie ci sono che i fondi arrivino a destinazione? Idv ha raccolto tutte queste domande e ha rivolto un'interrogazione, depositata dal collega Fabio Evangelisti, al presidente del Consiglio Mario Monti.

In queste drammatiche situazioni gli italiani si dimostrano sempre molto solidali. Basti pensare che all'indomani del terremoto che sconvolse l'Aquila il 6 aprile del 2009, col sistema sms sono stati raccolti 68.338.754 di euro. Una cifra enorme che impegna il governo a garantire trasparenza e celerità nella gestione i questi fondi. 

Sappiamo che i soldi non arrivano subito a destinazione. Lo ha confermato il vice Capo Dipartimento della Protezione Civile, Angelo Borrelli: "I soldi, questo è bene precisarlo, non arrivano immediatamente nella disponibilità della Protezione Civile, né degli operatori telefonici. - ha detto - Quella che si fa con gli sms è infatti una sorta di promessa di donazione e fino a quando Tim, Vodafone, Wind, etc non riscuotono le bollette, non possono entrare in possesso dei soldi e quindi non possono trasferirli alla Protezione Civile sul conto che la stessa Protezione Civile ha presso la tesoreria dello Stato alla Banca d'Italia"

Ci vogliono circa 60 giorni perché il denaro venga trasferito, in pratica quando il donatore paga la bolletta. E' bene però considerare che le donazioni vengono fatte solitamente attraverso sms inviati con le ricaricabili e quindi con soldi immediatamente disponibili. Come si giustifica, allora, tutto questo tempo?

Lungi da me voler insinuare qualcosa. Quello che chiediamo è solamente maggiore trasparenza, maggiore informazione, maggiore tracciabilità. La sicurezza che i soldi arrivino a destinazione e aiutino i paesi colpiti da calamità naturali a risollevarsi in tempi rapidi.

LA RAI SUCCURSALE DI BANKITALIA

Tag: Bankitalia , canone , Rai

La Rai è la più grande azienda culturale del Paese. O almeno avrebbe dovuto esserlo, visto che, nonostante il canone ed il contratto di servizio, di cultura non è che ne faccia moltissima. Sulla televisione pubblica si sta combattendo una durissima battaglia politica. Il governo ha nominato i nuovi vertici.

Il nuovo presidente della Rai è Anna Maria Tarantola, già al centro di una sottile e insistente opera di sponsorizzazione del Vaticano per la sua nomina a governatore della Banca D’Italia. Dalla vicedirezione di Bankitalia alla presidenza della Rai, il governo dei tecnici ha compiuto un’audace colpo di mano degno della peggior logica della politica politicante. Non è così che si riforma l’azienda, al centro da vent’anni di un dibattito politico feroce.

La Rai è strategica per l’Italia e per lo Stato, ha un patrimonio di competenze e professionalità da far invidia a qualunque network mondiale. Ma non lo mette in mostra, perché Berlusconi ha scelto di tenerla a livelli bassi, in modo da mantenere inalterato il dupopolio Rai Mediaset senza dover spendere una fortuna per innovare le sue reti e renderle competitive. Grazie allo status quo ‘Sua Emittenza’ ha potuto fare affari enormi con gli introiti pubblicitari. Ma a quale prezzo? Un prezzo altissimo pagato da tutti i cittadini italiani. I soldi del canone sono andati finanziare un carrozzone che ha contribuito a narcotizzare le coscienze degli italiani. Salvo eccezioni, punte di qualità e isole di libertà. Il punto vero non è solo quello della libertà d’informazione, spesso negata in questi due decenni, ma quale piano strategico c’è per la radiotv pubblica.

Noi un progetto di riforma ce l’abbiamo e l’abbiamo presentato più volte: è necessaria, anzi, indispensabile, la riforma della governance che strappi la Rai al controllo dei partiti e che le restituisca libertà ed autonomia mantenendola al servizio dei cittadini. Non è passando all’ amministrazione controllata di Bankitalia che si valorizza l’azienda.

L’ANTICORRUZIONE DI PULCINELLA

Sono passati 5 giorni, da che il governo ha annunciato la questione di fiducia sul ddl anticorruzione. Ebbene, questa mattina, all’apertura dell’Aula, dopo aver chiesto più tempo per la presentazione di un maxiemendamento, il governo ha annunciato di non avere ancora deciso cosa fare. A pensare male si fa peccato, ma qualche volta ci si azzecca: cosa bolle in pentola? quali trame e quali fili si stanno muovendo?

E’ evidente e alla luce del sole: il Parlamento è stato svuotato del suo ruolo e noi stiamo assistendo impotenti alla mortificazione della Camera e del ruolo che rivestiamo. Con questa maggioranza gli accordi avvengono nelle segrete stanze, per poi servire polpette avvelenate ad un’Aula quasi sempre all’oscuro di modifiche in corsa.

Rimane la nostra contrarietà ad un provvedimento che è solo il frutto di un accordo al ribasso, come tutti i provvedimenti approvati dalla strana alleanza Abc. E’ facile riempirsi la bocca con parole quali “anticorruzione” e poi, nei fatti, portare a casa un provvedimento che ha eliminato la concussione per induzione – tanto per capirci, il reato tipico di Tangentopoli - che ha abbassato i tempi di prescrizione, che depotenzierà la lotta alle mazzette, con il risultato finale che molti processi, a cominciare da quello a carico di Penati, verranno falcidiati.

L'Europa non ci chiedeva niente di più che rendere più efficace il contrasto alla corruzione e alla concussione. Ci chiedeva di punire anche il concusso per induzione, e non di abbassare la guardia. Non di mandare processi al macero, non di trasformare la concussione per induzione in un reato diverso, che si prescrive in dieci invece che in quindici anni. Quale è l’accordo? Cosa c’è in ballo di così importante, tanto da provocare una moria di processi ed un terremoto nelle aule giudiziarie?

Il vuoto pneumatico del prof Monti

 

Lo spread è tornato a 500 punti, l’unione monetaria scricchiola. Per quanto non avessimo grandi aspettative, l’informativa urgente del presidente del Consiglio, Mario Monti, è stata a dir poco imbarazzante, un esempio da manuale di “vuoto pneumatico”. Si segnala solo un passaggio interessante, la lettura del Financial Times, ma a quello avevamo giù provveduto da soli.

Il presidente Monti ci è venuto a raccontare che le cose più importanti le ha dette ieri sera, al vertice di maggioranza che sostiene il governo, all’Abc e che se vogliamo possiamo chiedere a loro. Ebbene, questa è stata una profonda mancanza di rispetto per il Parlamento.

Capiamo che il presidente Monti sia abituato, per storia personale e formazione professionale, più ai consigli di amministrazione che alle istituzioni di questo Paese, ma ora ha il ruolo di guida e non può permettersi di dire al Parlamento intero che, se vuole sapere come sta l’Italia, dobbiamo rivolgerci all’onorevole Alfano.

Noi pretendiamo di sapere come stanno veramente le cose. In questi ultimi mesi in particolare l'Europa non è mai stata all'altezza dei principali problemi che ha dovuto affrontare. Anzi è stata il maggior alleato di chi ha minato l'euro. La valutazione dei mercati non ha tardato a farsi vedere e lo spread è risalito. Noi non ci possiamo più permettere di andare avanti a chiacchierare. Il governo, finora, non ha mai avuto il coraggio di fare le uniche cose che servono a questo Paese, di mettere mano alla spesa politica improduttiva italiana, di buttare fuori i partiti da tutte le aziende che si sono accaparrati e di mandare a casa il ministro Fornero. Vogliamo la verità, non le solite chiacchiere.

 

IL GOVERNO DICE NO ALL'ANTIMAFIA

Il gioco delle tre carte è il preferito dal governo. Dice una cosa ne fa un’altra. Come nella migliore (peggiore) tradizione dei governi politici. Imparano in fretta questi tecnici... Oggi il gioco delle tre carte l’hanno fatto sull’incandidabilità dei condannati.

Italia dei Valori ha presentato un ordine del giorno a prima firma Ignazio Messina (componente della Commissione Antimafia) che prevede la perdita dei finanziamenti per i partiti che mettono in lista politici ‘incandidabili’. Un ordine del giorno ragionevole per rendere più dura la vita a delinquenti e affini che decidono di entrare in politica per fare i loro affari o per sfuggire alla giustizia.

Il governo, incredibilmente, ha detto "no". Ed è un no alla Commissione Antimafia, non all’Italia dei Valori che sta all’opposizione. In ogni caso un fatto gravissimo. Ha detto no, nonostante si tratti di una norma del codice etico approvato all’unanimità dalla Commissione Antimafia nel 2010.

Il governo ha chiesto il ritiro del nostro ordine del giorno, dopo il nostro rifiuto di modificare il testo per farlo diventare, da un impegno formale, un semplice invito a valutare l’opportunità di applicare la norma. Ci siamo ovviamente rifiutati di ritirare o modificare il testo approvato dall’Antimafia.

La successiva bocciatura dimostra che c’è una maggioranza che si oppone all’applicazione dei principi di legalità e trasparenza alle elezioni politiche. Evidentemente non vogliono un Parlamento pulito e non vogliono correre il rischio di mollare i soldi. Una brutta pagina, un voto che svela quanto siano spesso prive di contenuti e di sostanza i fiumi di parole sulla legalità in politica.

L'INGIUSTIZIA E' SERVITA

E’ possibile, in un paese civile, guidare ubbriachi, causare la morte di tre persone, una donna e due bambini, e non fare neanche un giorno di carcere? In Italia sì. E’ successo, nei pressi di Trapani.

E’ possibile per un politico manipolare le azioni di una persona per ottenere particolari scopi e non subire alcuna imputazione perché la legge non lo prevede? In Italia sì. E continuerà a succedere, dal momento che l’inconsistente decreto anticorruzione approvato ieri alla Camera, non prevede il reato di concussione per induzione.

Cos’è, dunque, in Italia, la giustizia? Un concetto vano e sempre più lontano dalla vita reale dei cittadini e della classe politica, purtroppo.

Perdonate il paragone azzardato. Sto accostando un fatto di cronaca gravissimo con un episodio di brutta politica. La vita umana non è certo paragonabile ai traffici della pubblica amministrazione e della politica. Ma la coincidenza dei due episodi, l’approvazione alla Camera di un testo anticorruzione che lascerà alla corruzione tutta la libertà di manovra che ha avuto finora da una parte e, dall’altra, la sentenza del giudice di Marsala che ieri ha concesso il patteggiamento della pena a due anni, che non sconterà (pena sospesa), al giovane automobilista colpevole di aver ucciso tre persone, mi fanno pensare che il Paese sia allo sbaraglio. Un buio assoluto, dunque, non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista della giustizia che latita sempre di più, spazzata via da un’ingiustizia sovrana.

Quanto accaduto a Marsala è letteralmente paradossale, degno di un Paese in cui vige l’anarchia più assoluta, doloroso ed ingiusto nei confronti dei parenti delle persone che hanno perso la vita inquell’incidente. Io trovo, però, che non meno paradossale sia impegnare il Parlamento a discutere di un testo contro la corruzione che in realtà è solo il frutto di un accordo al ribasso, come tutti i provvedimenti approvati dalla strana alleanza Abc. E’ facile riempirsi la bocca con parole quali “anticorruzione” e poi, nei fatti, portare a casa un provvedimento che ha eliminato la concussione per induzione, che ha abbassato i tempi di prescrizione, che depotenzierà la lotta alle mazzette, con il risultato finale che molti processi, a cominciare da quello a carico di Penati, verranno falcidiati.

E questa sarebbe la giustizia? Mi pare che la parole in Italia non abbia più un significato.

E' ORA DI FINIRLA!

Ancora un’aggressione contro un attivista gay. Succede a Roma, nella capitale d’Italia. Nella città in cui i post fascisti sono arrivati al governo, e con loro il vento dell’intolleranza. Non voglio gettare la croce (celtica) addosso al sindaco Alemanno, sarebbe troppo banale, ma non può essere un caso se il cambio di colore al Comune sia coinciso con un aumento degli episodi di violenza omofoba, discriminazione e intolleranza. D’altronde sono moltissimi gli esponenti dell’estrema destra piazzati in posti chiave nella pubblica amministrazione capitolina. Ma questo non basta a giustificare quanto sta avvenendo in Italia.Negli utlimi anni, fomentata anche da un clima politico favorevole si è insinuata come un veleno in alcune fasce della popolazione una subcultura intollerante e violenta. Discriminatoria verso le minoranze.
Tutte le minoranza: etniche, religiose, identitarie. La politica deve intervenire e agire, perché si tratta di una questione di civiltà. E qui riprendo una frase di Franco Grillini, responsabile Idv per i diritti civili.
È ora di finirla: dobbiamo dirci con chiarezza che l`assenza di una legge specifica, come quella proposta da tempo dall`IdV, contro i reati motivati da orientamento sessuale, rappresenta una sorta di via libera per i violenti di ogni tipo. Tuttavia, sono le istituzioni che devono intervenire con la massima urgenza per garantire campagne contro l`omofobia non episodiche e saltuarie.
Occorre un`azione costante d`intervento, come suggeriva la circolare ministeriale che chiedeva a tutti gli istituti scolastici un`iniziativa contro l`omofobia
”.

Son anni che ci battiamo in Parlamento per una legge contro le discriminazioni, ma la passata maggioranza di centrodestra ha bloccato qualsiasi passo in aventi sulla strada dei diritti e della civiltà. Noi continueremo, vediamo se questa ‘maggioranza’ è più civile.

Ma il ministro Profumo lo sa?

L’istruzione è un diritto garantito dalla Costituzione. Per questo, il legislatore ha fissato un criterio generale per far sì che le tasse universitarie non oltrepassino la soglia delle decenza. Eppure, le università italiane, 36 su 61, ovvero più della metà, hanno continuato ad aumentare le tasse studentesche oltre il limite previsto dalla legge.

La denuncia è dell’Udu, l’Unione degli Universitari italiani, pubblicata oggi dal quotidiano La Repubblica, che ha messo sotto la lente i bilanci 2011 delle principali università, con il risultato che la pressione fiscale “fuorilegge” delle università statali è cresciuta del 16 per cento Il meccanismo è semplice: secondo il Dpr 306 del 1997, l’ammontare complessivo delle tasse non può superare il 20 per cento del Fondo di finanziamento ordinario erogato dallo Stato. In barba a questa disposizione di legge, il 59 per cento degli atenei italiani ha aumentato negli anni le tasse studentesche.

Tra gli atenei più esosi, l’Università di Bergamo, che nel 2011 ha ricevuto quasi 35 milioni di fondo di finanziamento ordinario ma ne ha chiesti 14 e mezzo di tasse, il doppio rispetto alla soglia permessa. In questo ateneo, gli studenti pagano una media di 993 euro l’anno a testa. Se la tassazione fosse rimasta entro i limiti concessi dalla legge, ogni studente avrebbe dovuto sborsare 476 euro, ovvero 516 euro in meno ogni anno. Italia dei Valori presenterà un’interrogazione al ministro Profumo, che parla tanto di merito, per chiarire gli aspetti di questa vicenda. Se le legge c’è va rispettata. Che le famiglie italiane fossero le più tartassate d’Europa lo sapevamo già. Ma tartassare l’istruzione e il merito, no: è incostituzionale.

LA SCELTA DI IDV

Il governo Monti si dibatte ormai da mesi tra promesse mirabolanti, puntualmente tradite o abbandonate cammin facendo, ed un sempre piu evidente immobilismo fatto di una lunga serie di compromessi al ribasso. Talmente al ribasso che, delle presunte riforme, non si accorge nessuno, men che meno i mercati.

Ma ormai le elezioni sono vicine e la crisi continua ad essere drammatica e richiede un forte governo del Paese. Si voterà a marzo dell'anno prossimo (se non prima) e, di fatto, dopo l'estate inizierà una lunga campagna elettorale.

Questo è l'ultimo treno se si vuole cominciare a costruire il dopo-Monti, ovvero l'alleanza tra le forze riformiste e progressiste del Paese, l'unica, a mio avviso, capace di tirare l'Italia fuori dalle secche, di coniugare crescita e rigore e, soprattutto, equità e rigore.

Fin troppo tempo si è già perso, non certo per colpa nostra (su questo blog ne parlo da più di un anno), ma ora non può essere Idv a dare la sensazione di volersi tirare indietro o di non crederci fino in fondo.

Lo voglio dire con chiarezza, Idv è un pilastro insostituibile del centrosinistra, e chi mai pensasse di poter fare a meno di noi commetterebbe un clamoroso errore. Ma vale anche il contrario: sarebbe altrettanto grave pensare di essere noi a sottrarci alla responsabilità di costruire un centrosinistra di governo.

Cedere alle lusinghe di una sorta di grillismo di ritorno sarebbe per noi una mossa sbagliata ed ingiustificabile. Un'apparente via in discesa (com'è facile oggi chiamarsi fuori dalla logica di coalizione e, quindi, di governo, e limitarsi a maledire la politica...) ma in realtà una mossa rinunciataria e perdente: rispetto alle nostre responsabilità, rispetto ai bisogni del Paese, rispetto al governo della crisi.

In un'intervista al Fatto quotidiano di oggi, Di Pietro dice che nella prossima legislatura ci troveremo a combattere in Parlamento fianco a fianco a Grillo. Sarà così? Su temi di legalità e moralizzazione della politica certo che sì. Ma sulle scelte economiche del Paese non credo proprio. Con chi propone il default dell'Italia e la nostra uscita dall'euro non voglio avere nulla a che fare!

Si tratta allora di cominciare ad accorciare le distanze con le altre forze del centrosinistra, con le forze a noi piu vicine (o meno lontane, ognuno la veda come vuole), superando le reciproche differenze e diffidenze. E bisogna farlo oggi, subito, perché di tempo non ce ne è più.

Anche perché se non c'è dubbio che tra noi ed il PD, in particolare sul tema del lavoro, ci sono state scelte profondamente diverse in questi mesi, va anche detto che una forza politica che ha scelto di sostenere questo governo e le sue politiche (anche sul lavoro) non per convenienza elettorale, ma ritenendo di contribuire ad un'azione di difesa del Paese, si può ritenere che abbia fatto la scelta giusta o sbagliata ma, per quanto mi riguarda, merita di  certo il mio personale rispetto.

Cominciamo quindi a guardare al futuro e smettiamola di dividerci sul sostegno al governo Monti perché il tema vero, già da oggi, non sono i mesi residui di questa legislatura, che da tempo non ha piu nulla da dire o da dare, e di questo governo che tirerà a campare finchè potrà, ma quello che vogliamo fare per l'Italia dei prossimi dieci anni.

Rai, il metodo è cambiato grazie a Idv

Antonio Di Pietro ieri, commentando la scelta del Pd di delegare a quattro associazioni della società civile la scelta di due candidati per il Cda della Rai, ha denunciato che si trattava in realtà, ancora una volta, di lottizzazione e spartizione e che la società civile viene usata come paravento. Non sono d’accordo

Ma come, per la prima volta nella storia repubblicana, un partito giunge alla designazione delle persone destinate a ricoprire un ruolo straordinariamente importante, non con criteri di lottizzazione e di spartizione tra correnti, bensì facendole scegliere alla società civile, e noi non riconosciamo che si tratta di un primo, e importante, segnale di cambiamento?

Perché non rivendichiamo, e avremmo tutti i titoli per farlo, che il Pd è stato spinto a questo cambio di passo per la forte pressione dell'opinione pubblica mobilitata anche, e soprattutto, da Idv dopo la figuraccia delle indecenti nomine dell’Agcom e della Privacy? Questa bocciatura senza riserve mi sembra un po’ da “bastian contrari” considerato che, finché non si cambierà la Legge Gasparri, la nomina del Cda Rai spetta comunque al Parlamento (Vigilanza Rai).

Affermare che Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi sono due nomi lottizzati è contraddetto dalla oggettiva non-lottizzabilità di queste persone, dalla loro storia e dalla loro indipendenza. Credo che il ruolo di Idv all’interno del centrosinistra debba essere quello di spingere e talvolta costringere, alleati riottosi, ad adottare buone pratiche di governo, di gestione della cosa pubblica e di esercizio del potere politico. Per questo vorrei rivendicare che questa scelta è il frutto della buona azione politica di Idv.

Riconoscere la discontinuità dal passato non significa, peraltro, rinunciare a mettere in luce le tante inadeguatezze che ancora ci sono e, da questo punto di vista, torno ad essere pienamente d’accordo con Antonio Di Pietro. Si è migliorato rispetto a prima ma si poteva e si doveva fare molto meglio di così.

Perché queste quattro associazioni sì e altre, ugualmente o anche più importanti, no? Ne cito una per tutte, visto che si parla di tv e di libertà d’informazione, perché non inserire “Articolo 21”, che di questo mondo è sicuramente il riferimento più autorevole all’interno della società civile?

Perché limitarsi a delegare la scelta a qualcun altro e non approfittare dell’occasione per fare un’azione più importante e di più ampio respiro come sarebbe stato, per esempio, vincolarsi spontaneamente a un procedimento pubblico trasparente e rigoroso da adottare non solo ora ma anche per le scelte future?

Ad esempio prevedendo che tutte le principali associazioni potessero inviare candidature o curricula e che questi, assieme alle candidature spontaneamente presentate dai cittadini italiani, potessero essere pubblicamente oggetto di discussione tra i gruppi parlamentari e, alla fine, di una selezione secondo criteri esclusivamente meritocratici e di competenza specifica. 

E la competenza specifica non è un dettaglio, perché, come ho avuto modo di criticare nelle settimane scorse, l’indicazione di Anna Maria Tarantola alla presidenza della Rai, perché le sue competenze sono straordinarie all’interno della Banca d’Italia ma sono inesistenti nel settore della produzione culturale e televisiva, non potrei oggi esimermi dal muovere le stesse critiche circa le scelte di Colombo o della Tobagi, sicuramente autorevoli e competenti nel loro campo professionale ma distanti dalla complessità di governo della prima azienda culturale del Paese.

FORNERO, PROBLEMA DI STATO

Esodati, problema di Stato. Su questa vicenda si sta consumando il dramma di centinaia di migliaia di persone colpevoli di aver creduto nello Stato e nelle leggi italiane. Quando hanno accettato di andare in prepensionamento avevano diritto alla pensione.

Poi arrivò la Fornero, che coi numeri evidentemente ha qualche problema, tanto da dimenticare, nella sua pessima riforma, qualche centinaio di migliaia di persone, che si sono trovate improvvisamente scoperte e prive di garanzie per anni.

Uno Stato serio non ‘dimentica’ i suoi cittadini. Immaginate un po’ se in Germania, Francia, Inghilterra, un ministro avesse gettato sul lastrico 400.000 persone per aver sbagliato i conti cosa sarebbe successo. L’avrebbero spedito a meditare sui propri errori lontano dal palazzo del governo. Su due piedi e senza neanche dirgli ‘grazie per il lavoro svolto’.

Ma siamo in Italia. Era facile sparare su Berlusconi e fare paragoni con gli altri paesi europei quando c’era il suo governo. Ma non vedo perché, di fronte a tali disastri, si debba essere clementi con i ministri di Monti.

Se al posto della Fornero ci fosse stato un ministro del governo Berlusconi, l’avrebbero messo in croce. Tutti. Non si possono usare due pesi e due misure, a seconda del colore politico. La Fornero ha fatto un errore clamoroso e non solo non ha chiesto scusa e trovato subito una soluzione, ma ha attaccato i vertici dell’ Inps, ‘rei’ di aver divulgato le cifre vere.

Un paese civile un ministro così l’ avrebbe mandato a casa. Noi ce lo teniamo e gli lasciamo anche gestire la riforma del mercato del lavoro, che produrrà solo disoccupazione e liberalizzazione dei licenziamenti. Abbiamo presentato una mozione di sfiducia e vedremo. La salveranno, ma se ne dovranno assumere la responsabilità politica.

O SI FA L’EUROPA O SI MUORE

 Questo pomeriggio il presidente del Consiglio, Mario Monti, incontrerà il presidente francese Francois Hollande, il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Un vertice atteso, complesso e di importanza vitale per il futuro non solo dell’Italia ma dell’intera Europa.

O si fa l’Europa o si muore, è questa la verità. In questo momento, non c’è azione di governo che tenga se non c’è un’Europa unita, politicamente ed economicamente. Oggi, è un vaso di coccio, fragile e tenuto insieme su basi fragili, perché in realtà è divisa su tutto.

Non serve nascondersi dietro alle parole. La speculazione finanziaria continuerà finché l’Europa non diventerà un fortino inespugnabile. E per farlo, occorre trasformare quel vaso di coccio in una botte di ferro.

Come? Procedendo, a passo spedito, verso una unificazione delle politiche fiscali, industriali e dei mercati, che ancora oggi hanno messo in atto un percorso incompleto, serve una Banca centrale europea davvero sovrana ed indipendente. Finché non ci saranno queste condizioni, non ci sarà politica di rigore che tenga.

Solo se l’Europa sarà davvero unita, diventerà un fortino inespugnabile, in grado di fermare la speculazione e diventare uno dei grandi player dell’economia mondiale, superando per importanza l’esportazione come Stati Uniti, Cina e India.

Serve uscire dall’angolo. Serve superare quella progressiva marginalizzazione che stiamo subendo perché, in un mondo dove contato i grandi player, o anche l’Europa entra nel vivo del gioco e se la gioca alla pari o finiremo per essere spazzati via.

Il presidente del Consiglio Monti ha il dovere di svolgere ogni tentativo in questa direzione. Deve far valere con forza queste ragioni, che sono le ragioni dell’Italia. Monti vada al vertice forte non solo delle posizioni dell'italia ma di posizioni che sono di buon senso.

La corsa a ostacoli delle riforme

Il taglio dei deputati passato l'altro ieri al Senato desta più di una perplessità.
La prima, mi sia consentito di passar sopra alle frasi di routine che sarebbero naturali in casi del genere come “sempre meglio di niente”, è che sul serio si sarebbe potuto fare di più.
La seconda perplessità è determinata dal fatto che parlare adesso di taglio dei parlamentari è un po’ come riempirsi la bocca di fumo. Già, perché per rendere effettiva anche solo questa esigua sforbiciata bisognerà aspettare che vada in porto la riforma complessiva in cui essa è incardinata.

Il fatto positivo è che, per ora, le resistenze del presidente del Senato su questo articolo 1, che riguarda appunto la riduzione delle poltrone, per ora è stata arginata. Il tentativo, da parte di Schifani, di assecondare la linea Pdl-Lega, facendo passare il taglio dei parlamentari in secondo piano, è stato vanificato forse dal bisogno dello stesso centro destra di smentire le impressioni diffuse nei giorni scorsi sul fatto che non volessero ridurre il numero degli onorevoli.

Diciamo, insomma, che hanno voluto salvare la faccia. Ma, mi chiedo, riuscirà quest’opera a vedere la luce, se, com’è probabile, gli ostacoli che la separano dalla conclusione continueranno a farsi sempre più numerosi e insidiosi? E viene spontaneo il paragone con il taglio dei finanziamenti pubblici ai partiti, che, pure, era cosa ben più semplice da rendere effettiva.

Anche lì, pur di salvare se stessi, i partiti hanno quasi preferito perdere la faccia di fronte agli elettori, ormai malati, forse a ragione, di antipolitica. Ed allora, noi pazientiamo, aspettiamo ed osserviamo, ma restiamo convinti che questa classe politica, pur di salvaguardare se stessa, farà fatica, come ha già dimostrato, ad ascoltare le esigenze vere del Paese. Sicuramente, però, non smetteremo di combattere perché le esigenze dei cittadini tornino in primo piano, come ormai da troppo tempo non avviene.

51 STELLE CADUTE IN AFGHANISTAN

AFGHANISTAN: 51 MILITARI ITALIANI MORTI DAL 2004

(ANSA) - ROMA, 25 GIU - Con il carabiniere scelto Manuele Braj, salgono a 51 i militari italiani morti dall'inizio della missione Isaf in Afghanistan, nel 2004. Di questi, la maggioranza e' rimasta vittima di attentati e scontri a fuoco, altri invece sono morti in incidenti, alcuni per malore ed uno si e' suicidato. Ecco i nomi dei 51 militari italiani morti:

- 3 ottobre 2004: Caporal maggiore GIOVANNI BRUNO

- 3 febbraio 2005: Capitano di fregata BRUNO VIANINI

- 11 ottobre 2005: Caporal maggiore capo MICHELE SANFILIPPO

- 5 maggio 2006: Tenente MANUEL FIORITO e maresciallo LUCA POLSINELLI

- 2 luglio 2006: tenente colonnello CARLO LIGUORI

- 20 settembre 2006: caporal maggiore GIUSEPPE ORLANDO

- 26 settembre 2006: caporal maggiori GIORGIO LANGELLA e VINCENZO CARDELLA

- 24 settembre 2007: agente Sismi LORENZO D'AURIA

- 24 novembre 2007: maresciallo capo DANIELE PALADINI

- 13 febbraio 2008: maresciallo GIOVANNI PEZZULO

- 21 settembre 2008: caporal maggiore ALESSANDRO CAROPPO

- 15 gennaio 2009: maresciallo ARNALDO FORCUCCI

- 14 luglio 2009: caporal maggiore ALESSANDRO DI LISIO

- 17 settembre 2009: tenente ANTONIO FORTUNATO, sergente maggiore ROBERTO VALENTE, primo caporal maggiore MATTEO MUREDDU, primo caporal maggiore GIANDOMENICO PISTONAMI, primo caporal maggiore MASSIMILIANO RANDINO, primo caporal maggiore DAVIDE RICCHIUTO

- 15 ottobre 2009: caporal maggiore ROSARIO PONZIANO

- 26 febbraio 2010: agente Aise PIETRO ANTONIO COLAZZO

- 17 maggio 2010: sergente MASSIMILIANO RAMADU' e caporalmaggiore LUIGI PASCAZIO

- 23 giugno 2010: caporal maggiore scelto FRANCESCO SAVERIO POSITANO

- 25 luglio 2010: capitano MARCO CALLEGARO

- 28 luglio 2010: primo maresciallo MAURO GIGLI e caporal maggiore capo PIERDAVIDE DE CILLIS

- 17 settembre 2010: tenente ALESSANDRO ROMANI

- 9 ottobre 2010: primo caporal maggiore GIANMARCO MANCA,

primo caporal maggiore FRANCESCO VANNOZZI, primo caporal maggiore SEBASTIANO VILLE, caporal maggiore MARCO PEDONE

- 31 dicembre 2010: caporal maggiore MATTEO MIOTTO

- 18 gennaio 2011: caporal maggiore LUCA SANNA

- 28 febbraio 2011: tenente MASSIMO RANZANI

- 4 giugno 2011: tenente colonnello dei carabinieri CRISTIANO CONGIU

- 2 luglio 2011: Caporal maggiore scelto GAETANO TUCCILLO

- 12 luglio 2011: primo caporal maggiore ROBERTO MARCHINI

- 25 luglio 2011: caporal maggiore DAVID TOBINI

- 16 settembre 2011: maggiore dei carabinieri MATTEO DE MARCO

- 23 settembre 2011: tenente RICCARDO BUCCI, caporal maggiore scelto MARIO FRASCA, caporal maggiore MASSIMO DI LEGGE

- 13 gennaio 2012: tenente colonnello GIOVANNI GALLO

- 20 febbraio 2012: il caporal maggiore capo FRANCESCO

CURRO', il primo caporal maggiore FRANCESCO PAOLO MESSINEO

e il primo caporal maggiore LUCA VALENTE.

- 24 marzo 2012: Sergente MICHELE SILVESTRI

- 25 giugno 2012: carabiniere scelto MANUELE BRAJ (ANSA).

Oggi è il momento del cordoglio e del rispetto. Per Manuele Braj e per tutte le altre vittime italiane in Afghanistan. Non voglio fare polemiche nel giorno del lutto, ma questo attentato, ancora una volta, impone una riflessione sulla presenza italiana in Afghanistan. Quanto tempo ancora dovrà passare prima che si prenda atto della necessità di una nuova strategia in quel paese? L’ occupazione militare è fallita, le truppe alleate controllano Kabul (di giorno) e poche altre ‘fortezze’, ma l’Afghanistan continua ad essere dilaniato da attentati e scontri. Una situazione che gli analisti e persino i militari più sensibili ed esperti considerano non più sostenibile.

La Francia di Hollande ha deciso di anticipare il rientro dei propri militari, Obama accelera per disimpegnare gli Usa. E l’Italia? Non si sa, ancora non è dato saperlo. Non ci sono tempi certi per il ritiro delle truppe da quel teatro di guerra. Anche dopo il ritiro delle truppe Nato previsto per il 2014 i nostri militari resteranno lì ad addestrare le truppe locali. Serve più chiarezza, e soprattutto servono una nuova strategia ed un’exit strategy efficace. Ma il governo Monti, debole sul fronte interno, è debolissimo su quello estero. Uno dei tanti limiti di questo governo ‘tecnico’.

RIFORMA FORNERO, UMILIA I LAVORATORI E LA COSTITUZIONE

lavorolavoro

Due fiducie oggi, due domani. Facendo due rapidi calcoli, con le prossime 4, il governo Monti, in 8 mesi, arriva a quota 28. Peggio di così neanche Berlusconi. Questa volta, sul tavolo c’è la riforma più oscena che si sia mai vista fino ad oggi, il piano Fornero per smantellare il lavoro, che impoverirà l’Italia e farà perdere nuovi posti di lavoro. Ancora una volta, regna incontrastata l’incoerenza di chi dice che la riforma è cattiva ma poi la voterà, nascondendosi dietro l’ipocrisia del voto di fiducia. Noi, coerentemente, voteremo contro e lo faremo per molte ragioni.

La prima. Il piano Fornero non si limita a modificare singole disposizioni o discipline ma interviene con la scure introducendone nuove, dai contratti agli ammortizzatori sociali, dai fondi di solidarietà alla materia dei licenziamenti e delle tutele delle lavoratrici e dei lavoratori.

Il lavoro ha un ruolo centrale nel nostro ordinamento costituzionale. E’ un diritto sociale, fonte del sostentamento per ogni cittadino e la sua famiglia. La Costituzione tutela il lavoro e stabilisce un principio inoppugnabile, ovvero il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità, che sia in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

La Costituzione sancisce che ai lavoratori debbano essere assicurati i mezzi adeguati in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione.

La Costituzione assicura la libertà sindacale e il diritto allo sciopero.

La Costituzione stabilisce la libertà dell’iniziativa economica privata, vietando però che questa metta a rischio l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana.

La riforma Fornero, nella sua struttura complessiva, non è compatibile con i principi, i diritti e i doveri costituzionali. Sui contratti non opera né una semplificazione, né una riduzione. Il lavoro a tempo indeterminato continua ad essere eroso dalle altre tipologie contrattuali. Si certifica la precarietà, che non sta nell’onere del lavoratore di adattarsi a cambiare più lavori, ma nel mantenimento di un sistema che priva il lavoro della giusta retribuzione e non garantisce continuità e adeguatezza di versamenti contributivi e coperture assicurative.

La riforma Fornero riduce le garanzie al lavoratore, attraverso l’introduzione e il rafforzamento di elementi vessatori.

La riforma Fornero smantella l’attuale sistema degli ammortizzatori sociali, per crearne uno la cui unica ragione sociale dichiarata non viene realizzata perché non raggiunge l’obiettivo dell’universalità, non include effettivamente i lavoratori discontinui e non migliora le prestazioni.

La riforma Fornero è discriminatoria sul versanti dei fondi di solidarietà, in quanto esclude dalla loro copertura i lavoratori occupati in imprese con meno di 15 dipendenti. In tal modo il sistema non riesce ad essere universale, gli elementi che precedono, esemplificativi ma non esaustivi, letti unitariamente appalesano una violazione del tessuto organico rappresentato dalle disposizioni della Costituzione precedentemente indicate.

Il governo ha chiuso ogni dialogo, teso a migliorare il testo. Ha usato trucchi ed escamotage per evitare il confronto. Imporre la questione di fiducia sul provvedimento anche alla Camera, senza consentire nessuna modifica al testo licenziato al Senato, rafforza il nostro convincimento: questo ddl è profondamente incostituzionale, fa carne da macello dei diritti dei lavoratori, si beffa della Costituzione e sottrae al Parlamento la sua funzione legislativa.

PRIMA IL PROGETTO, POI LE ALLEANZE

Nove mozioni presentate dai gruppi parlamentari in vista del vertice europeo di domani. E’ la prova più evidente del limite di questo governo e della sua credibilità in Europa. In questo momento l'Italia deve sperare che l'Europa faccia un passo in avanti e che diventi un vaso di ferro e non di coccio tra le grandi economie. Ed e' del tutto irrilevante quale sarà il presidente del Consiglio che porterà avanti questa linea.

Oggi il nostro Paese ha una priorità assoluta, un interesse comune ed è quello che l'Europa riesca a diventare un fortino inespugnabile. Solo così, con più politica, più Europa potremo resistere alle tempeste dei mercati finanziari. Non c’entra Monti, se riuscirà o meno a vincere la sfida con la Merkel, se avrà un ruolo centrale in questa vicenda. C’è in gioco il paese, il futuro dell’Italia, il suo bene.

Questo è il motivo per cui siamo convinti che l'Italia abbia bisogno di un governo politico, con un progetto di paese. Cosa che non hanno ancora né il governo né la finta maggioranza che lo sostiene. L'Italia ha bisogno di un governo politico, ora più che mai. In questi giorni si parla di alleanze come di squadre da mandare in campo per giocare non si sa quale partita, se di calcio o di pallacanestro. Ma prima di parlare di alleanze è necessario chiarire la politica che si vuole mettere in campo. Noi crediamo in una politica di centrosinistra, che metta tra le sue priorità le fasce più deboli della popolazione, il lavoro e i diritti. Per questo, lanciamo la nostra sfida a tutti i partiti, a cominciare dal Partito democratico.

ITALIA-GERMANIA SI GIOCA A BRUXELLES

Italia-Germania si gioca anche a Bruxelles, non solo a Varsavia. Doppia partita. Di calcio, ma soprattutto economica e politica. Ed è la seconda quella più impegnativa e difficile. L’Italia di Prandelli è forte, ha diversi fuoriclasse, se la gioca e può mettere sotto i teutonici (Forza Italia!!! questo incitamento è tornato ad essere un patrimonio di tutti gli italiani...).

...L’Italia di Monti, invece, è debole, divisa, sfilacciata e senza un gioco. Il Mister Mario Monti ha una grande credibilità in Europa, ma sul campo ha ottenuto risultati pessimi. Nel campionato nazionale la sua squadra ha impoverito i cittadini, ha liberalizzato i licenziamenti, ha tagliato pensioni e servizi sociali, ha aumentato il conflitto sociale e non ha raggiunto un solo obiettivo di crescita.

Nelle coppe europee le cose non sono andate molto meglio: lo spread è sempre a livelli molto alti e l’Italia è sempre un obiettivo degli assalti speculativi. Anche se siamo per un cambio d’allenatore (riferito a Monti non certo a Prandelli), ci auguriamo che l’Italia porti a casa qualche risultato positivo dal vertice di Bruxelles.

Noi tiferemo perché siamo opposizione, ma non autolesionisti. Non giochiamo al ‘tanto peggio tanto meglio’, anche se non siamo molto ottimisti. Una cosa è certa: se Monti non dovesse riuscire a portare a casa un risultato positivo, dovrà guardarsi non tanto dall’opposizione dell’Idv, quanto dai suoi alleati...

TERREMOTO IN EMILIA: DIMENTICATO?

Stanno spendendo milioni di euro solo per la gestione ordinaria. Sono i sindaci dei piccoli comuni dell’Emilia colpiti dalla tragedia del terremoto a denunciarlo. Dei soldi promessi dal governo Monti, 2,5 miliardi di euro per la ricostruzione - di cui 500 milioni per il 2012 – non hanno ancora visto il becco di un soldo. Sono i comuni, al momento, che provvedono alle spese, con quello che hanno in cassa. Ma i fondi, già esigui, stanno per terminare.

La Camera, durante la discussione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, aveva approvato un emendamento, da noi proposto come ordine del giorno, con il quale si destinavano i 91 milioni di euro per il 2012 e i 69 milioni di euro per il 2013 – per un importo totale di 160 milioni - frutto della riduzione dei rimborsi ai partiti, ai comuni in emergenza. Quei soldi, dicono gli amministratori, non sono mai arrivati. Non si perda tempo. Già se ne è perso troppo.

Noi la nostra decisione l’abbiamo presa: destineremo due milioni di euro di rimborsi elettorali, che saranno percepiti a luglio, a favore della ricostruzione in Emilia Romagna. Li consegneremo agli amministratori di quei comuni, a chi sta combattendo per ricostruire, per risollevarsi. Perché non bastano le parole, le visite, la solidarietà: servono i fatti concreti.