novembre 2012

PROVINCE, UNA RIVOLUZIONE… A META’

E così la montagna ha partorito il topolino. Il consiglio dei ministri ha approvato il decreto sul riordino delle province. Un provvedimento, ha detto il ministro Patroni Griffi, coerente con i modelli europei. Si passerà, se mai accadrà  - visto i numerosi e pesanti ricorsi già in atto da parte delle regioni – dalle attuali 86 province nelle regioni a statuto ordinario a 51, comprensive delle città metropolitane.

Il processo è irreversibile, ha detto sempre il ministro, trattandosi di un provvedimento di tipo “ordinamentale e strutturale nella logica avviata con la spending review”.

Ora, verrebbe da dire, meglio poco che niente, se non fosse che un taglio così fatto servirà a poco e niente, anzi, più a niente che a poco.  Certo, il fermo divieto di emolumenti per le cariche presso gli organi comunali e provinciali e l’abolizione degli assessorati sono da salutare positivamente, così come gli organi politici che dovranno avere sede esclusivamente nelle città capoluogo. 

Così come l’auspicio che, in base al nuovo assetto, il riordino delle province sarà il primo tassello di una riforma più ampia che prevederà la riorganizzazione degli uffici territoriali di governo, prefetture, questure, motorizzazione civile etc etc.

Ma è troppo poco e, soprattutto, non farà risparmiare quanto si sarebbe potuto abolendole tutte. Le province sono enti inutili, costano 17 miliardi di euro l’anno. Perché non abolirle drasticamente, facendo risparmiare molti soldi pubblici? E’ mancato questo coraggio ed il risultato è il frutto di un compromesso al ribasso.

E’ storia nota agli amici e lettori di questo blog. L’abolizione delle province è stato uno dei nostri cavalli di battaglia, per il quale ci siamo battuti in parlamento, ricevendo un chiaro NIET dalle altre forze politiche e questo è il risultato tecnico: una rivoluzione… a metà.

NULLA DI PERSONALE

Non è una questione personale. E’ politica. E basta. Non vorrei che il confronto all’interno dell’Italia dei Valori si riducesse ad un fatto personale tra me e Di Pietro. Contro il presidente Idv non ho umanamente e personalmente nulla e vorrei che fosse chiaro a tutti. C’è in ballo il futuro e il ruolo di Italia dei Valori, non certo il rapporto personale tra me e Di Pietro.

Da mesi c’è nel partito un dibattito aperto sulle alleanze. L’intervista di ieri di Di Pietro al Fatto, però, ha cambiato le carte in tavola, anzi, le ha scoperte, ed ha provocato due effetti politici devastanti, a mio avviso: il primo è una pietra tombale su qualsiasi possibilità di accordo col Pd. Il secondo è il superamento di Idv per dar vita a un soggetto politico che si presenterebbe alle elezioni facendo una corsa solitaria o una improbabile alleanza con Grillo.

Cosa rimarrebbe? Una formazione isolata o succube di altri ispirata dalla demagogia e dal radicalismo minoritario. Insomma, non proprio due temi su cui sorvolare politicamente. Di Pietro ha cancellato, in un’intervista, un percorso di dodici anni senza dire nulla a nessuno. Ha rinnegato le decisioni del congresso e dell’ultimo esecutivo nazionale, che si erano espressi per l’alleanza con Pd e Sel. Ha stracciato il documento firmato dall’ufficio di presidenza solo poche ore prima. E’ chiaro che il problema è esclusivamente politico.

Nel partito ci sono due linee tra loro evidentemente incompatibili, una guarda al centrosinistra, una a Grillo. Io rispetto la nostra storia e non la svendo per seguire una deriva populista e lavoro per costruire una credibile alternativa di governo per il dopo-Monti. Spaccare il centrosinistra significa riconsegnare l’Italia nelle mani dei tecnici o, nella migliore delle ipotesi, arretrare la spinta riformista e progressista dopo vent’anni di berlusconismo. C’è bisogno di ricostruire, di rilanciare, di assumersi le responsabilità di governo per cambiare finalmente questo paese.

Da dodici anni l’Italia dei Valori è saldamente ancorata al centrosinistra. Con Pd e Sel governiamo in regioni ed enti locali. Con loro abbiamo la responsabilità storica di tornare a governare il Paese e riformarlo. Chi straccia la foto di Vasto e impedisce al centrosinistra di governare si assume una responsabilità storica.

Altra cosa è Grillo. Rispetto i suoi elettori, ma non lo seguo, mi dispiace. Non sono un opportunista. Non svendo tutto ciò in cui ho creduto e per cui ho lavorato tanti anni solo per inseguire il populismo di chi vorrebbe portare l’Italia fuori dall’Europa. Sono questi i temi del confronto e mi auguro che a prevalere sia il senso di responsabilità.  

Ormai linee inconciliabili

Tag: Di pietro , donadi , Idv

Pubblico la mia intervista di oggi al Messaggero

Di Pietro pensa a una coalizione con Grillo, magari con Antonio Ingroia premier.
Guardi, già due mesi fa dissi pubblicamente che Ingroia ha fatto ottime inchieste, ma non si è comportato da bravo magistrato. Non mi piaceva allora e non mi piace oggi il suo modo d’interpretare la toga: andando in tv, ai congressi di partito. Si figuri cosa posso pensare di una candidatura impensabile per una coalizione impossibile.

Di Pietro ha decretato la morte dell’Idv. Avrebbe pronto anche nome e logo nuovi.
Confermo. Ce ne fece vedere un bozzetto, forse per sbaglio, durante l’Ufficio di Presidenza, poi lo ripose nella borsa. Al 90% l’idea è quella e il nome pure (‘Basta!’, ndr.). Di Pietro Vuole rottamare la storia e l’impegno di dodici anni e migliaia di elettori, quadri e dirigenti per rincorrere il voto di protesta, dei delusi e incazzati. Siamo al predellino de’ noantri. La sua linea e la mia sono ormai inconciliabili. Se la mia linea risulterà di minoranza, ognuno, dentro l’Idv, sarà libero di fare come crede. A Di Pietro ho chiesto un passo indietro: visto che non crede più nel suo partito, sarebbe meglio che passasse la mano. Se invece vuole scioglierlo in un ‘movimento’, come dicono anche Orlando e Maurizio Zipponi, legandosi alle frange più estreme della sinistra radicale, e magari allearsi con Grillo, io e altri saremo da un'altra parte.

Dicono che siete ‘quattro gatti’. Anzi, ‘cani morti’, ormai.
Non accetto questa logica di delegittimazione. Vedremo quanti saremo. La nostra non è una battaglia, è la guerra finale e io intendo combatterla fino alla fine. Comunque, vorrei rassicurare quelli che raccolgono le firme per farmi dimettere da capogruppo: forse saremo pochi tra i parlamentari, che devono tutti la loro elezione a Di Pietro, ma non nel corpo del partito. In queste ore sono subissato dalle telefonate di consiglieri comunali, provinciali e regionali, di dirigenti e quadri del partito da tutto il territorio.

Entrerete nel Pd, dicono. E' vero?
Vogliamo aiutare a costruire un centrosinistra di governo che coniughi il rigore e la solidarietà, politiche fiscali serie e politiche di equità. Comunque, prima di stilare il necrologio dell’Idv, come ha fatto Di Pietro, aspettiamo che vengano finalmente convocati gli unici organismi deputati a decidere, a partire dall’Esecutivo nazionale.

Ma lei dov’era quando Di Pietro comprava le case?
Facevo domande da mesi senza ricevere risposte. Report ha preso una cantonata colossale sulle case, lì ha ragione Tonino, ma ha accelerato un processo che lui coltivava da almeno sei mesi, sciogliere l’Idv, contro il quale daremo battaglia.

Le mie dimissioni da capogruppo

Oggi, nel primo pomeriggio, ho annunciato al presidente della Camera Gianfranco Fini le mie dimissioni da capogruppo dell'Italia dei Valori. E' una scelta che compio con serenità e convinzione affinché nella riunione dei gruppi parlamentari nessuno possa usare strumentalmente questo tema per eludere l'unico confronto veramente dirimente, quello sulla rottamazione di Idv che Di Pietro sta scientemente portando avanti.

Lascio l'Idv

Tag: donadi

ORA ANDIAMO AVANTI

Pubblico il video della mia intervista di oggi con il direttore Belpietro

 

 

PORTO AVANTI I VALORI DI SEMPRE

Proprio ora che la nave affonda? Ma non si era accorto di niente? Perché non dimettersi anche da parlamentare? Troppe volte mi sono state rivolte queste domande, a cui ho sempre risposto cercando di chiarire la mia posizione. Tuttavia, c’è ancora qualcuno che continua a chiedermi spiegazioni. Non in molti, devo essere sincero, se paragonati a quanti hanno espresso rispetto per la mia decisione e quanti altri mi hanno rivolto con entusiasmo un “sono con te”. Ma non avendo nulla da nascondere ed essendo in pace con la coscienza, ci tengo a chiarire nuovamente, e una volta per tutte, le ragioni della mia scelta. Una scelta quanto mai sofferta, ma necessaria.

La mia uscita, prima dal gruppo e poi dal partito dell’Italia dei valori, non ha niente a che vedere con la puntata di Report. È stata una decisione politica. Dopo otto mesi passati a cercare di trattenere con le unghie e con i denti il partito in cui ho sempre creduto dentro il centrosinistra, mi sono dovuto arrendere: l’Idv è cambiata (anzi, Di Pietro ha cambiato l’Idv) e non possiamo permetterci di investire ancora del tempo prezioso a dare capocciate contro i muri. I valori su cui abbiamo fondato l’Idv devono trovare voce ed espressione in un nuovo progetto politico, democratico, aperto alla partecipazione e saldamente ancorato alla coalizione di centrosinistra.

Perché, da aprile ad oggi, l’Italia dei Valori ha distrutto quanto aveva costruito nei dieci anni precedenti. Gli italiani hanno votato un’Italia dei valori alleata del centrosinistra, che con il Pd voleva addirittura fare gruppi unitari a Camera e Senato e che come primo atto politico della legislatura votò Napolitano Presidente della Repubblica, allora definito da Di Pietro “un servitore della Repubblica e uomo fedele alle istituzioni”.

Se parliamo di coerenza, non sono io quello che ha cambiato idea rispetto agli impegni presi con gli elettori. Gli attacchi, talora giustificati, ma forsennati nei toni, al Presidente della Repubblica ci hanno isolato da tutti. È stato definitivamente reciso ogni rapporto con il Pd. Si è inseguito Grillo nel tentativo di cavalcare la protesta ed il malumore. Si è addirittura accarezzata (e forse non ancora abbandonata) l'ipotesi di cambiare simbolo per correre da soli alle elezioni con una lista radicale ed antagonista. E nel frattempo si è cercato di spegnere ogni confronto e ogni dissenso, incapaci di superare la dimensione dell'uomo solo al comando.

Non è quello per cui ho lavorato ed in cui credo. Per questo ho deciso di uscire da una Idv molto diversa da quella che ho contribuito a fondare. E lo ribadisco: non ho mai messo in dubbio l’onestà di Antonio Di Pietro. Di Pietro è stato l’unico, e ribadisco l’unico, che si è sempre opposto a Berlusconi e alla sua politica. Per questo avrà sempre il mio rispetto e la mia stima.

Ma chi fa politica ha il dovere di andare al di là dei sentimenti e delle valutazioni personali. Per questo, da oggi guardo avanti e lavoro, assieme a tante altre persone impegnate, alla costruzione di un nuovo soggetto politico, che porti avanti con orgoglio le battaglie per la legalità che ho sempre condotto e che voglio continuare a portare avanti. Dentro un centrosinistra riformista e di governo.

E lasciatemi dire una cosa: potevo starmene zitto e tranquillo, nel mio ruolo di capogruppo alla Camera, e quindi con ogni probabilità candidato eletto nel prossimo Parlamento, ma sentivo che così avrei tradito le mie convinzioni e la mia coscienza. Mi sono dimesso da capogruppo, ho lasciato l’Idv e con essa ogni garanzia. Non entro nel Pd, come qualcuno maliziosamente voleva far pensare, e con questa scelta gioco tutto, rimettendo agli elettori il giudizio sul progetto a cui sto lavorando. In un Paese dove nessuno si dimette mai da nulla, non voglio il plauso di nessuno, ma il rispetto, questo sì, credo di meritarlo.

 

LAVORI IN CORSO...

Scusate il ritardo. Causa lavori in corso. In questi giorni ho ricevuto migliaia di mail, lettere, telefonate, sms di persone interessate ad un nuovo progetto politico che recuperi l’esperienza legalitaria dalla quale provengo e che ancori questi valori saldamente all’interno del centrosinistra. Le aspettative sono superiori alle mie previsioni, che erano comunque abbastanza positive, visto che serve l’ottimismo della volontà per realizzare un progetto politico. Per questo chiedo a tutti coloro che mi hanno contattato di avere un po’ di pazienza, risponderò a tutti. Ritengo che la fase dei partiti personali sia chiusa e per questo vorrei lavorare per garantire la massima partecipazione. Più idee, più persone, più menti, tutte unite dalla passione e da un unico obiettivo.

C'E' POSTA DAL MESSICO

Mi ha stupito ricevere questa mattina una lettera da parte dell’ambasciatore del Messico. Ruíz-Cabañas, infatti, mi ha voluto segnalare che il paragone tra Pancho Villa ed Emiliano Zapata da una parte e Di Pietro e Grillo dall’altra non era forse il più idoneo a descrivere l’”effervescente periodo che vive l’Italia attualmente”. La lettera è stata scritta il 5 novembre, ma anche se ne prendo visione solo oggi ci tengo a chiarire le motivazioni alla base di quel paragone e, naturalmente, scusarmi se con ciò abbia creato un fraintendimento.
Villa e Zapata sono stati due grandi eroi messicani, hanno dedicato la loro vita a condurre battaglie per il benessere del popolo. Due figure di grande spirito e coraggio, a cui va il mio rispetto e la mia ammirazione. Ma tornando al paragone che ho usato, riguardo all’ipotesi di trovarci, dopo le elezioni, Di Pietro al Quirinale e Grillo presidente del consiglio, in quel momento mi riferivo a un ben preciso episodio, ovvero quando nel 1914, dopo che i due eroi messicani entrarono trionfanti a Città del Messico, Zapata si rifiutò di sedersi sulla poltrona presidenziale.
La sua motivazione fu: “Non combatto per questo. Combatto per le terre, perché le restituiscano”. Niente da obiettare, Zapata fece molto per il suo popolo. Ma oggi l’Italia ha bisogno di sicurezza, di programmi chiari e condivisi. I principi e la passione, in questo momento, servono a ben poco, se poi al governo non c’è nessuno che li sappia tradurre in una serie di azioni concrete, capaci di cambiare fattivamente la vita delle persone. Chi mi conosce sa che ho sempre condiviso molti dei principi che accomunano Movimento 5 Stelle e Italia dei valori. In primis anticorruzione, giustizia ed etica pubblica. Ma lasciarsi trasportare unicamente sulla spinta delle emozioni oggi come oggi è troppo rischioso. Serve lucidità e raziocinio, a maggior ragione vista l’attuale situazione di instabilità.
Ad essere in dubbio non è il rispetto delle persone che a vario titolo ho tirato in ballo in quel paragone, ma la scelta di mettere al governo e nelle nostre istituzioni persone scelte sull’onda delle emozioni, che oggi nel nostro paese sono spesso mal di pancia e delusione. Ai vertici dello Stato devono andare persone con passione, coraggio e sani principi, sì, ma io sono convinto che l’Italia meriti di più: persone che, una volta al governo, si siedano su quella poltrona, con tutto il rispetto e la responsabilità dell’incarico che gli hanno dato i cittadini, e diano una forma tangibile a quei principi e a quegli ideali per i quali si sono battuti.

LA SCUOLA CONTRO LA VIOLENZA

Ancora violenza, scontri, insulti. Ancora una volta, una manifestazione pacifica è stata storpiata e strumentalizzata dalla rabbia indiscriminata dei violenti. E, ancora una volta, abbiamo visto le persone impegnate in difesa di un diritto fondamentale con il volto coperto di sangue. Poco più in là il sangue degli agenti di polizia. E sullo sfondo gruppi di violenti, che forse neanche conoscevano le ragioni della manifestazione.
Gli scontri di ieri ci hanno mostrato ancora una volta che la battaglia più urgente da combattere è quella in difesa della cultura e del senso civico. Ed è compito della politica assumersene la responsabilità. E la prima cosa che può fare la politica è difendere proprio la scuola, che per noi è prima di tutto e soprattutto scuola pubblica, rivedendo la legge di stabilità. È chiaro che il governo Monti sta proseguendo sulla strada tracciata da quello Berlusconi. Giù tagli.
Ma senza una scuola che funziona, che Paese ci aspetta? Il rilancio della scuola è una mossa cruciale. È su questo settore che dovrebbero concentrarsi gli investimenti pubblici. Sarebbe strategico anche per ridare linfa vitale al Paese, riducendo la fuga di cervelli e facendo lavorare i giovani ricercatori. Ma soprattutto, coltiverebbe senso civico. Ieri, più che mai, il Paese ce lo ha chiesto.

RAZZISMO? NON POSSIAMO PERMETTERLO

Domenica l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani scenderà nelle piazze d’Italia per una giornata di sensibilizzazione contro l'intolleranza e il razzismo. Per scuotere l'indifferenza e coinvolgere le istituzioni, dice Carlo Smuraglia. A loro, e alla società civile, va il grande merito di combattere battaglie culturali fondamentali per questo Paese e la politica ha il dovere di coglierne il messaggio profondo.
Domani saranno passati 84 anni da quando l’Italia fascista emanò il decreto legge “Provvedimenti per la difesa della razza italiana” e 68 da quando le leggi razziali furono abrogate. Eppure, continuiamo a leggere cronache di pestaggi, insulti e discriminazioni a sfondo, appunto, razziale.
E' notizia di oggi l'arresto dell’ideologo e di tre attivisti di Stormfront Italia, un sito neonazista e antisemita che sostiene la “superiorità della razza bianca”. Ieri, a Roma, abbiamo sentito alla manifestazione gli insulti rivolti alla Sinagoga. In un Paese che dimostra di aver in parte perso la memoria di una delle pagine più nere della nostra storia, ci troviamo ancora a combattere la battaglia contro l’intolleranza.
Se non recuperiamo la nostra storia e non la trasmettiamo ai nostri giovani, recuperandone i valori e la dignità, non avremo più il diritto di stupirci se gruppi organizzati incitano ancora oggi all’odio razziale. Non possiamo rischiare di perdere i preziosi insegnamenti che gli italiani di pochi decenni fa ci hanno regalato, conquistati sulla loro pelle e con i loro morti. Oggi l’Italia rischia veramente un dissesto difficilmente risanabile sul piano culturale. Non possiamo permetterlo.
Dobbiamo cominciare dalla scuola, dai giovani, dalle nuove generazioni, primo motore della memoria e del senso civico. Loro stessi ce lo chiedono. Qui non è in ballo solo la loro crescita personale, ma anche quella di cittadini consapevoli e migliori.

PAROLA D'ORDINE: PARTECIPAZIONE

Parola d’ordine: partecipazione. Giovedì alla sala stampa della Camera presenteremo il nostro progetto politico. Sarà saldamente inserito nel centrosinistra perché crediamo che solo una vittoria chiara e netta della coalizione progressista possa scongiurare l’eventualità di un Monti bis e dare all’Italia un governo forte e credibile, capace di coniugare equità e crescita e di innovare l’architettura istituzionale di questo Paese. Un Paese che spende troppo, ma soprattutto spende male.
La parola d’ordine è partecipazione, non perché ci deve essere tanta gente ad assistere alla conferenza stampa, ma perché credo che i partiti personali nati all’alba della Seconda Repubblica abbiano fatto il loro tempo e che, oggi, solo la partecipazione può ridare credito alla politica e rigenerarla.
Ci vogliono far credere che la politica sia solo una cosa sporca, indegna, fatta da arraffoni e profittatori. Non è vero, almeno non completamente. Siamo noi a fare la politica. Anche Pertini era un politico, anche Leo Valiani, anche Di Vittorio, anche Moro, anche De Gasperi, anche Vittorio Foa, Berlinguer, Parri, Nenni, Spinelli e tanti tanti altri. Banditi? Delinquenti? Non direi. Certo era un’epoca diversa, ma li ho scelti proprio per questo: tutti loro hanno dato un contributo morale e politico nel periodo più duro e difficile della storia d’Italia.
Da una crisi possono nascere tante opportunità. Solo un qualunquismo cieco può spingere ad affermare ‘tanto sono tutti uguali’. È una banalità mostruosa che ha come effetto perverso e pericoloso l’indebolimento della partecipazione alla vita pubblica e dei meccanismi della rappresentanza.
Noi invece crediamo nel contrario, nel significato originario della parola ‘politica’, arte del buon governo. E crediamo che l’Italia sia piena di risorse, di giovani menti brillanti, di persone per bene, preparate e competenti. È per questo che, anche a costo di scelte dolorose, ci impegniamo in questo nuovo progetto. Ci rivolgiamo a tutte le italiane e gli italiani che credono nella buona politica e nel rinnovamento. A tutti quelli che vogliono partecipare in prima persona. Siamo noi a determinare la politica, e non il contrario. ‘Libertà è partecipazione’ cantava Gaber. Noi ci crediamo.

PRESENTO IL NUOVO PROGETTO

Domani presenteremo in conferenza stampa nome, simbolo e ragione di esistere del nuovo partito. Pubblico una parte dell’intervista di questa mattina al Tgcom dove mi hanno chiesto di fare qualche anticipazione.

Due settimane fa ha lasciato l’Italia dei Valori per guardare avanti verso un’altra avventura. Come sono state queste due settimane passate a lavoro su un altro progetto?
Sono state due settimane frenetiche anche perché è stato un atto di lucida follia quello di provare a mettere in piedi in poco più di un mese, questo è il tempo che abbiamo davanti, un soggetto politico che possa rappresentare questo desiderio che io sento forte di tenere fermi alcuni valori che hanno rappresentato la mia storia: la legalità, la trasparenza, la buona politica, la lotta agli sprechi, alla corruzione e alla burocrazia. Con credibilità e rinnovata voglia di combattere e di stare in prima linea. E farlo, questa per me è una ragione fondativa, saldamente all’interno del centrosinistra, perché vogliamo andare ad arricchire il centrosinistra con questi valori lì dove forse oggi ha più bisogno di rafforzare la propria proposta programmatica.

Quindi quando dice saldamente al centrosinistra intendete un’alleanza con il Pd? Come vi muoverete?
Questa è la storia del popolo degli elettori che per dieci anni hanno votato il partito di cui ho fatto parte, l’Italia dei Valori, come uno dei pilastri costitutivi del centrosinistra. Oggi scelte a mio avviso errate hanno allontanato quel partito dalla coalizione di centrosinistra ma io credo che anche una coerenza che in qualche momento è mancata queste battaglie debbano essere una parte importante del centrosinistra, perché la politica italiana ha troppo bisogno di cambiare, di poter ridare almeno dei primi elementi di fiducia e credibilità alla gente. Domani presenteremo in conferenza stampa il nome, il simbolo e la ragione di esistere di questo partito. Una nuova forza politica che nasce da tanti giovani, da tanta voglia di cambiare. Abbiamo messo in gioco tutto quello che avevamo: posti di capogruppo, personalmente, certezze di ricandidature, ci siamo gettati un un’avventura buttando il cuore oltre l’ostacolo e questo perché crediamo che sia ancora possibile in questo Paese, senza soldi, senza grandi sponsor finanziari e senza grandi agganci nell’editoria e nel mondo dell’informazione, ma con la passione dell’impegno civile, dare qualcosa e fare qualcosa per il proprio Paese.

Domani conferenza stampa, ma qualche piccola anticipazione ce la potrebbe dare.
L’anticipazione che le do è che vogliamo davvero essere in linea con le norme “euro 5”, con le norme più avanzate della buona democrazia europea e crediamo che ci sia una cosa su tutte dalla quale bisogna partire. Non è la soluzione dei problemi ma è un metodo per cominciare a risolvere i problemi. È finita l’epoca, che è durata vent’anni, dei partiti leaderistici, dell’uomo solo al comando, dell’uomo della provvidenza. A destra come a sinistra. Con i nomi nei simboli, con un giocare tutto sulla presenza mediatica. Presenza intesa sia come bella presenza sia come essere dalla mattina alla sera perennemente incollati in televisione a parlare agli italiani. Io credo che oggi l’Italia abbia bisogno di altro, abbia bisogno di squadre, di persone che passano dodici ore al giorno a lavorare davanti a una scrivania. Ovviamente in questi giorni dovrò un po’ vendere il prodotto e contravvenire a questo principio. Ma non ci sarà nessun nome di un protagonista della politica nel nostro simbolo. Ci sarà solo tanta voglia di mettersi in gioco e tanta voglia di lavorare. Mi lasci dire una cosa. Hollande è un socialista, mentre noi guardiamo a un’area di riferimento liberal progressista e liberale di sinistra, ma questa figura, di un uomo quasi preso in giro prima delle elezioni perché di fronte ad un brillante Sarkozy sembrava quasi un funzionario anonimo, alla fine ha dimostrato una lezione che anche l’Italia deve imparare: che non contano le narrazioni e le apparizioni fatte in televisione ma conta la capacità di lavorare e soprattutto di farlo con serenità. In questo, saremo un partito “anti”.

Un partito “anti”, ma che non faccia antipolitica.
Ci mancherebbe altro. Mi pare di essermi richiamato ad una storia e una cultura politica che poco ha a che fare con l’antipolitica. Quella liberal progressista, quella repubblicana, che credo siano nel tratto per noi distintivo della politica intesa come essere al servizio dei cittadini.

OGGI E' NATO DIRITTI E LIBERTA'

 

Oggi nasce un partito a energia pulita. Lo diciamo e lo confermeremo ufficialmente inserendolo anche nel nostro statuto: nasce un partito che non chiede e non chiederà mai finanziamenti pubblici. Faremo politica con i contributi dei nostri aderenti, dei nostri militanti, dei nostri dirigenti, dei nostri eletti. E, se ci saranno e lo vorranno, - il modello americano Obama insegna -, con i contributi che i cittadini riterranno di darci. Non prima, ma a posteriori, per il lavoro buono o meno buono che abbiamo fatto.

Nasce un partito in linea con quelli che noi crediamo dovranno essere gli standard qualitativi della Terza Repubblica. O, per continuare con i paragoni motoristici, Euro 5. Noi crediamo che sia finita per sempre in questo Paese la storia e l’età dei partiti leaderistici, dei partiti carismatici, dei partiti padronali, dell’uomo solo al comando, dei partiti contenitori vuoti, dove dentro non c’è pluralismo, non c’è confronto, non c’è democrazia. Abbiamo avuto la dimostrazione in questi vent’anni, e la legge elettorale vigente ne è la riprova plastica, che chi non ha democrazia al proprio interno non può produrre democrazia nel Paese.

Nasce oggi un partito che, già dalle sue forme costitutive, vuole mettere davanti il concetto di squadra, il collettivo, la democrazia interna come lievito fondamentale col quale far crescere e dare gambe alle idee che intendiamo portare avanti. Sarà soltanto un simbolo, un’immagine, ma proprio per questo saremo uno dei pochi partiti oggi che nascerà non avendo nessun nome di persona nel proprio simbolo. E che, per le stesse ragioni, non ha un presidente né un segretario, ma un portavoce.

Vogliamo portare avanti il concetto di squadra, perché questo è ciò di cui oggi il Paese ha bisogno. In altre occasioni ho parlato di un modello Hollande. Non riferendomi al socialista Hollande, ma a quel modello che la politica italiana deve imparare. E cioè che la politica non si fa con i bei faccioni televisivi, non si fa con i leader carismatici, non si fa con i salvatori della patria, ma si fa con le persone che - come i comuni cittadini - si mettono a lavorare tante ore al giorno, circondandosi, lì dove non arrivano, di competenze e di persone di valore, perché oggi c’è bisogno di rimboccarsi le maniche. Se vogliamo che questo paese torni a crescere con equità, lo dobbiamo rivoltare come un calzino.

Abbiamo fatto una scelta indipendente e coraggiosa. Questo non è e non sarà mai un partito di ex combattenti e reduci di un altro partito. Questa è una cosa nuova. Una cosa che ho sempre detestato della politica e di alcuni politici sono gli ex rancorosi. Io verso il partito in cui ho militato con orgoglio per dodici anni ho soltanto affetto e rispetto. Appartiene alla mia storia, ne vado fiero. Quella delle tante battaglie che abbiamo fatto, alcune vittoriose, penso a quella per il referendum dell’anno scorso, e altre che a volte hanno riservato delle sconfitte. Oggi abbiamo fatto una scelta, che, credo tutti voi possiate darmene atto, non nasce due settimane fa, ma nasce mesi e mesi fa. Prendo atto che oggi, o meglio, potrei dire questa settimana, la linea dell’Italia dei Valori corrisponde alla nostra. Devo prendere atto, però, che a seconda delle settimane può essere anche molto diversa. Noi di sicuro non la cambieremo.

Nel simbolo abbiamo messo due parole fondamentali: diritti e libertà. Una scelta non casuale, una scelta che chiama in gioco direttamente quelli che sono i principi fondamentali della Costituzione. I diritti e le libertà sono quei diritti e quelle libertà fondamentali che stanno nei primi dodici articoli della Costituzione. Crediamo cha anche in questa nostra scelta ci sia una risposta a quello che Zagrebelsky scriveva pochi giorni fa, invocando un partito della Costituzione. Noi identifichiamo, in Diritti e Libertà, i diritti e le libertà fondamentali della persona e collettivi, libertà d’espressione, di pensiero, di religione, al lavoro, di cittadinanza, alla salute, all’informazione. Le vere grandi battaglie dell’Italia sono tutte scritte nella Costituzione e oggi quegli articoli servono ancora per riempire di contenuto e di sostanza la democrazia italiana. In questo senso vogliamo essere il partito della Costituzione.

BASTA INSULTI E DOPPIA MORALE

Rispondo a Di Pietro, che sul suo profilo Facebook ha scritto: “l'aver preso posizioni scomode ha indotto e sta inducendo alcuni nostri militanti ed eletti a percorrere strade diverse perché e' chiaro che nel momento in cui bisogna scegliere tra la coerenza e l'opportunità' di trovare una sistemazione personale si vede chi fa politica per interessi propri e chi per gli interessi dei cittadini. Verso costoro non proviamo rancore auguriamo loro tutto il bene possibile e siamo contenti che questo sia l'occasione per un momento di chiarezza all'interno del partito”.

Ad Antonio Di Pietro, al quale auguriamo ogni bene ed ogni fortuna, diamo un consiglio: non è con gli insulti che si risponde a questioni politiche. Se centinaia tra eletti ed amministratori stanno abbandonando in questi giorni Italia dei Valori non è sicuramente perché tra la coerenza e la ‘sistemazione personale’ hanno scelto quest’ultima, ma esattamente il contrario.

Moltissime persone hanno lascito Italia dei Valori per Diritti e Libertà perché non riuscivano più a stare in un partito che cambiava linea politica mediamente una volta alla settimana, con picchi di due cambi in un solo giorno. Al contrario, quelli che se ne vanno, sono quelli che scelgono di non venire a patti con la propria coerenza e con la propria dignità e che non sono disponibili ad accettare una sorta di doppia morale dove si predica bene e si razzola male come sta facendo Idv che, mentre nelle piazza raccoglie le firme per il finanziamento pubblico, contemporaneamente sta facendo passare i contributi mensili versati da consiglieri e assessori regionali alle rispettive strutture territoriali come donazioni di privati alla tesoreria nazionale per ricevere, sfruttando la nuova norma che prevede una ulteriore erogazione di fondi pubblici doppia rispetto alle donazioni ricevute, un milione di euro l’anno in più rispetto ai finanziamenti che già riceve.

La parte che entra in Diritti e Libertà è quella che non vuole davvero più il finanziamento pubblico, tanto da inserire la rinuncia nello Statuto.

HA VINTO LA DEMOCRAZIA

Ieri abbiamo assistito alla grande vittoria della democrazia. Quella diretta. Quella degli elettori del centrosinistra attivi e impegnati nella crescita e nel futuro di questo Paese. La straordinaria affluenza alle primarie è stata la prova lampante che il sentimento di partecipazione alla vita politica, checché se ne dica, non ha abbandonato gli italiani. E l’ottimo risultato raggiunto da Bersani ci fa ben sperare nella formazione di una coalizione riformatrice e progressista, che possa rilanciare l’Italia dal punto di vista sociale, economico, civile e culturale. Insomma, se vince Bersani, Monti non torna a Palazzo Chigi.

Noi di Diritti e Libertà abbiamo partecipato con orgoglio, nei limiti delle possibilità di un movimento appena nato, a questa straordinaria manifestazione di democrazia. Abbiamo sostenuto Bersani attraverso tutte le nostre strutture sul territorio e ora auspichiamo che la sfida del ballottaggio confermi Bersani candidato premier. Tra tutti i candidati, infatti, riteniamo che solo il segretario del Pd abbia la volontà e le caratteristiche ideali per portare a termine il grande progetto di federazione del centrosinistra e, col sostegno di tutte le forze in campo, dare poi vita a un progetto di governo serio, innovativo e credibile.

Diritti e Libertà è già in prima linea per contribuire a questo progetto di rinnovamento, un progetto non più rimandabile. Abbiamo intrapreso un percorso chiaro e concreto, per restituire fiducia ai cittadini e per rilanciare l’Italia, con rigore ed equità. E siamo pronti a dimostrarlo.

 

DIRITTI E LIBERTA' E' GIA' SUL TERRITORIO

Diritti e Libertà è già una forza presente sul territorio. In pochi giorni abbiamo raccolto centinaia di adesioni di amministratori, di tutti i livelli, in tutta Italia. Ci sono consiglieri regionali, provinciali e comunali, molti giovani, altri d’esperienza. Ci ha stupito una simile partecipazione, visto che abbiamo presentato nome e simbolo solo pochi giorni fa.

Abbiamo partecipato alle primarie, a questo straordinario voto democratico per scegliere il candidato premier del centrosinistra, cercando di dare una mano a Bersani. Il mio personale appoggio era stato annunciato da mesi, con il passare del tempo è diventato qualcosa di più. Ora stiamo lavorando per creare una struttura organizzativa. Stiamo rispondendo a tutti coloro che ci hanno scritto. Ed è un lavoro lungo, credetemi. Ora, però, inizia il bello. Inizia la fase della partecipazione. Diritti e Libertà è un movimento appena nato, che si apre alla società civile, alle mille risorse di quest’Italia che vuole rilanciarsi. Siamo percepiti ancora come una sigla parlamentare, composta da persone che cercavano un nuovo approdo dopo aver espresso il disaccordo sulla linea politica di Idv.

A quelli che in perfetta malafede dicono che i parlamentari che sono entrati in Diritto e Libertà lo hanno fatto per la poltrona rispondo che sono dei gran bugiardi, e lo sanno. Chi è entrato in Diritti e Libertà ha abbandonato un partito strutturato che offriva certamente maggiori garanzie di rielezione. Senza alcuna rete di protezione. Sarebbe stato molto più comodo rimare lì dove si era, le garanzie erano molto maggiori. Invece c’è ancora gente che crede nella politica e si impegna per i propri ideali, per coerenza, per il bene comune. Invito chi volesse collaborare con noi a inviare una mail, riceverà presto risposta.

BALLARE COL PORCELLUM

La legge elettorale è un balletto. Di Buono c’è che Roberto Giachetti, di fatto obbligato dai medici, ha terminato il suo sciopero della fame. È l’unica buona notizia di oggi su questo fronte.

Noi accogliamo ancora una volta le parole del Presidente Napolitano. L’imbarazzante impasse sulla legge elettorale va avanti da mesi – è un balletto sulle istituzioni  – a dimostrazione che non c’è una reale volontà di cambiare la legge elettorale. Il Parlamento ha commesso un gravissimo errore nel non raccogliere il testimone che i cittadini, con oltre un milione e duecentomila firme, gli avevano consegnato per tornare al Mattarellum.

Abrogare il Porcellum significa restituire dignità e credibilità alla politica, che, se avesse uno scatto d’orgoglio, farebbe ancora in tempo a cambiarlo. Siamo ancora in tempo per dare ai cittadini una legge elettorale che garantisca il bipolarismo e la governabilità.

NO AMNISTIE, SI' A PENE ALTERNATIVE

La demagogia è inutile e dannosa. Serve solo a qualcuno per raccattare un po’ di consenso volatile. In Aula alla Camera, oggi, si è discusso delle pene alternative al carcere. Lega ed altri hanno approfittato naturalmente per fare del populismo a buon mercato. Si tratta, a mio avviso, di una norma giusta. La voteremo.
Le carceri italiane sono al collasso, i suicidi si moltiplicano, le condizioni dei detenuti sono indegne. Il valore di recupero delle strutture carcerarie, che dovrebbe essere il fine ultimo della detenzione, è nullo. E molti sono in carcere per leggi sbagliate che intasano i tribunali e le case circondariali. L’emergenza carceraria dura da anni, ma ancora nessun governo ha affrontato la situazione, anche a causa di opposte demagogie. Stiamo ancora aspettando il piano carceri dell’ex ministro Alfano, tanto per fare  esempio.
Non servono norme tampone, mini-amnistie o indulti mascherati, ai quali siamo contrari, ma è indispensabile una riforma della giustizia che depenalizzi i reati minori e quelli che non creano allarme sociale. Solo così si potrà risolvere un’emergenza umanitaria e sociale indegna di un paese civile e riportare il nostro ordinamento all’avanguardia europea. Capita troppo spesso nel nostro Paese che a pagare siano i poveracci, mentre i potenti e i grandi delinquenti la facciano franca.
Chi di voi ricorda il caso di Enrichetto, un poverino finito in carcere per aver rubato un salamino? Ne scrissi anni fa sul blog, andai anche a trovarlo in carcere. Il provvedimento sulle pene alternative al carcere certamente non risolve i problemi, ma dà un piccolo contributo a migliorare la situazione. Diritti e Libertà è favorevole.

ILVA: CHI INQUINA PAGHI

Chi inquina paga. Punto. È un principio sacrosanto, riconosciuto e sancito anche dall’Unione Europea. Soprattutto se chi ha inquinato e ha provocato danni ambientali e alla salute pubblica si è arricchito a dismisura. Se vogliamo fare dell’Italia un paese civile, dobbiamo inchiodare alle proprie responsabilità chi, in questi anni, ha speculato sulla pelle dei lavoratori e dei tarantini. Ora gli dobbiamo presentare il conto del disastro.
Intanto aspettiamo il governo al varco sul decreto Ilva. Se questo decreto serve solo a bypassare le decisioni della magistratura, non solo è inutile, ma anche dannoso per Taranto, per i lavoratori e per le prospettive di sviluppo industriale del Paese. Non si può pensare di continuare ad alimentare il conflitto tra i cittadini e i lavoratori di Taranto, costringendoli a scegliere tra lavoro e salute. È stato ritrovato il corpo di Francesco Zaccaria, vittima di condizioni di lavoro assurde. Non vogliamo più piangere le cosiddette ‘morti bianche’. Non è giusto, non è dignitoso per un grande paese.
Dobbiamo restituire prospettive alla città, ai lavoratori, garantendo la sostenibilità ambientale dell’Ilva. La vicenda triste dall’acciaieria è un indicatore del fallimento della politica industriale italiana degli ultimi trent’anni. È da troppo tempo che manca una politica industriale degna di questo nome. Manca la strategia, la pianificazione, la progettualità. Industrie e infrastrutture strategiche, il fiore all’occhiello di ogni Stato che punta allo sviluppo sostenibile, sono state abbandonate in questo ventennio berlusconiano (salvo rare eccezioni quando governava il centrosinistra) in cui era più importante inaugurare finti cantieri.