ANNO NUOVO, BLOG NUOVO, PER DIRE STOP ALLA DEMAGOGIA POLITICA. PUNTATA N.2: IL WELFARE DELLE DONNE

 

donne

 

Il lavoro e il welfare delle donne. Temi spesso al centro dello scontro politico, ma difficilmente affrontati fuori dalla retorica e dalle frasi di circostanza.

E’ successo anche in occasione del recente dibattito parlamentare per l’approvazione della norma proposta dal governo che ha elevato,  nel solo pubblico impiego,  l’età pensionabile delle donne da 60 a 65 anni. In questa circostanza credo che, ancora una volta, il centrosinistra si sia lasciato sfuggire una vera sfida riformista e di questo vorrei confrontarmi con voi.

L’iniziativa del governo prendeva a pretesto una procedura di infrazione aperta dall’Unione Europea all’Italia per il differente trattamento pensionistico tra uomini (che vanno in pensione a 65 anni) e donne (che vanno in pensione a 60 anni) e chiedeva all’Italia di uniformare la normativa. Dico che è stato un pretesto, perché il governo aveva bisogno di rastrellare quattrini e non gli è parso vero di avere una scusa per mettere le mani sulle pensioni delle donne, e fare cassa. Mentre, invece, le procedure di infrazione che non gli fanno comodo (vedi Rete 4) restano nel cassetto per lustri.

Ora che la breccia è aperta, credo non ci vorrà molto perché dal pubblico impiego si passi ai 65 anni anche nel settore privato e se, a farlo, sarà questo governo, ancora una volta farà soltanto cassa a spese delle donne.

La sinistra riformista, a mio avviso, avrebbe dovuto accettare la sfida dell’equiparazione della pensione a 65 anni per tutti, sia nel pubblico che nel privato, ma avrebbe al contempo dovuto affermare con forza che quei soldi risparmiati sono e devono restare delle donne.

Oggi in Italia l’occupazione femminile supera di poco il 40%, ed è quasi del 20% inferiore alla media dei paesi europei più progrediti. Non solo, gli stipendi delle donne  sono in media del 20-25% inferiori a quelli degli uomini nel settore privato. E questo è dovuto soprattutto al fatto che lo stato scarica sui privati (donne e imprese) il costo sociale della maternità e del ruolo che la donna svolge all’interno della famiglia.  Per cui è evidente che all’impresa il lavoro femminile “conviene” di meno.

La pensione a 60 anni remunera la donna di tutti questi svantaggi, ma forse non lo fa nel modo più giusto.

Innanzitutto perché non è uno strumento “inclusivo” di equità sociale: se ne avvantaggia cioè soltanto quel 40% di donne che lavora, non serve a portare più donne nel mondo del lavoro. Inoltre interviene a posteriori, non nella fase della vita in cui una donna spesso cumula sulle sue spalle il triplice ruolo di lavoratrice, madre e di conduzione della famiglia.

Con i risparmi derivanti dall’innalzamento dell’età pensionabile è invece ancora possibile istituire, sul modello di paesi come Germania, Francia  e paesi del Nord uno stato sociale che accompagni la famiglia nella fase della maternità.

Penso ad una rete di asili nido davvero capillare (oggi coprono solo il 10% della domanda) che facciano orari sovrapponibili a quelli di lavoro.

Penso a contributi statali per costruire asili nido aziendali  nelle medie e grandi aziende

Penso ad un ampliamento del tempo di congedo per maternità.

Penso all’ipotesi di potersi avvalere (obbligatoriamente per il datore di lavoro) del part – time nel primo anno di vita del bambino prevedendo agevolazioni contributive per l’azienda.

Penso ad un assegno integrativo del reddito familiare, per uno o due anni, per quel coniuge che decide di abbandonare temporaneamente il lavoro per seguire un neonato, prevedendo altresì agevolazioni per le aziende che poi riassumono il coniuge che rientra nel mercato del lavoro.

Sono tutte misure che avrebbero effetti straordinari sia sulle famiglie sia sull’economia del paese. Porterebbero molte più donne a lavorare (e si tratta di donne che spesso hanno un alto titolo di studio e potrebbero  ricoprire alti profili professionali), nascerebbero più figli, risollevando una curva demografica che nel nostro paese è miseramente piatta. Creerebbero più crescita e più occupazione. Tenderebbero a ridurre le differenze salariali tra uomo e donna.

Si tratterebbe insomma non solo, come oggi, di riconoscere un vantaggio a quella minoranza di donne che ha lavorato, ma di creare un vero e proprio investimento sociale a vantaggio di tutte le donne e della società italiana nel suo complesso.

Il megafono delle bugie

megafonoChe sia in pericolo la libertà di stampa è una barzelletta raccontata dalla minoranza comunista e cattocomunista e dai suoi giornali, che sono il 90% della stampa. Per loro la libertà di stampa è libertà di insulto, mistificazione, diffamazione. Sono stato costretto a rivolgermi alla magistratura per stabilire un principio importante, che la libertà di stampa non è libertà di insulto". Sono parole di Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, proprietario di tv private e giornali, controllore della Rai, tycoon dei media. La strategia di Berlusconi è chiara: ripetere ed amplificare un messaggio palesemente falso sino a farlo diventare reale per milioni di cittadini che non hanno accesso ad una informazione libera. E´ una strategia vecchia, ben conosciuta ed adoperata dai regimi totalitari nell’ultimo secolo. Una strategia che non possiamo e non dobbiamo sottovalutare. Da oggi tutti i mezzi di comunicazione divulgheranno la parabola di Silvio, daranno spazio alla tesi dell’informazione controllata da comunisti e cattocomunisti. In una qualsiasi democrazia occidentale un simile leader politico non verrebbe neanche preso sul serio. In Italia è il capo del governo. Anche perché controlla direttamente o indirettamente televisioni e giornali. Sono molti i giornalisti servili e pronti a dare in pasto agli italiani la verità del messia Berlusconi. Senza contraddittorio. Le voci delle opposizioni, in particolare quella dell´Italia dei Valori, sembrano essere sparite nel nulla. Ridotte a una voce fuori campo, fuori da un contesto credibile. Per questo la manifestazione del 19 sulla libertà d’informazione assume un significato ancora più importante per la nostra democrazia.

ANNO NUOVO, BLOG NUOVO, PER DIRE STOP ALLA DEMAGOGIA POLITICA. PUNTATA N.1: LE GABBIE SALARIALI

bossi-e-le-gabbie-salariali A settembre, come ogni anno, parte una nuova stagione della nostra vita politica e, come si suol dire, stagione nuova…blog nuovo. Scherzi a parte, settembre vedrà molti cambiamenti per questo blog, che è ancora piccino, ma sta crescendo vorticosamente, con il contributo di tutti voi. Pensate che a luglio siamo arrivato a 154.000 accessi. Da fine mese sarà pronta la nuova veste grafica del sito, con una rinnovata piattaforma, più professionale. Ma, soprattutto, ho intenzione di dedicare molto più spazio ad interventi che siano di proposta sui temi caldi dell’agenda politica del nostro paese: dall’economia, al lavoro, al welfare; contribuendo sempre più a delineare un profilo di Italia dei Valori come forza riformista alternativa di governo. Quello che non cambierà è la mia filosofia di fondo. Questo blog resterà un luogo dove parlare con schiettezza, dove dire le cose perché sono vere e non perché fanno piacere. Dove affrontare temi anche spinosi e che dividono, accettando le osservazioni e le critiche più dure. Quello che non sopporto di tutta la politica italiana è che si trattino gli elettori come due contrapposte tifoserie di “ultras”, accendendone gli animi con demagogia e parlando di tutto con straordinaria superficialità ed incompetenza, rincorrendo soltanto un facile consenso da “stadio”. Per questa ragione inizio la nuova stagione con un testo non mio, ma che ho molto apprezzato e condiviso. Un testo che rende chiaro quanto la proposta lanciata dalla Lega durante il mese di Agosto, quella sulle gabbie salariali, fosse solo uno slogan per superare la mancanza di argomenti tipica della stagione estiva. Il testo in questione, di cui vi propongo un’ampia sintesi, è stato scritto dal Professor Sandro Brusco, docente di Economia all’università di New York ed animatore di un blog di giovani economisti italiani che insegnano negli Usa. Il loro sito si chiama noisefromamerika.org ed è un interessante punto di vista sulla politica e l’economia del nostro paese. LINK: FILE PDF DELL'ARTICOLO DEL PROF. SANDRO BRUSCO

Il regime si è palesato

berlusconi2-300x2131 I giornalisti cane da guardia della Democrazia? Non in Italia. Non secondo Silvio Berlusconi. Perché con la sua ultima sparata il presidente del Consiglio ha davvero passato ogni limite della decenza. Il regime si è palesato: secondo  Silvio Berlusconi i giornalisti non possono né devono fare domande al presidente del Consiglio.  Se qualcuno lo fa, li denuncia per diffamazione. Può sembrare una notizia incredibile, letta su un libro di fantapolitica. Non è così. Succede in Italia. L’ennesimo attacco di Silvio Berlusconi a Repubblica è vergognoso. Il premier ha chiesto un risarcimento danni per un milione di euro al Gruppo L'Espresso solo perché  Giuseppe D’Avanzo si è permesso di porgli 10 domande.  E' la prima volta "nella storia dell'informazione che le domande di un quotidiano finiscono davanti a un tribunale civile". L’attacco di Repubblica al premier non è il primo nei confronti dei media. Senza tornare ai tempi  dell’editto bulgaro quando se la prese con Biagi, Santoro e Luttazzi, basta stare alle ultime settimane. Prima attacchi frontali con dichiarazioni allarmanti contro La Rai e i giornali che si permettono ogni giorno di criticare le magnifiche gesta del nostro presidente operaio, spazzino, muratore. Poi l’esortazione alle grandi imprese a non pubblicizzare i loro prodotti sui media che, secondo il premier, non diffondono ottimismo in un periodo di crisi. Ora la querela e un milione di euro di risarcimento danni al gruppo Espresso. Il fatto reale è che Repubblica e' colpevole di essere uno dei pochi mezzi di informazione rimasto a fare un giornalismo basato sui fatti e sulle verita' anche scomode per il potere. Ed è proprio questo che Berlusconi non riesce proprio ad accettare. Un uomo che ha costruito le sue fortune politiche sulla menzogna e la sistematica distorsione della realta' non può sopportare l’idea che ci siano giornalisti con la schiena dritta che pretendono di fare il loro lavoro in assoluta libertà. La verità è che il premier vorrebbe soltanto un giornalismo servile pronto a raccontare le sue gesta e i suoi proclami. Tutto questo non si può accettare. La libertà di stampa è il cardine e il cuore del sistema democratico. Per questo auspichiamo che assieme all'Italia dei valori tutte le altre forze di opposizione la smettano di partecipare al tavolo partitocratico di spartizione delle poltrone Rai, dove, per altro, si accontentano delle briciole, e diano vita, con noi, a una grande azione di denuncia perchè non sarà possibile sconfiggere Berlusconi finchè non avremo scardinato il suo controllo sui media e sull'informazione.

Poliziotto buono-Poliziotto cattivo? Un gioco che deve finire

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Il poliziotto buono - il poliziotto cattivo. Berlusconi-Fini. Due facce della stessa medaglia. Il primo governa il paese a botta di decreti con l’assenso sostanziale del poliziotto-Fini e dello stato maggiore del Pdl. L’altro, si erge a difensore “buono” della Costituzione, che fa la ramanzina e lascia che nulla cambi. Tante buone parole che non incidono sul comportamento antidemocratico del Governo Berlusconi.

La tecnica usata dalla polizia britannica è applicata a puntino. Ieri il presidente della Camera, per l’ennesima volta in questo anno e mezzo di legislatura, lancia il suo monito al Governo: “Nessuno da parte del governo puo' pensare di non doversi confrontare con il Parlamento ne' di poter esautorare il Parlamento dal diritto-dovere di controllare”. Ritornello sentito tutte le ventitre volte che il Governo ha posto la fiducia. Ogni volta qualcuno, dalle parti del Pd, in buona fede, applaude e tesse le lodi dello statista Fini. Il punto è che, i suoi appelli cadono nel vuoto, senza che nulla cambi. La sceneggiatura si snoda più o meno sempre allo stesso modo.

A questo punto, poco conta il fatto che Fini sia più o meno in buona fede, che creda o meno in quello che dice. Il fatto è che ormai si è ridotto a dare una patina di credibilità istituzionale alla gestione antidemocratica che la sua parte politica fa del governo e della funzione legislativa.

Per l’appunto il gioco del poliziotto buono e del poliziotto cattivo, che, alla fine, stanno tutti e due dalla stessa parte. La prova, mai ce ne fosse stato il bisogno, è venuta proprio ieri, quando nella sua ennesima critica Fini ha però precisato che in fondo non c’è nulla di nuovo sotto il sole, che quello dell’abuso della fiducia è un malvezzo di tutti i governi. Come dire: tutti colpevoli, nessun colpevole.

Eh, caro Fini! Questa non ce la beviamo proprio. L’azione di questo governo non può in nessun modo essere paragonata a quella dei governi che l’hanno preceduto. Il suo tentativo di sminuire il comportamento antidemocratico di questo esecutivo, sembra tanto da parte sua, l’aver gettato la maschera del poliziotto buono. Questo governo, infatti, non solo abusa della fiducia, ma ha letteralmente stravolto la funzione legislativa prevista dalla Costituzione. E’ un governo che legifera solo con decreti leggi. Decreti che vengono poi sistematicamente approvati con il ricorso al voto della fiducia. Una fiducia che viene apposta su un testo blindato senza che il parlamento possa nemmeno modificarlo. Ridotto ormai a semplice passacarte.

Ma non è tutto. Il decreto legge è soggetto alla preventiva verifica di legittimità da parte del Presidente della Repubblica. Ed ecco allora che questo governo in occasione di ogni voto di fiducia modifica completamente il testo approvato da Napolitano inserendovi parti nuove, così ampie, così diverse per materia e scopo, da costituire ciascuna un vero e proprio decreto legge, non soggetto al preventivo vaglio di legittimità del Presidente della Repubblica. E con questo strumento, ormai, tante volte si sono introdotte nel nostro ordinamento norme incostituzionali o, comunque, così lontane dalla storia, dalla cultura, dalla tradizione giuridica del nostro paese che ognuna di queste norme è uno sfregio alla nostra democrazia.

Questa è la realtà di questo governo e lei, caro presidente Fini, lo vada a raccontare a qualcun altro che non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Lo vada a raccontare a quel sistema dell’informazione di regime che ormai il nostro paese si ritrova. Ma non pretenda che noi le battiamo le mani. Noi chiamiamo le cose con il loro nome e quello che lei ha fatto ieri è soltanto ipocrisia e faziosità politica.

 

Anticrisi? No, salva-casta

 

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“Siamo tra i peggiori paesi al mondo per corruzione”. E’ l’allarme lanciato da Tullio Lazzaro, presidente della Corte dei Conti, l’11 febbraio 2009, nel corso della relazione annuale. L’intervento del governo è stato immediato e tranciante come una mannaia. Naturalmente sulla magistratura contabile, non sulla corruzione. Tra il 2004 ed il 2008 la Corte ha recuperato 34 milioni di euro sui 220 milioni accertati e per i quali è in corso la procedura di riscossione. Un piccolo patrimonio tornato a disposizione dei cittadini e che, con maggiori controlli sui bilanci delle pubbliche amministrazioni, potrebbe essere ben più consistente. Basti pensare che sperperi e mala amministrazione si sono tradotti in atti di citazione in giudizio per un totale di circa un miliardo e 700.000 euro nei soli settori della sanità e dei rifiuti. Ma soprattutto un controllo sulla qualità e l’onestà dell’amministrazione pubblica, il cui immenso valore si misura non tanto sui soldi recuperati, ma sul fatto che i politici, sapendo di essere sotto controllo, evitano condotte illegali e di stampo clientelare. Il governo, ma non c’era da dubitarne, ha invece approvato norme, nel decreto anticrisi, che vanno in senso contrario, che rendono la casta ancora una volta intoccabile, che spuntano le armi e i controlli della magistratura e aprono nuove autostrade a sperperi, malversazioni con la ragionevole speranza dell’impunità. Norme salva-casta per garantire l’impunità ai politici e limitare le indagini della magistratura contabile. Ed ecco quindi che si limita l’avvio delle indagine solo qualora ci sia dolo o colpa grave. Ed è un vero controsenso: senza indagini come si fa a scoprire il dolo o la colpa? Anche la centralizzazione e la gerarchizzazione mettono la Corte dei Conti sotto il controllo dell’esecutivo. Un fatto gravissimo che impedirà la scoperta di molti casi di corruzione nelle pubbliche amministrazioni. Il progetto politico del centrodestra è chiaro, ma noi continueremo a dare battaglia contro queste norme criminogene.

Intervista rilasciata a "il Riformista"

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Pubblico una mia intervista apparsa ieri su "il Riformista". Vorrei conoscere la vostra opinione in merito.

«Non possiamo certo rimanere inermi di fronte all'offensiva di Berlusconi. Ma Di Pietro non deve portare avanti lo scontro frontale con Napolitano. Così rischiamo di fare il gioco del premier». Massimo Donadi, capogruppo dell'Idv alla Camera, spiega al Riformista perché stavolta si smarca da Tonino.

Onorevole Donadi, siete in guerra contro il Quirinale. La convince la strategia del suo partito? Senta, per quanto mi riguarda, io riconosco che il compito del presidente della Repubblica deve essere per definizione improntato al massimo equilibrio. Aggiungo che, soprattutto in questo momento, con una maggioranza così allineata al suo capo, il ruolo di Napolitano è ancora più delicato. È Berlusconi che ha tutto l'interesse a portare i rapporti con il Colle sul filo del rasoio. La prova? Ricordi quello che accadde con Oscar Luigi Scalfaro. La sua analisi, però, porta a un approdo diverso da quello di Di Pietro... Di Pietro solleva un tema decisivo per la democrazia. Basta guardare a come si muovono Berlusconi e i suoi. Non ci sono solo il lodo Alfano, la legge sulla sicurezza e quella sulle intercettazioni. Oggi il Pdl ha approfittato del decreto anti-crisi per inserire alla chetichella una norma che consente al procuratore generale della Corte dei conti di indagare sugli sprechi della politica solo in caso di «dolo» e «colpa». Ma come fa a sapere se ci sono «dolo» e «colpa» se prima non indaga? È l'ennesima norma scandalosa, una norma contro la trasparenza... Ecco, tenendo in considerazione tutto questo scenario, forse la prudenza istituzionale del Colle può agevolare il disegno berlusconiano. Resta il fatto che l'Idv ha convocato una manifestazione non autorizzata sotto il Quirinale. L'idea della manifestazione non mi ha convinto. La tentazione anche legittima di forzare la mano di Napolitano rischia di portarci al risultato opposto. In che senso, scusi? Così facendo, rischiamo di “costringere” il capo dello Stato ad essere ancora più prudente. Mi creda, l'Italia dei valori riconosce la grande valenza istituzionale della lettera che Napolitano ha accompagnato alla «promulgazione piena» della legge sulla sicurezza. Pensi che il suo contenuto è diventato una nostra mozione. Più che altro guardate come ha reagito la maggioranza: Maroni s'è limitato a dire che farà qualcosa quando sarà l'ora di scrivere i regolamenti attuativi... Resta il fatto che Di Pietro ha parlato di intervento «piuma». E ieri, scrivendo a Napolitano, lo ha anche accusato di «offese gratuite». Certo, nel suo intervento dell'altro giorno il capo dello Stato è stato molto esplicito. Ma sono convinto che il presidente della Repubblica non avesse la benché minima intenzione di offendere Di Pietro. Napolitano è un galantuomo. Ripeto: forse il Quirinale sta seguendo la linea del tatticismo esasperato. Ma la logica dello scontro frontale finirà per portarlo nella direzione opposta rispetto a quella che vogliamo. Con l'aggravante che l'unico ad avvantaggiarsi rischia di essere, alla fine, Silvio Berlusconi.

Da “Il Riformista” del 23 luglio 2009

La bufala del 'Piano Casa'

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Il piano casa sbandierato da Berlusconi è una clamorosa fregatura. I 100.000 alloggi da costruire in 5 anni sono una chimera perché non ci sono soldi. Il governo Prodi aveva stanziato 550 milioni per l’edilizia popolare, Tremonti li ha fatti sparire per poi annunciare in pompa magna il piano casa con un investimento di 200 milioni. Meno della metà. Complimenti. Vien voglia di segnalarlo a qualche sito ‘antibufale’…

 

Certo è necessario rilanciare l’economia ed anche il settore edilizio. Ma in questo modo, senza vincoli e con la semplificazione delle procedure, otterremo l’effetto contrario. Non ci saranno case per le fasce deboli, ma speculazioni, con la sostanziale ‘abrogazione’ dei piani regolatori assisteremo ad una cementificazione selvaggia che danneggerà un territorio già massacrato dalle speculazioni. L’Istat in un rapporto del 2007 ha stabilito che in quindici anni sono stati erosi 3 milioni e 663 mila ettari. Una superficie pari a quella di Lazio e Abruzzo insieme. Per far lavorare qualche palazzinaro si sacrifica l’ambiente e si deturpano paesaggi e città.

 

Noi guardiamo al futuro e proponiamo altro: sostegno, aiuti, incentivi e sgravi per chi costruisce secondo i criteri dell’edilizia sostenibile.  Costruire nuove case nel rispetto dell’ambiente significa consumare meno risorse, inquinare meno, ed anche creare nuovi posti di lavoro qualificati ed un indotto economico positivo. Facciamo un esempio concreto: in Germania, tra il 2002 ed il 2004, in piena crisi edilizia, sono stati creati 25.000 nuovi posti di lavoro grazie ai lavori di ristrutturazione per aumentare l’efficienza energetica e la resa ambientale degli edifici. Un esempio che questo governo proprio non vuole seguire.

Le frottole del Governo: 1.200.000 clandestini sanati

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Il disegno di legge su cui già sono caduti gli strali del Presidente della Repubblica, più che mirare a salvaguardare la sicurezza dei cittadini, fa pericolosissime chiacchiere. Il governo, infiocchettandolo con una serie di belle parole ad effetto, ha concepito un provvedimento che di fatto andrà a peggiorare la situazione della clandestinità, gravando, per altro, sulle tasche dei cittadini.

La mia impressione, è, purtroppo, che questo disegno di legge sulla sicurezza sia solo un manifesto ideologico, un  provvedimento all’apparenza feroce, privo, in realtà, di alcuna sostanza.

Solo nel 2002, dal cilindro magico di un altro governo Berlusconi, è venuta fuori la Bossi-Fini, legge in apparenza spietata contro immigrazione e clandestinità, in sostanza del tutto inefficace ed anzi controproducente. Il risultato è stato un mare di clandestini nel nostro paese, che ha costretto poco dopo, il governo ad emanare una megasanatoria per la regolarizzazione di 650 mila clandestini.

Oggi, a sette anni di distanza, altro giro, altro involucro d’effetto, altre parole di facciata, stessa identica storia: una nuova legge dalla finta faccia crudele, priva di sostanza, una propaganda per appagare la pancia leghista. Un altro buco nell’acqua, che genererà solo danni alla popolazione. Il reato d’immigrazione clandestina ha trasformato milioni di clandestini che vivono in Italia in criminali, ma con impossibilità per lo stato di identificarli e trasferirli. Ve l’immaginate un milione di processi nella nostra Italia dalla giustizia sgangherata?

Il governo ha generato, forse senza valutarne le conseguenze, un mostro. Ora, spinto dal timore di non riuscire a gestirlo, si è visto costretto ad un’ennesima sanatoria, quella che mira, solo a parole, alla regolarizzazione delle badanti, ma che finirà per coinvolgere anche tante finte badanti o veri e propri delinquenti. La stima del governo è di 200 o 300 mila persone, ma, stando ai dati sulle presenze irregolari, forniti dalle associazioni del settore, i numeri potrebbero almeno raddoppiare.

Agli italiani, da tutto ciò, deriverà, oltre all’inganno, anche un profondo danno economico, 500 euro a famiglia, proprio in un momento in cui la crisi dovrebbe portare in tutt’altra direzione. Saranno i cittadini infatti, a dover pagare, se bisognosi del servizio reso dalle badanti, il costo economico del reato d’immigrazione clandestina imposto dal governo.

 

 

Quirinale, il pericolo peggiore non è lo scontro

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Lo dico apertamente. Sono un convinto sostenitore del buon operato del Presidente della Repubblica Napolitano. C’è poco da fare, a tutti noi piacerebbe un Presidente super interventista e baluardo attivo nella difesa di quella costituzione che avvertiamo quotidianamente in pericolo. Ma non è questo il ruolo che l’ordinamento gli attribuisce né, tantomeno, sono questi i poteri che la Costituzione ha previsto per lui.

Il suo è un ruolo basato sulla sola capacità di persuasione e di convincimento delle forze politiche, e del governo in particolare, con l’unico potere di intervento diretto rappresentato dalla facoltà di non controfirmare una legge (ma che deve comunque controfirmare se il parlamento la riapprova tale e quale).

E la capacità di persuasione, ovviamente, è tanto più forte quanto più il Presidente riesce ad interpretare il sentimento e le aspettative di tutto il Paese e non soltanto di una parte di questo.

In quest’ottica, ho approvato la quasi totalità degli atti compiuti da Napolitano nell’ultimo anno, compresa la firma del Lodo Alfano, che potrà anche essere, come fermamente credo, una porcata politica ed una norma incostituzionale ma, avendo recepito quasi tutte le critiche mosse dalla Corte Costituzionale al lodo Schifani, non era così palesemente incostituzionale da consentire al Presidente di rifiutare la firma.

 ***

Detto questo, l’appello di ieri di Napolitano, ad abbassare i toni dopo il G8, proprio mi risulta incomprensibile.

Tante volte abbiamo sentito, da tanti Presidenti della Repubblica, generici appelli alla pacatezza ed alla civiltà del confronto politico. E, se ci si fermiamo all’ovvio, non c’è proprio nessuno che auspichi un confronto politico “inutilmente feroce” ed “incivile”.

Dove sta allora la parte incomprensibile e, conseguentemente, inaccettabile, dell’appello del Presidente Napolitano?

Sta nel fatto che questo appello giunge in un momento particolarissimo della nostra vita politica, dopo alcune settimane di offensiva da parte di un coraggioso gruppo editoriale e delle opposizioni parlamentari, tesa a denunciare una serie di fatti politici di una gravità che non ha precedenti negli ultimi decenni.

Il primo è lo scandalo sessuale che vede coinvolto in prima persona il presidente del Consiglio, per il quale è stato provato che egli ha  mentito più volte agli italiani.

Una delle più alte cariche dello Stato, colui che dovrebbe guidare le sorti del Paese, si circonda di minorenni e prostitute, disegnando un quadro di degrado morale che non ha precedenti nella storia della penisola dai tempi di Caligola.

Il secondo è  la legge sulle intercettazioni, che è ancora lì, non cambiata di una virgola, quella che possiamo definire il più grande regalo di tutti i tempi alla criminalità organizzata.

Il terzo, è la legge sul testamento biologico, una legge confessionale ed oscurantista, che cancella la libertà dei cittadini di decidere sul loro fine vita.

Il quarto, la decisione della Consulta sul lodo Alfano, con una Corte costituzionale vilipesa ed umiliata dalla cena “carbonara” tra due alti giudici e rappresentanti del Governo che l’hanno disonorata.

Il quinto ed ultimo, appena due giorni fa, la proposta di scudo fiscale tombale, l’ennesima legge porcata che prevede un vero e proprio riciclaggio di Stato di soldi sporchi con annesso colpo di spugna sui reati societari e tributari.

Il tutto, poi, in un contesto dove, giorno dopo giorno, la libertà d’informazione va sempre più a farsi benedire, ed è ormai quasi impossibile, in questo paese, leggere in un giornale o ascoltare da una televisione qualcosa di diverso dal pensiero unico berlusconiano.

In questa situazione, l’invito al dialogo per le riforme e alla moderazione dei toni, espresso dal Presidente della Repubblica, finisce inevitabilmente con l’apparire rivolto principalmente alle opposizioni, ed acquista così  un sapore amaro e, ovviamente, involontariamente beffardo.

Non dubito delle buone intenzioni  del Presidente Napolitano, anzi, proprio per questo, desidero indirizzargli un auspicio.

Questa legislatura richiede senz’altro, al Presidente della Repubblica, uno straordinario equilibrio ed una enorme attenzione nel dosare i propri interventi, in quanto uno scontro frontale e costante tra l’esecutivo ed il Presidente della Repubblica sarebbe, in realtà, uno  scenario graditissimo per Berlusconi. Tuttavia intravedo per la Presidenza della Repubblica, un pericolo peggiore anche rispetto allo scontro frontale. Ovvero quello di cadere in un attendismo esasperato che la porti ad diventare sempre più tollerante nei confronti del Governo. Anche in questo caso Berlusconi finirebbe con il fare quello che vuole, e non ci sarebbe nemmeno un presidente della Repubblica a tentare di impedirglielo.