Taggati con: debito pubblico
STOP AGLI SPRECHI DI PALAZZO CHIGI
“Sono i dipendenti del premier ad aver percepito il maggior rialzo di stipendio tra il 2009 e il 2010". Il dato emerge dalle tabelle dell'Istat sulle retribuzioni contenute nell'annuario statistico. I lavoratori di Palazzo Chigi, tra il 2009 e il 2010, hanno visto aumentare la loro retribuzioni contrattuali del 15,2% (+9,9% se si tiene conto delle retribuzioni orarie), staccando di gran lunga tutte le altre categorie, sia pubbliche che private. Al secondo posto i servizi a terra negli aeroporti (+5,2%), seguiti dai giornalisti, per i quali l'incremento è stato del 4,7%. Sotto il 4% gli aumenti delle retribuzioni di categorie come i portuali, gli impiegati nel settore delle tlc e nella ricerca (+3,7% per tutti). Non si suona la stessa musica in altri settori del pubblico impiego: ad esempio, nei ministeri, l'aumento tra il 2009 e il 2010 rilevato dall'Istat è stato solamente dello 0,7%, come anche nelle agenzie fiscali e nei monopoli. Per le forze dell'ordine l'aumento è stato dello 0,9%, nella pubblica istruzione dello 0,6%, mentre per i vigili del fuoco l'aumento delle retribuzioni non è andato oltre lo 0,4%”. Lo dice l’Istat.
Questi dati sgombrano il campo da qualsiasi dubbio sull’operato di Silvio Berlusconi, che, se da un lato ha portato al collasso i conti pubblici, dall’altro ha fatto lievitare i costi della struttura di diretta competenza, utilizzandola come fosse un bene a sua esclusiva disposizione. I tempi son cambiati, non c’è più Belrusconi al comando e per questo tralascio volutamente gli episodi ‘pecorecci’ degli ultimi anni, dai voli di Stato con Apicella agli eccessi pruriginosi che hanno coinvolto Palazzo Chigi. Ce ne sarebbe da ricordare, ma abbiamo già riempito pagine e pagine per denunciare quei fatti ed ora è tempo di voltar pagina. Faccio considerazioni più generali: l’impennata dei costi e degli stipendi di Palazzo Chigi sono lo specchio di una gestione dissennata e piegata ai suoi interessi privati o politici delle casse dello Stato. Basti pensare che negli ultimi otto anni di governo Berlusconi, si è accumulato circa un quarto dell’intero debito pubblico italiano. Una cifra enorme che pesa come un macigno sulla nostra economia. Questo dissesto lo stiamo scontando tutti, soprattutto i più deboli ed il ceto medio e medio-basso, che pagano il peso di una manovra pesantissima. Noi abbiamo votato no alla fiducia ed alla manovra, perché la riteniamo iniqua, ma dobbiamo riconoscere che il nuovo governo è formato da persone che con lo stile di Berlusconi non hanno nulla a che fare. Per questo chiediamo in modo forte e pressante al premier Monti di dare anche lui il buon esempio, tagliando i costi di gestione di Palazzo Chigi. Dimostri di essere diverso da chi l’ha preceduto.



IL GOVERNO BATTE CASSA SULLA PELLE DELLE DONNE: NOI DICIAMO NO!




FERMIAMO QUESTO CONTATORE
Fermiamo questo contatore. Tic, tac, tic, tac. Il contatore è inesorabile e misura non il tempo che passa, ma l’aumento del nostro mostruoso debito pubblico. Le lancette del nostro fallimento economico scorrono velocemente. Intanto il debito pubblico cresce, si accumula e grave sulla testa di ogni cittadino italiano. Ognuno di noi ha un debito superiore ai 30.000 euro. L'unica vera priorità di un governo serio sarebbe quella di fermare questo inesorabile contatore. Come? Riducendo gli sprechi di Stato e delle amministrazioni locali; riducendo i costi della politica, contrastando la corruzione, che rappresenta una vera e propria emorragia di denaro pubblico; combattendo l'illegalità diffusa dei milioni di furbi delle false pensioni di invalidità, delle truffe sui finanziamenti pubblici. Solo un'azione rigorosa e implacabile sarà già sufficiente a fermare il contatore del debito pubblico. Il secondo passo da compiere è far ripartire il contatore ma alla rovescia e questo si otterrà rilanciando l'economia italiana, secondo due fondamentali direttrici: una lotta serrata all'evasione fiscale, accompagnata da una forte riduzione delle tasse. Una riforma strutturale del paese fatta di vera liberalizzazioni, di un nuovo welfare di aiuti al lavoro femminile e giovanile. Ci sarà mai un leader e una coalizione capaci di dire agli italiani questa verità? Nell'attesa, il contatore va inesorabilmente avanti.



NO ALLA PATRIMONIALE
Il patrimonio di una persona, quando è lecitamente accumulato, è frutto del risparmio investito. La mattina del 10 luglio 1992 gli Italiani (ma non tutti come vedremo) scoprirono al loro risveglio che una quota del loro patrimonio era stata espropriata dallo Stato. L’imposta patrimoniale, a differenza di altre imposte che riducono il guadagno, si prende una porzione del risparmio, che magari era stato il frutto di tante rinunce passate e presenti e che già era stato tassato, in quanto reddito, nel momento in cui era stato prodotto. In quell’anno, 1992, l’allora Presidente del Consiglio Amato decise di portarsi via un pezzettino di depositi bancari ed un pezzettino di immobili. Magari la quota era piccola, ma era pur sempre non una parte del reddito prodotto, ma una porzione di proprietà individuale, il sei per mille dei depositi bancari ed il tre per mille del valore catastale rivalutato degli immobili. Doveva essere un prelievo una tantum, ma per gli immobili divenne ICI ed in certi casi la stiamo pagando ancora oggi. Ancora oggi qualcuno torna a proporre l'ipotesi di una patrimoniale nella convinzione, errata o puramente ideologica, che la patrimoniale sia un’imposta che "colpisce i ricchi". Pensate che nel novembre del '76 Pci e Psi tennero un'apposita riunione congiunta per mettere a punto e proporre l'imposta sui patrimoni immobiliari. Nelle due delegazioni figuravano personalità di spicco come Giorgio Napolitano, Giuseppe D'Alema (padre di Massimo), Luigi Spaventa, Fabrizio Cicchitto e Nerio Nesi. In realtà è facilmente dimostrabile che anche allora a pagare furono sempre i soliti ed in particolare il ceto medio produttivo. Non pagarono nulla quelli che avevano portato i soldi all’estero, non pagarono nulla quelli che li avevano investiti in attività finanziarie (che oltre a tutto non sono di fatto neppure tassati sul reddito che queste producono). A pagare furono i lavoratori, i pensionati, i piccoli imprenditori ed artigiani, le famiglie che spesso avevano il conto corrente come unica forma di investimento dei loro risparmi. E poiché l’80% degli Italiani vive in casa di proprietà, pagarono coloro che, spesso a prezzo di grandi sacrifici, ne avevano comprata una, magari piccola e modesta. Costoro in molti casi pagarono pur essendosi indebitati per acquistarla. Mentre le società pagarono solo sulla differenza tra attivo e passivo. I veri ricchi i depositi li avevano all’estero e così le case, ed anche molti immobili esistenti in Italia non risultavano censiti al catasto e così non pagarono. Per giudicare quella manovra economica basti dire che essa previde uno dei tanti condoni fiscali della nostra storia. Oggi è di nuovo Amato che per primo ha proposto addirittura “una patrimoniale da 30 mila euro” da prelevare ad un terzo degli Italiani, per abbattere il debito pubblico. Ma su quali basi, se lo stesso Ministero dell’Economia calcola che vi siano almeno 2 milioni di immobili che sfuggono al Catasto e dei quali dunque non si conosce il proprietario? Proposte più o meno similari sono arrivate da altri personaggi più o meno autorevoli: da economisti come Giancarlo Padoan dell'Ocse, Pellegrino Capaldo, Massimo Muchetti, da industriali come Luigi Abete presidente dell'Assonime, Innocenzo Cipoletta, da sindacalisti come la leader della Cgil Susanna Camusso, da politici come Valter Veltroni, Pietro Ichino e Romano Prodi. Noi pensiamo che, per le condizioni in cui si trova il nostro Paese, la patrimoniale sarebbe ancora una volta pagata dai soliti noti e quindi diciamo no. L’abbattimento del debito pubblico va realizzato attraverso la crescita dell’economia, e cioè con la riduzione delle tasse alle famiglie ed alle imprese, riducendo le spese inutili e gli sprechi (con l’abolizione delle province, il blocco delle auto blu, l’obbligo dei piccoli comuni di consorziarsi per la gestione di tutti i servizi, il dimezzamento dei parlamentari e dei consiglieri regionali e l’abolizione del loro vitalizio, lo scioglimento dei consigli di amministrazione delle oltre sei mila società pubbliche degli enti locali, la vendita dei beni dello Stato e delle società dello Stato) ed avviando profonde riforme nel senso della liberalizzazione di molti servizi ed attività professionali riservate e della semplificazione delle procedure amministrative che pesano finanziariamente sulle imprese. L’abbattimento del debito pubblico va conseguito attraverso la progressiva eliminazione dell’economia “nera” (con la lotta agli evasori) e dunque facendo pagare a tutti le tasse sul reddito e facendole finalmente pagare anche alle plusvalenze finanziarie, che oggi, se pagano, pagano al massimo il 12,5%. Le proprietà individuali, insieme al possesso ed alle spese per beni di lusso, usiamole come indicatori per dedurre un reddito (redditometro) sul quale far pagare le tasse a chi non le paga e che sfuggirebbe anche alla “patrimoniale”.
Massimo Donadi, presidente gruppo Idv alla Camera
Antonio Borghesi, vicecapogruppo Idv alla Camera



LA MILANO DA BERE E' TORNATA




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