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IL TRAMONTO DI LEGA POLTRONA

Bossi contestato, Lega nella bufera. Quel che sta accadendo nel Carroccio stupisce perché fino a qualche mese fa il Carroccio mostrava compattezza granitica e si stringeva sempre attorno al suo leader e fondatore, Umberto Bossi. Molti dicono che il tracollo di Berlusconi stia trascinando giù anche la Lega. Ma questa è una lettura troppo semplice e che non coglie appieno la realtà e la complessità dei fatti. La Lega non è debole perché Bossi è vecchio, stanco e malato (scusate la franchezza), ma è proprio il contrario: un partito che dopo 25 anni ha il coraggio di compiere il ‘regicidio’ dimostra di essere un partito innanzitutto e non solo un’emanazione del proprio capo, e poi un partito vivo e con una classe dirigente.  Ai segni di debolezza di Bossi fanno da contraltare segni di vitalità nella Lega. E allora perché rischia di spegnersi? Perché per venti anni ha raccontato solo illusioni, spesso vellicando il ventre più basso dell’opinione pubblica italiana. Prendiamo ad esempio la Padania, che è stata spazzata via dall’orizzonte leghista da poche e puntuali parole del Presidente della Repubblica Napolitano. Un mito cancellato da una precisazione. Et voilà, la Padania non c’è più. E il federalismo? Hanno fatto credere per anni che fosse un sistema per far avere più soldi al Nord, ma hanno taciuto sul fatto che fosse un processo lungo e articolato. Avrà sì dei benefici, ma non quelli raccontati dai vertici del Carroccio. Carroccio, simbolo dei comuni italiani. Di uno in particolare: Roma. Eh sì, la tanto odiata ‘Roma Ladrona’ si è trasformata in ‘Roma Poltrona’. Si sta comodi seduti sugli scranni parlamentari e ministeriali della capitale, come si sta comodi d’altronde, sulle ‘cadreghe’ delle tante province controllate. Le stesse che -  se la Lega fosse ancora quella degli esordi, quella della moralità e dell’etica in politica, contro la corruzione e gli sprechi – vorrebbe abolire, in accordo con la propria base. Bossi si è venduto per 4 denari al potere berlusconiano, votando leggi indegne e ingoiando rospi uno dopo l’altro. Ha incassato qualche anno al governo e tante tante poltrone, ma ha condannato la Lega.

GOVERNO BALNEARE? VADANO AL MARE…

Non è tempo di governi balneari. E’ tempo, semmai, che questo governo vada in ferie. Definitivamente. Berlusconi potrebbe darsi alla bella vita come piace a lui in una delle sue innumerevoli ville, o in giro per i mari col suo yacht e liberare il Paese dalla sua ingombrante presenza politica. L’economia è in crisi, la situazione internazionale è delicata, le imprese chiudono e si bruciano ogni giorno migliaia di posti di lavoro. L’Italia ha bisogno di una guida sicura, non di un modesto maquillage che rimetterebbe in sella i soliti noti. Italia dei Valori, da quando è nata, ha sempre cercato di essere motrice di cambiamento, anche all’opposizione, condizionando, spesso positivamente, il Parlamento e le altre forze che non siedono in maggioranza. Non possiamo accettare compromessi al ribasso per sostituire Berlusconi con un suo emulo, con qualcuno che ne ha condiviso il percorso per vent’anni. Per questo rigettiamo l’ipotesi di governi guidati da esponenti che hanno fatto parte del governo Berlusconi. Non consegneremo l’Italia a chi ha vissuto di rendita per anni all’ombra del Cavaliere ed ora, solo ora, si rende conto della situazione nera in cui questo sciagurato governo ha precipitato il Paese. L’Italia, nonostante tutti questi anni di berlusconismo, è un grande Paese, ricco di energie e di risorse intellettuali. E’ il momento di un nuovo patto sociale tra politica e cittadini, fondato sulle regole e sul rispetto dell’interesse pubblico. Il soggetto politico protagonista di questo cambiamento non può essere certo un governo a guida Roberto Maroni, come proposto da Fini. Difficilmente il governo arriverà alla scadenza naturale del 2013, i segnali di disgregamento sono chiari ed evidenti già da un anno. Ogni voto alla Camera si trasforma in una possibile debacle per questa maggioranza che ormai non è più tale, né nel Paese e neanche più in Parlamento. Prima di affrontare il nodo delle alleanze, dei programmi, della leadership, però, è bene che la politica, tutta, affronti la questione morale grande come una casa che sta attraversando tutti i partiti. Non è possibile presentarsi ai cittadini come se nulla fosse accaduto. Bisogna restituire dignità e ed etica alla vita pubblica italiana. Per questo torno sull’argomento per dire che ripresenteremo le nostre proposte per un Parlamento pulito e cercheremo di farle arrivare alla discussione in Aula.  

PONTIDA NON E' UN PRATO MA UNA PALUDE

Tag: Bossi , Lega , Maroni , pontida

PontidaPontidaA Pontida non c’è un prato, c’è una palude. Quella in cui la dirigenza leghista ha deciso di lasciare il governo e tutta l’Italia. Grandi proclami hanno preceduto il raduno leghista, minacce, promesse di ferro e fiamme, pollici rivolti in giù. E cosa ne è scaturito? La classica richiesta di trasferire i ministri al Nord. Userei una pernacchia per commentare, se avessi lo stesso stile di Bossi, ma non è mio costume. Bossi ed i suoi hanno tradito le aspirazioni della loro base che chiedeva un distacco da Berlusconi e si sono dimostrati veri maestri nell’arte della politica di palazzo romana. Alzare i toni per lasciare tutto invariato. Anzi, se possibile, strappare qualcosa di più. Una poltrona, uno strapuntino, tutto fa brodo e gli appetiti leghisti non si placano mai. Bossi strepita ma alla fin fine è solo scena. E se ne stanno accorgendo anche gli elettori del Carroccio. In questo caos politico è meglio il voto che tirare a campare. L’Italia non può più permettersi un governo a mezzo servizio, c’è bisogno di misure strutturali per affrontare la crisi economica e l’emergenza lavoro. L’opposizione, però, non può pensare di avere a che fare con persone responsabili. Se Bossi e i suoi lo fossero, anche solo minimamente, non chiederebbero il trasferimento dei ministeri al Nord in questa fase. Avete presente i costi enormi? Ecco. Questo dovrebbe anche far capire a chi nel centrosinistra conta sull’aiuto di Bossi per far cadere Berlusconi, che non è un’ipotesi realistica. Dobbiamo pensarci noi. Il Paese è già pronto, il vento è evidentemente cambiato. Ma non bisogna illudersi di poter vincere senza sforzo e senza programmi. E poi, se si andasse al governo in quel modo, che senso avrebbe? Noi l’Italia la dobbiamo cambiare. Davvero.

LA LEGA PERDE LA FACCIA MA NON LE POLTRONE

Maroni - Bossi - CalderoliMaroni - Bossi - CalderoliContrari all’intervento in Libia per non alimentare l’emergenza clandestini. Questo dicono i leghisti. La Lega perde la faccia perché alle minacce non farà seguito alcun atto concreto: i nostri aerei bombarderanno con buona pace del Senatur e dei suoi sodali e il governo non subirà contraccolpi perché la Lega non formalizzerà la crisi sulla politica estera. Insomma, il Carroccio è come il proverbiale cane: abbaia ma non morde. La storia della Lega è una lunga sequela di fallimenti e di dichiarazioni roboanti (prima) e di fallimenti (dopo). Prendiamo l’esempio della politica sull’immigrazione, che ormai è diventata quella buffonesca della Lega, che esercita un ruolo ricattatorio all’interno del governo. Ormai la politica nel nostro Paese si è ridotta a questo. La Lega è imbattibile nell'affrontare il problema dei clandestini a chiacchiere, ma quando si passa ai fatti non ne imbrocca una. Hanno preteso di inserire il reato di immigrazione clandestina nel codice, come se la soluzione fosse sbatterli in galera a spese dello Stato non rimandare i clandestini a casa. Hanno inventato le ronde che non servono a nulla, solo a fare campagna elettorale. Il miglior esempio del fallimento sono le immagini degli immigrati nordafricani che scappavano dalle tendopoli allestite dal governo italiano, da Maroni in particolare. Immagini che hanno fatto il giro delle televisioni di tutto il mondo. Scavalcano le recinzioni indisturbati e fuggivano. Complimenti ministro Maroni, davvero. E complimenti a tutto questo governo cialtronesco che ci fa fare una pessima figura nel mondo. Mandiamoli a casa con i referendum.

L’ULTIMA FOLLIA LEGHISTA: GLI ESERCITI REGIONALI

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5 aprile 2016, le truppe dell’esercito regionale lombardo, dopo aver conquistato Veneto, Piemonte e Liguria, dichiarano guerra alla Toscana ‘rossa’ e la invadono. Casus belli: una dichiarazione del presidente toscano contro Bossi, criticato perché a parte insulti non esprime da anni concetti politici di un qualche senso. La testa di ponte è formata dai volontari delle valli bergamasche, la temibile divisione ‘Calderoli’. A coprire l’avanzata delle truppe scelte, i temibili e ‘incazzati’ ascari del varesotto, immigrati naturalizzati ‘lumbard’. Temibili perché tutti di diverse etnie, non si comprendono tra loro e sparano un po’ a casaccio, incazzati perché naturalizzati ‘lumbard’ sì, ma solo per il periodo della guerra interregionale. Ok, dopo questo volo di fantasia torniamo al presente. La proposta della Lega di formare degli eserciti regionali è l’ultima boutade (ognuno sostituisca a questo termine la parola dispregiativa che preferisce, sono ammesse anche simpatici neologismi) del Carroccio, che fa campagna elettorale ignorando il limite della decenza. Questa proposta è solo l’ennesimo tentativo del partito di Bossi di avere una milizia regolare a disposizione. Hanno questa fissazione, che dobbiamo fare? Come glielo possiamo spiegare in maniera comprensibile che giocare ai soldatini è pericoloso? Si sta perdendo davvero il senso del ridicolo. Il buonsenso è andato già da tempo a farsi benedire…Tutti gli stati federalisti, anche quelli a più spinta autonomia, hanno in comune la moneta, la politica estera e, soprattutto, l’esercito e la difesa nazionale. Bossi sta andando troppo oltre. Il potere decisionale della Lega all’interno del governo è sproporzionato e la demagogia del Carroccio è dannosa per il Paese, per la vita politica. E’ una delle cause dell’imbarbarimento culturale italiano. Incendiano gli animi, speculano sulle paure, cavalcano le tensioni ma non risolvono i problemi. Quello che da un mese avviene a Lampedusa e Manduria ne è un esempio. Di questa gente non ci si può fidare, figurarsi mettergli in mano un esercito regionale

REFERENDUM DECISIVO PER MANDARE A CASA BERLUSCONI

Siamo al redde rationem. Il presidente del Consiglio è all’angolo, circondato dai suoi fantasmi e ossessionato dai suoi processi. Il 6 aprile sarà giudicato, da una triade di donne, in una sorta di bestiale e grottesco contrappasso dantesco, rinviato a giudizio per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile. Non c’è mai stato, nella storia del nostro Paese, un momento in cui la nostra politica è caduta tanto in basso, in cui la nostra immagine e la nostra reputazione internazionale ha raggiunto livelli di sputtanamento così globale. Uno strumento in più, oltre a quello parlamentare, per mandare a casa questo presidente del Consiglio, inadeguato a guidare il Paese: il referendum sul legittimo impedimento. Con il nostro legittimo impedimento possiamo scuotere questa increscioso momento di empasse politica ed evitare che l’agonia di Silvio Berlusconi diventi quella di un intero Paese. E’ l’unico “sbocco propositivo” per uscire dallo stallo di questi due lunghissimi anni fatti di immobilismo politico e di inadeguatezza a gestire la crisi economica. Non basta la parziale bocciatura della Consulta della legge, serve di più, uno strumento certo e sicuro che dia la concreta possibilità di mandarlo a casa una volta per tutte. Per questo, il nostro referendum è così importante e strategico, perché può mettere fine a questa legislatura. Ieri, abbiamo scritto una lettera al ministro dell’Interno Roberto Maroni affinché il voto del referendum sul legittimo impedimento – unitamente agli altri due sulla privatizzazione dell’acqua e sul nucleare – venga accorpato al voto del ballottaggio delle amministrative. Sarebbe la scelta più giusta ed opportuna che farebbe risparmiare allo Stato migliaia di euro. Se quel giorno, tanti italiani, al di là del proprio schieramento politico di appartenenza, andranno a votare vorrà dire che, liberamente e coscientemente, avranno scelto di non essere più rappresentanti da questo presidente del Consiglio. Quel giorno, Berlusconi non avrà altre vie d’uscita che non le dimissioni, perché con l’unico strumento veramente democratico che hanno in mano, liberi cittadini coscienti avranno definitivamente e inesorabilmente scalfito la cosa alla quale lui tiene più in assoluto, ovvero il consenso popolare e plebiscitario su di lui della gente. La domanda è: volete voi continuare ad essere governati dal governo Berlusconi che si fa le leggi ad personam, che è sotto processo per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile, che non ha mosso un dito per affrontare una crisi economica epocale, o volete mandarlo a casa e ricominciare a sperare? Noi vogliamo ricominciare a sperare. Per questo, sosteniamo il referendum. Se aspettiamo che si dimetta o che crolli sotto le sue contraddizioni etiche, politiche e giudiziarie avremmo perso solo tempo.

GELMINI, TUTTA TAGLI E… MANGANELLI

GelminiGelminiLa nave Gelmini, dunque, va, con buona pace dell’Università. Una cosa sia chiara: questo sciagurato provvedimento che il Parlamento ha approvato non è una riforma. Chiamiamola per quello che è, una presa per i fondelli agli studenti, ai professori e ai ricercatori, in una parola al futuro del Paese. Maria Stella, la mediocre maestrina, ha fatto il suo modesto compitino. L’ha infarcito di titoli altisonanti, che parlano di lotta alle baronie, di meritocrazia, di incentivi per l’eccellenza, di lotta al precariato dei ricercatori, di diritto allo studio e di modernizzazione. Balle colossale. Quando si passa dai titoli ai contenuti la verità viene a galla. La riforma prevede esattamente l’opposto di quanto pomposamente annunciato.
Lotta ai baroni: falso. Invece di introdurre un sistema stringente per cancellare la piaga dei concorsi fasulli o pilotati e di introdurre quello che noi chiedevamo, ovvero,  un sistema trasparente nella selezione del personale docente, da oggi servirà solo un’abilitazione nazionale senza alcuna selezione, comparazione di titoli o graduatoria. Era così prima nella forma, ora è così anche nella sostanza. Non bisogna essere veggenti per predire ciò che accadrà: baroni vecchi e nuovi potranno procedere con una chiamata diretta di chi vorranno loro, all’interno di questo albo, senza alcun vincolo o controllo, consentendo i più sfrontati favoritismi, clientelismi o familismi. Le migliaia di giovani ricercatori meritevoli, che finiranno all’interno di questo albo nazionale, senza parenti in alto o raccomandazioni che contano, non verranno mai chiamati.
Incentivi a università meritevoli: falso. La riforma stabilisce, sulla carta, incentivi  e maggiori contributi pubblici agli istituti più virtuosi: è solo una promessa da campagna elettorale. Vogliono fare le nozze con i fichi secchi perché per l’università non c’è il becco di un quattrino, non c’è un solo centesimo, Tremonti ha tagliato tutto. I maggiori contributi, che ribadisco  non ci sono, non verranno assegnati in base ai risultati dei singoli docenti o dipartimenti virtuosi, ma in base ai risultati di un’intera università dove, come è evidente, i buoni e i cattivi risultati si cancellano a vicenda di modo nulla cambierà in concreto.
Lotta al precariato dei ricercatori: falso. I sei anni previsti come durata massima dell’incarico di ricercatore avrebbe un senso se nel corso di questi anni lo Stato accantonasse le risorse necessarie per l’assunzione quali professori ordinari dei giovani più meritevoli ma non è stato stanziato un centesimo neanche in questo caso. Non c’è alcuna previsione di accantonamento di risorse, come succede nel modello anglosassone, che pure, a parole, vogliono imitare. Finirà così che i giovani verranno sfruttati per sei anni e poi messi in mezzo ad una strada e a venire assunti saranno pochi e rigorosamente raccomandati.
Diritto allo studio: falso. Maria Stella Gelmini si è riempita la bocca con il “diritto allo studio”, ma ha tagliato il 90 per cento dei fondi per le borse di  studio.
Fondo per il merito: falso. Il fondo per il merito tanto decantato, per i prossimi tre anni prevede zero, ripeto, zero euro di finanziamento. La realtà è che il ministro Gelmini si è comportato come una marionetta nelle mani di Tremonti, il cui unico imperativo è tagliare, tagliare, e ancora tagliare.
La maggioranza ha approvato una legge completamente priva di copertura finanziaria, che non dà ma promette ed anche quello che promette è soltanto di restituire una piccola parte dei tagli drammatici che questo governo ha fatto negli ultimi tre anni, mettendo in ginocchio le università italiane.
Lotta alla parentopoli: falso. Italia dei Valori aveva proposto un emendamento affinché non venissero assunti negli atenei parenti ed affini entro il terzo grado. Il Governo ha stravolto il senso del nostro emendamento, rendendolo di fatto un’arma spuntata. Con una semplice e finta lettera di dimissioni temporanee del professore, forme di nepotismo e di familismo continueranno ad essere la regola d’oro degli atenei, con buona pace del merito e delle capacità. L’emendamento di Italia dei Valori intendeva spezzare le redini a questo sistema, non lasciando scampo ai furbi. La riforma finge di combattere la parentopoli negli atenei, in realtà rimarrà tutto come era prima.
Questa è una riforma che la scuola e l’università e le nuove generazioni, che rappresentano il futuro di questo paese, non meritavano e non meritano. Così come non meritavano e non meritano l’ipocrisia del Fli e di Fini che ha protestato insieme agli studenti e ai ricercatori, è salito sui tetti dell’università e, alla fine, non solo ha votato questa burletta di riforma ma l’ha definita una delle cose migliori della legislatura. I giovani, gli studenti, i ricercatori e tutto il mondo dell’università hanno chiesto, in questi mesi, di bloccare i tagli e di procedere ad una riforma vera e seria. Come tutta risposta, sono stati traditi due volte.

MARONI BLINDA MONTECITORIO

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Oggi in Aula c’è il voto finale sul Ddl Università. Abbiamo detto ampiamente quello che pensiamo sulla riforma Gelmini, in una sola parola pessima. Le Università sono occupate. Gli studenti sono sui tetti, insieme a ricercatori e professori. Ma fuori dal palazzo sta accadendo qualcosa che non si era mai vista prima. Decine camionette di carabinieri, poliziotti e guardia di finanza (guarda il video)hanno circondato Montecitorio e Palazzo Chigi per impedire agli studenti di avvicinarsi, con un dispiegamento di forze impressionante. Il ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha ordinato alle forze dell’ordine di predisporre un rigido blocco di tutte le strade che circondano piazza Montecitorio. Il sit in degli studenti era stato autorizzato dalla questura ma le  strade sono state chiuse e piazza Montecitorio è irraggiungibile, off limits. Una scelta sbagliata quella del ministro Maroni, una scelta che, siamo i primi a scongiurarlo, potrebbe far accendere gli animi ed avere conseguenze, Dio non voglia, ben più gravi. In Aula, Valentina Aprea del Pdl, relatrice del provvedimento Gelmini, ha invitato nell’Aula tutti i partiti al senso di responsabilità, a mantenere toni bassi nel confronto politico per evitare che fuori dal palazzo possa accadere il peggio. Parole condivisibili ma la scelta del governo di porre un blocco rigidissimo, e che le forze dell’ordine sono state costrette ad attuare, seppure vogliamo sperare assunta in buona fede per scongiurare possibili scontri, rischia di apparire come una provocazione per centinaia di studenti in protesta pacifica. C’è un silenzio assordante in queste ore intorno ai palazzi, un silenzio che colpisce ferisce la nostra democrazia. Guardata le immagini che abbiamo fatto per voi. Un muro umano di carabinieri, di ferro e acciaio delle camionette delle forze dell’ordine è il segnale di un palazzo che si chiude a riccio, che si fa sordo alle istanze degli studenti, dei professori, dei ricercatori, degli insegnanti avviliti ed umiliati da questa riforma. Le forze dell’ordine hanno l’obbligo di salvaguardare l’integrità degli edifici delle sedi istituzionali e di evitare scontri fisici ma, al contempo il ministro Maroni ha il dovere di garantire il diritto di manifestare degli studenti. Bisognava ottemperare alle due esigenze, con uguale rispetto, perché non c’è democrazia se cala il silenzio sulla piazza.

PERCHE' FINORA MARONI HA TACIUTO?

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Maroni ha ragione e anch’io penso che il ministro debba andare al programma di Fazio e Saviano. A spiegare. A chiarire, da leghista, quali siano i rapporti tra la Lega e la criminalità organizzata di cui ha parlato Saviano. A spiegare, da ministro dell’Interno, perché, nonostante le numerose denunce e inchieste, la Lega abbia sempre taciuto sugli affari delle mafie in Lombardia. Ed allora rivolgo un appello a Fazio e Saviano:  invitate per favore il ministro Maroni a ‘Vieni via con me’ e chiedetegli di Angelo Ciocca, consigliere regionale leghista. Noi sappiamo, attraverso i giornali, che Angelo Ciocca è in politica dal 1996, alle ultime regionali ha sbancato la sua circoscrizione pavese. Quasi 19mila preferenze per arrivare in Regione. Una parabola esemplare se non fosse per i suoi rapporti con Giuseppe Neri, boss della ‘ndrangheta lombarda, ma anche avvocato, massone e amico di Carlo Antonio Chiriaco, presidente dell’Asl di Pavia e ras della sanità pubblica. Il capo della ‘ndrangheta pavese con l’enfant prodige padano ha interessi comuni “avendolo coinvolto – scrivono i pm – in belle operazioni immobiliari”, tanto da volergli dare “a basso prezzo l’appartamentino di Medigliani”, a Pavia. Luogo dove, dopo Neri e Ciocca si incontrano di persona. Maroni non ha nulla da dire? E Maroni ci parli anche dello strano caso dell’ospedale San Paolo di Milano e del Pio Albergo Trivulzio, entrambi finiti sotto la lente della procura. Al S. Paolo di Milano da sempre le nomine vengono proposte dai colonnelli leghisti e approvate formalmente da Formigoni. Al S. Paolo, nel luglio scorso, si è suicidato Pasquale Libri, calabrese, dirigente nel settore appalti, indagato dalla Dda. Nel Pio Albergo Trivulzio, invece, avrebbe lavorato un’impresa legata alle cosche reggine grazie alla  mediazione di un politico del Carroccio. Forza e coraggio ministro Maroni, parliamo un po’ di queste cose. Già che c’è, nel caso, potrebbe anche raccontare la vera storia della banca CrediEuroNord, che in meno di quattro anni dilapida venti milioni di euro e coinvolge nel flop 3.500 risparmiatori che comprano azioni a 25 euro che scendono fino a 4. Ne ha di cose da raccontare Maroni, per questo ci auguriamo che vada in tv a spiegarle agli italiani.

QUESTION TIME DI FUOCO

MaroniMaroni

Sarà un question time di fuoco, altro che bunga bunga. Mercoledì presenteremo un’interpellanza urgente al ministro Maroni sulla vicenda di Ruby. E’ vero che la sfera privata di qualsiasi cittadino va tutelata, ma è altrettanto vero che se questa sfera riguarda il capo del governo, interessa tutti gli italiani. Il capo politico di un paese dovrebbe essere anche una guida etica, un esempio per tutti i cittadini. Berlusconi non lo è. Un premier che ha legami equivoci, che ha frequentazioni con prostitute e ragazze minorenni senza essere in grado di chiarire la natura dei rapporti è ricattabile. Con grave danno per il Paese. Ma il punto più grave di tutta  questa vicenda non è questo. E’ l’abuso di potere commesso per tirar fuori dalla questura una delle sue predilette, in stato di fermo per furto. Maroni deve spiegare e chiarire con la massima puntualità quel che è successo. Deve dire agli italiani se è vero che un uomo della sua scorta ha telefonato in questura per poi passare la telefonata direttamente al capo del governo, che avrebbe chiesto al capo della questura di rilasciare Ruby e affidarla nelle mani di persone di sua fiducia. E vogliamo sapere se è vero che sarebbe arrivato al punto di mentire sull’identità della ragazza marocchina minorenne arrivando al punto di definirla la nipote di Mubarak. Vogliamo anche capire anche perché il questore in servizio fino a tre settimane fa in via Fatebenefratelli a Milano è stato nominato 'ispettore generale di amministrazione del Consiglio dei Ministri’. E’ solo un caso? Se tutto questo fosse vero – la telefonata di Berlusconi, la bugia sull’identità della ragazza, le pressioni sulla questura – Berlusconi avrebbe compiuto un fatto politicamente gravissimo e commesso un vero e proprio reato. Maroni in Aula dovrà fare chiarezza e sarà molto difficile. Nel caso le risposte non fossero soddisfacenti, siamo pronti a presentare una mozione di sfiducia nei confronti del premier. A quel punto si segnerà davvero una svolta politica nel nostro Paese. Quella mozione sarà uno  spartiacque: da una parte chi sta con il Paese e l’interesse pubblico, dall’altra chi continua a ingoiare fango per coprire le mascalzonate di certe persone. E allora si vedrà se per Fli il concetto di legalità esiste in politica o è solo uno slogan. E si vedrà anche se la Lega continuerà ad appoggiare un presidente del Consiglio che ha ridotto l’Italia a postribolo. All’ipotesi che le opposizioni non votino compatte non voglio neanche pensare.

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