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ET VOILA', LA “TARTASSA ITALIA” E' SERVITA

Dopo il “Salva Italia”, il “Cresci Italia”, arriva “Tartassa Italia”. Questo è il Dl fisco targato Monti, quello che doveva semplificare le tasse e i tributi, introdurre maggiore equità, liberare l’Italia e gli italiani da lacci e lacciuoli asfissianti e che, invece, non fa altro che introdurre nuove tasse e balzelli.

Cosa c’è nel decreto Fisco di Monti? Di tutto di più. Nuove tasse introdotto in un calderone, dove ci hanno infilato di tutto, alla faccia dei richiami del presidente Napolitano sull’eccessivo ricorso ai decreti omnibus.

Hanno introdotto per norme l’Imu, la tassa sulle case degli italiani, sugli ospizi, sui terremotati e sugli alluvionati ma non sulle fondazioni bancarie, e tante piccole nuove tasse, sempre a carico dei soliti noti.

Con le liberalizzazioni e le semplificazioni hanno fatto il solletico alle banche, alle assicurazioni, ai poteri forti. Con la "Tartassa Italia" si accaniscono incomprensibilmente sulle famiglie, sui contribuenti onesti, su chi paga sempre tutto e lo fa da una vita.

Intanto i dati parlano chiaro e sono drammatici. Il pareggio di bilancio è rinviato alle calende greche (2017), il Pil è diminuito di quasi il 2 per cento, la disoccupazione è arrivata a quota 10 per cento, il reddito delle famiglie italiane è diminuito del 5 per cento e, infine, la pressione fiscale tocca la spaventosa cifra del 45 per cento. Istat, è dato di oggi, fotografa un Paese dove gli italiani senza un’occupazione sono arrivati a 3 milioni. Questi sono i risultati della mirabolante azione del governo Monti.

L'economia reale, quella delle famiglie e delle imprese non ha visto un euro, il credito e' praticamente bloccato o a costi esosi. I sacrifici che continuano a chiedere sono a senso unico, solo a carico dei ceti medi, mentre il debito rimane inchiodato, la disoccupazione aumenta e  le tasse aumentano.

Insomma, con la Tartassa Italia l’equità e la giustizia sociale va definitivamente in soffitta. Il decreto fiscale è un provvedimento che arricchisce i ricchi e impoverisce i poveri. Con buona pace dei poteri forti.

La Commissione dell'acqua calda

Tre giorni fa, Giovannini, presidente dell’Istat, a capo della Commissione sui costi della politica, si è arreso. Un fallimento totale quello della commissione istituita per comparare i costi delle nostre istituzioni con quelli di altri stati membri dell’Unione Europea.

Perché Giovannini ha gettato la spugna? La comparazione non si può fare perché la nostra situazione è troppo difforme da quella di Francia, Germania, Inghilterra e via discorrendo. Tanto per capirci, all’estero, ha detto il presidente, non ci sono strutture analoghe a quelle italiane. Su 30 tipologie di enti esistenti in Italia, solo in 9 casi esistono strutture analoghe. Questi nove enti, continua a spiegare Giovannini, sarebbero l'Agenzia del Farmaco, l'Antitrust, l'Autorità delle Comunicazioni, quella per l'Energia elettrica, la Consob, il garante della Privacy, Regioni, Comuni e la Camera dei Deputati. Il Senato no, perché in altri Paesi i senatori non sono eletti direttamente dal popolo.

Per farla breve, la Commissione ha alzato le mani: “Le situazioni sono diverse, non si possono paragonare. Suggeriamo al Governo e al Parlamento di rivedere la legge sui costi della politica”. Insomma, come nel Monopoli si riparte dal via, grazie a tutti abbiamo scherzato.

Roba da matti. Con tutto il rispetto, solo in Italia capita che si istituisca una commissione sui costi della politica che lavora quasi un anno, comparando i dati e i numeri per scoprire l’acqua calda. Non ci voleva una Commissione per dirci che in Italia c’è una proliferazione esagerata di enti inutili. Non ci voleva Giovannini per dirci che in Italia c’è una macchina burocratica elefantiaca che rappresenta un unicum in Europa. In Italia serve darci un taglio. Non serve comparare tabelle, squadernare libelli, fare i conti in tasca agli altri paesi per capire dove è il marcio. E’ sotto gli occhi di tutti. In un momento di straordinaria drammaticità per il Paese occorre usare il rigore e la scure anche nei confronti della politica. L’obiettivo è disegnare un’Italia più snella, più moderna, liberale, meno burocratica, in cui i sacrifici non passino solo attraverso la riduzione del potere di acquisto delle famiglie o una patrimoniale per i redditi bassi.

Salva Italia, Cresci Italia, Liberalizza Italia, Riforma del Lavoro. Tradotto: tasse, poche e insignificanti liberalizzazioni, articolo 18. E i costi della politica? Che fine hanno fatto nel programma del governo “tecnico” targato Monti? Riposti nel cassetto. Lì giacciono in pace. Eppure le risorse che si libererebbero dando una bella sforbiciata ai costi della politica sarebbero ingenti. Ma nulla si muove, solo timidi tremolii di foglie, poi subito la quiete. Se la politica non è matura per un passaggio così epocale, lo sono i cittadini.

MONTI, "SU LA TESTA" CON GLI EVASORI!

 

Ha ragione il presidente del Consiglio Mario Monti. “Chi evade le tasse offre pane avvelenato ai figli. Consegnerà loro qualche euro in più ma li renderà cittadini di un paese non vivibile”. L’evasione fiscale è una piaga, fa più danni di un’invasione di cavallette. Gli ultimi dati, emersi dall’incrocio dei dati della Commissione Giovannini, della Corte dei Conti e della Uil, sono allarmanti. La tassa che toglie più all’erario è l’Irpef: all’appello mancano 49.5 miliardi di euro. Al secondo posto, c’è l’evasione sull’Iva: 44.7 miliardi di euro. Al terzo posto, l’Ires, 15.5 miliardi di euro evasi, al quarto l’Irap, con 7.1 miliardi di euro. E poi, in fondo a questa classifica, tasse meno importanti ma ugualmente dribblate dagli italiani: canone Rai, 623.3 milioni di euro e bollo auto, 449.7 milioni di euro. Faccio il totale: 119.6 miliardi di euro, una cifra da capogiro. Da Nord a Sud, con picchi in Calabria, dove il tasso di irregolarità sfiora quota 24 per cento, fino all’insospettabile Bolzano, con 14.7 per cento, l’Italia si conferma paese di naviganti, poeti ed evasori.

Per questo, avanti tutta con le liberalizzazioni, soprattutto quelle che avvantaggiano le tasche dei cittadini, ma lotta dura, senza tregua agli evasori fiscali. Lo diciamo da tempo al governo.

Rimettere in piedi il Paese e rilanciare l'economia si può. Tre sono le strade principali per uscire dalla crisi e restituire dinamismo alla nostra economia: avviare una lotta senza quartiere all'evasione fiscale e recuperare quei 119.6 miliardi di euro che bruciano e contrastare in ogni luogo la corruzione. Si proceda, dunque, spediti verso piene liberalizzazioni, che non devono riguardare solo taxi e farmacie, ma le vere lobby di questo paese ed i settori strategici per la crescita, a partire da energia, trasporti, reti e sistemi finanziari, ma non si usi il guanto di velluto con gli evasori fiscali.

 

STOP AGLI SPRECHI DI PALAZZO CHIGI

Sono i dipendenti del premier ad aver percepito il maggior rialzo di stipendio tra il 2009 e il 2010". Il dato emerge dalle tabelle dell'Istat sulle retribuzioni contenute nell'annuario statistico. I lavoratori di Palazzo Chigi, tra il 2009 e il 2010, hanno visto aumentare la loro retribuzioni contrattuali del 15,2% (+9,9% se si tiene conto delle retribuzioni orarie), staccando di gran lunga tutte le altre categorie, sia pubbliche che private. Al secondo posto i servizi a terra negli aeroporti (+5,2%), seguiti dai giornalisti, per i quali l'incremento è stato del 4,7%. Sotto il 4% gli aumenti delle retribuzioni di categorie come i portuali, gli impiegati nel settore delle tlc e nella ricerca (+3,7% per tutti). Non si suona la stessa musica in altri settori del pubblico impiego: ad esempio, nei ministeri, l'aumento tra il 2009 e il 2010 rilevato dall'Istat è stato solamente dello 0,7%, come anche nelle agenzie fiscali e nei monopoli. Per le forze dell'ordine l'aumento è stato dello 0,9%, nella pubblica istruzione dello 0,6%, mentre per i vigili del fuoco l'aumento delle retribuzioni non è andato oltre lo 0,4%”. Lo dice l’Istat.
Questi dati sgombrano il campo da qualsiasi dubbio sull’operato di Silvio Berlusconi, che, se da un lato ha portato al collasso i conti pubblici, dall’altro ha fatto lievitare i costi della struttura di diretta competenza, utilizzandola come fosse un bene a sua esclusiva disposizione. I tempi son cambiati, non c’è più Belrusconi al comando e per questo tralascio volutamente gli episodi ‘pecorecci’ degli ultimi anni, dai voli di Stato con Apicella agli eccessi pruriginosi che hanno coinvolto Palazzo Chigi. Ce ne sarebbe da ricordare, ma abbiamo già riempito pagine e pagine per denunciare quei fatti ed ora è tempo di voltar pagina.  Faccio considerazioni più generali: l’impennata dei costi e degli stipendi di Palazzo Chigi sono lo specchio di una gestione dissennata e piegata ai suoi interessi privati o politici delle casse dello Stato. Basti pensare che negli ultimi otto anni di governo Berlusconi, si è accumulato circa un quarto dell’intero debito pubblico italiano. Una cifra enorme che pesa come un macigno sulla nostra economia. Questo dissesto lo stiamo scontando tutti, soprattutto i più deboli ed il ceto medio e medio-basso, che pagano il peso di una manovra pesantissima. Noi abbiamo votato no alla fiducia ed alla manovra, perché la riteniamo iniqua, ma dobbiamo riconoscere che il nuovo governo è formato da persone che con lo stile di Berlusconi non hanno nulla a che fare. Per questo chiediamo in modo forte e pressante al premier Monti di dare anche lui il buon esempio, tagliando i costi di gestione di Palazzo Chigi. Dimostri di essere diverso da chi l’ha preceduto.

PIAZZA AFFARI BANCHETTA... E NOI PAGHIAMO IL CONTO

Piazza AffariPiazza Affari  Oggi l’Istat certifica quello che gli italiani sanno già da tempo: la crisi c’è, picchia giù duro e colpisce soprattutto i lavoratori, le famiglie, i giovani, le piccole e medie imprese. I dati diffusi dall’istituto di statistica sulla disoccupazione sono allarmanti e riferiscono una situazione di vera e propria emergenza: due milioni di disoccupati, che significa un balzo indietro di sei anni, un tasso di disoccupazione che ha raggiunto quota 8 per cento, una percentuale di disoccupazione giovanile che sfiora il 27%.Di fronte a tutto questo colpisce come un pugno allo stomaco l’immobilismo del Governo. Non c’è una sola proposta concreta, in questa Finanziaria, per sostenere l’occupazione e ampliare la rete di protezione per chi perde il posto di lavoro. Non c’è nessuna iniziativa vera per contrastare non solo la disoccupazione, ma il precariato, la cattiva occupazione, problemi sociali enormi, amplificati da una crisi pesantissima.Italia dei Valori una proposta concreta per liberare risorse ed aiutare il mondo del lavoro ce l’ha. In termini tecnici, si tratta di uno slittamento di risorse, ovvero una sorta di travaso tra settori tartassati ad altri che lo sono molto di meno o non lo sono affatto. Mi vado a spiegare. Oggi, il lavoro subisce un carico fiscale enorme. I lavoratori dipendenti, ma anche i  liberi professionisti, quelli onesti che pagano le tasse, subiscono un carico fiscale altissimo, tra i più alti d’Europa. Gli imprenditori non fanno più ricerca e innovazione, perché la maggior parte delle risorse devono necessariamente andare a coprire il costo del lavoro. Ed il risultato non avvantaggia neanche il lavoratore che si trova una busta paga dissanguata in mille rivoli.Accanto a tutto questo, c’è un settore che, dopo un periodo fisiologico di contrazione, ha ripreso a banchettare allegramente. Piazza Affari, nell’ultimo periodo, è cresciuta del 77 per cento.  Le speculazioni finanziarie sono ripartite alla grande, c’è un giro d’affari finanziario enorme ma, a fronte di guadagni giganteschi, chi specula in borse paga solo il 12,5 per cento di tasse. L’economia di carta, dunque, sta mangiando quella reale.E’ di fronte a questa sperequazione enorme e, per certi aspetti, incomprensibile, che entra in gioco il nostro “travaso”. Quello che noi proponiamo è di tassare le plusvalenze finanziarie speculative al 20 per cento, con l’esclusione dei rendimenti dei titoli di Stato, ovviamente, che riguardano non certo gli speculatori di borsa ma i piccoli risparmiatori. Le risorse che ne deriverebbero potrebbero essere travasate, ovvero, reinvestite per ridurre la pressione fiscale sul lavoro, con vantaggio sicuro per chi un lavoro ce l’ha, ma anche per chi lo attende o lo ha perso.Vorremmo confrontarci su questo con il Governo e la maggioranza. Invece, ci ritroviamo a parlare intere giornate se ricamare o no il crocifisso sul tricolore. Non hanno la benché minima idea di come uscire dalla crisi, questa è la verità ed il Paese ne sta pagando il prezzo più alto.