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EPPUR SI MUOVE…

Ieri, con il capogruppo al Senato Felice Belisario e con il portavoce Idv Leoluca Orlando, sono andato al Quirinale per esporre le posizioni dell’Italia dei Valori sulla legge elettorale e sulle riforme. Abbiamo avuto con il Presidente un incontro lungo (più di un’ora) e cordiale. Abbiamo detto che sulla legge elettorale, dopo la bocciatura del referendum, è necessario dare un forte impulso parlamentare per abrogare il porcellum, che è un sistema truffaldino, rispettando lo spirito referendario. Un milione e duecentomila cittadini hanno firmato per cambiare la legge elettorale e, anche se la Consulta ha bocciato tecnicamente i quesiti, il valore politico di quella mobilitazione rimane intatto.

Il Parlamento ora deve dare varare una nuova legge elettorale che restituisca il diritto di scelta dei cittadini, il potere di decidere chi eleggere. Ma che salvi anche il bipolarismo e il diritto di conoscere prima quali sono le coalizioni che si candidano al governo, con quale leader e con quale programma. E deve anche avviare una drastica riduzione del numero dei parlamentari. Questa è una priorità.

Sul fronte della riduzione dei costi della politica si fa, anche grazie alla nostra attività, qualche passo avanti. Eppur si muove, mi verrebbe da dire a questo proposito. Non mi riferisco alla terra ma all’attività del Parlamento contro i privilegi dei politici e il taglio ai costi della politica e forse scomodare il genio di Galileo è eccessivo per una questione che ancora non risolve il problema. Eppur si muove, dicevo, nel senso che qualche piccolo passo in avanti si sta facendo. Ieri la commissione Affari Costituzionali, di cui faccio parte, ha deciso di vincolare il rimborso per i contratti dei collaboratori alla presentazione di una documentazione che attesti l’effettivo rapporto di lavoro.

Una norma di elementare civiltà che farà emergere il ‘lavoro nero’ di molti assistenti parlamentari. Bene. Erano anni che lo chiedevamo. Positivo è anche il passaggio, per il sistema pensionistico, al contributivo puro. Noi abbiamo chiesto che fosse retroattivo, ma gli altri partiti hanno rifiutato e ci hanno messo in minoranza. Certo c’è da fare ancora molto sui tagli ai costi della politica. E il nostro impegno non mancherà. Come sempre.

IL VUOTO DI UN MINISTERO E LO STRAPOTERE DI TREMONTI

Nell'Italia delle incognite, dove ogni giorno ci si domanda che fine farà un governo che non ha più maggioranza e continuamente cambiano i possibili scenari, c'è una questione aperta di cui quasi il dibattito politico sembra essersi dimenticato. Eppure si tratta di una questione della massima importanza, perché è emblematica non solo dello stallo creato dai conflitti interni alla maggioranza, ma di un meccanismo, per quanto politicamente contorto, ormai molto chiaro. La questione si chiama ministero dello Sviluppo Economico. La sede è vacante da quattro mesi e già questo di per sé rappresenta  un nodo singolare, un problema di estrema gravità, in un momento come quello attuale, in cui il mondo dell'impresa, nel tunnel della crisi economica,  non vede ancora luce. Ciò dà una misura dell'immobilismo e dell'irresponsabilità di una classe dirigente paralizzata da meccanismi politici irrisolti. Non mi riferisco solo alle spaccature all'interno della maggioranza, quelle che sono sotto gli occhi di tutti.  C'è molto di più. Dietro la mancata nomina del ministro dello Sviluppo economico, c'è un filo sottile ma molto resistente che manovra un governo il cui capo è ormai solo un'icona. Il filo ha un nome e un cognome: Giulio Tremonti, il cui strapotere di fatto, già quando il ministero dello Sviluppo Economico aveva una guida, si faceva ampiamente sentire. Da quattro mesi a questa parte, poi, dopo le dimissioni di Scajola, è ancora più evidente quanto, in materia di scelte economiche, l'unica mente e la sola mano all'interno dell'esecutivo è quella di Tremonti. Nonostante le pressioni piovute sul caso in sede parlamentare, e non solo, il ministero continua a rimenere privo di una guida. La lettera inviata da me e dal collega capogruppo al Senato, Felice Belisario, il 22 Luglio scorso, ha avuto il solo esito di risvegliare la questione a livello mediatico, con un conseguente appello del Capo dello Stato, che, durante la cerimonia del Ventaglio, diceva che "il governo non può ormai sottrarsi a decisioni dovute, come quella della nomina del titolare del ministero dello Sviluppo Economico", cui Berlusconi prontamente rispondeva sostenendo che la nomina era imminente. Parole, solo parole svanite in un nulla di fatto. Intanto, mentre si fa sempre più palese il meccanismo in base al quale Berlusconi è commissariato dalla Lega per una sorta di patto con Tremonti, il ministero dello Sviluppo Economico rimane vuoto, segno della debolezza del Premier, debolezza che fa gioco ai  due reali protagonisti dell'attuale scena politica. Di fatto, è ormai chiaro che il cavaliere è messo all'angolo di un esecutivo di cui rappresenta solo la facciata e le cui redini sono esclusivamente nelle mani di Tremonti, garante della linea della Lega. La mancata nomina in questione, però, al di là di logiche politiche, rappresenta soprattutto un danno oggettivo per il Paese. Un paese cui poco interessano le dinamiche interne ai giochi di potere, un paese che ha bisogno di risollevarsi e aspetta risposte.