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FISCHI IN PIAZZA, APPLAUSI IN TRIBUNALE... PER 20 EURO
Berlusconi fischiato nelle piazze, applaudito in tribunale…Succede di tutto in questo Paese bizzarro. Il premier viene contestato ormai in tutte le piazze in cui si presenta, ma nell’aula di tribunale dove si celebra il processo Mills, nel quale il capo del governo è accusato di corruzione, compare la claque dei sostenitori. ‘Silvio Silvio Silvio’. E’ successo ieri nel palazzo di giustizia di Milano. Cori da stadio per il presidente. D’altronde è anche il padrone del Milan, nonché la persona che annunciò la sua partecipazione alla vita pubblica del Paese con l’ormai famoso ‘scendo in campo’…Come un attaccante lanciato in contropiede, Berlusconi da anni cerca di sfuggire alla giustizia italiana e questo è il suo ultimo coupe de theatre. Uno dei tifosi, ingenuamente, ha raccontato ad un giornalista che sono andati a manifestare in tribunale per ‘20 euro ed un panino’. E c’è chi giura di aver riconosciuto tra i manifestanti alcuni figuranti Mediaset. Una storia tutta italiana, che di certo non ci fa fare bella figura all’estero. Pagati o non pagati, figuranti o non figuranti, quelle persone sono l’espressione della strategia di Berlusconi, che tenta di mistificare tutto, anche i processi per corruzione. Come fanno i populisti, cerca nel consenso popolare, anche falso perché pagato e foraggiato, la sua legittimità e la sua immunità. Cerca di trasformare il processo nel set di una fiction nella quale lui recita la parte dell’uomo buono e perseguitato dai giudici cattivi. E comunisti, anche se ormai i partiti comunisti in Italia hanno percentuali prossime allo zero. Ma non conta la razionalità, conta la cortina fumogena che il premier spande attorno a sé. Berlusconi non vuole farsi giudicare ed i suoi avvocati difensori hanno chiesto la convocazione in tribunale di 10 testimoni che non furono ascoltati nel precedente processo Mills. Un espediente per allungare i tempi, in modo che si arrivi alla prescrizione (febbraio 2012), senza neanche bisogno della legge (ad personam) sulla prescrizione breve. Siccome questi testimoni dovrebbero arrivare dalle più disparate zone del mondo, i tempi si allungherebbero e non sarebbe possibile arrivare a sentenza. Bell’esempio. In Italia la giustizia sta diventando un affare privato del premier, i cui interessi sono opposti a quelli dei cittadini. Se per lui allungare i tempi dei processi per farli finire nel nulla è un vantaggio, per i cittadini italiani che attendono giustizia è una iattura. Una riforma della giustizia nel nostro paese è indispensabile, ma non è certo quella di Berlusconi. Noi vogliamo processi più veloci, giustizia certa, più uomini e mezzi per la magistratura e per il ministero della giustizia. Lui vuole il contrario. Ma ormai Berlusconi ha fatto il suo tempo, la nostra opposizione gli impedirà di sfasciare il diritto italiano.



PROCESSO NUOVO STORIA VECCHIA
Alfano - GhediniProcesso nuovo, storia vecchia. Cambiano i processi, ma il modo in cui Berlusconi si comporta di fronte ad essi è sempre lo stesso. Sarà che di fare il normale imputato proprio non se lo può permettere, fatto sta che la sua sfrontatezza non conosce limiti. Appena si presenta un rinvio a giudizio per il premier, è tutto un fiorire d’iniziative legislative o para-legislative per far si che il cavaliere davanti ai giudici non ci arrivi mai o comunque ci arrivi il più il più tardi possibile, giusto il tempo per far scattare la “meritata” prescrizione. Così, anche questa volta, si è messa in moto, puntualissima, la solita task force giudiziario-legislativa del cavaliere. Il primo tentativo è stato quello di sollevare un conflitto di attribuzione tra i magistrati e il Parlamento. Precisiamo, intanto, per coloro i quali non dovessero saperlo, che il tribunale dei ministri non è diverso dagli altri, non è composto da giudici diversi da quelli dei normali tribunali. Esso è un tribunale come tutti gli altri, con l’unica particolarità che si costituisce appositamente per giudicare un ministro, in merito a reati che riguardano la sua attività di ministro. Berlusconi e i suoi sanno benissimo che il reato in questione non è un reato ministeriale. Fare una telefonata in questura per far scarcerare una minorenne che ci si è portati a casa perché non venga fuori il fango, che, di fatto, ora è sotto gli occhi di tutti, non ha nulla a che vedere con l’attività di presidente del Consiglio. L’unico motivo per cui hanno tentato, come prima cosa, di portare la competenza davanti al tribunale dei ministri, è che l’autorizzazione a procedere, la vecchia immunità parlamentare, non esiste più per i reati normali, esiste ancora solo per i reati ministeriali, per cui il tribunale dei ministri, prima di poter procedere nei confronti di un ministro, deve avere l’autorizzazione del Parlamento, che, in questo caso, sicuramente non gli darebbe. Questa è stato il primo tentativo di azione per tenere il cavaliere lontano dalla giustizia. Siccome, però, hanno talmente poca fiducia nella loro maggioranza, stanno già pensando a soluzioni alternative. Allora la prima opzione è far fare un voto diverso e meno impegnativo alle camere, che si chiama improcedibilità. Sarebbe una pronuncia delle camere, le quali dichiarerebbero di essere convinte che il presidente del Consiglio ha agito per tutelare gli interessi superiori del Paese. In questo modo costringerebbero i magistrati, e non il Parlamento, a chiedere il conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale. Quindi costringerebbero il tribunale di Milano a perdere circa un anno di tempo. Tanto ci vuole, infatti, perché la Corte Costituzionale decida sul conflitto di attribuzione. Guarda caso è proprio un anno che gli ci vuole per reintrodurre l’immunità parlamentare, che è l’altra opzione che stanno prendendo in considerazione in questi giorni. Tutti questi di cui abbiamo parlato sono solo strumenti preparatori per prendere tempo. Ancora una volta appare chiaro qual è la filosofia processuale di Berlusconi: non farsi giudicare, mentre i suoi avvocati parlamentari preparano gli strumenti perché lui davanti ai giudici non ci finisca mai. So che leggendo queste righe sale il solito senso di sconforto e d’impotenza di una politica che ormai da quindici anni è bloccata a discutere dei processi del premier, però, come direbbe Grillo, loro non si fermeranno mai. Dunque la domanda che mi faccio è: possiamo smettere noi? Possiamo noi dire adesso basta, siamo stufi, smettere di denunciare queste cose? Io credo che uno dei punti fermi fondamentali della battaglia di democrazia che sta facendo Italia dei Valori è quello di crederci. Anche a noi costa caro continuare a denunciare queste cose. Anche noi, anzi noi per primi, vorremmo parlare d’altro, vorremmo affrontare argomenti come l’economia, le riforme, a partire da quella della legge elettorale. Ma che senso ha parlare di riforme e di economia, fino a che alla guida del paese c’è qualcuno che saccheggia le istituzioni e la democrazia? E, dunque, se da un lato, purtroppo, loro non smetteranno mai, dall’altro, state tranquilli, neanche noi smetteremo mai di credere nella giustizia, nelle istituzioni e nella democrazia e di combattere perché esse tornino ad essere rispettate.



ALLE LEGGI IMMORALI SI DICE NO E BASTA
Oggi, su molti giornali, si è scatenata la bufera legata ad un emendamento del Pd al cosiddetto lodo Alfano costituzionale. In particolare, su alcuni mezzi di informazione, si scrive che questo emendamento “incomprensibilmente” estenderebbe i confini dello scudo penale già garantito nella versione del lodo Alfano predisposta dall’ineffabile coppia Ghedini-Alfano. Comprendo, e sono il primo a sostenere, che le antenne dell’opposizione devono essere sempre all’erta per contrastare le mille perfidie e perversioni legislative di Berlusconi e dei tanti berluschini di ritorno. Nella foga, però, bisogna stare attenti a non prendere fischi per fiaschi, sparando nel mucchio. Il dubbio mi è venuto leggendo che tra gli autori dell’emendamento vi è il senatore Felice Casson, della cui onestà intellettuale e correttezza sono pronto a mettere la mano sul fuoco, e della cui amicizia mi onoro da tanti anni. Per questa ragione, sono andato ad esaminare in dettaglio la questione. Va detto, innanzitutto, che questo emendamento non amplia di un millimetro l’ambito dello scudo previsto dal lodo Alfano costituzionale – che riguarda in entrambi i casi tutti i processi penali sia nuovi che vecchi - ma si limita a prevedere che per il capo dello Stato la sospensione dei processi sia automatica e non, come per il presidente del Consiglio e per i ministri, previamente autorizzata dal voto delle Camere. La logica di questo emendamento è evidente. Si vuole evitare che il capo dello Stato possa essere messo sotto scacco dalla minaccia della maggioranza parlamentare di autorizzare o meno la sospensione di un processo penale, non per ragioni di giustizia, ma solo con finalità di ricatto politico. Il problema dunque non è il contenuto dell’emendamento, che ha una sua logica, ma la strategia della cosiddetta “riduzione del danno” che i dirigenti del Pd adottano sempre, anche quando il parlamento è chiamato a ratificare leggi intrinsecamente e irrimediabilmente illegali, immorali e criminogene. E mi riferisco al lodo Alfano, al ddl intercettazioni e alle mille altre leggi ad personam che Berlusconi ci ha propinato in tutti questi anni. Il punto è che si può ridurre il danno di una brutta legge, allo scopo di migliorarla, ma che una legge immorale ed illegale tale è e resta, a prescindere dagli sforzi e da tutte le buone intenzioni di chi pensa di ridurre il danno. Insomma mai come in questo caso vale il detto che “di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno”. Ci sono leggi talmente inemendabili che le opposizioni dovrebbero avere solo il coraggio di dire no. E basta.



LA STRATEGIA DELL’IMPUNITA’



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