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CIARPAME ALLA RISCOSSA

Veline e candidatureVeline e candidature  Così la bella e disinvolta Noemi ha avuto la sua ricompensa. A breve debutterà in televisione con uno show televisivo fatto su misura per lei. Siccome la fanciulla, però, non ha nessun talento, alla faccia delle tante attrici, ballerine o conduttrici che di talento ne hanno da vendere ma che, ahimè, hanno ancora il pudore di non offrire altra merce al drago, si sta sottoponendo ad un tour forzato di lezioni per imparare un’arte che non ha e che, probabilmente, non avrà mai. Il presidente del Consiglio, il sultano Silvio Berlusconi, che nonostante tutto è ancora lì incollato alla sua poltrona mentre il sindaco di Bologna si è dimesso – altra vicenda, altro stile -  paga il suo cadeaux alla favorita di turno. Ma non lo fa con i suoi soldi. La signorina senza talento artistico, di cui attendiamo trepidanti la prima volta, non debutta su una delle tante reti Mediaset. Papi, sicuramente più preoccupato da eventuali ascolti bassi e conseguenti crolli commerciali di pubblicità sulle tv di sua proprietà piuttosto che della possibilità di rimetterci definitamene la faccia, la spedisce a sgambettare sulle reti Rai, altro suo possedimento a reti unificate, ma a carico dei cittadini contribuenti però.Dire che tutto questo è una disgustosa vicenda da basso impero è poco. Non c’è solo la vicenda di Noemi a ricordarci quanto siamo scesi in basso. In occasione della corsa alle regionali, il sultano ha rispolverato il suo personalissimo caravanserraglio di nani e ballerine, il ciarpame senza pudore da ricompensare con una bella candidatura. E’ così che il Cavaliere avrebbe negato la candidatura a Riccardo Migliori a governatore della Toscana, reo di “non avere proprio il fisico adatto”, preferendogli Monica Faenzi, l’ex sindaco di Castiglione della Pescaia, che vanta il merito di aver maltrattato Prodi quando era presidente del Consiglio e andava in vacanza nella sua città. Ed ecco che il sultano ritira fuori dal turbante di sultano le varie ex miss Veneto, le varie Miss Muretto, le starlette di Telecafone, le meteorine di Fede, la fisioterapista e financo l'igienista dentale, senza neanche più avere la scocciatura di sua moglie Veronica che lo richiama ad un minimo di decenza. Il tutto, condito dai giornali di famiglia, Libero in testa, che oggi decide di sbattere in prima pagina Luciana Littizzetto, inarrivabile e ineguagliabile talento, colpevole di essersi fatta strada da sé, di essere colta, talentuosa e perfidamente intelligente, rea di sbeffeggiare i potenti con il suo gramelot nato e cresciuto sotto la Mole ogni domenica in tv, doti, talento ed impegno che le hanno procurato un po' di soldi con i quali si è comprata, almeno a quanto scrive il quotidiano, diverse case. Ma questa è proprio tutta una altra storia.

LA DISCESA IN CAMPO DI BAGNASCO

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   Ieri, il cardinal Bagnasco è sceso ufficialmente in campo in vista delle regionali e si è schierato in maniera inoppugnabile da una parte politica ben precisa. Anzi, è andato oltre. Con un discorso che non lascia spazio a dubbi o interpretazioni, ha separato le forme dai contenuti, stigmatizzando e condannando i toni duri di una parte politica, senza analizzare le ragioni o le cause che hanno determinato certe reazioni o parole. La sua dichiarazione di intenti politici ha operato una vera e propria rimozione dei fatti, per mettere la parole fine alle malefatte del premier.Il presidente della Cei, pastore di anime, monsignor Bagnasco, tra le pieghe di un finto appello alla politica ad abbassare i toni, ha colto lo spunto per additare “il pericoloso riaffiorare all’orizzonte di maestri nuovi del sospetto e del risentimento che, lanciando parole violente e ripetute, possono resuscitare mostri del passato”. Non ha rivolto un appello alle parti per invitare ad un clima e a un confronto politico più sereno e conciliante. Ha sposato la tesi di una parte politica, puntando il dito solo verso l’eccesso di toni di una parte, lasciando l’altra fuori da ogni responsabilità o addebito, come se fosse innocente od esente da colpe. E’ come se io, di fronte ad un omicidio, lanciassi un urlo di allarme e qualcuno, invece di prendersi la briga di fermare la mano assassina, sentisse primariamente l’urgenza di riprendere me che mi sono macchiato del grave delitto di aver urlato ad alta voce in pubblico.Non credo vi possano essere dubbi su chi siano i destinatari del messaggio di Bagnasco. E per capirlo, basta riascoltare l’intervento di Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera del Pdl, due giorni dopo il grave ed inqualificabile episodio di Milano. Colpisce come un pugno nello stomaco monsignor Bagnasco, presidente della Cei, che fa uso dello stesso modulo comunicativo del centrodestra, che parla con le stesse parole di Cicchitto, che sposa la tesi dei cattivi maestri, del partito dell’odio e del rancore, che evoca l’armamentario berlusconiano quando parla di responsabili politici dell’aggressione di Milano. Non si ferma qui, monsignore. Mette i puntiti sulle i anche per la corsa alla regione Lazio. Riporta, con astuzia e furbizia, al centro del dibattito per la corsa alla presidente della regione la pillola RU486 ed il testamento biologico. E la Bonino è servita.Speriamo di aver capito male. Nutriamo speranza che monsignore voglia chiarire il significato delle sue parole nei prossimi giorni, perché interventi come questi, alla fine dei conti, non favoriscono sereni rapporti tra Stato e Chiesa ma non aiutano neanche a rasserenare il clima tra maggioranza ed opposizione.

GLI AFFARI OSCURI DEL CAVALIERE

Silvio Berlusconi e Fedele ConfalonieriSilvio Berlusconi e Fedele Confalonieri Appropriazione indebita, frode fiscale al fine di creare fondi neri. Questi i nuovi capi di imputazione che, da oggi, pendono sulla testa del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Con lui, indagati anche il figlio Piersilvio e Fedele Confalonieri. Puntuali come un orologio sono partite le difese d'ufficio. Quelle pseudo-tecniche, immancabili, dell'avvocato del premier, Niccolò Ghedini, che starà già pensando a qualche nuovo mirabolante cavillo da infilare in qualche leggina ad hoc per evitare al Cavaliere quest'altra grana giudiziaria, e quelle pseudo-politiche dei vari Gasparri, Bondi, Capezzone e Cicchitto, umili e proni a difendere gli interessi del padrone a capo di un impero che è sempre stato gestito, anzi è nato, con disinvoltura e spregiudicatezza. Il coro dei servitori è unanime: film già visto, giustizia ad orologeria, accanimento giudiziario, plotone d'esecuzione nei confronti dell'amato Presidente del Consiglio.Si dispiaceranno lor signori, ma francamente il film giù visto è tutto il loro. Mentono quando parlano di giustizia ad orologeria in vista delle elezioni regionali. L'inchiesta Mediatrade, e loro lo sanno bene, non nasce oggi dal nulla, ma parte da lontano ed era nell'aria da tempo.Le difese d'ufficio di chi tenta, invano, di dimostrare che nei confronti del presidente del Consiglio c'è accanimento giudiziario sono una litania trita e ritrita. Il loro tentativo maldestro di buttarla in caciara, come si dice a Roma, attaccando la magistratura non copre l'evidenza dei fatti inquietanti che i giudici di Milano hanno portato alla luce con questo nuovo filone d'inchiesta. E i fatti, le circostanze, i documenti e le testimonianze parlano di un presidente del Consiglio "che decide di trattare i diritti televisivi non direttamente con le majors americane ma di affidarle ad un signore egiziano, tal Frank Agrama, che acquistava i diritti e poi li rivendeva alle società di Berlusconi a prezzi enormemente gonfiati". A Los Angeles li comprava a cento, a Milano li rivendeva a mille. La differenza restava all'estero e l'amico Frank si preoccupava "di restituire i profitti su conti nella disponibilità di manager Mediaset, in Svizzera, nel Principato di Monaco, alle Bahamas". E ancora. Agrama continuava a riferire a Silvio Berlusconi sulle negoziazioni per l'acquisto dei film "anche dopo la sua nomina a presidente del Consiglio".Questi sono i fatti, le circostanze, i documenti e le testimonianze. Nessun plotone d'esecuzione. Nessun accanimento giudiziario. Nessun complotto. E' la giustizia che tenta di fare il suo naturale corso, di accertare i fatti, senza guardare in faccia a nessuno, nonostante gli ostacoli posti lungo il cammino da questo Governo e da questa maggioranza, processo breve, legittimo impedimento, lodo Alfano per via costituzionale, e chi più ne ha ne metta. O cercare la verità in questo Paese sta diventando un delitto?

DIRITTO UCCISO, CALPESTATO E UMILIATO

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 I senatori di Italia dei Valori hanno occupato ieri l’Aula di Palazzo Madama. Hanno trascorso la notte lì, a presidio della democrazia, mentre il governo e la maggioranza stanno facendo scempio della legalità. Ai colleghi senatori va tutta la mia solidarietà e stima. Quando la legge sul processo breve, approvata oggi al Senato, l’ennesima vergognosa legge ad libertatem suam, ovvero del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, arriverà alla Camera metteremo in atto altrettante coraggiose forme di resistenza democratica. La nostra è un’azione di resistenza istituzionale nei confronti di una legge eversiva con la quale l’attuale maggioranza vuole infliggere, per gli interessi esclusivi del presidente del Consiglio, il colpo mortale alla giustizia, alla cultura della legalità e allo stato di diritto.Siamo di fronte a uno dei peggiori provvedimenti della Repubblica italiana, la diciannovesima legge ad personam in sedici anni. Se questo ddl diventerà legge la maggioranza ed il Governo, per sistemare i processi del re, farà un favore a tutti quei criminali, mafiosi in testa, che attendono con trepidazione. E’ una legge profondamente incostituzionale, tutta concepita nelle segrete stanze di Arcore, dall’avvocato del premier Ghedini.Il Governo e la maggioranza mentono spudoratamente quando, per lavarsi le coscienze, spacciano questo scempio del diritto per riforma della giustizia e affermano che finalmente verrà fissata la ragionevole durata dei processi. Sono ben altre le leggi da fare ed approvare per far ripartire la macchina della giustizia, a cominciare da fondi e risorse adeguate. La verità è che, nascondendosi dietro l’Europa e le direttive internazionali, il governo antepone agli interessi di un paese intero quelli di un uomo solo. La norma sul processo breve cancellerà, con un colpo solo, il processo Mills, che vede Berlusconi accusato di corruzione, e il processo Mediaset, che lo vede accusato di frode fiscale e metterà la parola fine a 100 mila processi, e farà tornare tranquillamente all’opera migliaia di criminali, delinquenti e mafiosi, aiutando di fatto coloro che hanno commesso reati, mentre decine di migliaia di vittime subiranno l’onta di uno stato che le umilierà per la seconda volta.Siamo di fronte a qualcosa di ben peggiore dell’indulto approvato nella scorsa legislatura, nonostante il voto contrario di Italia dei Valori. Il ddl sul processo breve è un’amnistia mascherata, un condono tombale sui processi del premier e su quelli di migliaia di criminali che torneranno a delinquere, celebrando la morte del diritto. Chi, come il senatore Maurizio Gasparri, oggi nell’Aula di Palazzo Madama, rivendica con orgoglio l’approvazione di questa norma, definendola un voto per la verità e la giustizia, ha ucciso, calpestato e umiliato il diritto. Alla Camera, metteremo in atto ogni forma di resistenza possibile, augurandoci che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, estremo garante della Costituzione, non firmi mai questo scempio.  

LA CORTE DEI MIRACOLI

 Le folli spese di Palazzo ChigiLe folli spese di Palazzo Chigi  Sono anni che ci fa credere che con lui a palazzo Chigi si spende meno. Più di una volta, il presidente del Consiglio, il miliardario Silvio Berlusconi, ha detto che quando vola, anche per ragioni di stato, usa i suoi jet privati, spendendo di tasca sua, che le guardie del corpo se li paga da solo, con i soldi suoi. Poi, si scopre la verità, ovvero, che il presidente del Consiglio avrà pure usato qualche volta i suoi aerei privati per ragioni di Stato ma gli è anche capitato, e non proprio raramente, di usare gli aerei dell’aeronautica militare, personale e carburante pagati con i soldi pubblici, per trasportare i suoi amici alle sue feste private in Costa Smeralda. Per non parlare delle sue guardie del corpo private, ex addetti alla sicurezza Fininvest, fatti assumere in blocco dai nostri servizi segreti per garantire loro stipendi alti a carico di Pantalone.  Insomma, il mito del miliardario generoso che fa risparmiare i soldi al suo paese e ce ne mette di suoi più passa il tempo e più si sta rivelando per quello che è, ovvero, una bufala.A completare il quadro, arriva oggi un’inchiesta de L’Espresso che, rivela fatti, circostanze, comportamenti ma soprattutto spese, imbarazzanti. Palazzo Chigi, da quando siede alla tolda di comando Silvio, è diventata la corte dei miracoli, dove si moltiplicano dipendenti (1.600 persone in più del previsto) e sprechi (5 milioni di euro solo per allestire i set televisivi del premier). Non colpiscono solo le cifre folli spese (un miliardo di euro l’anno a quanto rivela l’inchiesta de L’Espresso) ma soprattutto l’arroganza ai limiti del lecito con la quale segretarie e addetti all’Ufficio del Presidente vengono promossi generali con tanto di galloni e stipendi favolosi. La segretaria del presidente del Consiglio, ad esempio, è stata assunta con la qualifica di direttore generale. Stessa sorte è toccata alle segretarie particolari dei sottosegretari alla presidenza del Consiglio, alla famiglia e allo sport. Gli addetti all’immagine del presidente, addetti alla preparazione dei set televisivi, fatti assumere come direttori generali. E molto di più.Quando i soldi sono pubblici il presidente del consiglio non bada a spese. Quando i soldi sono i suoi la musica cambia. E mi vengono in mente, tanto per fare un esempio fulgido di questa doppia morale, le truccatrici Mediaset, in sciopero qualche giorno fa davanti agli studi del Biscione, che rischiano il posto di lavoro perché le aziende di Silvio devono risparmiare. Le aziende di Silvio, appunto. L’azienda Italia può sprecare. Tanto paga Pantalone, cioè i cittadini.   

LEGGI AD LIBERTATEM... QUELLA "SUAM"

Silvio BerlusconiSilvio Berlusconi Legittimo impedimento, processo breve, lodo Alfano per via costituzionale, decreto blocca-processi, immunità parlamentare: è questo l’obiettivo di Berlusconi, approvare subito, nei prossimi mesi, una cinquina di leggi che lo mettano al riparo, a vita, e anche oltre, dai suoi guai giudiziari. E chissenefrega se il nostro sistema giudiziario se ne va allo scatafascio. Siamo al record mondiale di leggi ad personam, ribattezzate con faccia tosta dal premier “ad libertatem”. Si, ad libertatem suam, ribadisco io. Cinque leggi leggi confezionate su misura, che, con le 18 approvate dal 1994 ad oggi dai governi di centrodestra, fanno in totale 23, numero magico e scaramantico, che fa la fortuna di chi lo raggiunge. Sicuramente ha fatto la fortuna dell’attuale presidente del Consiglio. Un vero record, degno di entrare nel Guiness dei primati.Scorrendo, infatti, l’elenco di tutte le leggi ad libertatem suam si capisce chiaramente una cosa. Tutte le volte che gli interessi del premier, economici, finanziari, televisivi, calcistici, hanno trovato un’ostacolo o un impedimento sul loro cammino, la maggioranza di centrodestra li ha spazzati in men che non si dica per via legislativa. Mi riferisco, ad esempio, alla riforma del diritto societario del 2001, che ha depenalizzato il falso il bilancio e ha salvato Berlusconi dal processo All Iberian 2 e Sme Ariosto 2. Mi riferisco, alla ormai celebre legge Cirami del 2002, che introduce il legittimo sospetto sull’imparzialità del giudice, oppure, al cosiddetto decreto salva-calcio sempre dello stesso anno che ha consentito al Milan di ottenere benefici in termini fiscali, per usare un’espressione gentile e non parlare di evasione vera e propria. E poi ancora tutti i condoni tombali di cui si sono avvantaggiate le imprese Mediaset, i lodi per rendere immune Silvio, i decreti salva tv, l’aumento dell’Iva sulla pay tv concorrente: insomma, ce ne è per tutti i gusti, basta avere la pazienza di arrivare fino in fondo all’elenco.Dunque, se il 2010 si vede dal mattino, altro che riforme costituzionali o del fisco, altro che partiti dell’amore ci attendono per il nuovo anno! La musica non è cambiata, anzi, a dirla tutta è peggiorata. Girano voci a Montecitorio. A quanto riferiscono alcuni deputati del Pdl le indiscrezioni de la Repubblica e de l’Unità sono vere. Silvio, durante la cena con alcuni di loro, a proposito del processo Mills, avrebbe detto davvero che  “o i giudici decidono nel senso che sostengo io o faccio una dichiarazione a reti unificate per dire che la magistratura è molto peggio della mafia”.A questo punto, sorge una domanda: quando Silvio, qualche giorno prima di Natale, ha detto che sconfiggerà la mafia entro la fine della legislatura non è che pensava ai magistrati? I conti tornerebbero.Se non ci fosse da piangere verrebbe da ridere a ripensare al clima falso e intriso di melassa con il quale solo 20 giorni fa il mondo della politica e dei media, sia a sinistra che a destra, ci dipingeva come pericolosi eversori, perché ci eravamo permessi di dire quello che ogni italiano di buon senso pensava, ovvero, che sarebbe finita esattamente così.  A sentire oggi Bersani, che dice che si metterà di traverso sulle leggi ad personam, mi viene da chiedermi se ci sono o ci fanno… 

LA FAVOLE DELLE ALIQUOTE

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L’ennesima balla elettorale. L’ennesimo spot ‘ad effetto’ architettato dai ‘Gianni e Pinotto’ della politica italiana: Tremonti-Berlusconi. Sto parlando della riforma del fisco proposta dal ministro del Tesoro.Ma andiamo a vedere nel dettaglio l’idea di Tremonti. Sul tavolo del confronto politico c’è la riduzione delle aliquote Irpef da tre a due (23 per cento fino a 100 mila euro e 33 per cento oltre i 100 mila euro) che costerebbe alle casse dello stato 20-25 miliardi di euro. Vorrei partire dal fatto che i 20-25 miliardi di euro non ci sono e Tremonti si guarda bene dal dire dove intende andare a pescarli. Già questo la dice lunga su quanto poco di serio ci sia in questa proposta. Ma passi. Quello che è più grave è il fatto che questa è una pessima idea. La nostra Costituzione, infatti, prevede la progressività dell’imposizione fiscale: chi guadagna di più, per un principio di equità sociale, deve pagare più tasse. Con questa riforma, invece, si va in direzione totalmente opposta, molto di più di quanto non appaia dal semplice passaggio da tre a due aliquote. La realtà è che si passerebbe di fatto ad un'unica aliquota se si pensa che il 99 per cento dei contribuenti italiani dichiara redditi fino a 100 mila euro, per cui l’aliquota del 33 per cento si applicherebbe soltanto ad una ristrettissima minoranza. In soldoni significa che il pensionato o l’operaio pagherà allo Stato, in percentuale, le stesse tasse di un imprenditore o di un avvocato. Tutto questo non farebbe altro che aumentare iniquità e le ingiustizie sociali, che già vedono il nostro paese svettare al sesto posto al mondo per la crescita delle disuguaglianze, superato solo da Messico, Turchia, Portogallo, Usa, e Polonia.Per questa ragione noi presenteremo una proposta completamente diversa che ha, invece, l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze sociali nel nostro paese e di attuare un grande trasferimento di fiscalità dal lavoro (sia dipendente che d’impresa) alle rendite e alle speculazioni.  Per questo proponiamo da un lato un’imposta di solidarietà sociale, sul modello francese che vada a colpire i grandi patrimoni e le grandi rendite e, dall’altro, di raddoppiare l’imposta sulle speculazioni finanziarie passando dall’attuale 12,5 al 25 per cento.Tutti i proventi di queste imposte dovrebbero essere utilizzati per un’unica grande azione di riduzione del costo fiscale sul lavoro, ottenendo il doppio risultato di aumentare il netto in busta paga per lavoratori e pensionati e facilitare la ripresa del mercato del lavoro rendendo le assunzioni meno onerose per le imprese.Due proposte che noi mettiamo sul tavolo del confronto. Due idee chiare e semplici contro la demagogia ormai surreale dei Gianni e Pinotto all’italiana che da quindici anni campano sullo slogan ‘meno tasse per tutti’ e invece di anno in anno propinano agli italiani specchietti per le allodole ogni volta che si avvicina una scadenza elettorale.

COMMISSIONE D'INCHIESTA SUL WATERGATE ITALIANO

WATERGATEWATERGATEServizi segreti, ma non tanto. E soprattutto al servizio di Berlusconi, non dello Stato. Una ‘Spectre’ che spiava gli avversari politici. Detta così vengono in mente i servizi segreti dei paesi comunisti, il Kgb, la Stasi, la Securitate di Ceausescu, e invece si tratta di tutta roba nostrana, di cui non si deve parlare troppo peraltro.  Niccolò Pollari e Pio Pompa, l’uno direttore del Sismi dal 2001 al 2006 e l’altro importante funzionario dello stesso servizio segreto che ora si chiama Aise, spiavano i vertici del centrosinistra, e anche poliziotti (addirittura De Gennaro come scrive il Fatto quotidiano), magistrati, giornalisti. Con loro Marco Mancini, allora numero tre del Sismi ed oggi sotto processo per l’attività di spionaggio illecita organizzata da Giuliano Tavaroli, capo della security di Telecom. Anche per Pollari e Pompa la procura di Perugia ha chiesto il rinvio a giudizio per l’archivio riservato scoperto a Roma. Fossimo in una democrazia normale, questa vicenda avrebbe portato alle immediate dimissioni del presidente del consiglio ed al suo ritiro dalla scena politica. Il caso watergate insegna. Nixon si dimise per aver spiato il quartier generale del comitato nazionale democratico. Ma siamo in Italia, Paese a democrazia limitata da quando Berlusconi fa politica per difendere i suoi interessi. E così succede che Niccolò Pollari viene addirittura nominato Consigliere di Stato a Palazzo Chigi e che la presidenza del Consiglio apponga il segreto di Stato sulla vicenda, in riferimento al processo che riguarda Marco Mancini. Gli ‘spioni’ in Italia, però, non sono tutti uguali. Capita, infatti, che un onesto funzionario dello Stato come Gioacchino Genchi, incaricato di compiere intercettazioni per conto delle procure, che ha operato sempre lealmente ed entro i confini della legalità, venga additato dal centrodestra come un pericoloso ricattatore e messo alla berlina. E’ chiara ed evidente la diversità di trattamento tra chi ha operato in una palude di illegalità, ricatti, deviazioni antidemocratiche e chi, invece, ha lavorato per la collettività, contribuendo a scoprire reati e inchiodare criminali. Emerge da questa vicenda un quadro oscuro di illegalità ailimiti dell’eversione, per questo penso che sia necessaria una commissione d’inchiesta sull’archivio segreto di Pollari e Pompa e sulla centrale d’intercettazione di Tavaroli.

POPOLO VIOLA LINFA DELLA POLITICA

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Il 5 dicembre è stata una giornata straordinaria. Centinaia di migliaia di persone si sono riunite spontaneamente, senza nessuna bandiera, per urlare la propria disapprovazione nei confronti del governo Berlusconi e l’intenzione di mandarlo a casa. L’artefice di questo miracolo è la rete e la sua straordinaria capacità di mettere in “connessione” persone anche lontane tra loro, non solo in senso letterale del termine. A contribuire alla realizzazione dell’evento sono stati centinaia di ragazzi che si sono messi in moto nelle varie città italiane, organizzando pullman e treni. Domani, a Napoli il comitato organizzatore nazionale e locale del No B Day si ritrova per cercare di non lasciare isolata l’esperienza del 5 dicembre e per cercare di tradurla in un “manifesto del Popolo Viola”.  Ho deciso di sentire la loro voce, per cercare di capirne le intenzioni. Nel video Anna Mazza, referente del gruppo locale No B Day di Napoli, Gianfranco Mascia dell’associazione BO.BI e Massimo Malerba, del gruppo promotore del No B Day, ci raccontano le proprie idee e come, secondo loro, si evolverà l’organizzazione di questo “movimento”. Ci hanno spiegato che l’esperienza del 5 dicembre non si tradurrà certamente in un partito e che il Popolo Viola deve restare assolutamente autonomo dalla politica e dalle forze che di essa fanno parte.Ho molto apprezzato le parole di questi giovani e credo che la loro intenzione di rimanere fuori dalla politica sia positiva. Io credo che la società civile debba restare tale e non debba in alcun modo diventare un partito. Il 5 dicembre per la prima volta partiti ed esponenti politici hanno aderito ad un’iniziativa nata dal basso e organizzata in rete. Credo che il compito della società civile sia proprio quello di portare la politica sul piano della realtà e di aiutare i partiti a comprendere le esigenze e le istanze della gente. La politica, dal canto suo, deve essere la cinghia di trasmissione che pesca nella società civile e la coinvolge. La società civile deve essere uno stimolo per la politica, un faro a cui le forze politiche devono puntare, ascoltandone più approfonditamente la voce, perché essa riesce a cogliere velocemente i cambiamenti della società. Per questo, credo che il tentativo, da parte della società civile, di imbrigliarsi in un partito politico, si tradurrebbe inevitabilmente per essa in un irrigidimento che non le consentirebbe più di mutare in base alle istanze della gente. Si perderebbe, così, quello spirito camaleontico che rappresenta la forza di organizzazioni quali il Popolo viola, che nascono nella società civile e ad essa continuano a dare ascolto.

TRA LA PALICE E LIBERTA’ D’INFORMAZIONE

La PaliceLa PaliceOggi il presidente della Repubblica ha invitato tutte le forze politiche a non smarrire il senso comune dell’interesse generale. Una raccomandazione che si aggiunge ai ripetuti appelli per dialogo e le riforme. Tutti - governo, maggioranza, opposizione -  parlano di riforme e della necessità di un nuovo clima nel Paese, di unità nazionale. Tutto giusto, giustissimo. Chi sarebbe così pazzo da invocare un Paese spaccato, la divisione, l’odio tra le parti? Concetti generali condivisibili, quasi scontati in una democrazia parlamentare. Se al governo non ci fosse Berlusconi queste frasi potrebbero sembrare di Jaques de La Palice, quello che ‘se non fosse morto sarebbe ancora in vita’. Riforme sì, dunque, ma quali? L’opposizione, anche quella più dura, non può andare avanti solo con attacchi a testa bassa. Per questo pensiamo che si debba ragionare seriamente sulle riforme necessarie. Il presidente della Repubblica, le alte cariche dello Stato ed i leader di Pdl e Pd, quando ne parlano, pensano a quelle sulla giustizia o a quelle sull’ assetto istituzionale, sul presidenzialismo o sulle diverse competenze delle Camere. Io penso, invece, che si debba partire dalla prima, vera riforma, condizione indispensabile per avviare tutte le altre: quella per la libertà d’informazione. Oggi il vero arbitro della nostra democrazia non è più la presidenza della Repubblica, ma proprio la libera informazione. In Italia, da quando è sceso in campo Berlusconi, l’informazione non è più arbitro, ma dodicesimo, forse anche tredicesimo e quattordicesimo uomo in campo. Il nostro Paese nella classifica di Freedom House non se la passa troppo bene, tanto da essere stato inserito nel novero degli stati a libertà di stampa parziale. In nessun’altra democrazia esiste la possibilità per un magnate dei media di diventare presidente del Consiglio. Anzi no, scusate, un caso analogo c’è, o meglio, c’è stato: Thaksin Shinawatra in Thailandia. Continuare a parlare di riforme senza risolvere questa anomalia, questo enorme conflitto d’interessi che permette ad un solo uomo di influenzare così pesantemente l’opinione pubblica con il controllo di cinque reti televisive nazionali su sei, è pura  ipocrisia. Ve l’immaginate Rupert Murdoch primo ministro dell’Australia? No, semplicemente perché non sarebbe possibile. Con le sue televisioni e con il controllo più o meno diretto delle reti pubbliche e dei suoi telegiornali, per non parlare dei quotidiani di famiglia e di quelli vicini per convergenza d’interesse, politico o economico, Berlusconi dispone di un potere enorme. Ha potentissimi cannoni mediatici che utilizza per colpire i nemici e creare le condizioni per il suo successo politico. In sostanza inganna i cittadini. La mancanza di pluralismo nell’informazione televisiva è il vero male oscuro di questo Paese, dal quale tutto il resto discende come una naturale conseguenza. Non si può impedire alla metà degli italiani di pensare che la partita politica che si gioca sia in realtà truccata, quindi non c’è riforma che possa pacificare il Paese fino a che non sarà sciolto questo, che è il vero nodo. Per queste ragioni credo che l’opposizione dell’Italia dei Valori in questo momento debba mettere al centro la questione della libertà e del pluralismo dell’informazione e non semplicemente sottrarsi al dialogo. Non rifiutiamo il dialogo, ma ogni dialogo che non parta da questo è fasullo.