Il sollazzo del sultano pagato dai cittadini

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Chi ha diritto a volare, a spese dei contribuenti, sugli aerei dell’Aeronautica Militare?

Il presidente della Repubblica, della Camera, del Senato, del Governo e della Corte Costituzionale. Anche gli ex presidenti della Repubblica. Ministri, viceministri volano si a spese dei contribuenti ma su normali aerei di linea. Fu il Governo Prodi a stabilire che fosse così ed i costi per i voli blu passarono da 50 a 28 milioni di euro.

Poi, a palazzo Chigi, è arrivato lui ed i voli blu sono diventati più blu che mai, come il colore del suo partito. Il sultano, con arroganza e protervia, ha stravolto ogni regola e ha deciso. Sugli aerei dell’Aeronautica militare possono volare tutti, anche “personale estraneo alla delegazione” ma “accreditato in relazione alla natura del viaggio”, al rango “rivestito dalle personalità trasportate” e “alle esigenze del protocollo internazionale”.

Ecco appunto, partiamo proprio da qui e dalle foto sequestrate dalla Procura che ritraggono lo chansonnier di Berlusconi, Mariano Apicella e graziose fanciulle in fiore, scendere dalle scalette degli aerei blu dell’Aeronautica militare.

La natura del viaggio, appunto. Allietare, con suadenti note e conturbanti presenze le dolci notti sarde del sultano, può giustificare la presenza a bordo di aerei blu di un cantante e di quattro fanciulle in fiore?

Il rango rivestito dalle personalità, appunto. Uno chansonnier e quattro fanciulle in fiore, possono assurgere al rango di personalità, tali da giustificare la presenza a bordo di aerei blu?

Esigenze di protocollo internazionale, appunto. Può una festa, un capodanno  pirotecnico con tanto di vulcano che si incendia, una strimpellata tra quattro amici, nella magione privata del sultano in Costa Smeralda, rientrare nelle esigenze di protocollo internazionale tali da giustificare la presenza a bordi di aerei blu di uno chansonnier e quattro fanciulle in fiore?

Ma soprattutto è giusto e lecito che a pagare per allietare le notti del sultano debbano essere i cittadini italiani, quegli stessi cittadini che a stento possono permettersi una settimana di vacanza?

Ho presentato, insieme con Di Pietro, un’interrogazione urgente al presidente del Consiglio. Voglio sapere, nel dettaglio, chi, quando, come e perché è salito a bordo di aerei di stato.

Non si tratta di affari privati. Quando il conto per le vacanze o il sollazzo del presidente del Consiglio viene presentato ai cittadini, contribuenti onesti, diventa pubblico. E merita una risposta pubblica e seria. Se ancora qualcosa di serio c’è dalle parti di palazzo Chigi.

La verità sulla doppia mozione

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 Ieri era solo una sensazione, oggi è arrivata la conferma. Se ci avessi scommesso qualche euro avrei certamente vinto. Avevo la sensazione che della mozione di sfiducia del presidente del Consiglio presentata ieri da Italia dei Valori non avrei trovato nessuna traccia sui giornali di oggi. Così è stato, se non per qualche riga trovata di qua e di là, ma in maniera del tutto incidentale, o peggio, strumentale.

Allora, vi racconto qui come stanno veramente le cose, perché in questa storia delle due mozioni, quella di Idv e quella del Pd, c’è una doppia morale.

Nel processo Mills il Tribunale di Milano, seppure con una sentenza di primo grado, ha accertato fatti gravissimi. Siamo consapevoli che si tratta solo di un accertamento di primo grado, ma siamo altrettanto consapevoli che i reati contestati sono di una gravità tale da minare profondamente la credibilità del un presidente del Consiglio, cioè di colui che ha la responsabilità di guidare il Paese.

Non siamo rimasti a guardare. Abbiamo agito chiedendoci, può un corruttore guidare e rappresentare il nostro Paese? La nostra risposta è stata la mozione di sfiducia al presidente del Consiglio.

Non avendo tecnicamente i numeri sufficienti per presentarla, abbiamo chiesto al Pd di sostenerla, dichiarandoci sin da subito disponibili a qualunque modifica avessero voluto sottoporci. Dopo tre giorni di conclave, nelle segrete stanze, pensa e ripensa, i geniali strateghi del Pd hanno partorito la risposta. La mozione di sfiducia di Idv è insostenibile perché è un boomerang. Rischia di essere un favore a Berlusconi perché siamo in minoranza e non abbiamo i numeri per farla approvare.  Ed ecco l’altro colpo di genio. Un’altra mozione, stavolta a loro firma, dal contenuto roboante e stupefacente: il premier deve rinunciare al lodo Alfano. Hanno bocciato la nostra mozione perché non aveva i numeri per essere approvata in Parlamento e hanno proposto una mozione che non avrà comunque i numeri per essere approvata in Parlamento. Stupefacenti gli strateghi del Pd. Viene da domandarsi dove fossero mentre Italia dei Valori raccoglieva due milioni di firme contro il lodo Alfano. Forse dormivano o forse erano in barca a festeggiare qualche compleanno.

La verità è un’altra. La ragione per la quale il Pd ha bocciato la mozione di sfiducia è semplicemente perché era di Italia dei Valori. La  verità è che hanno il complesso dei primi della classe e lo vantano per diritto di nascita, non perché meritato sul campo, sporcandosi le mani e perdendo fiato ogni giorno in mezzo alla gente per cercare il consenso. Per il Pd la cosa più importante non è fare gli interessi del Paese ma fermare la mozione di sfiducia di Italia dei Valori. Solo perché porta la firma di Italia dei Valori. Questa è la ragione per la quale hanno detto no ad un atto politico forte che avrebbe colpito giù duro ed hanno proposto una mozione che è poco di più di un brodino caldo per un malato terminale. Di sicuro, di fronte alla richiesta del Pd al premier di rinunciare al lodo Alfano, Palazzo Chigi avrà tremato dallo spavento.

La sinistra italiana è sempre la stessa, pronta a combattere Berlusconi solo a parole. Quando si deve passare ai fatti, i leader della sinistra, tutti nessuno escluso, diventano tanti piccoli Don Abbondio.

Noi a questo giochino non ci stiamo. Continueremo a sostenere con lealtà le iniziative del Pd. Sosterremo la loro mozione anche se consapevoli che è quanto di più inutile si potesse partorire. Rimane il rammarico di una grande occasione persa.

Noi siamo diversi. Per noi quando si combatte, si combatte. Non si sta lì a fare calcoli e strategie. Vi immaginate come sarebbe andata a finire se i partigiani si fossero chiesti se avessero vinto o meno a tavolino con i nazifascisti?

 

 

Donadi la verità, Ghedini la menzogna

Siamo governati da un corruttore: noi non ci stiamo

[flv:/movie/mills/mills_20090519.flv 300 266] Signor Presidente, senza nessuna pacatezza, oggi il tribunale di Milano ha detto che l'Italia è governata da un corruttore. Noi non ci stiamo ad essere governati da un corruttore! Signor Presidente, la invito evidentemente a leggerla con attenzione. Le motivazioni della sentenza del tribunale di Milano dicono con assoluta chiarezza che oggi è stato condannato un corrotto, ma è stato individuato un corruttore. L'Italia non era mai caduta così basso. È una vergogna per questo Paese. Abbiamo letto e abbiamo sentito che il Presidente del Consiglio ha intenzione di venire in Parlamento a spiegare le sue ragioni. Venga, lo ascolteremo, ma sappia che questo non cambia niente e non risolve niente. Se spera di trasformare la sua maggioranza in una sorta di quarto livello di giurisdizione capace di lavarlo come un lavacro assolutorio da ogni condanna con un voto di una maggioranza cieca e scontata, sappia che non avrà il nostro avallo. Oggi siamo una situazione critica e drammatica per la nostra democrazia. Il Presidente del Consiglio ha due e solo due cose da fare. La prima, su cui mi associo al presidente Soro, è che domani mattina rinunci all'impunità del cosiddetto lodo Alfano (adesso abbiamo capito perché era la legge più urgente di questa legislatura), corra da un giudice e, se ci riesce, spieghi le ragioni della sua verità. Se non ha il coraggio di fare ciò, legittima nella coscienza di ogni singolo italiano il convincimento della sua colpevolezza. Un Presidente del Consiglio non può governare un Paese in queste condizioni, per cui o rinuncia al cosiddetto lodo Alfano, o il Presidente del Consiglio si dimette, perché non ha più la dignità morale di entrare in questo Parlamento!

Giù le mani dalla scuola pubblica

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Finalmente la maggioranza ha svelato l’idea che ha di paese. Dopo aver tagliato 8 miliardi di euro alla scuola pubblica, depotenziando il sistema formativo, spazzato via 40 mila posti di lavoro e lasciando a casa migliaia di precari, il centrodestra getta la maschera. Con la complicità dell’Udc, la maggioranza si dichiara pronta a raschiare il fondo del barile e trova i fondi per le scuole private.

Voglio precisare che personalmente non ho nulla contro le scuole private e chi le frequenta. E’ però evidente un paradosso. Tremonti continua a dire che bisogna tirare la cinghia, che le risorse a disposizione sono poche. Il centrodestra, invece, sottoscrive una mozione che non solo non fa riferimento alcuno al sistema scolastico pubblico, ma impegna il governo a dare soldi alle private.

In questi mesi di campagna elettorale ogni giorno incontro dirigenti scolastici, insegnanti, genitori. Persone che giorno dopo giorno si impegnano, lavorano e cercano di fare andare avanti un sistema scolastico ormai umiliato. Uomini e donne spesso scoraggiati da una politica che se da una parte chiede sempre più impegno, dall’altra non dà risorse. Maestre che sono costrette a chiedere dei contributi mensili ai genitori per sostenere le attività di laboratorio degli alunni. Genitori che chiedono che il loro figlio disabile possa avere un’insegnante di sostegno che lo aiuti a seguire le lezioni assieme agli altri bambini.

E’ ora di ridare orgoglio a queste semplici domande. Se il disegno del centrodestra è quello di consegnare al paese un sistema scolastico strutturato sulle scuole per ricchi, troverà molti ostacoli sulla sua strada. Le scuole pubbliche devono restare la spina dorsale del nostro sistema  educativo perchè un paese che non investe nel sistema scolastico pubblico é un paese che non ha futuro.

La pubblica istruzione é il più straordinario strumento di democrazia e inclusione sociale. Ha contribuito alla nascita della nostra identità nazionale e culturale, intorno alla quale si é ritrovato l’intero paese.

Non è il momento di abbandonare a se stesso il nostro sistema scolastico. E’ il momento di investire, aprire orizzonti per renderlo competitivo. Ed é forse questo che non vuole fare questa maggioranza. Un centrodestra che vuole riscrivere la storia, come ha fatto con la festa del 25 aprile, che non è e non sarà mai come vuole Berlusconi ‘La festa della Libertà’, ma è e resterà per sempre la giornata della liberazione dal nazifascismo. La maggioranza ha messo sotto attacco la straordinaria funzione di aggregazione democratica che ha da sempre svolto la scuola pubblica. Vogliono arrivare alla polverizzazione della società e la scuola privata si presta a creare un paese diviso e parziale. Hanno l’arroganza di voler veicolare le idee di una parte, per mettere all’angolo i valori  fondamentali della nostra Costituzione che dovrebbero essere condivisi da tutti.

Per questo anche nella difesa della scuola pubblica si gioca la partita contro l’autoritarismo berlusconiano. Solo una scuola pubblica più forte può dare al paese gli anticorpi per resistere a questo germe.

Sandro o Ruggero? Meglio la terza via

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Il disegno di legge sulla sicurezza, su cui il Governo ha posto l’ennesima fiducia, è un’occasione persa. E’ l’ennesimo inganno, l’ennesimo trucchetto di questa maggioranza che, in nome della parolina magica “sicurezza”, sforna un abominio giuridico, un modello etico ignobile, un atto di razzismo vergognoso e controproducente che con la sicurezza non c’entra niente.

Sono convinto da sempre che, per risolvere il problema della sicurezza e dell’immigrazione clandestina, la prima cosa che la politica deve fare è uscire fuori dagli schemi ideologici su cui si arrocca da sempre, tanto dall’una quanto dall’altra parte.

Da una parte, infatti, c’è il centrodestra che pensa di poter affrontare il tema dell’immigrazione soltanto in termini di ordine pubblico, dall’altra il centrosinistra che non riesce ad andare oltre ad un’altrettanta sterile e spesso demagogia idea dell’accoglienza.

Del primo non mi curo, non mi interessa, perpetua solo se stesso e la sua faccia feroce. Dell’altra, che è la mia parte politica, mi interessa e mi curo, augurandomi che un giorno capisca che quello dell’immigrazione è un problema complesso, per alcuni versi epocale, che evoca diversi piani di analisi e di intervento, e che deve mettere al proprio centro sicuramente la cultura dell’integrazione e solidarietà ma che non può prescindere dalla sua reale sostenibilità. Ed oggi l’Italia è un Paese che difficilmente può continuare ad accogliere indiscriminatamente senza il rischio di implodere, anche socialmente.

Mi torna in mente il film di Virzì, Ferie d’agosto. Riassumo brevemente. Nella piccola isola di Ventotene due gruppi di persone trascorrono le vacanze in due case contigue. Un gruppo fa capo al giornalista, di sinistra, Sandro Molino, interpretato da Silvio Orlando. L'altro gruppo fa capo a Ruggero Mazzalupi Ennio Fantastichini, facoltoso proprietario di negozi, tipico rappresentante del "generone" romano di destra. Nelle loro sovrastrutture politico-ideologiche irrompe l’arrivo di un extracomunitario, che Ruggero ferisce durante un assurdo tiro al piccione e che la famiglia di Silvio accoglie in quanto straniero ma ingegnere. Non c’è sintesi tra le due posizioni. Le sovrastrutture ideologiche rimangono lì e colpiscono come un pugno nello stomaco.

Io sono convinto che tra chi fa la faccia feroce e chi accoglie “a prescindere” ci sia un terza via che deve tener conto di tre passaggi fondamentali. Il primo passaggio, è quello di una accoglienza sostenibile, che faccia i conti con le mille difficoltà di un Paese, come il nostro, dove migliaia di persone stanno perdendo o hanno perso il posto di lavoro e non ha alternative di fronte ad un mercato del lavoro spietato. Se non si tiene conto di questo passaggio fondamentale, si rischia una guerra tra poveri, anticamera del razzismo che trova la sua ragione d’essere e di esistere tra chi è disperato, tra chi non ha più futuro, tra chi ha la pancia vuota e non sa come arrivare alla fine del mese.

Il secondo passaggio, è quello legato all’ordine pubblico che va garantito perché sentirsi sicuri è un diritto imprescindibile. Il terzo passaggio, infine, è una politica di cooperazione internazionale che argini il fenomeno migratorio di intere popolazioni.

E’ un progetto ambizioso, mi rendo conto, ma sono convinto che sia l’unica strada possibile. Rabbrividisco, invece, di fronte a questo Governo che pensa di evitare l’affondamento del Titanic raccogliendo l’acqua con la paletta o accanendosi contro donne e bambini.

Mi domando quando la politica avrà il coraggio di affrontare seriamente il problema.

Etica pubblica e affari privati

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Ho riflettuto a lungo. L’occasione, lo confesso, era ghiotta. Mi sono chiesto, in questi giorni, se era giusto o no cedere alla tentazione di dire la mia sul divorzio del secolo, quello di Veronica e Silvio, se era giusto o no invadere una sfera tanto privata. La mia scelta era e rimane quella del silenzio e del rispetto per tutto quello che in questa vicenda attiene alla sfera personale. Ma ci sono due aspetti, in tutta questa storia, sulla quale il silenzio è inopportuno, anzi, è indecente.

Prima questione. Libero, quotidiano di famiglia, il giorno dopo l’intervista di Veronica Lario a Repubblica, ha scelto di dare in pasto ai lettori e agli italiani il corpo e l’anima di questa rispettabile signora, sbattendo il suo seno nudo in prima pagina a voler significare che anche lei, in tempi diversi, era stata velina. E chissenefrega se, in realtà, quello era il corpo nudo di un’attrice nell’interpretazione di una commedia di Crommelynck, drammaturgo belga, nei cui drammi le debolezze umane si sviluppano in monumentali ossessioni. Insomma Crommelynck, non proprio il Bagaglino. Quel corpo nudo sbattuto in prima pagina non è stato solo un atto di becero e volgare giornalismo. Era una minaccia, un pizzino del padrone spedito a chi ha osato mettersi contro di lui, una roba del tipo “occhio a quello che fai, questo è solo il primo avvertimento”. E’ quello che tante volte, anche su questo blog, ho definito l’olio ricino moderno, ovvero, l’uso dei media di famiglia come squadracce fasciste che picchiano giù duro chi osa toccare il padrone, fosse anche la moglie con la quale ha condiviso 30 anni di vita.

Ebbene, di fronte a tutto questo, nessuno ha sentito il dovere di indignarsi. Nessun giornalista col pedigree, nessuna esponente femminile di quel mondo della cultura che tanto ha da dire o da scrivere, anche sulla più stupida delle questioni, ha sentito il dovere di indignarsi sull’uso fascista dei giornali da parte del padrone della stampa contro chi osa dire che il re è nudo. Se non siamo all’autocensura, poco ci manca.

Seconda questione. La storia di Papi e Noemi. Mi domando e vi domando: cosa sarebbe successo in America se Michelle avesse chiesto il divorzio ad Obama “perché, a detta della moglie, il presidente degli Stati Uniti d’America va con le minorenni?” O cosa sarebbe accaduto in Francia se alla domanda su chi fosse la fanciulla di Sarkozy, Carla avesse risposto con un eloquente “magari fosse la figlia”. L’ho detto ai suoi, è un uomo malato”?

Ho fatto l’esempio dell’America e della Francia non a caso. I fatti privati di un uomo pubblico sono tali. Ma l’etica privata di un uomo pubblico è un fatto pubblico. Ci importa la sua etica in quanto uomo pubblico perché, nelle grandi democrazie, questa dovrebbe essere di esempio per tutti, dovrebbe rappresentare l’anima migliore e non le sue pulsioni più meschine.

Per questo stupisce che nessuno, in questo Paese, si sia indignato di fronte ad un uomo che, a detta della stessa moglie, non ha un’etica privata, che scrittori, giornalisti, intellettuali, non abbiano sentito il bisogno di urlare alla vergogna di fronte ad un’etica così miserabile e squallida, di capire, di andare a fondo, di denunciare, di gridare allo scandalo.

Questa non è pruderie. Non ce ne frega niente delle relazioni del presidente del Consiglio. Il punto è, come ha detto qualcuno, che questo Paese manca di rispetto nei confronti di se stesso. E questo qualcuno è la signora Veronica Lario.

La rivoltella puntata sulla democrazia

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Berlusconi ha detto che voterà sì al referendum. La cosa mi preoccupa  e non poco. Il suo sì è carico di insidie, cambia le carte in tavola ed apre uno scenario nuovo su cui dobbiamo aprire una riflessione. C’è il forte rischio che le nostre migliori intenzioni di cambiare una legge elettorale pessima diventino la via per l’inferno. E l’inferno, per me, è consegnare la nostra democrazia a Berlusconi: la dittatura, insomma.

Il nostro obiettivo è quello di cambiare una legge elettorale che, a detta del suo stesso autore, fa letteralmente schifo. Il referendum è lo strumento per scardinarla ma per arrivare poi a fare una nuova legge elettorale in Parlamento. E’ qui che scatta l’insidia.

Oggi, c’è un partito padronale, che si chiama Pdl, con un consenso che si aggira intorno al 40%, grazie al lavaggio dei cervelli che le tv del biscione operano quotidianamente. La legge elettorale scardinata che uscirebbe dal referendum consegnerebbe il Paese al partito che prende più voti. L’insidia è tutta qui, in uno scenario incerto ma non fantascientifico. Berlusconi dice che voterà sì, si mette pancia a terra in una campagna pro-referendum senza precedenti. Passa il referendum. Credete che Berlusconi, si lascerebbe sfuggire l’occasione ghiotta di immediate nuove elezioni con una legge elettorale scardinata dal referendum che gli consegna su un vassoio d’oro le chiavi della nostra democrazia?

Flashback. E’ il 21 luglio 1923. La Camera dei Deputati approva la legge elettorale Acerbo con 223 sì e 123 no. Il 18 novembre del 1923,  la legge Acerbo, dopo il si definitivo del Senato,  entra in vigore. Prevede l’adozione del sistema maggioritario plurinominale all’interno di un collegio unico nazionale. La lista che ottiene la maggioranza con una percentuale superiore al 25% elegge in blocco tutti i suoi candidati.

Alle elezioni del 6 aprile 1924, il Listone Mussolini prende il 61,3% dei voti. Il premio di maggioranza è scattato, come prevedibile, per il Partito nazionale fascista. Il resto è noto.

Giovanni Sabbatucci definì l’approvazione della legge Acerbo un classico caso di “suicidio di un’assemblea rappresentativa”, accanto a quelli del Reichstag che vota pieni poteri a Hitler nel marzo del 1933 o a quello dell’Assemblea Nazionale francese che consegnò il Paese a Petain nel luglio del 1940.

Dunque, è già accaduto. Il fascismo non nacque da una rivoluzione ma da un’elezione democratica, almeno nelle apparenze, grazie ad una legge elettorale non molto diversa da quella che uscirebbe dal referendum.

Oggi mi chiedo, e vi chiedo, per la sincerità che ha sempre caratterizzato il mio blog, se non stiamo consegnando a Berlusconi la rivoltella per sparare il colpo finale alla nostra democrazia. Dobbiamo aprire un confronto e decidere insieme cosa fare di fronte a questo nuovo ed inquietante scenario. Per parte mia, non sarei capace di sopportare un nuovo caso di suicidio di un’assemblea rappresentativa ma alle vostre decisioni e a quelle del partito mi atterrò.

Il coraggio e la paura

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Ormai è chiara la strategia di Franceschini per queste Europee: un buffetto a Berlusconi e due ceffoni a Di Pietro, colpevole, secondo lui, di averci messo la faccia. La verità è che il leader del Pd non è animato da nessun afflato democratico ma dalla fifa blu di un flop personale, la stessa fifa blu che anima tutti gli altri big del Pd che, ad uno ad uno si sono sfilati dalla candidatura, per paura di perdere la faccia di fronte alla debacle del partito.

A noi poco importa dei tanti Don Abbondio del Pd. Il punto è che la loro mancanza di coraggio farà pagare un prezzo altissimo all’intera coalizione di centrosinistra che alle corazzate di Berlusconi e Bossi non avrà da contrapporre nient’altro che truppe di semisconosciuti o vecchie glorie in disuso, rispolverate all’occorrenza.

Ebbene, noi il coraggio ce l’abbiamo. Qualcuno nell’opposizione deve avere il coraggio di metterci la faccia. Deve esserci un leader del centrosinistra che contenda il campo a Berlusconi e Bossi e se, questo coraggio non lo trova nessuno del Pd, il coraggio ce lo mette Antonio Di Pietro e Italia dei Valori.

Strano come vada di questi tempi il mondo. La sinistra, quella sinistra con la S maiuscola che un tempo andava fuori dalle fabbriche a solidarizzare con gli operai, in questi tempi di crisi, preferisce veleggiare a bordo della propria barca a vela intorno alle calme e placide acque del Mar Mediterraneo. Così capita che fuori dalle fabbriche a stingere le mani stanche e sudate degli operai che non arrivano alla fine del mese ci sia Antonio Di Pietro.

Qualcuno ha perso la strada. Noi no. Qualcuno si è arreso ancora prima di giocare la partita. Noi no. Qualcuno ha deciso di non metterci la faccia per non perderla del tutto. Noi no. Mentre i big del Pd gridano “armiamoci e partite”, noi ci armiamo e partiamo, ma sul serio.

Quei generali del Pd che, dalle tende, urlano alle proprie truppe smarrite “armiamoci e partite” sono gli stessi che ieri hanno detto di votare sì al referendum e oggi si mettono d’accordo con il nemico, violano i regolamenti parlamentari e votano una leggina della maggioranza vergognosa, che ha stabilito al 21 giugno il voto per il referendum, quando tutti se ne andranno al mare. Un doppio imbroglio a danno dei cittadini che manderà in fumo 400 milioni di euro. Eppure una soluzione diversa c’era. Così come, in fretta e furia, è stata approntata una leggina per far votare gli italiani il primo giorno d’estate, si poteva farne una che, accorciando i tempi della campagna referendaria, portandoli per questa volta da 50 a 40 giorni, permettesse di andare al voto il 6 e 7 giugno, così come avevamo chiesto il Comitato Promotore.

Noi davanti alle grandi sfide scegliamo di scendere in campo a combattere in prima persona. Noi scegliamo la coerenza, anche quando questa ha un prezzo alto. Con le nostre facce e la nostra coerenza ci presentiamo sereni al giudizio degli elettori.

Io sto con Vauro

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Addì, 27 dicembre 1947, De Nicola, Terracini, De Gasperi.

“Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

Addì, 15 aprile 2009, Berlusconi, Fini, Masi.

“Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. A patto che nessuno osi parlare male del Governo”.

Sessantadue anni di democrazia non sono serviti a niente.

Per Berlusconi gli articoli della Costituzioni sono 138. La sua Costituzione, quella stampata nelle segrete tipografie di Arcore, con impresse a fuoco le iniziale del Re, SB, dall’articolo 20 passa direttamente al 22. Ma nelle segrete tipografie di Arcore si sta già lavorando alacremente ad una nuova edizione della Costituzione, con un solo articolo: Lo Stato sono io.

E’ strisciante il regime ma colpisce feroce. Vuole la sospensione di Vauro, vuole la cacciata di Santoro. Scherza il regime, usa l’ironia per giustificare l’uso del manganello ma poi si abbatte furioso. E’ infido il regime. Si nasconde dietro al linguaggio astruso ed incomprensibile dei burocrati ma chiude le bocche, ottunde i cervelli e appiattisce.

Al regime non piace la verità. Nessuno ha colpa se le case sono crollate. Il Governo c’è. Il regime è ordine. Il regime interviene, il regime piange i suoi morti, il regime ripulisce, mette ordine e nessuno osi dire il contrario. Nessuno osi dire che il terremoto è una calamità naturale di cui si possono contenere i danni, se non si costruiscono case ed edifici pubblici sulla sabbia, se si impedisce agli speculatori di ieri di speculare domani.

Ebbene, io sono dalla parte di Vauro. Perché tante  volte mi sono sentito uno dei suoi personaggi stralunati, gagliardi e irriverenti. Perché tante volte, attraverso la sua matita, ho trovato la forza ed il coraggio di essere politicamente scorretto. Perché la satira è una forma libera ed assoluta che, attraverso la risata, veicola la verità, semina dubbi, smaschera ipocrisia, attacca i pregiudizi e mette in discussione le convinzioni. Perché un paese dove il demagogo Cleone mette il bavaglio al poeta Aristofane è un Paese triste, è un Paese che muore.