PORTO AVANTI I VALORI DI SEMPRE

Proprio ora che la nave affonda? Ma non si era accorto di niente? Perché non dimettersi anche da parlamentare? Troppe volte mi sono state rivolte queste domande, a cui ho sempre risposto cercando di chiarire la mia posizione. Tuttavia, c’è ancora qualcuno che continua a chiedermi spiegazioni. Non in molti, devo essere sincero, se paragonati a quanti hanno espresso rispetto per la mia decisione e quanti altri mi hanno rivolto con entusiasmo un “sono con te”. Ma non avendo nulla da nascondere ed essendo in pace con la coscienza, ci tengo a chiarire nuovamente, e una volta per tutte, le ragioni della mia scelta. Una scelta quanto mai sofferta, ma necessaria.

La mia uscita, prima dal gruppo e poi dal partito dell’Italia dei valori, non ha niente a che vedere con la puntata di Report. È stata una decisione politica. Dopo otto mesi passati a cercare di trattenere con le unghie e con i denti il partito in cui ho sempre creduto dentro il centrosinistra, mi sono dovuto arrendere: l’Idv è cambiata (anzi, Di Pietro ha cambiato l’Idv) e non possiamo permetterci di investire ancora del tempo prezioso a dare capocciate contro i muri. I valori su cui abbiamo fondato l’Idv devono trovare voce ed espressione in un nuovo progetto politico, democratico, aperto alla partecipazione e saldamente ancorato alla coalizione di centrosinistra.

Perché, da aprile ad oggi, l’Italia dei Valori ha distrutto quanto aveva costruito nei dieci anni precedenti. Gli italiani hanno votato un’Italia dei valori alleata del centrosinistra, che con il Pd voleva addirittura fare gruppi unitari a Camera e Senato e che come primo atto politico della legislatura votò Napolitano Presidente della Repubblica, allora definito da Di Pietro “un servitore della Repubblica e uomo fedele alle istituzioni”.

Se parliamo di coerenza, non sono io quello che ha cambiato idea rispetto agli impegni presi con gli elettori. Gli attacchi, talora giustificati, ma forsennati nei toni, al Presidente della Repubblica ci hanno isolato da tutti. È stato definitivamente reciso ogni rapporto con il Pd. Si è inseguito Grillo nel tentativo di cavalcare la protesta ed il malumore. Si è addirittura accarezzata (e forse non ancora abbandonata) l'ipotesi di cambiare simbolo per correre da soli alle elezioni con una lista radicale ed antagonista. E nel frattempo si è cercato di spegnere ogni confronto e ogni dissenso, incapaci di superare la dimensione dell'uomo solo al comando.

Non è quello per cui ho lavorato ed in cui credo. Per questo ho deciso di uscire da una Idv molto diversa da quella che ho contribuito a fondare. E lo ribadisco: non ho mai messo in dubbio l’onestà di Antonio Di Pietro. Di Pietro è stato l’unico, e ribadisco l’unico, che si è sempre opposto a Berlusconi e alla sua politica. Per questo avrà sempre il mio rispetto e la mia stima.

Ma chi fa politica ha il dovere di andare al di là dei sentimenti e delle valutazioni personali. Per questo, da oggi guardo avanti e lavoro, assieme a tante altre persone impegnate, alla costruzione di un nuovo soggetto politico, che porti avanti con orgoglio le battaglie per la legalità che ho sempre condotto e che voglio continuare a portare avanti. Dentro un centrosinistra riformista e di governo.

E lasciatemi dire una cosa: potevo starmene zitto e tranquillo, nel mio ruolo di capogruppo alla Camera, e quindi con ogni probabilità candidato eletto nel prossimo Parlamento, ma sentivo che così avrei tradito le mie convinzioni e la mia coscienza. Mi sono dimesso da capogruppo, ho lasciato l’Idv e con essa ogni garanzia. Non entro nel Pd, come qualcuno maliziosamente voleva far pensare, e con questa scelta gioco tutto, rimettendo agli elettori il giudizio sul progetto a cui sto lavorando. In un Paese dove nessuno si dimette mai da nulla, non voglio il plauso di nessuno, ma il rispetto, questo sì, credo di meritarlo.

 

ORA ANDIAMO AVANTI

Pubblico il video della mia intervista di oggi con il direttore Belpietro

 

 

Lascio l'Idv

Tag: donadi

Le mie dimissioni da capogruppo

Oggi, nel primo pomeriggio, ho annunciato al presidente della Camera Gianfranco Fini le mie dimissioni da capogruppo dell'Italia dei Valori. E' una scelta che compio con serenità e convinzione affinché nella riunione dei gruppi parlamentari nessuno possa usare strumentalmente questo tema per eludere l'unico confronto veramente dirimente, quello sulla rottamazione di Idv che Di Pietro sta scientemente portando avanti.

Ormai linee inconciliabili

Tag: Di pietro , donadi , Idv

Pubblico la mia intervista di oggi al Messaggero

Di Pietro pensa a una coalizione con Grillo, magari con Antonio Ingroia premier.
Guardi, già due mesi fa dissi pubblicamente che Ingroia ha fatto ottime inchieste, ma non si è comportato da bravo magistrato. Non mi piaceva allora e non mi piace oggi il suo modo d’interpretare la toga: andando in tv, ai congressi di partito. Si figuri cosa posso pensare di una candidatura impensabile per una coalizione impossibile.

Di Pietro ha decretato la morte dell’Idv. Avrebbe pronto anche nome e logo nuovi.
Confermo. Ce ne fece vedere un bozzetto, forse per sbaglio, durante l’Ufficio di Presidenza, poi lo ripose nella borsa. Al 90% l’idea è quella e il nome pure (‘Basta!’, ndr.). Di Pietro Vuole rottamare la storia e l’impegno di dodici anni e migliaia di elettori, quadri e dirigenti per rincorrere il voto di protesta, dei delusi e incazzati. Siamo al predellino de’ noantri. La sua linea e la mia sono ormai inconciliabili. Se la mia linea risulterà di minoranza, ognuno, dentro l’Idv, sarà libero di fare come crede. A Di Pietro ho chiesto un passo indietro: visto che non crede più nel suo partito, sarebbe meglio che passasse la mano. Se invece vuole scioglierlo in un ‘movimento’, come dicono anche Orlando e Maurizio Zipponi, legandosi alle frange più estreme della sinistra radicale, e magari allearsi con Grillo, io e altri saremo da un'altra parte.

Dicono che siete ‘quattro gatti’. Anzi, ‘cani morti’, ormai.
Non accetto questa logica di delegittimazione. Vedremo quanti saremo. La nostra non è una battaglia, è la guerra finale e io intendo combatterla fino alla fine. Comunque, vorrei rassicurare quelli che raccolgono le firme per farmi dimettere da capogruppo: forse saremo pochi tra i parlamentari, che devono tutti la loro elezione a Di Pietro, ma non nel corpo del partito. In queste ore sono subissato dalle telefonate di consiglieri comunali, provinciali e regionali, di dirigenti e quadri del partito da tutto il territorio.

Entrerete nel Pd, dicono. E' vero?
Vogliamo aiutare a costruire un centrosinistra di governo che coniughi il rigore e la solidarietà, politiche fiscali serie e politiche di equità. Comunque, prima di stilare il necrologio dell’Idv, come ha fatto Di Pietro, aspettiamo che vengano finalmente convocati gli unici organismi deputati a decidere, a partire dall’Esecutivo nazionale.

Ma lei dov’era quando Di Pietro comprava le case?
Facevo domande da mesi senza ricevere risposte. Report ha preso una cantonata colossale sulle case, lì ha ragione Tonino, ma ha accelerato un processo che lui coltivava da almeno sei mesi, sciogliere l’Idv, contro il quale daremo battaglia.

NULLA DI PERSONALE

Non è una questione personale. E’ politica. E basta. Non vorrei che il confronto all’interno dell’Italia dei Valori si riducesse ad un fatto personale tra me e Di Pietro. Contro il presidente Idv non ho umanamente e personalmente nulla e vorrei che fosse chiaro a tutti. C’è in ballo il futuro e il ruolo di Italia dei Valori, non certo il rapporto personale tra me e Di Pietro.

Da mesi c’è nel partito un dibattito aperto sulle alleanze. L’intervista di ieri di Di Pietro al Fatto, però, ha cambiato le carte in tavola, anzi, le ha scoperte, ed ha provocato due effetti politici devastanti, a mio avviso: il primo è una pietra tombale su qualsiasi possibilità di accordo col Pd. Il secondo è il superamento di Idv per dar vita a un soggetto politico che si presenterebbe alle elezioni facendo una corsa solitaria o una improbabile alleanza con Grillo.

Cosa rimarrebbe? Una formazione isolata o succube di altri ispirata dalla demagogia e dal radicalismo minoritario. Insomma, non proprio due temi su cui sorvolare politicamente. Di Pietro ha cancellato, in un’intervista, un percorso di dodici anni senza dire nulla a nessuno. Ha rinnegato le decisioni del congresso e dell’ultimo esecutivo nazionale, che si erano espressi per l’alleanza con Pd e Sel. Ha stracciato il documento firmato dall’ufficio di presidenza solo poche ore prima. E’ chiaro che il problema è esclusivamente politico.

Nel partito ci sono due linee tra loro evidentemente incompatibili, una guarda al centrosinistra, una a Grillo. Io rispetto la nostra storia e non la svendo per seguire una deriva populista e lavoro per costruire una credibile alternativa di governo per il dopo-Monti. Spaccare il centrosinistra significa riconsegnare l’Italia nelle mani dei tecnici o, nella migliore delle ipotesi, arretrare la spinta riformista e progressista dopo vent’anni di berlusconismo. C’è bisogno di ricostruire, di rilanciare, di assumersi le responsabilità di governo per cambiare finalmente questo paese.

Da dodici anni l’Italia dei Valori è saldamente ancorata al centrosinistra. Con Pd e Sel governiamo in regioni ed enti locali. Con loro abbiamo la responsabilità storica di tornare a governare il Paese e riformarlo. Chi straccia la foto di Vasto e impedisce al centrosinistra di governare si assume una responsabilità storica.

Altra cosa è Grillo. Rispetto i suoi elettori, ma non lo seguo, mi dispiace. Non sono un opportunista. Non svendo tutto ciò in cui ho creduto e per cui ho lavorato tanti anni solo per inseguire il populismo di chi vorrebbe portare l’Italia fuori dall’Europa. Sono questi i temi del confronto e mi auguro che a prevalere sia il senso di responsabilità.  

PROVINCE, UNA RIVOLUZIONE… A META’

E così la montagna ha partorito il topolino. Il consiglio dei ministri ha approvato il decreto sul riordino delle province. Un provvedimento, ha detto il ministro Patroni Griffi, coerente con i modelli europei. Si passerà, se mai accadrà  - visto i numerosi e pesanti ricorsi già in atto da parte delle regioni – dalle attuali 86 province nelle regioni a statuto ordinario a 51, comprensive delle città metropolitane.

Il processo è irreversibile, ha detto sempre il ministro, trattandosi di un provvedimento di tipo “ordinamentale e strutturale nella logica avviata con la spending review”.

Ora, verrebbe da dire, meglio poco che niente, se non fosse che un taglio così fatto servirà a poco e niente, anzi, più a niente che a poco.  Certo, il fermo divieto di emolumenti per le cariche presso gli organi comunali e provinciali e l’abolizione degli assessorati sono da salutare positivamente, così come gli organi politici che dovranno avere sede esclusivamente nelle città capoluogo. 

Così come l’auspicio che, in base al nuovo assetto, il riordino delle province sarà il primo tassello di una riforma più ampia che prevederà la riorganizzazione degli uffici territoriali di governo, prefetture, questure, motorizzazione civile etc etc.

Ma è troppo poco e, soprattutto, non farà risparmiare quanto si sarebbe potuto abolendole tutte. Le province sono enti inutili, costano 17 miliardi di euro l’anno. Perché non abolirle drasticamente, facendo risparmiare molti soldi pubblici? E’ mancato questo coraggio ed il risultato è il frutto di un compromesso al ribasso.

E’ storia nota agli amici e lettori di questo blog. L’abolizione delle province è stato uno dei nostri cavalli di battaglia, per il quale ci siamo battuti in parlamento, ricevendo un chiaro NIET dalle altre forze politiche e questo è il risultato tecnico: una rivoluzione… a metà.

Anticorruzione o amnistia mascherata?

L’Anticorruzione è legge. Con 480 sì, 19 no e 25 astenuti, il provvedimento per rendere l’anticorruzione un manifesto elettorale è stato approvato. Nessuno come noi si è battuto in questa legislatura per approvare norme più severe contro il dilagare della corruzione, che ogni anno costa all’Italia 60 - sì 60! - miliardi di euro secondo la Corte dei Conti.

Avremmo voluto che il Parlamento affrontasse in maniera davvero efficace una piaga sociale, economica e politica come questa. Avremmo voluto votare una legge che sentivamo nostra, invece ci hanno propinato un testo ipocrita, che serve solo ai partiti per tentare di placare l’opinione pubblica ed è del tutto insufficiente contrastare l'illegalità e il malaffare nella pubblica amministrazione, anzi peggio.

Questo è un testo che contiene norme che indeboliscono quel baluardo giuridico che avevamo. Avremmo voluto un provvedimento molto più severo. Abbiamo chiesto al governo, con fiducia in questo caso, di rimpolpare il disegno di legge con norme veramente efficaci, quelle che ci chiedeva l’Europa. E che da domani continuerà a chiederci: l'auto-riciclaggio, l’eliminazione della prescrizione - voluta come legge ad personam che tanti guasti ha fatto -, il falso in bilancio e il voto di scambio. Solo per fare degli esempi.

Il tempo per rendere efficace questo provvedimento gracile c'era. C'era la necessità di dare un segnale stringente, efficace nella lotta alla corruzione. Ma così non è stato. Anzi, ne è uscita fuori quasi un’amnistia mascherata perché, cancellando la concussione per induzione, farà saltare un sacco di processi. Non era così che doveva andare. Il governo ha perso un’occasione e ha dato all’Italia una pessima legge.

ECCO PERCHE' SERVE UN CONGRESSO

Pubblico il colloquio-intervista pubblicato su Il Fatto quotidiano di oggi.

 

Quando un soffitto sta per crollare, c’è sempre una pietruzza che aziona l’allarme: “Ne avverto due di pietruzze: il pessimo voto in Sicilia e la puntata di Report. Chiedo un congresso straordinario per rinnovare e non morire”, sospira Massimo Donadi, capogruppo Idv a Montecitorio, mentre smette anche di controllare lo scrutinio in diretta.

Il partito galleggia intorno al 3,5 per cento, trascinandosi Sel (3%) per un misero 6% a sostegno di Giovanna Marano, la sindacalista subentrata a Claudio Fava. I numeri, più che spaventare, mostrano il crollo: “Che segnali aspettiamo? O siamo virtuosi e dismettiamo il modello ‘uomo solo al comando’ oppure saremo travolti e puniti”.

Il collega al Senato, Felice Belisario, è ancora più netto: “Occorrono cambiamenti definitivi. Azzeriamo tutto. Il congresso non basta”. Il mantra di Donadi è semplice, e avvolge tante cose insieme: “Di Pietro deve spiegare e mollare il controllo assoluto. Non deve farsi da parte, ma neppure accentrare ogni decisione”. Cosa, onorevole?. “La gestione dei rimborsi elettorali, le domande ricevute da Report (I soldi di una donazione usata per immobili. I bilanci firmati da pochi, ndr). Sia chiaro: mi fido di lui, sarà convincente, ma basta perdere tempo”. Le conseguenze di un silenzio, poi, non le vuole nemmeno elencare: “Sbaglia chi attacca l’informazione pubblica indipendente".

Noi siamo con i giornalisti liberi e imparziali, sempre, non quando ci conviene. Il servizio di Report avrà riversato tanti nostri voti a Beppe Grillo...”. L’ex pm, in serata, risponde pubblicando varie sentenze a suo favore sul sito personale e minaccia querele (non alla Gabanelli, ma agli intervistati): “Proverò la mia correttezza, ecco le prime carte”.

Di Pietro ha cercato varie volte, e varie volte a vuoto, un contatto con il Movimento 5 Stelle. Qui la faccenda si fa politica, se non proprio politichese. L’ex consigliere comunale di Venezia, assistente universitario di diritto privato, è un uomo di linguaggio e posizioni miti: “Io non l’ho capito perché ci siamo allontanati dal Pd. Il centrosinistra è la nostra dimensione. Abbiamo imparato la lezione. E pure che Grillo non ci appartiene e sarà l’ennesima ed enorme delusione italiana. Poi comprendo gli italiani che lo votano, e anche chi lo preferisce dopo Report”. Un tratto, però, nota Donadi, unisce l’Idv e il M5S: “Sono movimenti fondati e coordinati da un leader. Il modello è defunto. E Berlusconi lo testimonia”. Il capogruppo non ha mai indossato l’elmetto contro il governo di Mario Monti, non s’è mai avvicinato a Grillo e non s’è mai stupito delle frecciatine di Pier Luigi Bersani. Conta i mesi che trascorre a inseguire Di Pietro: “Da giugno… non è un colpo di testa che ora, io, sia qui a invocare un congresso”.

Pausa. Donadi s’immagina carichi pieni di Scilipoti, Maruccio, Razzi: “La nostra storia dimostra che la lealtà non è un criterio per selezionare la classe dirigente. Abbiamo sbagliato, possiamo ricevere il perdono. Guai a perseverare...”. Ok, non pronuncia la parola “rottamare”, ormai archiviata persino dal legittimo proprietario, Matteo Renzi. Va oltre: “Facciamo le primarie interne? Benissimo. Premiamo il merito? Ancora meglio. Non restiamo fermi, non più: per favore”. E non dimentica la linea politica, che ancora si definisce così nonostante i matrimoni spuri e le coalizioni miste: “Il centrosinistra, veniamo da lì”. Donadi vuole stringere il momento con le mani, accatastare le cose cattive per ricavarne cose buone: “Report è un’occasione per Di Pietro, la Sicilia è un’occasione per il partito, il voto politico è un’occasione per tutti”. Ripete “occasione” con insistenza. Non si rassegna. Non adesso: “Sono ottimista”. E anche questa è un’occasione.

E ora congresso straordinario

Il Di Pietro che ho visto nell'intervista di ieri sera a 'Report' non corrisponde all'immagine della persona con cui ho lavorato fianco a fianco per 15 anni. Sono quindi convinto che chiarirà quanto gli è stato contestato. Ora, però, occorre un rinnovamento profondo e per farlo penso serva un congresso straordinario o un'altra forma di confronto democratico.

Quanto proposto ieri dalla Gabanelli recupera fatti vecchi e non provati. Certo la novità è che ora, in qualche modo, vengono riconosciuti. Spero si tratti di un errore, magari dovuto allo stile incalzante della trasmissione giornalistica. Spero, anzi sono certo, che già nelle prossime ore Di Pietro preciserà e cancellerà quell'immagine imbarazzante, balbettante e incerta che si è vista durante l'intervista.

Al di là della mia fiducia, comunque, sono profondamente convinto che il modello dei partiti leaderistici come Pdl, Udc, Fli e altri, compreso l'Idv, sia ormai superato e non più in grado di dare risposte adeguate ai problemi del Paese. Occorre un pronfondo rinnovamento oppure questi partiti saranno fisiologicamente destinati ad essere spazzati via.

Io vorrei avere l'orgoglio di stare in un partito che riesce a promuovere questo cambiamento. Come? Penso a un congresso straordinario o a un'altra forma di confronto democratico interno che innesti una marcia veloce verso il cambiamento, altrimenti la macchina rischia di incepparsi.