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REFERENDUM CONTRO LA SCHIZOFRENIA NUCLEARE DEL GOVERNO

“Nucleare sì, nucleare no, nucleare Bum. La terra dei cachi”. Il dibattito politico sul nucleare in Italia ricorda molto la canzone di Elio e le Storie Tese. Solo che loro sono più seri. Abbiamo da un lato il governo che non mette in discussione il progetto nucleare neanche davanti all’apocalisse (definizione del commissario europeo all’energia Guenther Oettinger) giapponese. Dall’altro lato abbiamo i governatori di Lega e Pdl che dicono sì al nucleare in Italia, ma no al nucleare nelle loro regioni. Tipico esempio di schizofrenia politica. In mezzo c’è questo fantomatico piano nucleare ancora avvolto nel più fitto mistero. Quante centrali vorrebbe realizzare il governo? Boh.. Dove vuole installare i nuovi impianti? Mistero della fede. Non le vuole Zaia ( da veneto sono d’accordo, tiro un sospiro di sollievo e dico ‘meno male’, da capogruppo alla Camera sono indignato ‘ma come, la Lega non è favorevole all’atomo…?’), non le vuole la Polverini (dice che il Lazio ha già dato…), Formigoni le vuole, forse, ma con molti distinguo, perché la Lombardia è autosufficiente dal punto di vista energetico. Furbo il governatore ciellino, schiera la regione ma la tira fuori dal piano. Dà una mano politica al governo nazionale schierandosi per il sì, ma contemporaneamente dice che la Lombardia non ha bisogno di centrali e quindi ‘con fischio’ le costruiranno lì. Il piemontese Cota non ha parlato in questi giorni, ma la sua posizione è nota: sì alle centrali, ma non gli pare che il Piemonte abbia siti idonei. Ma và? Ma tu guarda un po’. Nuclearista convinto è Stefano Caldoro, che in questi giorni non ha parlato. In passato aveva magnificato i vantaggi dell’atomo, definendo le centrali un’opportunità per l’economia campana. Un segnale inequivocabile: in quella regione il governo ha deciso di puntare con decisione per i nuovi siti. Altro che sindrome Nimby, qui siamo alla più pura ipocrisia politica, come dice anche, giustamente, Adriano Celentano. Nella tragedia, seppur indiretta, si vede la tempra di un uomo politico e la serietà di un governo. Il nostro è un governo di pagliacci. Tutto il mondo si interroga, loro non hanno neanche il buonsenso di fermarsi a riflettere sulla scelta nuclearista dopo l’immane tragedia giapponese. Tra mezze verità e bugie intere continuano, come al solito, a ripetere slogan che le immagini drammatiche di Fukushima hanno fatto perdere di qualsiasi credibilità. Non lo fanno perché se si fermassero a riflettere cadrebbe immediatamente il castello di carte che si son costruito. Il castello di carta-moneta, perché il nucleare è un affare colossale. E pazienza se ha qualche piccolissimo e trascurabilissimo inconveniente…Ma hanno fatto male i conti. Con il referendum libereremo l’Italia dall’incubo atomico.

LO STRUZZO CHE SI NASCONDE A PALAZZO CHIGI

Ieri 200 pastori sardi sono sbarcati al porto di Civitavecchia. Volevano raggiungere Roma e il ministero delle Politiche agricole per chiedere aiuto al governo che non risponde da tempo alle loro istanze. La pastorizia vive da tempo una situazione difficile che rischia di far scomparire per sempre un settore che occupa migliaia di lavoratori. Insieme ai pastori, le loro famiglie, mogli e bambini a dimostrazione dell'assoluta intenzione pacifica della manifestazione. I pacifici manifestanti, con prole al seguito, non sono riusciti a raggiungere Roma nè con il treno, nè con i pulmann. Sono stati fermati dalle forze dell'ordine, i bus sono stati sequestrati e chi ha provato ad usare il treno è stato fermato dalle forze dell'ordine. Ancora una volta questo governo, di fronte ad un legittimo e pacifico dissenso, sa dare l'unica risposta che conosce, una risposta di ordine pubblico. Fermato, respinto, soffocato sul nascere il pacifico dissenso democratico. Nessuna apertura al dialogo, al confronto per giungere a soluzioni condivise. Questa è la cifra governativa di Berlusconi. Negli ultimi due anni e mezzo, a scendere in piazza non sono stati solo gli studenti. Si sono messi in moto persino le forze dell'ordine, i magistrati, gli avvocati, addirittura gli imprenditori edili che, per la prima volta nella storia, sono scesi in piazza accanto ai loro operai, simbolo evidente di un malcontento generalizzato che riguarda tanto la realtà operaia quanto quella imprenditoriale. Le risposte del governo sono state due: bloccare la protesta sul nascere e adottare la filosofia dello struzzo, nascondendo la testa nelle stanze auree dei ministeri e di palazzo Chigi. Meglio rinchiudersi ad occuparsi magari di legittimo impedimento, in una sorta di arroccamento fortemente simbolico, che aprire tavoli di confronto con i tanti settori in crisi, comme un governo responsabile avrebbe dovuto fare. Complice una copiosa informazione di giornalisti azzerbinati al potere. Ma nel caso della protesta dei pastori sardi si coglie un'evidente discriminazione etno-geografica da parte di un governo a forte trazione leghista. A quelle poche centinaia di allevatori del Nord, superpoliticizzati, o meglio, superleghistizzati, che per anni hanno bloccato strade arrivando a spargere letame, questo governo ha servito su di un piatto d'argento i benefici voluti dalla lega e dall'ex ministro Zaia, con l'accollo da parte dello Stato delle multe per la violazione delle quote latte. Questo è il governo dell'ingiustizia, del corporativismo, che lavora a compartimenti stagni e che protegge anche chi infrange la legge basta che sia "politicamente" tutelato. A tutti gli altri, a chi dissente pacificamente e democraticamente, a chi non ci sta, vale solo la regola dell'ordine pubblico e dello struzzo.

DA ZAIA ATTO DI SPAVALDA VIGLIACCHERIA

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Un atto di spavalda vigliaccheria, l’ennesimo gesto dettato da quella insopportabile demagogia alla quale la Lega ci ha ormai abituati da tempo. L’ultima impresa è di ieri e porta la firma del governatore del Veneto, Luca Zaia, che ha deciso di sostituire l’inno di Mameli con Va’ Pensiero, in occasione dell’inaugurazione di una scuola a Treviso. E’ un copione che ormai si ripete,  un metodo di acquisizione del consenso targato Lega. Due i canali fondamentali: da un lato,  far leva sulle piccole paure e ingigantirle: la paura dell’immigrato, le ansie dei piccoli imprenditori verso i mercati internazionali; dall’altro tutta una serie di simbologie alla base delle quali vige il continuo richiamo alla Padania, che sono devastanti per la coscienza unitaria del Paese: dal disprezzo verso i simboli della patria come il tricolore al rifiuto dell’inno nazionale o non tifare per gli Azzurri ai Mondiali di Calcio.Ma sobillare le paure esalta gli egoismi, le divisioni porta alla chiusura verso tutto ciò che è altro.  Giocare con i simboli dell’unità, d’altra parte, non porta ad altro che alla disgregazione del tessuto di solidarietà e comunità nazionale. Un partito che non costruisce, che disgrega soltanto, una politica sterile, di respiro cortissimo, buona solo a trovare consenso. Quando poi si tratta di soddisfare le aspettative degli elettori, la Lega non possiede gli strumenti ed ecco che si rifugia  nella demagogia legislativa, quel fare politica andando ascoltando le necessità degli elettori, ma dando loro solo fumo. Ed ecco che dal cilindro del Carroccio vengono fuori i provvedimenti contro l’immigrazione tanto folcloristici, quanto inutili, ma, soprattutto, troppo spesso violenti e xenofobi come il White Christmas del sindaco leghista o la trovata dei presidi spia, o l’aggravante di clandestinità. Tutte proposte strampalate, che, quando arrivano sul tavolo della Corte Costituzionale sistematicamente vengono bocciate e, quando non è così, si rivelano comunque un fallimento,  come la stessa Bossi-Fini (da quando è stata approvata ha prodotto in Italia, anno dopo anno, il record assoluto di nuovi immigrati). Altro sacco pieno solo di fumo, che si affloscerà quanto prima sotto gli occhi degli elettori, è il federalismo, che fino al momento è solo una parola, troppo usata, cui non seguono mai fatti. Ecco perché ho trovato le parole di Enrico Letta molto preoccupanti: in Veneto, nel corso di una manifestazione, ha detto che il Pd deve dialogare con la Lega perché glielo chiedono i suoi elettori. Non so chi siano gli elettori con cui ha parlato Letta, ma quelli che conosco io, sia del Pd che dell’IdV, non ci chiedono certo di andare a governare con la Lega. Forse, piuttosto, si aspettano che, come sarebbe giusto, il centro sinistra riconosca alcuni temi che la Lega tratta solo in modo parassitario per affrontarli in maniera seria. Mi riferisco all’immigrazione, come al sostegno alle piccole imprese. E’ ora che il centro sinistra inizi a porre l’attenzione su quelli che sono i veri nodi e le priorità di quegli elettori che continuano a votare Lega solo perché essa fornisce l’illusione di soluzioni a breve termine, che puntualmente non arrivano. Solo così potremo riprendere parte del consenso del  Centro Nord e solo con proposte vere potremo offrire agli elettori un’alternativa alla fatua demagogia leghista.

COTA E ZAIA: I NUOVI TORQUEMADA

 

Cota e Zaia, Governatori Piemonte e VenetoCota e Zaia, Governatori Piemonte e Veneto

La vittoria dà alla testa. Forse è il caso che qualcuno spieghi ai neo-governatori Zaia e Cota che il governatore di una regione ha enormi poteri ma non quello di porsi al di sopra o al di fuori della legge. Si dà il caso, invece, che tra i compiti di un governatore ci sia quello di far rispettare la legge. Dunque, se la pillola abortiva Ru486 ha superato tutti i gradi di giudizio delle varie commissioni tecnico-sanitarie, preposte alla valutazione della sua applicazione dal punto di vista medico-scientifico, non si può impedirne la distribuzione nelle strutture sanitarie regionali. Mettersi di traverso certo si può. Non sarebbe la prima volta che la politica, con arroganza e protervia, decide di interferire con i più elementari principi di rispetto dei diritti. Se si decide di farlo, però, si deve sapere che si commettono una serie di violazioni non di poco conto. Innanzitutto, in questo caso, si commette una violazione della legge 194 che, in tema di aborto, stabilisce l’obbligo per le regioni di promuovere l’uso delle tecniche più moderne e meno rischiose per la salute delle donne. Esattamente quello che fa la pillola Ru486. Dunque, dovere di un presidente di regione, come Zaia e Cota sono stati chiamati ad essere, è superare le proprie convinzioni morali ed etiche e, in maniera laica e a-confessionale, lavorare per garantire a tutti i loro amministrati, anche a quelli che non li hanno votati, la miglior assistenza sanitaria e tutela alla salute possibile, che rientra nei principali compiti delle regioni. Anteponendo al bene e alla salute dei cittadini le proprie convinzioni etiche e morali si tradisce il mandato che si è stati chiamati a ricoprire. E’ nei diritti dei cittadini Zaia e Cota essere per la vita e contro l’aborto ma non nei loro doveri di politici e governatori. Agiscano conseguentemente alle loro convinzioni etiche nella loro vita di uomini, ma non in quella di amministratori. Non parliamo, poi, della palese violazione della dignità e della libertà delle donne. Sono passati secoli eppure c’è ancora chi, novello Torquemada, consuma battaglie ideologiche sul corpo delle donne, con un linguaggio inusitato, rozzo e volgare, non da uomini delle istituzioni, ma da padroni, da imperatori di terre lontane. Francamente, la prima uscita ufficiale dei nostri novelli governatori delude e non poco. Con tutti i problemi che affogano due regioni importanti come il Piemonte ed il Veneto, ci aspettavamo qualcosa di meglio. L’industria piemontese, Fiat in testa, è piegata in due da una recessione economica spaventosa. In Veneto, ci sono più imprese in bancarotta e sull’orlo della chiusura che canali nella città del doge. Eppure, la prima esigenza della Lega è pagare dazio al Vaticano, baciare la pantofola pontificia che preme sull’uscio. Ma la Lega non era il partito che non guardava in faccia a nessuno, che non aveva padroni, che conosceva bene i problemi della gente e che aveva solo gli interessi dei cittadini nel cuore e nell’agenda di governo? Oibò, la Lega si è svegliata democristiana?

GLI ACCORDICCHI ELETTORALI SONO UN INSULTO AGLI ELETTORI

Candidati alle regionali 2010Candidati alle regionali 2010   In Italia, in questo momento, non è vero che c’è il bipolarismo. C’è una coalizione di centrodestra che, pur con tutte le sue divisioni interne, esiste ed è percepita come tale. Dall’altra parte, non c’è niente, c’è solo un pulviscolo di sigle. Dobbiamo avere il coraggio di dirlo con franchezza: dalla caduta del governo Prodi in poi, non c’è stata più una coalizione di centrosinistra. Anche il patto tra Pd e IdV delle scorse elezioni politiche era più frutto di un’intesa elettorale che  di una condivisione profonda e sincera di progetti ed idee. Finché andremo avanti così, come stiamo facendo ora, Berlusconi continuerà ad apparire il gigante che non è.Quello cui dobbiamo puntare, invece, è un’alleanza di valori, su progetti ed idee condivise. Questo è il primo, vero, obiettivo da perseguire e per il quale dobbiamo lavorare: una nuova fase fondativa di una coalizione di centrosinistra, che parta dall’individuazione di un modello di sviluppo e di paese da sottoporre al giudizio degli elettori. So bene che a qualcuno possa venire il mal di pancia ma per me fare politica significa ambire a governare, perché solo governando si può migliorare il paese e cercare di trasformare in azione politica i propri ideali. Ed oggi in Italia è impossibile pensare di costruire un’alternativa di governo se non partendo dal Pd, principale partito di opposizione, dalla sinistra radicale, se sceglierà una volta per tutte di abbandonare ogni forma di massimalismo sposando definitivamente un’impostazione progressista e di governo. E, se devo dirla fino in fondo, non può prescindere neanche dalla parte buona dell’Udc, quella che nulla ha a che fare con Cuffaro&co.Già queste elezioni regionali possono essere l’occasione giusta per lanciare il primo seme di una grande fase fondativa, che porti alla formazione di una vera coalizione di centrosinistra. In questo senso, le candidature di Emma Bonino e Niki Vendola potrebbero acquistare una luce diversa.Questo deve essere il discrimine. Non possiamo permetterci il lusso di accordicchi elettorali per sommare due percentuali. Questo ormai gli elettori non lo accettano più.E’ il rischio che vedo in Veneto. E’ proprio qui, nella distrazione generale, che si rischia di commettere un errore capitale. Invece di interrogarsi sulle ragioni che hanno portato il centrosinistra ad essere residuale e marginale in una delle regioni più dinamiche e innovative del Paese e, di conseguenza, progettare politiche credibili e competitive per un modello di Veneto diverso, si sta scegliendo scelta ancora una volta la strada più veloce, la scappatoia più facile, affidando la leadership di coalizione al partito di Casini, quell’Udc che, in Veneto, da quindici a questa parte e ancora oggi che vi scrivo, sta governando con Galan e Zaia. Tale scelta è totalmente priva di senso, ancor prima che di consenso. Per avere qualcosa da dire dobbiamo andare a prendere il candidato nel centrodestra? Non è serio per il centrosinistra, né dignitoso per l’Udc, che non avrebbe argomenti con cui difendersi. Non sorprendiamoci poi se continuiamo ad essere residuali e marginali. Quale credibilità ha un progetto che vede affidare la leadership di una coalizione ad un partito che oggi fa parte di quella opposta? Fermiamoci finché siamo in tempo. Non è serio e le cose non serie i cittadini le scartano. Quale sarà la differenza tra le due coalizioni? Questo è quello che abbiamo in mente per fermare lo strapotere della Lega? Così si costruisce l’alternativa?Quello che noi chiediamo è un atto d’amore per la coalizione che non può prescindere dal rispetto per gli elettori. Per questo, con forza e determinazione, chiediamo al Pd di avviare, sin da queste regionali, una nuova fase politica che, partendo da un’idea forte su valori condivisi, abbia come obiettivo finale la costruzione di coalizioni plurali credibili e convincenti agli occhi dei cittadini, da Nord a Sud, dalle Alpi agli Appennini.Ad ispirare questa nuova fase non deve essere la triste logica spartitoria di posti e poltrone. Per il futuro, quello immediato delle regionali e quello nazionale, più vicino di quanto si pensi, chiediamo uno spirito di costruzione nuovo per un progetto serio e credibile. Si può fare. Siamo ancora in tempo e ci crediamo a tal punto che sin da adesso diciamo con chiarezza che, di fronte ad una volontà fondativa forte, siamo disposti a fare anche qualche rinuncia. E’ tempo di ripartire. E’ questo il vero laboratorio da costruire: una nuova coalizione plurale su idee, progetti e contenuti. Solo così facendo potremo correre con dignità e aspirare, in qualche caso, alla vittoria.