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Scuola per prove ed errori

Ci risiamo, le vacanze quasi alle spalle, i ragazzini pronti a tornare tra i banchi di una scuola che si fa strada a fatica tra errori, concorsi vecchi e nuovi, ricorsi e ritardi. Accantonata l'esperienza Gelmini, e sapete quante critiche abbiamo riservato all'ex ministro dell'Istruzione, la scuola italiana continua a fare acqua e speriamo che il ministro Profumo riesca davvero a metterci qualche toppa. 

Il "concorsone" annunciato una settimana fa dal governo Monti dovrebbe mettere a disposizione dei candidati 11.982 nuove cattedre. Una decisione che, ovviamente, ha suscitato preoccupazioni e le proteste dei docenti precari che, in questi anni, hanno potuto contare solo su supplenze, contratti a termine e graduatorie.

E il caos non si ferma qui visto che, quando inizierà il nuovo anno scolastico, in Lombardia una scuola su due non avrà il dirigente scolastico. Ieri, infatti, il Consiglio di Stato ha deciso di non sospendere la sentenza del Tar Lombardia che, il 18 luglio scorso, aveva annullato il concorso per dirigenti. Colpa delle buste utilizzate per gli scritti, troppo sottili (e dunque trasparenti) per garantire l'anonimato. Probabilmente le buste di scarsa qualità erano state utilizzate dal Ministero per contenere la spesa. Peccato si sia trattato di un risparmio di "Maria Calzetta". La conseguenza è che i 355 vincitori non potranno entrare di ruolo. Al loro posto ci saranno dei "reggenti" temporanei, prestati da altre scuole. Dunque presidi a mezzo servizio. E non certo per colpa loro. A farne le spese saranno comunque allievi e docenti.

Che dire poi della "lista di proscrizione" stilata da Viale Trastevere? Ieri il ministero, colto da una sorta di raptus di trasparenza, ha pubblicato in rete i nomi dei professori che hanno compilato le domande di preselezione per i "Tirocini formativi attivi", il corso di un anno che abilita all'insegnamento. Alle contestatissime prove hanno partecipato 150mila persone ma solo il 30% le ha superate a causa degli errori presenti nei quiz.

L'elenco pubblcato ieri, però, come riporta oggi il Corriere della Sera, non fa distinzione tra chi ha compilato le domande esatte, chi ha sbagliato e chi ha formulato quesiti ambigui. Si limita a riportare i nomi di tutti i 145 esperti che hanno lavorato ai test. Non so perché ma ho l'impressione che qualcuno, al ministero, abbia giocato un po' allo scaricabarile.

UN PAESE PRESO A SCHIAFFI

Qualche giorno fa ho letto un articolo che parlava dei nuovi processi di migrazione. Il punto centrale era di una novità assoluta, sorprendentemene amara. Nei primi dell'Ottocento, migliaia di persone migrarono dall'Argentina, dal Brasile, verso l'Europa, Spagna, Germania, Italia. Il fenomeno, oggi, è esattamente al contrario. Migliaia di giovani spagnoli, tedeschi, italiani stanno emigrando verso quei paesi, compresi quelli che un tempo chiamavamo Terzo Mondo, in cerca di fortuna. C'è una differenza, però, tra questi due processi migratori. I giovani che, nei primi anni dell'Ottocento, partivano per l'Europa, sorta di terra promessa, non avevano titoli di studio, erano operai, contadini, con il portafoglio vuoto ma il cuore gonfio di speranza. Oggi, i nostri giovani che migrano verso l'Argentina, il Brasile in cerca di futuro sono medici, biologi, architetti, ingegneri, le migliori teste d'Italia, d'Europa. Cercano altrove quello che qui non trovano, la possibilità di fare il loro mestiere, di crescere, di fare ricerca, di aprire strade sconosciute. Di fare quello che il grande Neil Armstrong ha fatto nel 1969 e che il presidente John F. Kennedy ha stigmatizzato 43 anni fa con queste parole: "Non abbiamo deciso di andare sulla luna perché è facile, ma perché è difficile".

Senza i pesanti tagli all'istruzione e alla ricerca messi in atto prima da Berlusconi e poi da Monti, avremmo potuto segnare un punto in controtendenza. Senza una riforma del lavoro come quella della Fornero avremmo potuto avere un mercato del lavoro più equilibrato e meno sbilanciato.

Un futuro precario, licenziamenti a gogò, lavoro in nero: questo è il futuro che attende i nostri giovani. Ed è normale che, in un panorama tanto desolante, con coraggio e determinazione guardino altrove. Ma quando il Paese si sarà svuotato dei migliori cervelli da che parte guarderà?

MARIA STELLA NEL PAESE... DEI TAGLI DI TREMONTI

Ohibò! cosa ha detto la ministra della Pubblica Istruzione a Ballarò? Roba da non credere. Dice che se il ministro Tremonti le avesse sottratto 13,5 miliardi di euro per la scuola glielo avrebbe detto, l'avrebbe quanto meno avvisata. Lei non ne sa nulla ma proprio nulla. Non c'è nulla da fare. Il ministro Maria Stella Gelmini si conferma alice nel paese delle meraviglie, peccato che il bianconiglio è Tremonti mani di forbice. Al di là delle favole, quello che stupisce e che lascia basiti è che un ministro non sappia che il suo collega Tremonti, quello che ha i cordoni della borsa, le ha tolto per la seconda volta una marea di fondi. E dire che Giulio mani di forbice lo aveva già fatto, aveva già taglieggiato l'istruzione e lei non aveva mosso un dito. Grave, inaudito e inaccettabile che un ministro che dovrebbe guidare l'istruzione pubblica non lo sappia. Non vedo, non sento, non parlo. Per capire i danni che l'ineffabile coppia della distruzione pubblica hanno perpetrato a danno di studenti e insegnanti basta farsi un giro nelle scuole italiane e ascoltare le puntuali denunce di insegnanti e famiglie. Non ci sono i soldi neanche per la carta igienica negli asili nido, non ci sono gli insegnanti di sostegno per bambini e ragazzi con difficoltà nell'apprendimento, molti edifici scolastici sono fatiscenti però il ministro Gelmini, questa volta in coppia con mister Brunetta annunciano il wifi in 5.000 scuole italiane a partire dal prossimo anno scolastico e per il 2012 internet sarà una realtà in 14.000 istituti scolastici. Che poi la maggior parte degli istituti scolastici italiani non abbiano neanche il computer è una piccineria, un'inezia. Costo dell'operazione wifi, 5 milioni di euro per quest'anno e altrettanti per l'anno prossimo, con l'impegno, udite udite, del ministro Brunetta in persona a incrementare le risorse attraverso la ricerca di sponsor e del ministro Gelmini attraverso il Fondo sociale europeo. Insomma, privati ed Europa, siamo alla solita litania quando c'è da tirare in ballo le risorse che non ci sono e mai ci saranno perchè l'obiettivo del governo Berlusconi è sfasciare la scuola pubblica a vantaggio di quella privata. E per la storia dei tagli di Tremonti? Nessun taglio, ha rassicurato la ministra in un'intervista. Quello che abbiamo tagliato sono gli sprechi e l'obiettivo resta la qualità nella scuola. Abbiamo risparmiato circa 300 milioni di euro riducendo gli appalti esterni nelle pulizie, abbiamo messo a punto con il ministro Brunetta un progetto di digitalizzazione della scuola che favorirà un risparmio di altri 118 milioni di euro in termini di risorse umane e strumentali. Ed ecco il massimo della propaganda: niente tagli, ma solo il consolidamento delal riduzione della spesa al 2008 non al 2011. Come dire, abbiamo consolidato la politica di tagli ma non abbiamo tagliato, abbiamo solo deciso di continuare a tagliare! Stupefacente. E allora, le magnifiche risorse? Arriveranno, si certo, un giorno forse, da sponsor e dall'Europa, quell'Europa bistrattata ma che serve sempre quando c'è da invocare fondi e aiuti. Una cosa è certa: al ministro della pubblica Istruzione Maria Stella Gelmini va l'Oscar come miglior ministro protagonista della propaganda berlusconiana.

Buona Pasqua a tutti. Arrivederci a martedì.

IL CAPOLAVORO DELLA GELMINI

Com’è solerte Maria Stella Gelmini. E’ bastato un articolo pubblicato sul giornale di famiglia – famiglia Berlusconi, s’intende- per far scattare gli ispettori. C’erano simboli politici in una scuola pubblica. No, no - che avete capito? - non sto parlando di Adro, ma di Livorno.  Questi i fatti. Ieri il Giornale ha pubblicato in prima pagina ‘Altro che Adro, a scuola sventola la bandiera rossa’. E poi, nelle pagine interne, la foto del vessillo comunista su un vecchio muro. Immediato l’intervento del ministro, che ha ‘ordinato un’ispezione nella scuola dell’infanzia San marco di Livorno. Il provvedimento – recita il comunicato del dicastero- si è reso indispensabile per verificare la notizia per cui sarebbe presente nell’istituto una bandiera del Partito dei Comunisti Italiani. La scuola è un’istituzione pubblica che deve garantire a tutti un’educazione imparziale ed autonoma rispetto a qualsiasi orientamento politico”. Quest’ultima parte è un capolavoro. Di comicità naturalmente. Se fosse vera la metà delle cose scritte, se la Gelmini le pensasse davvero così, il caso Adro non sarebbe mai esistito. Avrebbe mandato gli ispettori con la stessa immediatezza e la faccenda sarebbe stata risolta in un batter di ciglia. La prima considerazione da fare è quasi banale: ci sono due pesi e due misure per la Gelmini. I simboli leghisti possono restare dove sono, i simboli di altri partiti vanno rimossi. In ogni caso il ministro ha fatto una bella gaffe. I simboli comunisti non erano affissi sulla scuola, ma su un edificio poco distante, precisamente sul vecchio muro del teatro dove nel 1921 nacque il Partito Comunista Italiano. Il sindaco, Alessandro Cosimi, le ha risposto in modo impeccabile e tra le altre cose ha detto ‘al posto degli ispettori ci mandi i soldi’. Una figuraccia non da poco. Ecco cosa succede a fidarsi delle notizie pubblicate dal duo Feltri-Sallusti, gli agit prop di Berlusconi. Il ministro ha mostrato il suo vero volto ed ha confermato che vuole fare del ministero una succursale del Pdl. Mai nella storia della Repubblica il ministero dell’istruzione era sceso così in basso. Del resto nessun presidente del Consiglio si sarebbe mai sognato di nominare un ministro come la Gelmini. Un altro effetto perverso del berlusconismo.

L'ORTICELLO DELL'ONOREVOLE E' SEMPRE PIU' VERDE

Parlamento italianoParlamento italiano

Fatta la legge trovato l’inganno, recita un vecchio detto. Più che vecchio, superato, perché oggi, in Italia, si va ben oltre: fatta la legge fatto l’inganno. Questa volta se ne sono inventata un’altra: una specie di legge mancia scolastica. Ricordate cos’era la legge mancia? Una legge che assegnava ai parlamentari un bonus economico da spendere per la realizzazione di opere pubbliche. Da spendere dove e come voleva. Opere pubbliche in cambio di voti, insomma. Avevamo bloccato questa  vergogna negli anni del governo Prodi, ma il centrodestra l’ha subito riportata in auge. E, cosa grave, ne ha fatto un modello. Abbiamo scoperto, infatti, che le commissioni Cultura e Bilancio hanno a disposizione centoventi milioni di euro circa, stanziati nell’ultima finanziaria, per ristrutturare edifici scolastici, modernizzarli, migliorarli. Nobile lo scopo su cui siamo assolutamente d’accordo, pessimo il metodo. La somma sarà ripartita tra i singoli parlamentari delle commissioni e ognuno potrà spenderli come vuole. Naturalmente, salvo qualche illuminata eccezione, serviranno a finanziare opere che garantiscono al parlamentare un ritorno elettorale. Non è stato stabilito alcun criterio per l’assegnazione dei fondi, né il parlamentare dovrà rendere conto a qualcuno. Facciamo un esempio: nel collegio x ci sono tre scuole: una perfetta e moderna appena costruita, una che ha bisogno di qualche intervento ed una fatiscente. La prima è quella nella strada del deputato, la seconda e la terza sono situate in zone di interesse marginale dal punto di vista elettorale. Secondo voi a chi andrebbero i soldi…? Capisco che sia un esempio un po’ forzato, paradossale, ma non credo che sia irrealistico. Non essendoci criteri di priorità e di emergenza, quei soldi sono a disposizione, di fatto, per una sorta di campagna elettorale pagata con i soldi dei cittadini. Siamo all’istituzionalizzazione del clientelismo, insomma. A molti ciò può far comodo e non ci troveranno niente di sconcio. A noi no. Non ci sta bene e ci metteremo di traverso per far saltare questa porcheria. Non riteniamo giusto che, nello stesso momento in cui mancano fondi per la riforma dell’università, si regalino soldi a pioggia senza alcun criterio. Lo Stato ha il dovere di amministrare nell’interesse di tutti i cittadini e di gestire i fondi con oculatezza ed in base a reali esigenze e non di distribuire prebende clientelari.

UNIVERSITA’, LA CONTROPROPOSTA IDV

 

Nell’Italia paralizzata dalle beghe interne al governo, almeno una riforma vedrà la luce e sarà quella dell’Università. Niente da dire. Un paese che mette al centro l’istruzione è un paese che sceglie di puntare al domani. Peccato soltanto che la riforma in questione, che pure pone problemi legittimi, li affronti nella maniera sbagliata, dal primo all’ultimo. L’Italia dei Valori darà voto negativo al testo e proverò a spiegarvi perché. L’università, insieme con la scuola, è il luogo dove si crea il futuro. Per creare una società culturalmente valida, alla base degli organi d’istruzione deve esserci la qualità degli insegnanti, che deve essere valutata e premiata, perché è la sola variabile che determina il rendimento degli studenti, come comprovato ormai da innumerevoli ricerche condotte in tutto il mondo. La riforma Gelmini va in direzione esattamente opposta a tale obiettivo. Già, perché il testo peggiora ulteriormente l’attuale situazione, già di per sé grave, in termini di vantaggio per le baronie locali. E’ fondamentale, invece, liberalizzare la scelta degli insegnanti da parte degli istituti, vincolando al tempo stesso parti cospicue dei finanziamenti pubblici a oggettivi criteri di valutazione della qualità sia degli insegnanti che dell’insegnamento. Di modo che ogni università abbia la responsabilità delle proprie scelte ma venga penalizzata, e pesantemente, se non sceglie nel senso della qualità e della competenza. E’ inoltre necessario affiancare alle borse di studio tradizionali, che intervengono principalmente con funzione redistributiva a favore di figli di famiglie poco abbienti, una nuova fascia di “premi economici” assegnati esclusivamente in base alle capacità ed al merito particolare dello studente. E’ su questo che punta essenzialmente la controproposta che Italia dei Valori presenterà in termini di emendamenti, oltre, naturalmente, che sul capitolo risorse. La proposta Gelmini prevede fondi senza coperture, motivo per il quale, oltretutto, non passerà l’esame della commissione Bilancio. Le proposte di Italia dei Valori  prevedono invece importanti risorse per le quali indichiamo una serie di possibili coperture, riducendo alcuni vantaggi fiscali, in particolare per le banche. Tra l’altro dalla razionalizzazione delle sedi che proponiamo potrebbero venire sostanziosi risparmi. Sono fermamente convinto che, se prendesse vita la riforma Gelmini, così com’è attualmente, il Paese si avvierebbe verso un sicuro degrado, ulteriore rispetto a quello già in corso, che priva la società degli anticorpi necessari rispetto al ruolo dell’informazione televisiva, che sempre più prepotentemente si impone con valori discutibili. L’indebolimento dell’università, così come della ricerca e della scuola pubblica, la drastica riduzione del numero di insegnanti e operatori, l’impoverimento della didattica e tutto il resto che di negativo questo governo ha fatto finora nel settore, servono sicuramente a creare un popolo sempre meno attrezzato culturalmente e sempre più facilmente plasmabile.

SCUOLA MARCHIATA LEGA, QUANDO IL RANCORE DIVENTA POLITICA

 

La parola “folklore” che la Gelmini usa per definire la scelta del sindaco leghista del bresciano, di marchiare i banchi ed ogni arredo della scuola con il simbolo della Lega, ha una valenza decisamente troppo positiva. Il ministro dell’istruzione liquida con un commento grave e colpevole di complicità  un episodio che rientra nel rischio tribalismo cui il partito del Carroccio sta esponendo il Nord questo Paese. Da venti anni a questa parte, in modo sempre più preoccupante, la Lega dà un vestito politico al peggio della gente, a tutti quei veleni che in ogni cultura esistono, ma che normalmente vengono mantenuti sotto traccia perché le società hanno ogni interesse ad occultarli. Ebbene la Lega non fa altro che rendere legittimi questi inconcepibili veleni, questi sentimenti vergognosi che, con spavalderia, incoraggia per farne un sistema di rancori. Quello del sindaco di Adro, che fa comparire ossessivamente su finestre, ingressi, sugli arredi e persino sui contenitori dell’immondizia, il Sole delle Alpi, ne è solo l’ultimo, inquietante, esempio. Ma nel disegno del Carroccio c’è ben di peggio. Ho potuto farmene un’idea durante l’estate, visto che, non spostandomi dalla mia regione, ho avuto modo di leggere meglio la stampa locale. Quello che campeggia sulle prime pagine dei giornali veneti non è degno di un paese civile. Ogni parola, ogni sillaba, ogni pronome, ogni aggettivo, sembra appartenere ad un paese talebano, tribalizzato o a rischio tribalizzazione, dove ogni cosa, persona, giudizio che non faccia parte della tribù, è da considerare niente. Questo del sindaco del Bresciano è solo un episodio, che rientra, però, non a caso, in una serie di vicende che si moltiplicano e che rientrano in un fenomeno culturale pericolosissimo, ben più del berlusconismo, che finirà col finire di Berlusconi. Un fenomeno del genere rischia di prender piede e di trasformare definitivamente il Paese. L’atteggiamento non adeguatamente indignato della Gelmini di fronte a quest’ultimo episodio rientra nell’errore più grande di questo governo nei confronti di un fenomeno che avrebbe dovuto essere fermato sul nascere. Il Paese non avrebbe dovuto acconsentire a fare della Lega un partito di governo. La cultura dell’intolleranza, del diverso da eliminare e schiacciare a tutti i costi, avrebbe dovuto essere stigmatizzata immediatamente come cultura dei disvalori. Ma Berlusconi non avrebbe potuto fare a meno del partito del Carroccio, così, come sempre fa, ha messo il proprio tornaconto davanti agli interessi del Paese. E questo rappresenta forse la più grave responsabilità che il Cavaliere porterà con sé, forse più dell’utilizzo delle leggi ad personam, quella di aver consentito che le farneticazioni della Lega diventassero una cultura vera e propria, che resterà probabilmente radicata nel Paese. Le critiche alla Lega non mettono minimamente in discussione alcune legittime istanza che la gente porta avanti, come lo sperpero di denaro pubblico da parte di amministratori disonesti o la quantità d’immigrati clandestini che continuano ad arrivare sulle coste italiane. Questi sono problemi reali e di grande portata, cui vanno date delle risposte, ma sempre all’insegna di valori democratici, e mai permettendo alla Lega d’ingigantirli inserendoli in un sistema di disvalori. La colpa della non risoluzione di questi problemi è anche del centrosinistra, che non solo non li ha risolti, ma ha continuato a tapparsi gli occhi, facendo finta che non esistessero.

SCUOLA: UN’ITALIA IGNORANTE DA PLASMARE

GelminiGelminiUn’Italia ignorante, da plasmare a proprio piacimento: ecco il disegno della maggioranza, che si staglia purtroppo sempre più chiaramente, nel totale buio in cui va precipitando la scuola pubblica. Il grande Pietro Calamandrei, in un convegno sulla scuola pubblica a cui prese parte nel lontano 1950, avendo ancora fresca la memoria del fascismo, disse che, ove mai si fosse ripresentata nel nostro paese una forma di autoritarismo, non avrebbe certo fatto ricorso al manganello o all’olio di ricino, ma avrebbe piuttosto operato sul piano della cultura, della formazione del pensiero e quindi sull’orientamento dell’opinione pubblica e della classe dirigente del Paese. Per questa ragione, riteneva Calamandrei, un ipotetico “partito dominante” avrebbe progressivamente impoverito la scuola pubblica fino a lasciarla morire di inedia e avrebbe contestualmente investito sulle scuole private che sarebbero diventate lo strumento di diffusione della sua “cultura”. Calamandrei non poteva certo immaginare, nel 1950, che per creare una propria visione culturale al cosiddetto “partito dominante”, non sarebbe stato necessario dar vita a una rete di scuole private, in quanto a questo avrebbe ampiamente pensato la televisione. Sta di fatto, comunque, che, come tutti i grandi uomini, ha saputo vedere lontano. I 7 miliardi di euro tagliati alla scuola pubblica, i quasi 100 mila insegnanti e operatori licenziati, l’impoverimento della didattica, la diminuzione del numero di ore di insegnamento, serve sicuramente a creare un popolo sempre meno attrezzato culturalmente e sempre più facilmente plasmabile con messaggi televisivi. Ormai le scuole pubbliche sono alla fame, dalla città di Crema, passando per Roma e per finire a Catania, gli istituti devono chiedere contributi alle famiglie dei ragazzi per comprare carta igienica, saponi, piatti e bicchieri di carta. A Catania una scuola ha dovuto chiedere un contributo di 100 euro alle famiglie per banchi, lavagne e cattedre. A Milano una scuola media ha dovuto chiedere un contributo di 40 euro per garantire lezioni pomeridiane. E l’elenco non avrebbe mai fine. Ma, a rendere veramente inquietante la situazione, è il fatto che non solo si sta cercando di lasciar morire di fame e inedia la scuola pubblica, ma che, addirittura, è ormai la cultura dei disvalori propagandati da questa maggioranza di destra che sta facendo breccia nella stessa istruzione. Una scuola pubblica di Pordenone ha organizzato una gita scolastica degli allievi sulla base del loro reddito: i benestanti a Londra in buon albergo, i più poveri a Monaco in una pensione con i pidocchi. In un comune del Vicentino, due giorni fa, alla scuola materna il sindaco e l’assessore, entrambi giovani donne, hanno deciso di lasciare a digiuno 9 bimbi dell’asilo nido perché i genitori non avevano ancora pagato la retta. Ma cosa ci sta succedendo? Stiamo assistendo al calpestamento di ogni sensibilità e del significato stesso di scuola pubblica e, come dice oggi Massimo Gramellini sulla Stampa, “spaventa il pensiero di come cresceranno i discriminati di Vicenza e di Pordenone. Ma spaventa ancora di più come cresceranno i privilegiati: privi dei vincoli minimi di solidarietà, per insegnare i quali la scuola pubblica era nata”.

LA FINANZIARIA CHE NON C'E'

 TremontiTremontiI ministri del Governo Berlusconi sono sul piede di guerra per i tagli inflitti ai loro dicasteri. Urlano e strepitano contro il collega dell’Economia. In realtà, è tutta una pantomima, un’ipocrita gioco delle parti. Il bastone del comando ce l’ha in mano Giulio. E’ lui che apre e chiude i cordoni della borsa e tutto è già stato deciso. Agli altri non resta che fingere di essere indignati.E’ avvilente dover constatare che la politica economico-finanziaria di questo Governo si riconferma essere solo una politica di tagli, che colpisce nel mucchio, senza andare a distinguere il grano dalla gramigna. Si taglia sulla sicurezza. A fronte dei 3 miliardi di euro soffiati alle forze dell’ordine negli ultimi tre anni, si ridà loro 100 milioni, una colossale presa per i fondelli.Si taglia sulla giustizia. In tre anni, hanno ridotto del 40 per cento le spese correnti, però di contro pretendono di fare i processi in sei anni. Si taglia sulla scuola. In quattro anni hanno tagliato 7 miliardi e mezzo di euro, dimezzando i fondi per le università e la ricerca, però di contro parlano di merito e qualità.Le risorse messe in campo dal Governo in questa Finanziaria sono solo di 3 miliardi di euro. Il resto è affidato dal gettito che verrà, se verrà, dallo scudo fiscale.Di sgravi fiscali per i cittadini e le famiglie si parla eccome, anzi si fa solo quello, perché non c’è un soldo vero. Come e quanto sgravare dipenderà dall’andamento dello scudo fiscale, ovvero, da quanti soldi evasi rientreranno in Italia, grazie alla garanzia dell’anonimato e dell’impunità. Con i soldi che forse verranno, quando e quanto non si sa, il Governo dice che farà di tutto, anzi di più. Rinnoverà il contratto del pubblico impiego, gli incentivi per il risparmio energetico, i fondi per l’Università, per le missioni all’estero, per diminuire le tasse sui lavoratori dipendenti e dei pensionati e la detassazione delle tredicesime. Tutte buone intenzioni, un po’ troppe forse, che, rimarranno tali, se il povero scudo non ce la farà, come è probabile, a coprire tutto.Del promesso taglio dell’Irap si è persa ogni traccia. Così come dello sblocco dei fondi per la ricerca, la detrazione fiscale per il risparmio energetico degli edifici, le misure fiscali a favore del lavoro chieste dai sindacati e, infine, le risorse per la sicurezza e la giustizia. Una cosa colpisce, però, di questa Finanziaria. Tremonti taglia qualunque voce di spesa, paralizza l’attività legislativa del Parlamento perché le leggi in discussione non hanno copertura finanziaria, ignora le legittime esigenze di tante famiglie e delle imprese, ma trova i soldi per rifinanziare la legge Mancia, quel caravanserraglio di  onorevoli prebende, con ben 50 milioni di euro. Alla faccia della finanziaria leggera e della gravità della situazione economica italiana.Noi non solo chiederemo, così come in passato, l’abolizione di questa scandalosa legge ma presenteremo la nostra Finanziaria che, con responsabilità e realismo, affronterà i reali problemi economici del Paese.